Negli ultimi tempi abbiamo constatato con piacere che c'è in giro un'attenzione particolare al nostro parlare. Nei soliti, logori bilanci di fine anno, si sono letti spunti nuovi che hanno tentato di mettere a fuoco alcune voci più usate nei vari linguaggi, dalla politica al giornalismo all'economia.
In precedenza si erano ascoltati allarmi dolorosi sulla povertà di linguaggio delle nuove generazioni. Ci siamo detti: rieccoci. Sembrava di ascoltare gli stessi lamenti che, quando eravamo ragazzi noi, i vecchi di allora lanciavano contro di noi, accusati di tutto: il complimento variava da teppisti a delinquenti soltanto perché al posto dei soliti pantaloni di stoffa ci eravamo innamorati della «stoffa di Genova», i jeans americani che erano sinonimo di «Gioventù bruciata» (titolo di un film, etichetta mentale e pregiudizio verso di noi).
Adesso dicono che ai ragazzi «manca la parola». Ricordo l'affettuoso complimento delle nostre nonne verso i loro animali domestici: «Non lo vedi, gli manca la parola». Da complimento a giudizio severo verso gli adolescenti odierni. Noi eravamo giudicati traviati oltre che per i jeans, anche per colpa dei fumetti, secondo i benpensanti. O dei fotoromanzi, per chi li leggeva (a tutte le età, però, comprese le ragazze «per sognare»).
Adesso gli imputati sono la tivù (dove urlano a pagamento storie inventate come nei fotoromanzi del bel tempo antico), Internet, i messaggini sms (ma intanto un professore ha bandito un concorso di poesia sintetica in 160 battute, chissà mai).
Non è vero che «gli manca soltanto la parola». Ai vecchi mancano spesso le orecchie per ascoltare. Ragazzi, il mondo è vostro. Perciò suscitate gelosia. Basta questa parola per capire il mondo di ieri, oggi e sempre. Il tempo corre, e non riusciamo a stargli dietro come invece fate voi. I diretti interessati che ne pensano? Vorranno scriverci qualcosa?