il Rimino - Riministoria


Dal deserto alla speranza.
Bush, il muro ed i diritti umani
Lettera 99, giugno 2004
di Ettore Masina


1. Benché la storia non sia mai un prato fiorito sul quale distenderci per lasciarci andare a sogni tranquilli, e il panorama politico mondiale abbia piuttosto l'aspetto, a prima vista, di un deserto aspro e roccioso, tuttavia, a chi fortemente lo vuole, non è impossibile cogliere nei nostri giorni, anche quelli più bui, piccoli semi di speranza. Essi non cancellano i dolori, tanto meno gli orrori che ci circondano: ma ci comunicano forza, ci sussurrano che la causa dell'uomo non è perduta, che è possibile recuperare valori e strutture di civiltà che parevano per sempre demolite.
Per esempio. Da Abu Grahib a Guantanamo e a Gaza, dalla Papuasia al Darfur e alla regione dei Grandi Laghi africani, se appoggiamo l'orecchio al cuore della Madre Terra sembra di ascoltare il battito di tamburi selvaggi che lanciano un messaggio devastante, anzi due: il primo è quello che afferma «non siamo tutti eguali, gli altri non sono veramente esseri umani», il secondo ripete il ringhio di Caino. «sono forse io il custode di mio fratello?». Questa cultura della negazione di ogni dignità del "diverso e dunque nemico" dall'11 settembre del 2001 non apparteneva più soltanto ai popoli che usiamo definire "primitivi": aveva permeato la cultura ufficiale, "di governo", della più grande democrazia del pianeta.
Il presidente Bush e la sua tribù guerriera di sedicenti giuristi e polemologi avevano finito per fare strame del diritto internazionale e dei diritti umani, avocando alla Casa Bianca ogni potere di gestire la Enduring Freedom secondo il proprio imperio: non per niente Libertà Durevole è il nome "liberal" di quella che Dobliù aveva, a tutta prima, chiamato Giustizia Infinita: dunque onnipo-tente e senza freni né controlli.
Ma ecco che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha avuto un sussulto: e ha deliberato che l'atroce regime carcerario di Guantanamo (600 persone, alcune minorenni, torturate durante gli interrogatori, chiuse in gabbia come animali feroci e spinte alla follìa da una detenzione di cui ignorano la durata) contravviene a ogni legge degli States, alla Costituzione americana e a ogni convenzione internazionale. Secondo la Corte, i detenuti hanno il diritto di appellarsi ai tribunali civili per ottenere informazioni e migliore trattamento.
Non è, questo, soltanto un recupero della dignità per i vinti: è la riaffermazione di uno dei principî fondanti della denocrazia: nessun governo può combattere neppure i fenomeni più paurosamente eversivi, usando mezzi scelti a sua totale discrezionalità. Di più: di fronte all'attribuzione di poteri speciali a Bush, votata da una quasi unanimità del Congresso nello stato di choc seguito al massacro delle Due Torri, la Corte ha sottolineato che "lo stato di guerra non conferisce carta bianca al Presidente quando si tratta di diritti dei cittadini".

2. Negli stessi giorni, l'ONU si pronunziava contro la pretesa imperiale di Washington di sottrarre alla Corte penale internazionale i soldati americani imputati di crimini contro l'umanità. In pratica sarà certamente ben difficile arrestarli e portarli a giudizio, anche perché Washington da tempo ha stretto in proposito patti bilaterali con molti governi ma di fatto viene restaurata almeno la certezza del diritto.
Pochi giorni prima di questa decisione 31 "esperti" della Commissione ONU per i diritti umani avevano chiesto di avere immediatamente accesso alle carceri di Guantanamo, dell'Iraq e dell'Afghanistan perché "i recenti sviluppi hanno allarmato la comunità internazionale riguardo allo status, le condizioni di detenzione e il trattamento dei prigionieri". Ridotto dalle guerre dei Bush (padre e figlio) al rango di notaio dell'imperialismo petroliero, l’ONU riprende ora un po' di prestigio, nel fallimento delle guerre preventive.

3. Anche in Medio Oriente è accaduto qualcosa di nuovissimo. la Corte suprema israeliana ha stabilito che alcuni tratti del Muro costruito da Sharon "a difesa dai terroristi arabi" provocano alla popolazione palestinese "tali sofferenze che lo Stato deve trovare un'alternativa, che forse garantirà minore sicurezza ma danneggerà meno la popolazione locale".
Questa decisione, sùbito fieramente impugnata dagli oltranzisti israeliani, non proscrive, com'è chiaro, la costruzione del Muro, sulla cui legittimità è chiamata a pronunziarsi, per mandato dell'assemblea generale dell'ONU, la Corte internazionale di giustizia dell'Aja, ma riconosce per la prima volta la spietatezza del regime militare nei territori occupati.
Come ha scritto il quotidiano israeliano Maariv, «apre un varco in quello che sinora è stato il dogma ideologico e politico della sicurezza di Israele». In onore di quel dogma, la Corte, anni fa, ammise l'uso della tortura sui prigionieri palestinesi (la dizione fu "pressioni fisiche moderate"); forse i giudici sono mutati, forse la testimonianza dei refuznik e le critiche di una vasta opinione pubblica internazionale cominciano a pesare: per la prima volta un ente israeliano di tale importanza si rifiuta di avallare l'espropriazione delle terre palestinesi (con la conseguente condanna alla disoccupazione e alla fame), lo sradicamento di milioni e milioni di alberi, la separazione forzata di decine di migliaia di persone dai loro campi, dalle loro famiglie, dai loro villaggi, dalle loro scuole, dai loro posti di lavoro e dai loro ospedali. Imponendo, di contro, i disagi, le miserie e le paure di una vita collettiva regolata dall'apertura o dalia chiusura di un cancello o di un chek-point..

4. Prima o poi vi parlerò del mio lungo viaggio nelle scuole italiane. Un mio romanzo sulla resistenza è stato adottato come libro di lettura da circa 150 istituti ed io sono poi andato ad incontrare i miei giovani lettori: da Tor Tre Teste (Roma) a Merano, da Gardolo (Trento) a Foggia, da Montopoli in Val d'Arno a Foligno, da Rimini a Bassano del Grappa, a Milano, etc. etc.
Penso di avere incontrato tremila ragazzi e forse più.
Qui voglio anticipare che gli studenti che ho ascoltato, grazie ai loro meravigliosi insegnanti, non soltanto apparivano capaci di critiche, di modi di esprimersi, di interessi assolutamente maturi, ma anche impegnati in una pluralità di attività che uscivano dalle strette mura (sempre più stette!) dei programmi scolastici: per fare un esempio, i problemi dei diritti umani e della solidarietà.
Troppo spesso noi adulti non conosciamo la straordinaria rete di iniziative che preparano i cittadini di domani, salvandoli dalle insidie dell'egoismo, del razzismo e anche di un nozionismo che non respira cultura. E' commovente immergersi in queste realtà; e ne nascono speranze che non devono essere deluse dal cinismo e dalla nostra pigrizia.

Ettore Masina

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