il Rimino - Riministoria

Per la grazia ad Adriano Sofri
di Frate Benito M. Fusco

Non solo per il filo rosso dell'amicizia di antiche e preziose passioni politiche, ma anche per una ostinata ed evangelica speranza ho sempre creduto che qualcosa sarebbe accaduto per ridare la libertà ad Adriano Sofri e togliere dalle mani dell'ingiustizia un innocente; è stato quasi un credere che ciò che tarda avverrà.

La sua storia giudiziaria mi ricorda il gioco o l'intrusione di Dio e del satana nella vita di Giobbe: la dignità del giusto straziata dalla ricerca di una prova di fedeltà e di rettitudine anche nelle situazioni più drammatiche, più ingiuste. E, come Giobbe, Adriano ha dato e dà prova di essere un uomo di grande profilo etico e spirituale, proprio così: spirituale, perché la spiritualità non è privilegio o appannaggio dei credenti o di una fede, ma è la capacità di ogni uomo di scoprire la propria identità abbracciata al senso della libertà e della giustizia: quella libertà e giustizia che ci collocano spesso sulla tracce di Dio e che più di ogni cosa ci fanno essere coraggiosi pellegrini della sua immagine e somiglianza o curiosi cercatori dell'Assoluto.

Sono favorevole, molto favorevole, favorevolissimo alla grazia per Adriano Sofri, anche se nessuna grazia umana potrà riparare l'ingiustizia e il dolore subiti da lui e da chi gli vuol bene, o la vergogna di aver inserito una pagina nerissima nella storia processuale ed investigativa del nostro Paese.

Non mi interessano le occasioni polemiche che la proposta di Berlusconi ha suscitato o le reazioni salottiere di presunti amici politici che, come gli amici di Giobbe, si affrettano a ricordargli o a giustificare che il rifiuto della grazia (della libertà) è la sanzione di una giustizia politica e di una irriducibile coerenza morale (di cui tra l'altro Sofri può elargirne a piene mani, e senza suggeritori occasionali, a tutti) e che pare codificata da un curioso senso del martirio richiesto...; agli altri con la parabola dell'ipocrisia: "non si riceve il pane dagli affamatori" (Vattimo).

Ed è questo l'essenziale invisibile agli occhi: non si tratta di guardare la lordura delle mani che ti offrono il pane, ma di cogliere il valore del pane, e quel pane racchiude la sete di giustizia non solo di Sofri, ma di tutti coloro, compresa la famiglia Calabresi, che hanno lottato per una giustizia della verità: "...beati", cioè felici, "coloro che sono assetati di giustizia..."

Quel pane non è un pane politico; è un pane capace di accendere fame di cose vere; è quasi un pane eucaristico, cioè un pane di memoria, consente ad un uomo di riprendersi la sua unica e irripetibile libertà, di riprendere il cammino e la ricerca, finalmente, dentro i passi della sua storia interrotta dall'ingiustizia, è un pane che libera dalle falsi fami e che ha sapore umano, e consola quando attraversiamo il deserto delle solitudini o delle sofferenze. È un pane, quindi, che non si può rifiutare anche perché, ripetendo Simone Weil, "i beni più preziosi non sono quelli cercati, ma quelli attesi": non mendichiamo un pane, ma attendiamo il pane.

La grazia a Sofri, Bompressi e Pietrostefani bussa alle nostre ansie di vivere e dona vita e futuro a tutto ciò che ha diritto di esistere in pienezza: umanità,libertà, amore, verità.

Attendo, attenderò di rivedere libero un uomo, un amico tra amici, continuando a credere ancora che ciò che tarda avverrà, e ad Adriano con timore ripeto, dopo anni e anni, che la vita in qualsiasi momento ci chiede sempre l'infinita pazienza di ricominciare.

Frate Benito M. Fusco

Misano Adriatico, 12 novembre 2002
Comunità frati Servi di Maria
Via d'Azeglio, 8
Misano Adriatico (rimini)
E-Mail: fra.ben@libero.it

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