Da Le Monde, 05.04.02
Sostenere Israele ? Non nel nostro nome !
Solidali con i diritti nazionali e democratici del popolo palestinese, rifiutiamo l'escalation guerriera.
Il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (CRIF), appella a manifestare il 7 aprile, non solamente per protestare contro gli attacchi ai luoghi di culto, ma anche per "sostenere Israele". Mentre la purificazione militare colpisce pienamente nei territori occupati, questo sostegno acquista un significato ben particolare. Pretendendo di parlare nel nome degli ebrei del mondo intero, i dirigenti israeliani e i porta-voce delle comunità ebraiche usurpano la memoria collettiva del giudeocidio e operano una deviazione dell'eredità. Riprendendo la parola d'ordine degli oppositori americani alle crociate imperiali, noi rispondiamo: "Non nel nostro nome!" Ariel Sharon ha deciso, infatti, con il sostegno di George W. Bush, di schiacciare la resistenza palestinese, di distruggere le sue istituzioni, d'umiliare i suoi dirigenti e di costringere il suo popolo ad un nuovo esodo. Il giorno di Pasqua, le notizie televisive ci hanno offerto lo spettacolo schifoso di un presidente "statunitense", in abito da week-end, richiamare cinicamente più di sforzi e di buona volontà ad un Yasser Arafat assediato nei suoi locali, privato d'acqua, e illuminato da una candela! Davanti alla tragica solitudine del popolo palestinese, la "comunità internazionale" gareggia nelle dimissioni e nelle capitolazioni vergognose.
I ministri laburisti israeliani eseguono docilmente la politica del peggio! I dirigenti arabi non fanno niente per far rispettare i diritti del popolo palestinese. Pronti a seguire alla lettera le legioni imperiali americane nel nome del diritto internazionale, i dirigenti europei si accontentano nel migliore dei casi delle buone parole mentre le truppe di Sharon sbeffeggiano apertamente le risoluzioni dell'ONU! Le belle anime intellettuali, che si sono commosse, per un motivo giusto, della sorte dei rifugiati kosovari oppure dei bombardamenti su Grozny, tacciono sulla sorte dei rifugiati palestinesi e si lavano le mani davanti ai muri scalcinati e i macelli di Ramallah!
Pieni di compassione pre-elettorale verso le vittime degli atti antisemiti che niente, e certamente non il sostegno al popolo palestinese, può giustificare, i nostri governatori diventano pudicamente silenziosi davanti ai crimini commessi dalle truppe di occupazione in Cisgiordania! Quelli e quelle che giustificano il diritto del ritorno degli ebrei in Israele, nel nome di un diritto di sangue millenario, rifiutano il diritto del suolo ai palestinesi! I dignitari delle Nazioni unite si adattano alle umiliazioni inflitte all'autorità palestinese! Quelli che pretendono di amministrare la giustizia universale girano la testa davanti alle "liquidazioni extra-giudiziali", alle esecuzioni sommarie di prigionieri, e ai crimini di guerra d'Ariel Sharon!
Riconosciuto dall'autorità palestinese e da un numero di governi arabi, il fatto nazionale israeliano è ormai stabilito in maniera irreversibile. Ma una pace durevole esige il riconoscimento reciproco di due popoli e la loro coesistenza fondata su diritti eguali. Gli israeliani hanno uno Stato sovrano, un esercito potente, un territorio; i palestinesi sono rinchiusi in campi di rifugiati da mezzo secolo, sottomessi alle brutalità e alle umiliazioni, assediati su un territorio in diminuzione continua: grande come un dipartimento francese, la Cisgiordania è lacerata da strade strategiche, crivellata da più di 700 check points, irta di insediamenti. Non c'è simmetria tra occupanti e occupati.
Il ritiro incondizionato dell'esercito israeliano dai territori occupati e lo smantellamento degli insediamenti non costituirebbero nemmeno una riparazione dell'ingiustizia fatta ai palestinesi, ma solamente l'applicazione di un diritto formalmente riconosciuto da trentacinque anni, dalle risoluzioni 242 e 337 dell'ONU fino alla risoluzione 1042 del Consiglio di sicurezza. Bush chiede al contrario, sempre di più, delle concessioni e garanzie alle vittime. Sharon sequestra i loro rappresentanti, fa saltare le loro case, mentre il suo esercito blocca i soccorsi sanitari. Questa politica del peggio porta direttamente alla catastrofe; non solamente il popolo palestinese è minacciato di un nuovo esodo purificatore, ma anche il popolo israeliano viene trascinato in una spirale suicida dai loro dirigenti. Perché quale potrebbe essere il futuro di uno Stato fondato sull'oppressione, l'ingiustizia e il crimine? E quale potrebbe essere l'avvenire di un popolo che fugge le sue disgrazie e le sue angosce in un'escalation micidiale?
Era prevedibile che a forza di assimilare l'ebraismo alla ragione d'essere dello Stato israeliano e di presentare le istituzioni ebraiche come ambasciatori ufficiosi d'Israele, i grandi stregoni del Grande Israele finirebbero per essere presi in parola, anche se questo comunque non rende meno odiosi e inammissibili gli attentati a sinagoghe e scuole.
Noi condanniamo le aggressioni che mirano a una comunità come tale rendendo gli ebrei collettivamente responsabili degli atti abusivi commessi dal governo israeliano. Noi condanniamo tutte le derive antisemite della lotta contro la sua politica. Noi condanniamo per ragioni tanto morali che politiche, gli attentati contro le popolazioni civili in Israele. Le azioni contro gli insediamenti e l'esercito di occupazione rilevano invece una resistenza storicamente legittima e una difesa di diritti imprescrittibili. Tre mesi fa, il ministro israeliano degli interni Ouzi Landau annunciava in Le Monde (14 dicembre 2001) "una lotta fino alla morte" contro i Palestinesi, finché questi ultimi possedessero una goccia di speranza. Questa disperazione coscientemente mantenuta costituisce così il terreno in cui si radica la violenza estrema.
Mentre Sharon aveva promesso la sicurezza agli israeliani, il loro paese è diventato invece il posto in cui gli ebrei sono più insicuri nel mondo. Legando la sorte del suo popolo alla guerra illimitata contro il terrorismo decretato da George W. Bush, era in ogni modo chiaro che la politica del peggio sarebbe diventata una macchina infernale, una fabbrica di kamikaze. Denunciando tutte le derive razziste o antisemite in Francia come nel Medio Oriente, solidali coi diritti nazionali e democratici del popolo palestinese, rifiutiamo l'escalation guerriera e la cronaca di un disastro annunciato. Noi esigiamo l'applicazione delle risoluzioni dell'ONU, il ritiro incondizionato d'Israele dai territori occupati, lo smantellamento degli insediamenti e il riconoscimento immediato dall'Unione europea di uno Stato palestinese laico e sovrano.
Daniel Bensaïd, Rony Brauman, Suzanne de Brunhoff, Liliane Cordova Kaczerginsky, Marc Cramer, Joss Dray, Rachel Garbaz, Gisèle Halimi, Samuel Johsua, Francis kahn, Pierre Khalfa, Hubert Krivine, Isabelle Kzwykowski, Dominique Lévy, Henri Maler, Willy Rozenbaum, Nicolas Shashahani, Catherine Samary, Michèle Sibony, Pierre Vidal-Naquet, Olivia Zemor hanno consegnato questo testo.
Le Monde, 05.04.02
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