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il Rimino - Riministoria

Se la politica appare un giocattolo rotto
Ciclo di «Pensieri sulla cosa pubblica», all’insegna del «post»

Il sesto ciclo delle «Meditazioni riminesi», organizzate dalla Biblioteca Gambalunghiana, è dedicato ai «Pensieri sulla cosa pubblica», raggruppati sotto un titolo (con interrogativo) che invita a riflettere: «Postpolitica?». L’etichetta del «post» è nata in ambito artistico (per definire la contemporaneità quale il «postmoderno»). Ha riempito di recente gli scaffali delle biblioteche, come documenta «Tirature», il fresco volume del Saggiatore sulla produzione libraria del 2003, al punto che Mirella Appiotti («Ttl/La Stampa», sabato 24.1), ha definito questa «etichetta» come «ormai famigerata e trapassata». Inoltre è stata adottata pure dal linguaggio politico di ogni sponda. Ai postcomunisti corrispondono (lessicalmente) i postfascisti. Sembra di assistere ad una gara a chi arriva prima a nascondere il più velocemente possibile gli abiti sin allora indossati, e da un certo punto in avanti non considerati più degni per una serie di ragioni sacrosante.
La difficoltà del semplice cittadino, nel comprendere questi più o meno veloci mutamenti verso il «post», è principalmente quella di decifrare come essi siano avvenuti. La semplice etichetta non basta. Ecco perché gli interventi programmati in questa serie di conferenze possono essere un’occasione favorevole per approfondire l’argomento che riguarda la vita sociale.
Si comincia venerdì 30 gennaio alle ore 21 al Teatro degli Atti (via Cairoli 42), con orario e luogo stabili anche per gli appuntamenti successivi: Gian Primo Cella, Giuliana Chiaretti e Stefano Zamagni esaminando le «Differenze per convivere», ricordano la figura di Alberto Melucci. Si proseguirà con personaggi ed intellettuali noti come Ilvo Diamanti (5 febbraio), Domenico Losurdo (13 febbraio), Gianni Vattimo (20 febbraio), Domenico Fisichella (5 marzo), Maurizio Viroli (12 marzo), Francesco Saverio Borrelli (19 marzo), ed infine Massimo Cacciari, Luciano Canfora ed Ivano Dionigi (26 marzo).
L’intervento di Ilvo Diamanti appare come una specie di premessa, intitolandosi «Dopo la postpolitica», quasi ad offrire una sintesi della situazione italiana, a dieci anni dalla «discesa in campo» di Silvio Berlusconi che sanzionò la fine della «politica» identificata, secondo il linguaggio giornalistico corrente, nella cosiddetta «prima Repubblica». Ma in questi dieci anni sembra essersi consumata anche la «postpolitica», se Diamanti avverte la necessità di parlare di un suo «dopo». Come e perché ciò sia avvenuto, lo spiegherà probabilmente Domenico Fisichella, esponente di An, ma molto critico (anche in un suo recente saggio) nei confronti dell’attuale capo del governo: infatti il suo intervento risponderà alla domanda «Primato della politica o primato dell’economia?». E poi, dalla stretta attualità il prof. Fisichella riceverà indubbiamente sollecitazioni a chiedersi di quale economia dobbiamo parlare oggi, in Italia, dopo i recenti scandali Cirio, Parmalat e compagnia perdente.
Gli altri temi sono le ipocondrie dell’impolitico (Losurdo); i rapporti fra politica, dialettica e verità (Vattimo); il «perché» della politica (Viroli), la trattazione affidata a Borrelli (ex capo della Procura milanese ai tempi di Tangentopoli), su diritto, etica e politica con un’altra domanda sulla «postlegalità». Ed infine la discussione conclusiva di Cacciari, Canfora, Dionigi che, in mezzo a tante cose «post», si pongono sotto l’ala sicura di un interrogativo che rimanda ad un motto molto antico: «Nihil sub sole novum?».
Idealmente il cerchio si chiude. Quasi a suggerire che, a forza di cercare i lineamenti del «post», ci stacchiamo tanto dal passato che alla fine bisogna farvi ritorno, per potere capire il presente. Il curatore del ricordato volume «Tirature», Vittorio Spinazzola, ha composto un saggio-sintesi intitolato «Dopo il post-moderno» per indicare, come ha scritto Mirella Appiotti, «quel qualcosa che nessuno sa cosa sia». Quanto si dice per i libri e la letteratura, vale pure per la politica. Lo confermano Ilvo Diamanti ed il suo tema, «Dopo la postpolitica». L’essenziale è che, nei discorsi di tutti i giorni, non si perda di vista il senso della «cosa pubblica». Considerando che, più dei concetti, contano i fatti. E che il progredire della società si misura proprio sul valore dei dati concreti. L’uomo non è ciò che mangia, come pensavano i materialisti dell’Ottocento. Ma se non ha nulla da mangiare, son rogne per tutti. Prima, durante o dopo la «politica». Questa è una vecchia lezione che è utile non dimenticare. Qualcuno dieci anni fa promise un nuovo «miracolo italiano». Le cronache anche dei fogli più conservatori parlano da alcune settimane della diffusione a macchia d’olio delle «nuove povertà».
«Post»… scriptum. Il programma delle «meditazioni» ha in copertina una bella immagine di Gabriele Geminiani (1998) che a noi sembra quella di un giocattolo rotto. Inquietante simbolo di una situazione storica in cui, pensando al poi, dovremmo senza imbarazzi pensare al prima: cioè capire perché il «giocattolo» si è ridotto (o è stato ridotto) in pezzi. E da chi.

Antonio Montanari


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904/Riministoria-il Rimino/28.01.2004
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