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Quando aspettavano Baffone

«Una storia tutta da scrivere», secondo Giuliano Ghirardelli

Per ricordare Gianni Quondamatteo, studioso ed uomo politico riminese scomparso dieci anni fa, sul «Corriere di Romagna» del 19 gennaio scorso, Giuliano Ghirardelli ha scritto un lungo articolo che non è soltanto il ritratto di un personaggio a cui la nostra cultura ed il turismo riccionese debbono parecchio, ma soprattutto un breve saggio storico che merita di non passare sotto silenzio.

Questi i punti fondamentali dello scritto di Ghirardelli. La fede politica comunistica di Quondamatteo si scontrò nel suo partito con «un'incredibile concezione interna della democrazia, imparentata sin troppo da vicino con lo stalinismo». Di qui la sua conseguente scelta di «un percorso individuale, una traiettoria solitaria». Sindaco della Perla Verde nell'immediato dopoguerra, si trovò così ad essere «solitario testimone» di una storia politica che, scrive Ghirardelli, «non coinvolge solo lui, ma noi tutti, e che dovremmo affrontare, prima o poi, con maggior serenità e sincerità».

Ghirardelli elenca gli aspetti meritevoli di una inevitabile riflessione: anzitutto, il passaggio in massa delle nostre popolazioni dal fascismo al comunismo, poi l'intolleranza e il conformismo politico che, a partire da quei giorni degli anni Cinquanta, hanno lasciato un’eredità raccolta in quelli Settanta dai «figli di una educazione politica che non privilegiava il rispetto degli altri, il rispetto delle opinioni altrui e della libertà, innanzitutto». Questo accadde perché, nel nostro Paese, «la libertà e la democrazia, nella scala dei valori, solo in apparenza venivano considerate al primo posto».

Le poche righe che ho riportato bastano per offrire l'idea dell'ampiezza del problema che Ghirardelli ha posto sul tappeto. Si tratta di rimeditare mezzo secolo di vicende che non sempre hanno ricevuto l'attenzione che sarebbe stata necessaria, e che talora (furbescamente) sono state accantonate per non parlare di argomenti sgraditi.

A Rimini non mancano le sedi istituzionali idonee dove il discorso avviato quasi in sordina da Ghirardelli, potrebbe continuare non come rissa ma con tutti i caratteri della scientificità. Occorrerà verificare se il suo sasso lanciato nella piccionaia, dove stanno placidamente gli intellettuali burocrati (o viceversa: i burocrati intellettuali), sarà considerato un gesto meritorio, od invece malsano.

Leggere per credere. A fianco del pezzo di Ghirardelli, il «Corriere di Romagna» ha riprodotto una pagina di Riccardo Fabbri, tratta dalla sua «Intervista a Ceccaroni» (1992): vi si ricorda che Quondamatteo nel 1967 fu espulso dal Pci. Se Ceccaroni rammentava che, «ingenerosamente», Quondamatteo fu allora considerato un «cinese», Fabbri riportava alcuni passaggi del manifesto pubblicato da un gruppo di compagni a sostegno della «coraggiosa lotta» di Quondamatteo contro il «malcostume che ormai dilaga paurosamente nei centri di potere che a Riccione il Pci guida e controlla».

A distanza di tanti anni, dovrebbe essere possibile avviare una discussione storica che sia non un processo, ma un esame spassionato in cui, accanto al rispetto per chi ha dimostrato determinate posizioni, ci sia il desiderio di capire come queste posizioni siano nate, si siano sviluppate e siano tramontate.

Ovviamente, è del tutto impensabile trattare soltanto di un partito: la discussione dovrebbe allargarsi a tutti quelli che hanno governato l'Italia, per verificare anche fino a qual punto gli interessi di qualcuno garantivano a qualche altro di continuare a coltivare quella «educazione politica che non privilegiava il rispetto degli altri, il rispetto delle opinioni altrui e della libertà».

Il clima di oggi, forse, non è però favorevole ad una simile discussione: le forze governative hanno un tic da vetero-anticomunisti, semplicemente per mantenere una barriera che non faccia apparire i loro difetti, mentre i politici d'ogni colore gareggiano verso un revisionismo personale da avanspettacolo: Veltroni non è mai stato comunista, Fini non apprezza più il nonno della collega Mussolini, Berlusconi non ama come una volta i giudici di «Mani pulite». Questo stato di cose non dovrebbe tuttavia scoraggiarci. Bastano poche persone che usino la stessa onestà intellettuale che appare dalle parole di Ghirardelli, per tentare di avviare quella riflessione senza la quale ci aspetta un futuro molto confuso.

Paolo Cirino Pomicino, reo confesso di illecito finanziamento alla sua corrente democristiana, ha detto a Barbara Palombelli (Corsera, 28 gennaio): «E' arrivato il momento di una grande, generale riconciliazione che comprenda gli anni dal 1969 al 2001. Se non la finiamo di buttarci addosso le procure, le querele, le carte bollate, se non interrompiamo il gioco al massacro delle rivelazioni, dei ricatti e delle insinuazioni, fra non molto raccoglieremo soltanto macerie». La proposta di Cirino Pomicino, relativa ad una diversa questione rispetto a quella posta da Ghirardelli, sembra richiamare (e riproporre) i silenzi con i quali si è gestito il giudizio sulla politica italiana della Sinistra nel Dopoguerra, fino a consacrare quella mancanza di «rispetto delle opinioni altrui e della libertà».

(Anziché interrompere «il gioco al massacro», Cirino Pomicino curiosamente lo prosegue, chiedendosi: «Ciriaco De Mita le faceva gratis, le stesse campagne elettorali?». De Mita si era preventivamente difeso con Augusto Minzolini, sulla Stampa del 24 gennaio, riportando una frase dettagli da Bettino Craxi: «Guarda che gli americani hanno dato 30 milioni a noi e a voi, tu però devi aiutarmi a capire chi li ha presi nel mio partito visto che io non li ho visti», ed aggiungendogli la risposta data al leader socialista: «Se scopri qualcosa fammi sapere anche chi li ha presi nel mio…».)

Forse alla fine vincerà la posizione di Cirino Pomicino. La voglia di «riconciliazione» (parola che ogni tanto, nella nostra vita politica, torna stranamente: non siamo per fortuna in guerra civile), quella voglia cancellerà ogni bisogno di sapere, chiarire e soprattutto non tacere, dimostrando che la verità è una menzogna non svelata.

Antonio Montanari

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