il Rimino - Riministoria

Riminilibri/Giugno 2003

Il colera a Rimini nel 1855
Uno studio di De Carolis su Michele Rosa


Stefano De Carolis ha pubblicato, nel primo dei tre volumi dedicati a «La geografia delle epidemie del colera in Italia. Considerazioni storiche e medico-sociali» (2002), un saggio intitolato «Un singolare revival: il trattato sul colèra di Michele Rosa (1731-1812) e l'epidemia riminese del 1855» (pp. 117-128).
De Carolis ha studiato a fondo in altro lavoro la figura di Michele Rosa (vedi gli «Atti del XL Congresso nazionale di Storia della Medicina» svoltosi fra Verucchio, San Leo e Rimini all'inizio di ottobre 1999, pubblicati nel 2001), scrivendo che si tratta di un cattedratico e di un filantropo dall'aspetto un po' paludato, lentamente emarginato negli ultimi anni della sua vita, che si dedicò anche agli affari producendo una «pillola R.» contro i disturbi digestivi.

Rimini, scriveva De Carolis, ben presto si dimenticò di questo illustre suo cittadino, la cui fama ebbe però un «tardivo e fugace sussulto nel 1855» quando durante una terribile epidemia di colera fu ripubblicato un suo inedito «Trattato» su questa malattia.
Dal punto di vista medico, precisa De Carolis, l'anacronistico revival dello scritto di Michele Rosa, «costituisce la prova della perdurante incertezza che condizionò la medicina, e non solo in campo infettivologico, fino alle importanti scoperte di fine secolo (fu Robert Koch ad isolare il vibrione colerigeno nel 1883)».
Di questo «singolare revival» De Carolis tratta appunto nel saggio citato in apertura di queste righe: da esso ricaviamo notizie preziose attorno alla vita riminese. Che riportiamo in estrema sintesi.

Ci sono tre epidemie tra 1835 e 1855: nella prima la nostra città è soltanto sfiorata dal cosiddetto «morbo asiatico», al contrario di altre località come Cesenatico. Nella seconda (1849), muoiono quattro donne abitanti nella zona del porto.
Nel 1855 si registrano invece ben 717 decessi dei 1.264 soggetti affetti, sopra una popolazione cittadina di 17.627 abitanti. La sua prima comparsa è nel Borgo di San Giuliano con la morte di un pescatore il 18 marzo, dopo tre giorni di malattia.
Nello stesso anno il medico riminese Nicola Santi pubblica il lavoro inedito di Michele Rosa, seguendo un po' la moda del tempo. In un suo bel libro intitolato «Lo zingaro maledetto» (1985) l'amico cesenate Dino Pieri (qui ricordato da De Carolis) osservava che, davanti alla novità del morbo ed alle sue terribili conseguenze, moltissimi medici cominciarono a scrivere, ipotizzare, ideare prescrizioni generiche «se non dannose, non certo utili».
Pieri dimostra anche che in vent'anni (dal 1832 al 1854) le ricerche sul colera non avevano fatto nessun passo in avanti. De Carolis commenta che tutto ciò non faceva altro che accrescere la sfiducia della gente nella classe medica, come documenta la zirudela composta da Luigi Tonini (e databile al 1855), in cui si sostiene che i «dutur dla medizeina» confondevano «merda ed ureina».
Il buon Michele Rosa identificava fra le cause del colera «la crapula, l'ebbrezza» e l'eccesso di «cose dolci o fatte col mele». Tra i rimedi suggeriti, figura anche un buon bagno caldo.
Difendendo le idee di Rosa, Nicola Santi scriveva che tante vittime erano state scannate sugli altari dell'ignoranza da parte di chi non aveva seguito gli insegnamenti dello stesso Rosa e di altri studiosi. Oggi si potrebbe pensare la stessa cosa di lui e di Michele Rosa.


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Storie di mare:
l'Adriatico del Rotary

Alla storia del mare Adriatico il Rotary Club Rimini Riviera ha dedicato nell'anno sociale 2002-2003 una serie di conferenze che il suo presidente avv. Gianadrea Palazzi ha voluto raccogliere in un interessante volume, distribuito in omaggio presso il suo studio (Corso d'Augusto 108, di fronte ai Magazzini Oviesse).
Il libro («Adriatico: la storia, gli uomini, un mare di sorprese»), che si apre con un messaggio del sindaco Alberto Ravaioli, contiene scritti di Stefano Medas (tre saggi sulla navigazione), Maria Luisa Stoppioni (traffici commerciali in età romana), Maria Lucia De Nicolò (pirati e corsari in età moderna), Paolo Semprini (il porto di Rimini dalle origini ad oggi), Emilio Bracconi («Uomini e mare»), Pino Fuggiano (sul Saviolino), Marco Affronte («Un mare di sorprese») e Roberto Venturini («L'Adriatico visto da un sub»).
Il panorama affrontato dai vari autori è molto ampio: i temi spaziano dalla Storia alla Scienza come nelle pagine di Marco Affronte che permettono di studiare fatti, che lui chiama di straordinaria amministrazione, di Grandi Vertebrati come il pesce luna, le tartarughe marine, gli squali e sei specie di cetacei.
L'amico Emilio Bracconi presenta immagini basate sul raccolto di memorie che è come quello della pesca: poco talora resta nella rete e molto va perduto nel gran mare del tempo. Quindi è meritoria questa fatica di testimoniare il passare degli uomini per lasciarne traccia per i posteri, a dimostrazione di un mondo di fatiche e dolori, che se è praticamente finito non va però dimenticato.
Paolo Semprini ha sintetizzato la lunga vicenda del porto di Rimini, raccogliendo l'essenziale, dall'età romana alla costruzione del ponte della Resistenza ed agli altri lavori eseguiti in tempi più vicini a noi.

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Soldi romagnoli
da San Marino a Cesena

La rivista «Romagna arte e storia» nel suo ultimo fascicolo (anno XXII, n. 66), affronta un unico argomento, «i soldi»: sono sei saggi che spaziano fra medioevo ed età moderna, e riguardano Ravenna, San Marino, Cesena e Cesenatico. Ne sono autori Giuseppe Ginnantonj, Romano Pasi, Cristoforo Buscarini, Elisa Tosi Brandi, Claudio Riva e Bruno Ballarin.
Come dimostrano questi scritti, la storia della moneta è la storia della società, con i provvedimenti delle autorità centrali spesso disattesi ed anche rifiutati dalle popolazioni cittadine della periferia: è il caso delle violente sollevazioni popolari che ricorda Ginnantonj, descrivendo il sistema che imponeva una moneta di materia nobile per le grandi transazioni, ed una di metallo più vile «circolante a un valore superiore al contenuto del fino», per i piccoli pagamenti. La gente per non vedersi rifiutata la propria valuta, la faceva riconiare rimettendoci e subendo quei trabocchetti da cui nacquero le ricordate sollevazioni.
Buscarini racconta tra le altre cose che anche a San Marino, nel XIX sec., si fece sentire il sistema poliziesco repressivo usato in Romagna dal governo romano, perché si accusava la piccola Repubblica di dare ospitalità ai sovversivi delle terre vicine. Non era vero nulla, spiega Buscarini, perché l'oligarchia sammarinese «era dominata da elementi reazionari filopontifici, con una salda presenza del clero che costituiva la più efficace fonte di informazioni per l'autorità di polizia delle legazioni».
La nostra concittadina Elisa Tosi Brandi, esaminando la vendita nel 1419 di gioielli, tessuti e vestiti usati appartenuti ad Andrea Malatesta, morto tre anni prima, scrive: «Al contrario di quanto sostenevano i predicatori che, tuonando dai pulpiti delle chiese, condannavano le spese in vesti ed ornamenti, considerati denari morti, numerose testimonianze medievali, compreso il documento relativo alla vendita dei beni di Andrea Malatesta, attestano che investimenti di tal genere potevano essere tutt'altro che improduttivi».
Il breve articolo di Claudio Riva è il racconto di un viaggio effettuato nel 1515 da Cesena a Venezia, 160 km percorsi in tre giornate a cavallo sino a Chioggia e poi in barcone fino a Venezia, dal notaio Grazioso Uberti per incarico del guardiano dell'Osservanza cesenate, allo scopo di riscuotere una questua.

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Santuari e religiosità
E' uscito il XX vol. del Centro Studi e Ricerche per l'antica provincia ravennate (Ravennatensia), dedicato agli atti del Convegno di Sarsina del 2001, su «Santuari locali e religiosità popolare», a cura di Maurizio Tagliaferro, con un'introduzione di Angelo Turchini.
Se non andiamo errati, nessuno degli studi presentati riguarda il territorio riminese.
Segnaliamo il lavoro di Giancarlo Cerasoli, sulle tavolette votive dell'area romagnola, «tra Storia ed Antropologia».

Antonio Montanari


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811/29.6.2003