http://digilander.libero.it/ilrimino/att/2004/919.pantani.html

il Rimino - Riministoria

In ricordo del «passator» Pantani
Così i romagnoli hanno pianto il campione «sconfitto»

Gli antichi non avevano il «processo» di Biscardi né le filippiche di Maurizio Mosca. Potevano accontentarsi di Omero. Che nell'«Iliade» racconta la dolorosa storia di «Ettore grande, elmo lucente». Ne rileggiamo la conclusione attraverso la moderna traduzione di Rosa Calzecchi Onesti (Mondadori ed.): «la vita volò via dalle membra e scese nell'Ade, / piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore» (XXII, 362-3). La sposa Andromaca è disperata: «troppo giovane lasci la vita», «Ah! maledetto pianto e singhiozzo ai genitori hai lasciato» (725, 741).
Lo stesso strazio è stato vissuto ai funerali di Marco Pantani. Era anche lì il saluto ad un eroe, ad una creatura mitologica nella fantasia dei tifosi e della gente della sua Terra, di questa Romagna che all'improvviso s'è trovata a fare i conti con cose grandi, lette e vissute, ma spesso accantonate dai più: il destino, la volontà, il coraggio, il male di vivere.
La Romagna ha vissuto l'addio a Pantani con lo stesso spirito descritto da Omero: «e il popolo intorno / era in preda al singhiozzo e ai lamenti per la città» (408-9). «Troppo giovane lasci la vita»: parole di rimpianto, rassegnazione, senza il conforto che solo da altra sorgente, più alta ed infinita, può venire.
La Romagna che ha pianto (e ricorderà) Pantani, è la stessa che si è esaltata attorno alla figura del Passatore, diventato uomo «cortese» grazie ai buoni uffici di Giovanni Pascoli proprio nella poesia che canta la Romagna. La necessità di far rima con «paese», nobilitò per via letteraria un brigante che la gente comune aveva già laicamente santificato per proprio conto, soprattutto davanti a quella morte dovuta ad un colpo basso capace di trasformare tutta un'esistenza, cancellando ogni aspetto negativo ed esaltando nel mito non la figura che gli atti giudiziari descrivevano, ma il personaggio che il sentire popolare modellava.
Davanti all'ultimo addio a Marco Pantani, la Romagna ha riscoperto questo suo sentire da gente ribelle, che tralascia i fatti, gli errori, le colpe, e va dritta a cercare l'aggancio ideale per conservare il meglio di una persona. Anzi del personaggio entrato per sempre nella leggenda.
Nel libro che sul finire del 2001 Roberto Balzani, docente di Storia contemporanea, ha pubblicato presso il Mulino, «La Romagna», nella collana «L'identità italiana», sono riportate le parole d'«un celebre viaggiatore francese [Valéry, 1837, n.d.r.] dell'età della Restaurazione, a ridosso dell'esperienza insurrezionale del 1831-32», secondo le quali il romagnolo è capace d'eccessi nel bene e nel male, «et il peut devenir, selon l'impulsion qu'il reçoit, héros ou brigand».
Ma il bello di questa Romagna è proprio il fatto che poi, con Stefano Pelloni, il brigante e l'eroe si confondono, acquistando il primo i nobili connotati del secondo. Perché questo sia accaduto ed accada tuttora, non so. In un vecchio libro intitolato «Questa Romagna» (Cappelli, Bologna 1965), c'è un saggio di Guido Nozzoli («Il pianeta Romagna»), da cui riporto queste righe: «E chi poteva concedersi il 'lusso' di essere gracile, malato quando si lavorava a squadre e si era pagati a cottimo come gli 'scariolanti', quei favolosi sterratori che hanno strappato a palmo a palmo migliaia di ettari di buona terra alle acque ferme delle paludi, lavorando dodici, quattordici ore il giorno sugli argini delle 'valli', con un pasto fatto di erbe, di cipolle e di piada 'armesta'? Lo spietato processo di selezione sul mercato della mano d'opera per escludere gli uomini di scarso vigore, spiega il culto della forza e dell'efficienza fisica [...]».
Forse per questo ricordo di un lontano vivere restato saldamente negli umori nostri, Pantani è diventato «il Pirata», l'uomo che riscattava la fatica comune stracciando con leggerezza elegante tutti i colleghi lungo le salite del Giro e del Tour, dopo aver innestato una sesta marcia che aveva soltanto lui, e che poi lui stesso ha colpevolmente sgranato sino a distruggerla. Fra tanti amici. Molti veri. Ma anche molti falsi che, dello spirito dell'antica, proverbiale solidarietà romagnola, non hanno dato testimonianza proprio quando sarebbe stato necessario.
«La vita volò via lasciando la giovinezza e il vigore». Marco Pantani è stato ucciso in un duello, come Ettore, da un rivale a cui le cronache hanno immediatamente dato un nome tragico dei nostri tempi, la droga. Il vero campione, quello che i romagnoli ameranno sempre, se n'era andato prima di quel soggiorno fatale nella nostra Rimini invernale. Se n'era scappato quando le sue ali di scalatore e di campione cominciarono ad infastidire per invidie e gelosie di mestiere. Solo lui ha pagato. Tutto. Come quando faceva festa con gli amici: veri e falsi.

Antonio Montanari


All'home page de il Rimino
All'indice de il Rimino
All'indice di Riministoria
Al sito http://digilander.libero.it/antoniomontanari
Per informazioni scrivere a monari@libero.it.


919/Riministoria-il Rimino/22.02.2004
http://digilander.libero.it/ilrimino/att/2004/919.pantani.html