il Rimino - Riministoria

Nessuna nuova. Buona nuova?
Informazione, guerra e terrorismo
a sei mesi dall’11 settembre

Sono trascorsi sei mesi da quell’11 settembre 2001 che ha sconvolto luoghi, coscienze e memorie. Le notizie sulla guerra globale al terrorismo dei fondamentalisti musulmani sono in apparenza scomparse dalle prime pagine dei giornali. Dico in apparenza perché, se mancano informazioni dirette sulla caccia ai responsabili degli attentati compiuti alle due torri ed al Pentagono, ce ne sono altre che possono dirsi strettamente collegate con la scena apocalittica di Nuova York che dagli schermi televisivi giunse in diretta nelle nostre case quel doloroso pomeriggio.

In Pakistan è stato ucciso Daniel Pearl, giornalista americano, con un’esecuzione terribile: prima di morire sgozzato è stato costretto ad «autodenunciarsi» come «ebreo e figlio di padre ebreo». Ha commentato Fiamma Nirenstein su La Stampa: «Non di essere americano, altro grande crimine, ha dovuto dichiarare, ma di essere ebreo, una grande colpa con molti secoli di tradizione». Fiamma Nirenstein ha aggiunto che il doversi accusare di appartenere ad una religione, «è un fenomeno nuovo e che è urgente denunciare a piena voce e bloccare».

Un odio antisemita percorre scuole, giornali e televisioni del mondo islamico. Paolo Mieli sul Corriere della Sera, riprendendo un articolo di Rodolfo Casadei apparso su Tempi, ha riferito che si leggono cose impressionanti a proposito degli ebrei nel mondo arabo e musulmano.

La domanda è: quale legame esiste in tutto ciò con l’11 settembre? All’inizio dell’attacco al terrorismo, gli Usa avevano promesso una soluzione della questione palestinese. La situazione si è invece aggravata. Ci si scambiano colpi, aumentano gli odi nutriti dai gruppi più intransigenti. E’ cronaca tragicamente quotidiana.

Più leggera, ma ugualmente inquietante sotto il profilo politico, è la notizia relativa a David Frum che aveva coniato per la presidenza americana uno slogan con cui indicare quei Paesi, come Iraq, Iran e Corea del Nord, che sono considerati una minaccia alla pace, cioè «l’asse del male». E’ una notizia ambigua: David Frum è stato licenziato dalla Casa Bianca, ma non si capisce bene se per aver calcato troppo la mano con quello slogan, oppure se per colpa della moglie, una scrittrice nata nel mondo dell’economia quale figlia del proprietario del Toronto Star, Danielle Crittinden: sarebbe stata lei a far infuriare Bush, rivelando che la geniale trovata dell’«asse del male» era del marito e non del presidente. Il quale aveva usato lo slogan al Congresso, ma non l’aveva proposto durante il suo viaggio in Asia.

Il risvolto che rende degna di attenzione la vicenda di David Frum, è l’essere legata a quel sistema di informazione ufficiale che racconta ciò che vuole ed ammaestra i cittadini come desidera. Un’informazione che non scandalizza se realizzata dalle dittature, ma che pone problemi se essa è attuata nelle società democratiche, dove il diritto alla conoscenza dei fatti è fondamentale, e dove il «quarto potere» della stampa dovrebbe essere lasciato nelle condizioni di controllare quanto viene detto, e ciò non a scopi scandalistici, ma proprio per la tutela della stessa democrazia.
A proposito di questo aspetto, segnalo un lungo ed interessante articolo apparso sul supplemento economico del Corriere della Sera (25 febbraio), intitolato «Quando i mass media non sono liberi». Vi si riferisce di un saggio pubblicato da due docenti della London School of Economics, Tim Besley e Andrea Prat. Ne riporto solo alcune parole: «La loro idea è semplice. In mancanza delle informazioni ottenibili dai mass media (giornali, radio, televisione), per gli elettori è difficile giudicare se l’esecutivo in carica (identificato ad esempio dal primo ministro) abbia governato il Paese in maniera efficiente».

Veniamo a notizie di casa nostra, restando in tema di terrorismo. Lunedì 25 febbraio, la vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera rappresentava un fumetto dal titolo «Castelli in aria». Dentro il fumetto una foto formato polaroid, come quella drammatica di Aldo Moro con, sullo sfondo, lo striscione delle brigate rosse. Senonché, al posto di Moro, Giannelli ha raffigurato Silvio Berlusconi. La vignetta era collegata alle dichiarazioni del ministro della Giustizia Roberto Castelli il quale aveva lanciato l’allarme per possibili attentati: «Ora si annunciano episodi di violenza. Come nel ’68 quando prima si gridavano slogan contro il governo e poi qualcuno passò dalle parole ai fatti».

Gli slogan a cui faceva riferimento Castelli erano quelli risuonati da Roma a Firenze, a Milano, in varie manifestazioni del cosiddetto centro-sinistra, dove gli attacchi maggiori erano stati indirizzati proprio ai rappresentati di quei partiti che oggi sono in minoranza. Le sberle più forti se le sono prese Rutelli, Fassino, D’Alema. Lo stesso Fassino, nei giornali di lunedì 25, appariva assai aspro verso la minoranza dei Ds, che userebbe appunto queste manifestazioni per attaccare il suo ruolo di segretario di partito. La sera del 25, addirittura, a Firenze si è tenuto quello che i giornali del giorno dopo hanno definito un processo a D’Alema, intentatogli da alcuni professori che ora bocciano l’ex allievo della Normale di Pisa non tanto per essersi fermato (da giovane) prima della laurea, quanto per aver (da uomo maturo e vaccinato) fornito con la Bicamerale ossigeno a Berlusconi. Quel 25 sera D’Alema ha giurato che in Italia non c’è un regime come alcuni suoi accesi compagni di strada sostengono esistere, ma semplicemente una legittima situazione in cui la destra è in maggioranza.

La mattina dopo, mentre viaggiavano verso le edicole i quotidiani con i resoconti dei fischi tributati a D’Alema, ecco la bomba che esplode sotto un Viminale (sede del ministero degli Interni) che pareva abbandonato a se stesso, nonostante le misure antiterrorismo presentate in pompa magna all’opinione pubblica vari mesi fa. Forse la facilità con cui simili episodi possono accadere dovrebbe far più notizia che non quella dello stesso attentato, fortunatamente (o scientemente) di scarso effetto. Il quotidiano della famiglia Berlusconi, Il Giornale, il 27 febbraio intitolava «Scoppia la bomba, tutti giù per terra», alludendo al «popolo del girotondo», così come sono stati chiamati alcuni dei manifestanti di questi giorni. Intanto, la formula dei «girotondini» è diventata un tormentone di Emilio Fede nel TG4, per ridicolizzare quelli che molti dei suoi compagni di strada chiamano i comunisti, intendendo con questa definizione alludere ai componenti del centro-sinistra.

Un ritratto molto rispondente al vero della situazione politica e dell’informazione in cui si trova il nostro Paese lo ha delineato, a mio debol parere, la penna satirica di Massimo Gramellini nel suo «Buongiorno» della Stampa, il 26 febbraio: in Italia abbiamo «una destra padrona e una sinistra padrina, entrambe prive di senso del ridicolo e dello Stato».

Antonio Montanari

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