Presso Pazzini editore sono apparsi due volumi curati dal Centro culturale di spiritualità Benedetto e Scolastica dell'Abbazia riminese di Santa Maria Annunziata Nuova di Scolca (San Fortunato). Il primo raccoglie tre conferenze su «Poesia e preghiera nel Novecento», dedicate a Clemente Rebora, Cristina Campo e David Maria Turoldo (a cura di Giovanna Scarca e Alessandro Giovanardi). Il secondo offre tre intereventi tenuti lo scorso anno a proposito di «Spiritualità monastica tra memoria e profezia», da Alessandro Barban (monaco camaldolese), Sergio Livi (monaco benedettino olivetano) e Domenico Pazzini (patrologo e studioso di Letteratura cristiana antica). Nella prefazione di Natalino Valentini si spiega che i materiali presentati sono il «coraggioso tentativo di un rinnovato confronto sulle forme storiche, culturali e spirituali dell'esperienza monastica», senza nostalgie ma per ridestare un'esperienza di fede alle cose essenziali superando le preoccupazioni della propria autoaffermazione e del «fare».
Roberto Di Ceglie nell'introduzione affronta il tema della fuga dal mondo, centrale sia come problema di vita sia come considerazione del fenomeno. Domenico Pazzini illustra le radici patristiche della spiritualità monastica, con particolare riferimento alla figura di Antonio. Padre dom Sergio Livi analizza i paradossi della spiritualità monastica olivetana che si esprime nella teologia del bello, la quale segna il passaggio dall'ascesi antropologica della Regola benedettina alla contemplazione estetica o mistica della Gloria di Dio.
Come dovrebbe risultare evidente dai pochi cenni riportati, il volume ha un notevole spessore culturale e religioso, ed offre molteplici spunti di meditazione al lettore che potrà soffermarsi pure sulla sezione conclusiva, contenente un inedito del filosofo Ètienne Gilson a proposito della mistica cistercense.
Passiamo all'altro testo su «Poesia e preghiera nel Novecento». Scarca e Giovanardi offrono i punti di raccordo fra i tre saggi presentati, relativamente al comune destino spirituale dei poeti esaminati, i quali hanno risposto alla chiamata verso la perfezione «con integrità di sentire, pensare ed essere, con cuore unificato nella persuasione dell'Amore che li precede e che li attende».
Su Rebora, Filippo Secchieri scrive che si trova costretto, per esprimere la trascendenza, a sperimentare una forma lirica che neghi «ogni facile abbandono melodico». Cristina Campo, osserva Monica Farnetti, affronta il problema della bellezza togliendole ogni attributo mondano ed estetizzante, e considerandola «forma di rivelazione, bene inalienabile, e caratteristica suprema dell'esistenza». Infine, con Bernardo Antonimi si parla di padre Turoldo che per scelta antropologia e teologica vive tra i poveri, lui nato da poveri, ascoltando quella «domanda di libertà che viene dal Vangelo», e producendo una poesia che ne è testimonianza per dire «sempre e dovunque» le urgenze del Verbo.