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il Rimino - Riministoria

Un «quaderno» di Fosco Rocchetta
sul ponte dell’antica Flaminia a Riccione

Il «quaderno» n. 29 del Centro della Pesa di Riccione è dedicato al «Ponte romano dell’antica Flaminia», a cura di Fosco Rocchetta, direttore della biblioteca comunale della Perla Verde.
Dopo la fondazione (avvenuta nel 268 a. C.) della colonia «latina» di Rimini, a partire dal 232 la nostra zona lungo la costa dal Marecchia al fiume Conca fu invasa da seimila famiglie, con una consistenza di circa 25 mila persone. Erano immigrati provenienti soprattutto da Roma, dal Lazio e dalla Campania. Ad ogni famiglia fu assegnato un podere.
Colonia «latina» significava che i suoi abitanti non godevano pienamente di tutti i diritti riconosciuti a quanti vivevano invece nel territorio romano, detti «cives optimo iure». Nelle colonie «latine» erano riconosciuti gli stessi diritti degli «alleati latini»: diritto di connubio e di commercio con Roma, possibilità di possedere beni nella capitale e di diventarne cittadini una volta trasferitivisi. Per gli alleati sia latini sia puri e semplici, correva l’obbligo di fornire contingenti militari al governo romano.
Allora, come osservò Giancarlo Susini, «anche la Val Conca si imbevette di latini, sabini ed altri individui venuti a lavorare la terra e a operare sui mercati di tutta Italia». Fu secondo Susini, un avvenimento epocale: «si attuò un vero genocidio dei Galli, naturalmente soprattutto degli uomini capaci di combattere». Ed anche avvenne «un rivolgimento ecologico» attraverso disboscamenti, bonifiche, trasformazioni di colture, importazioni di nuove sementi e di nuovi attrezzi.
Fra 222 e 219 a. C. è costruita la via Flaminia, «il principale asse viario dell’antichità», spiega Rocchetta, che metteva in collegamento Roma con l’Italia settentrionale e l’Europa nord-orientale. Su questo sfondo storico e geografico si colloca la vicenda riccionese ricostruita nel «quaderno» del Centro della Pesa.
La Flaminia «attraversava il territorio di Riccione lambendo il vicus Popilius», divenuto successivamente San Lorenzo in Strada. In questa zona sono stati effettuati importanti ritrovamenti archeologici, in parte esposti al «Museo del territorio» riccionese, dedicato a Luigi Ghirotti che fu un appassionato cultore delle memorie patrie. Aggiunge Rocchetta che oltre a quelli esposti, altri resti di antiche strutture si possono osservare nel sito archeologico all’aperto della stessa località di San Lorenzo in Strada, «ubicato nell’area prospiciente la sede della farmacia comunale» ed inaugurato nel 1999. Rocchi e massi squadrati vennero alla luce negli anni Settanta in occasione di scavi per costruire la canonica attigua alla chiesa di San Lorenzo. Infine vanno citati una lapide scoperta nel 1775 alle Fontanelle (luogo che doveva il suo nome alla presenza di falde freatiche), ed i resti di un ponte sul rio Melo.
La lapide ricorda opere fatte eseguire dall’imperatore Domiziano (51-96). Alcune parti appaiono erose per effetto della «damnatio memoriae» (rimozione della memoria) decretata verso di lui dopo la sua uccisione.
Il ponte romano sorgeva a circa quattro metri da quello attuale a Ghetto del Rio, ad un chilometro da San Lorenzo provenendo da sud. Nel 2003 un intervento del Comune ha consolidato i resti di un manufatto nei cui pressi (zona dell’ex mattatoio), nel 1975 sono emersi resti romani del terzo secolo: probabilmente appartenevano a stallatici che servivano a chi percorreva la Flaminia. «Tale costruzione poteva forse servire quale ricovero di animali da tiro che dovevano essere utilizzati per far superare il forte dislivello tra la strada e il ponte sul Rio Melo ai carri transitanti in quel tratto della Flaminia. Il dislivello era determinato dal fatto che la sede stradale era più alta rispetto a quella del vecchio ponte di vari metri».
Rocchetta riporta anche altre notizie interessanti di età moderna. A metà del XVII secolo sono attestate abitazioni lungo la Flaminia nel luogo dove sorgerà la borgata di Riccione (detta allora Arcione). La lontananza di queste case dal litorale, ricordata dallo storico riminese secentesco Raffaele Adimari, era dovuta alla minaccia degli sbarchi di pirati, contro i quali nel 1673 lo Stato della Chiesa fece costruire sei torri di avvistamento, da Cattolica a Bellaria. Le torri riccionesi sono due, a Fontanelle e nei pressi del rio Marano alla Torre della Trinità.
Torniamo all’età antica e al «vicus Popilius». Di «vico Pupillo» parla un testo latino del 1059 che lo dice posto nel «fondo Folliano». Come già scrissi nella biografia di don Giovanni Montali (1993, p. 281), e come da essa riporta Rocchetta (p. 34), il nome «Folliano» deriva secondo Luigi Tonini da quello di un’antica famiglia romana. Nome che sembra coniato sopra quello di una maga «Folia Ariminese» ricordata da Orazio nell’«Epodo V», «che strappò dal cielo stelle e luna per magia» («quae sidera excantata voce Thessala / lunamque caelo deripit», vv. 45-46). Pupillo fu chiamato prima il territorio, poi il torrente che vi scorre (il Marano). Pupillo significa fanciullo: ed un bambino è la vittima sacrificale della strega Folia ricordata da Orazio. Strana coincidenza, mi chiedevo, o precisa volontà in chi battezzò i due luoghi, di rammentare i protagonista dell’«Epodo V»?
Secondo il bibliotecario ottocentesco Antonio Bianchi, che ne scrisse nella sua storia di Rimini, si credeva ai suoi tempi che il nome della strega ricordata da Orazio, derivasse da quello del fiume. Le cose andarono all’opposto. La cultura a cui apparteneva Bianchi non si poneva il problema di chi dà il nome alle cose. Prima nascono gli uomini e poi le carte geografiche.

Antonio Montanari


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