Antonio
Montanari
Il libertino
devoto
La
«biblioteca Agolanti» (1719).
Libri,
uomini, idee a Rimini tra XVII e XVIII secolo
Se ogni libro,
nella sua individualità, presenta un complesso di riferimenti che vanno
dall’essere il prodotto delle specifiche esperienze personali
dell’autore, sino alla capacità di riassumere e riflettere gli
umori della cultura storica in cui esso è nato; una biblioteca appare
come l’articolarsi di scelte compiute dal suo creatore (o dai suoi
curatori, nell’accumularsi di opere lungo l’arco di un certo
periodo), in stretto rapporto dialettico rispetto a gusti, tendenze ed idee che
emergono dal contesto temporale, con una peculiarità: che quelle scelte
sono una dichiarazione d’intenti che i posteri dovrebbero decifrare,
considerando però che il mondo delle idee non consiste nella sola
offerta ma anche, od in gran parte, nella loro accettazione: per cui, talora,
può significare, più che la presenza di un libro in una
determinata biblioteca, la sua mancanza, specialmente se si tratti di un testo
che ha assunto, al momento del suo apparire ed in seguito, un valore di guida,
per contemporanei e successive generazioni.
Da una
biblioteca può emergere lo spaccato di una società, come risulta
dalle celebri pagine su don Ferrante che Manzoni compilò per dimostrare
le relazioni che una raccolta di volumi intreccia rispetto non soltanto al suo
proprietario, ma soprattutto nei confronti dell’epoca in cui essa venne
costituita. L’età illuministica aveva glorificato il libro nel suo
assemblarsi sistematico ed analitico come enciclopedia (opera che soltanto un
secolo filosofico poteva tentare, come con giusto orgoglio teorizzò
Diderot). L’età romantica (di un romanticismo, s’intenda,
tutto particolare, al pari di quello sperimentato da Manzoni con una tensione
intellettuale e spirituale ad altri ignota), non può tralasciare
l’individualità di ogni libro, vista però in forte legame
con la coralità che emerge da una raccolta, la biblioteca appunto.
E’ quel romanticismo che Ezio Raimondi con formula felice ha battezzato «razionalistico»,
per indicarne le origini più nascoste.
La
«raccolta di libri considerabile» di don Ferrante era di
«poco meno di trecento volumi». Piero Meldini nel parlare del
riminese Alessandro Gambalunga, un coetaneo di don Ferrante, ci avverte come i
suoi quasi duemila volumi fossero allora «una biblioteca assolutamente
imponente» [[1]].
Il personaggio
manzoniano vive la sua dimensione tutt’all’interno di quella
sequela di titoli che alternano il culto aristotelico alla storia ed alla
politica, senza dimenticare la «scienza cavalleresca» in cui egli
«meritava e godeva il titolo di professore». La cultura di don
Ferrante, che da quei libri nasce, alla fine dovrà scontrarsi con
l’imperativo della realtà effettuale (peraltro negata o rimossa),
e dovrà soccombere di fronte all’evidenza della peste negata per
via di argomentazioni che, come quella biblioteca, raccontano oltre
l’uomo pure il suo tempo.
Gambalunga non
si rinchiude nello studio come all’interno di una fortezza ritenuta
capace di difendere dagli assalti esistenziali le certezze acquisite per via di
lettura e studio, proprio mentre il libro passa, con Galileo Galilei, da
simbolo del dogmatismo dell’«ipse dixit» ad immagine riassuntiva
del nuovo metodo sperimentale: «La filosofia è scritta in questo
grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico
l’universo)[…]» (Saggiatore). E mentre si compie
così quella rivoluzione che permette allo stesso Galilei, nel Dialogo
sopra i due massimi sistemi del mondo, di ridicolarizzare il
medico aristotelico che confidava: «Voi mi avete fatto veder questa cosa
talmente aperta e sensata, che quando il testo di Aristotile non fosse in
contrario, […] bisognerebbe per forza confessarla per vera».
Alessandro
Gambalunga con il testamento rogato nel 1617, due anni prima della morte,
«stabilisce per il futuro e disciplina puntigliosamente l’uso
pubblico della sua biblioteca», alla quale ha sempre permesso
l’accesso del pubblico: «infatti non l’aveva costruita solo
per sé (anche questo è fatto eccentrico per quel periodo), ma la
teneva aperta a quei pochi che sapevano leggere e scrivere» [[2]].
Su questa
scelta culturale dovette agire anche il significato della sua esperienza umana:
erede di una famiglia di imprenditori dalle origini modeste ed arricchittasi
prima con l’attività edilizia del nonno, poi con il commercio
paterno del ferro, Alessandro Gambalunga si laurea in utroque nel 1583 a
Bologna, sposa la nobile Raffaella Diotallevi (appartenente ad uno dei
più antichi ed illustri casati riminesi), e nel 1610 pone la prima
pietra del palazzo che porta il suo nome, terminato nel ’13 o nel
’14, e poi luogo di accademie dove convengono letterati ed eruditi che
Alessandro «protesse, come recita la dedica di un libro, “da vero
padrone et mecenate”» [[3]]. Ambizioso
nel voler affermare il primato della ricchezza del censo
sull’eredità del sangue, e la superiorità della cultura
sopra l’orgoglio di casta, anche Alessandro Gambalunga ottiene un titolo
nobiliare, forse grazie alla moglie ed alla di lei famiglia, come necessario
completamento degli sponsali.
La sua
biblioteca è la terza pubblica in Italia, dopo l’Ambrosiana di
Milano (1609) e l’Angelica di Roma (1614). Alcuni Ordini religiosi locali
furono subito contrari a questa istituzione, gestita oltretutto dalla
Comunità, perché come scrive Angelo Turchini, «si vedevano
sfuggire di mano una parte del monopolio intellettuale» cittadino [[4]].
Al secolo di
Alessandro Gambalunga appartiene, anche se in fase successiva alla sua
scomparsa, l’Accademia degli Adagiati fondata «in Rimino più
di cento anni sono», scriverà il concittadino Giovanni Bianchi
(noto anche come Iano Planco), in un articolo apparso sulle Novelle
letterarie di Firenze del 30 luglio 1756, sottolineando come essa durasse ancora
ai suoi giorni:
Della nostra
Accademia degli Adagiati, fu interrogato da un letterato di Parigi, che voleva
fare le storie di tutte le Accademie del mondo, il nostro Sig. Dott. Bianchi
tre anni sono; al quale egli rispose, che questa Accademia degli Adagiati per
essere di poesia, come tant’altre d’Italia, ora è stata come
assorbita e confusa da quella degli Arcadi della Colonia Rubiconia, dedotta
quì in Rimino sessant’anni sono, cioè fin da’ primi
anni della fondazione dell’Arcadia di Roma, i cui Vicecustodi fin da quel
tempo senza alcun interrompimento quì sono sempre durati, e durano
ancora […]. [[5]]
Su questo sfondo storico secentesco, si colloca la piccola
«biblioteca Agolanti» di cui Luigi Vendramin ha dato notizia [[6]] nel Convegno
riccionese degli «Studi romagnoli» del 1991, e che comprende 192
titoli di libri e due manoscritti.
Nello stesso secolo, a Forlì, troviamo altre raccolte di
libri che, all’incirca, hanno la stessa consistenza: su di esse, che
appartengono a medici, notai, eruditi, ha condotto un’indagine attenta ed
illuminante Elisabetta Ricca Rosellini, al convegno su «Il libro in
Romagna» [[7]]. In quelle
biblioteche forlivesi esistono titoli che incontriamo pure
nell’«Agolanti», a dirci che quest’ultima si presenta
con una caratteristica di aggiornamento rispetto alle novità che allora
circolavano tra le persone colte.
Nella «biblioteca Agolanti», in molte delle forlivesi
ed in quella di don Ferrante, appare il nome di Giovanni Botero. A proposito
del personaggio letterario manzoniano, occorre fare una citazione (direttamente
dal romanzo in cui appare), che torna utile ai fini del nostro discorso: don
Ferrante «anteponeva a tutti» i suoi libri due opere, «il Principe e i Discorsi del celebre
segretario fiorentino», e «la Ragion di Stato del non men
celebre Giovanni Botero».
La scelta di don Ferrante riassume le linee di un’ideologia e
di una politica che non potevano non influenzare anche il «senso
comune» [[8]] di altri
onesti intellettuali al par suo. Ripercorrendo il saggio di Elisabetta Ricca
Rosellini, incontriamo Botero in casa di un Consigliere della Comunità,
Paolo Monsignani; nel palazzo del possidente Giovanni Bonucci (che aveva
soltanto 34 testi in tutto); in quello, all’inizio del Settecento, di
Achille Aloisio Merlini il quale, in una «scansia grande»,
conservava 468 titoli; o tra i 342 volumi lasciati in eredità nel 1749
dal cavalier Cesare Hercolani. Giovanni Bonucci possedeva, di Botero, anche le Relazioni
universali, che troviamo elencate nella «biblioteca Agolanti» al
n. 43, mentre ai nn. 62 e 146 sono registrate due testi con lo stesso titolo di
Della raggione di Stato.
Nella Romagna del Seicento, come spiega Ricca Rosellini
circolavano, con quel titolo, l’opera celebre di Botero (1589) ed
un’altra del cesenate Scipione Chiaramonti (1565-1652), edita a Firenze
nel 1625. Dall’inventario della «biblioteca Gambalunga» [[9]] risulta,
sempre con il medesimo titolo, pure quella di Ludovico Settala [[10]], edita a
Milano nel 1627.
In base a queste notizie, non possiamo determinare
l’attribuzione certa degli autori (Botero, Chiaramonti o Settala) ai due
titoli Della raggione di Stato, riportati anonimi nella
«biblioteca Agolanti». Resta come dato fondamentale
l’interesse verso l’argomento, confermato anche dal n. 107 della
medesima «Agolanti», cioè il Discorso sopra la raggion di
Stato: dovrebbe trattarsi dell’opera di Giovanni Antonio Palazzo, Discorso
del governo e della Ragion vera di Stato [[11]], legato a
temi dell’ambiente napoletano ed al rapporto fra «popolo» e
nobiltà [[12]].
Il gesuita Botero si era fatto «l’alfiere della
sudditanza del principe alla Chiesa», stilando il «codice dei
conservatori, secondo il noto giudizio del De Sanctis» [[13]]. Condannato
Machiavelli dalla Chiesa [[14]], Botero, in
nome della possibilità di conciliare l’efficacia politica con il
rispetto della religione, realizza gli indirizzi controriformistici, proprio
mentre si diffonde l’interesse verso lo storico latino Tacito, il quale
negli Annales aveva criticato il potere imperiale, denunciandone
crudeltà e spregiudicatezze.
Il recupero di Tacito
è realizzato nell’insegna di un’ambiguità
inquietante: in apparenza lo si legge per condannare i guasti della politica;
in realtà il suo studio «serve ad ammaestrare nelle arti del
governo», insegnando la «ragion di Stato» al pari di Machiavelli
[[15]]. Autore
quest’ultimo, sostiene Croce, messo alla gogna, mentre di fatto sono
illustrate e divulgate «le arti usate da Tiberio nel mantenere e assodare
il suo dominio o la sua tirannide» [[16]]. La proposta
di Tacito è anche, secondo un giudizio meno severo di Firpo, un aspetto
del compromesso «tra l’impegno della morale rivelata e le
realistiche esigenze della prassi» [[17]].
«Una delle
riflessioni più organiche su Tacito» [[18]] è
quella di Scipione Ammirato con i Discorsi sopra Cornelio Tacito (1594), che
troviamo in due esemplari nella «biblioteca Agolanti» (nn. 58 e
63). Il tacitismo, ha scritto Mario Rosa [[19]], è
«la strada reale per la comprensione della storia e della politica, cui
fanno da sfondo il consolidarsi dell’assolutismo principesco e monarchico
in Italia e in Europa, le contemporanee vicende diplomatiche e belliche, dalla
lotta contro il Turco [[20]] alla
ribellione antispagnola nelle Fiandre [[21]] alle guerre
“civili” di Francia [[22]], le nuove
forme politico-ecclesiastiche che va assumendo l’universalismo
papale», oltre alla «riflessione politico-morale espressa dalla
trattatistica sulla “ragion di Stato” e da quella […]
dedicata alla “dissimulazione” e all’etica cortigiana del
segretario e del consigliere del principe».
Nelle parole di Rosa
troviamo riassunte le tematiche trattate in molti dei volumi della
«biblioteca Agolanti». Nella quale incontriamo un classico barocco,
la Nuova iconologia, di Cesare Ripa (n. 31), che così
descrive la figura della «ragion di Stato»:
Con la destra mano terrà una
bacchetta, con la quale mostri di dare un rovescio dal lato destro, ove siano
alcuni papaveri, i maggiori de' quali si mostrerà, con l'atto sopradetto
della bacchetta che siano da essa rotti, & gettati i capi per terra,
vedendosi rimasto solo il gambo intiero, & alcuni altri piccioli
papaveri.[...] Se le dà la bacchetta per mostrare questa Ragione di
stato essere propria di chi ha dominio, & signoria, dalla quale l'huomo
diviene imperioso, ancorché ogn'uno, per ben che Prencipe non sia, possa
havere una certa ragione di stato impropria, con la quale vogli governare il
dominio delle sue cose. I papaveri gettati per terra significano, che chi si
serve della ragione di stato, non lassa mai sorger persone, che possano
molestarlo, a somiglianza della tacita risposta data da Tarquinio al messo del
suo Figliuolo. “Rex velut deliberabundus in hortum aedium transit,
sequente nuncio filij, ibi inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur
baculo decussisse”; parole di T. Livio nel primo lib. Decade prima.
Cominciamo ad esaminare i volumi della «biblioteca
Agolanti», partendo proprio da Tacito.
Con il n. 6 l’inventario indica le Opere dello
scrittore latino [[23]]; e con il n.
124 cita in forma anonima il Tacito abburattato, discorsi politici, opera
scritta da Anton Giulio Brignole Sale (ed edita a Genova, 1643).
Al n. 187 incontriamo il bolognese Virgilio Malvezzi (1595-1654)
con le sue Opere [[24]] apparse a
Venezia nel 1662. Malvezzi, storiografo della corona di Spagna (1639), è
autore dei tanto dibattuti Discorsi sopra Cornelio Tacito (1622) e di
fortunati trattati su re e tiranni dell’antica Roma.
(La «biblioteca Agolanti» presenta un altro
storiografo, questa volta della monarchia francese, Pierre Matthieu [[25]],
italianizzato allora in Pietro Mattei, con ben sei titoli [[26]].)
Assertore del modello assolutistico spagnolo, Malvezzi ne delinea i
princìpi nel Ritratto del Privato Politico Cristiano (Bologna 1635,
Venezia 1662). Scrisse anche i Successi principali della monarchia di Spagna
nell’anno 1639 (Anversa 1641): forse è l’opera n.
166 della «biblioteca Agolanti» registrata come La monarchia di
Spagna [[27]]. La cifra
del suo pensiero è un «duro pessimismo»: egli fu
«impegnato ideologicamente e stilisticamente su posizioni che a ben
vedere sono di minoranza proprio per il rigore reazionario impermeabile al compromesso
e per il crudo giudizio sulla natura degli uomini, non edulcorato da doppiezze
sentimentali» [[28]]. Sotto il
profilo stilistico, Malvezzi (che in vita conobbe uno strepitoso successo),
assume Tacito «come esempio massimo di stile laconico» realizzando
una «prosa concentratissima che proprio in virtù della sua
oscurità sollecita il lettore a un difficile impegno diretto» [[29]], il che fa
di lui un «maestro del concettismo» [[30]].
Fortemente antispagnolo si rivela Traiano Boccalini, l’autore
dei Ragguagli del Parnaso, nella Pietra del Paragone politico, opera
postuma del 1615 (presente nella «biblioteca Agolanti» al n. 55).
L’indicazione a mano di «Proibito» sull’esemplare del
1664 posseduto dalla BGR, rimanda alla condanna che nel 1634 ebbero i Ragguagli, dei quali la
Pietra fu un’appendice polemica di grande forza pure nei confronti
della Chiesa romana, accusata di aver favorito il gioco politico della
monarchia spagnola, rimanendo corrotta dai favori ricevuti in cambio [[31]]. A Boccalini
(che chiese asilo a Venezia), premono le fortune dell’Italia, per la
quale teme una sorte simile a quella della Francia, divisa «in parti,
come ogn’un sà con una guerra civile la più horribile, che
sia peraventura sentito ancora: e fomentatore dell’una delle parti, sotto
apparente titolo di Religione, si è finalmente scoperto il Ré di
Spagna […]». La Pietra si conclude con un
appello all’Italia a non affidarsi «hor mai più all’imprudente
barbarie di questi Pseudocattolici che ti honorano, e ti premiano per
comprarti, vilissimo schiavo alla libidine, e alla superbia loro» [pp.
455-456].
Scipione Chiaramonti [[32]], sostenitore
delle teorie aristotelico-tolemaiche [[33]], compose
numerose opere scientifiche, oltre al cit. scritto sulla «ragion di
Stato». Come altri autori, egli presta attenzione «a una pedagogia
del consenso rivestendo di buoni propositi e di unzione moralistica la tesi
della necessaria subordinazione ai potenti o difendendo un’astratta
eticità violentata dalla ragion di Stato» [[34]].
La concezione aristotelico-tolemaica è al centro del
pensiero di un altro autore, Giuseppe Rosaccio, il cui nome appare nella
«biblioteca Agolanti» con i Discorsi, opera curiosa. Rosaccio nel
Teatro del Cielo e della Terra (presente anche in BGR), illustra la
struttura sferica del cosmo attraverso questa gerarchia: Cielo Empireo, Primo
Mobile, Ciel Cristallino, Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio, Luna,
Fuoco, Aria, Acqua, Terra, Seno di Abram, Limbo, Purgatorio, Inferno. Nel
frontespizio del Mondo elementare et celeste, Rosaccio si qualifica
cosmografo e dottore in filosofia e medicina [[35]].
Partiti dalla politica siamo finiti tra gli scogli
teologico-scientifici: la deriva non è casuale, ma inevitabile, come risulta
evidente dalla semplice osservazione che le teorie sul governo si basavano sul
primato politico del pontefice, così come le enunciazioni filosofiche (e
scientifiche) dovevano sottomettersi alla dottrina ufficiale della Chiesa.
Anche nella «biblioteca Agolanti» (come pure in quella
di Alessandro Gambalunga), incontriamo un nome celebre nella vicenda tragica
dell’Inquisizione, quel cardinal Guido Bentivoglio (1577-1644) che fu
dapprima Nunzio in Fiandra ed in Francia, e poi capo supremo dell’Inquisizione,
nella qual veste ratificò la sentenza contro Galileo Galilei.
L’«Agolanti» dichiara nell’inventario per due volte il
nome di Bentivoglio (si tratta delle Memorie e delle Relazioni in
tempo della sua nunziatura), e poi riporta un titolo, Historia di Fiandra, che dovrebbe
rimandare alla sua Guerra di Fiandra [[36]].
Con uno scarto
tutto da valutare, in mezzo a questo trionfo dell’ortodossia cattolica,
incontriamo nella «Agolanti» pure il romanziere Ferrante
Pallavicino [[37]], con il suo Sansone apparso a
Venezia nel 1638, due anni dopo che egli ha abbandonato l’abito
ecclesiastico (vestito nel ’32, alla Casa della Passione) e due anni
prima del trasferimento in Germania (dove si converte al calvinismo). Qui ha
fortuna il suo Divorzio celeste, un pamphlet antiromano
che lo conferma al margine della cultura cattolica ufficiale, in pericolosa
contiguità d’intenti con i pensatori libertini [[38]]. Anche per
gli scritti da lui composti contro i Gesuiti ed il papa Urbano VIII, Roma si
mette alla sua caccia: la cattura avviene mentre Ferrante Pallavicino viaggia
in Francia. Con l’imputazione di eretico, egli è mandato a morte
nel 1644 ad Avignone. La sua vicenda è narrata in chiave apologetica da
un anonimo, con l’Anima di Ferrante Pallavicino.
Nell’inventario
della «biblioteca Agolanti», al n. 121, appare (senza indicazione
di paternità) Il Principe Hermafrodito, bizzarra storia di
camuffamenti di una fanciulla presentata a corte come uomo e che poi si traveste
da donna, assumendo il ruolo di sorella del principe. Ne è autore
appunto Ferrante Pallavicino, un amico del quale, come lui appartenente alla
veneziana Accademia degli Incogniti [[39]], è
Girolamo Brusoni, frate certosino sfratato per due volte, ed autore di una
storia delle guerre d’Italia dal 1635 al 1655 (Venezia
1656), che appaiono anonime al n. 48 della «biblioteca Agolanti».
Quest’opera gli procurò «odii e polemiche: il Mazzucchelli
rammenta che girava manoscritto un sanguinoso libello in difesa della Spagna
contro» Brusoni [[40]]. Al
proposito ricordiamo che Alessandro Tassoni dovette sempre negare di aver
scritto, all’inizio del secolo, le Filippiche contra gli Spagnuoli.
Di Tassoni, la
«biblioteca Agolanti» possiede, al pari di quella di Alessandro
Gambalunga, i Pensieri diversi (1636), nel cui decimo ed ultimo libro
l’autore dimostra un atteggiamento da «esaltatore accanito dei
moderni» e da «antipetrarchista ed antiaristotelico in nome di
un’idea di costante progresso delle attività umane, ma al tempo
stesso non tenero con il marinismo» [[41]].
L’esaltazione
della modernità è al centro di due opere (presentate come anonime
dall’inventario dell’«Agolanti»), composte
dall’olivetano Secondo Lancillotti: l’Hoggidì, overo il
mondo non peggiore né più calamitoso del passato (1623), e
l’Hoggidì, overo gli ingegni non inferiori ai passati (1636). Tra i
vari argomenti trattati da Lancillotti, vi è anche quello della
«ragion di Stato», con la constatazione che essa è sempre
esistita, anche se soltanto in tempi moderni è stata esaminata come
teoria legata alla prassi politica. Lo scopo dell’autore è di
dimostrare che nulla vi è di nuovo sotto il sole, per cui è
assurdo assumere toni di censura sul presente e farsi lodatori nostalgici del
tempo passato.
A Lancillotti,
ed a chi la pensa come lui, è rivolta nel ’600 l’accusa di
essere degli «hoggidiani». Questo termine «suggestivo»
nasce «all’interno di una curiosa e tutta provvisoria miscela
culturale, fatta di convinta e feroce critica della tradizione [[42]], di
dissacrante paradosso e di divertita parodia, ma anche di farraginosa
erudizione, di angusta cultura conventuale e provinciale. Il che non escluse
che ai suoi tempi avesse a subire numerosi fastidi e persecuzioni, da parte
degli ambienti ecclesiastici, come a godere di discreta fortuna presso
iconoclasti ed eterodossi, fra cui, non certo casualmente, gli stessi libertini
francesi» [[43]], tra i quali
Lancillotti ebbe amicizia con Gabriel Naudé, che nel 1639 pubblica a
Roma in pochi esemplari le Considérations politiques sur les coups
d’état [[44]].
Anche in
Tassoni notiamo un atteggiamento di esaltatore accanito dei moderni: nel libro
decimo dei citati Pensieri diversi (composti fra 1608 e
’20), si dimostra «antipetrarchista ed antiaristotelico in nome di
un’idea di costante progresso delle attività umane» [[45]].
Il nome di
Ferrante Pallavicino ed i due volumi di Secondo Lancillotti ci portano sul
terreno dei contrasti fra intellettuali contestatori e potere della Curia. A
questo proposito, è da considerare come a Rimini, posta
all’interno dello Stato ecclesiastico, le voci dissonanti giungano
attraverso il canale editoriale veneziano: il problema va aldilà della
semplice questione di storia della diffusione dei libro, e diventa una pagina
legata alla circolazione delle idee e della cultura ‘altra’
rispetto a quella ufficiale dominante nel territorio.
Venezia ospita
«gli unici torchi italiani liberi del tempo», nonostante
l’esistenza di una censura peraltro elogiata come freno politico rivolto
ad evitare l’infelicità dello Stato, da Traiano Boccalini,
trasferitosi in laguna nell’ultimo suo anno di vita da Roma (dove era
stato giudice criminale), per poter pubblicare «senza rischio della
incolumità fisica» le prime parti dei suoi Ragguagli di Parnaso
[[46]]. Boccalini
è presente nell’«Agolanti» con la Pietra del
paragone politico [[47]], aggiunta
postuma (1615) agli stessi Ragguagli messi all’Indice nel 1634.
Venezia, infine, agli inizi del Seicento esercita il ruolo di «maggior
centro italiano di diffusione della cultura libertina», mentre la locale
Accademia degli Incogniti predilige la letteratura d’evasione e di
consumo, quale il romanzo «che non a caso la Bibliotheca selecta del gesuita
Antonio Possevino indicava come espressione tra le più pericolose
dell’impudicizia e della frivolezza correnti» [[48]]. Sempre in
riferimento al ruolo di Venezia, resta esemplare, nell’intero contesto
italiano, la vicenda dell’interdetto del 1606.
L’Accademia
degli Incogniti fu fondata nel 1630 da Gian Francesco Loredano, di cui la
«biblioteca Agolanti» possiede le Opere in otto
volumi (1667). Loredano è caratterizzato da «una straordinaria
doppiezza»: Inquisitore di Stato e burocrate di carriera, strumentalizza
«a favore suo e degli Incogniti la protezione del potere pubblico»
[[49]]. Resta il
fatto che gli Incogniti, con la loro intensa attività, mirano «ad
allargare la fascia di lettura senza troppi riguardi alla qualità della
stampa, generalmente scadente», e «si misurano indifferentemente in
più generi» [[50]].
Tra gli
Incogniti di Venezia troviamo aggregato il riminese Lodovico Tingoli [[51]], autore con
Filippo Marcheselli, de I cigni del Rubicone (Bologna 1673), elencato
al n. 176 dell’«Agolanti». Questa notizia conferma i legami
culturali tra la città malatestiana e Venezia. A tale proposito ed in
questo ambito, l’inventario pubblicato da Vendramin è un documento
che permette di analizzare (pur con i problemi legati alla
frammentarietà della stesura notarile incompleta o parziale), la
consistenza di una biblioteca formatasi nell’arco del secolo XVII e
passata alla storia all’inizio di quello successivo, quando in situazioni
storicamente ormai diverse incontriamo altre notizie importanti sulla vita
culturale di Rimini ed attorno ai suoi rapporti culturali con Venezia.
Tra 1717 e
1719 per studiare Medicina, il già mentovato Giovanni Bianchi
(1693-1775), vive a Bologna [[52]], dove lo
raggiunge la lettera del concittadino Carlo Antonio Battaglini al quale Bianchi
risponde:
Ieri vidi da un libraio il
mercurio politico istorico che ella desiderava, egli è un libretto
italiano stampato in 12 aguisa d’una dottrina. Contiene per quanto vidi
solamente le cose avvenute nel Gennaio 1718, mi disse bene il libraio
che ne aspettava un di quelli che trattano di quelle di Febraio, perché
ne fanno uno al mese, e ne vuole un paolo d’ognuno».
Ci si
riferisce al primo numero del Mercurio storico e politico, mensile
pubblicato all’inizio del gennaio 1718 da Alvise Pavini libraio in
Venezia «all’insegna della Ragione.
Dei fogli che
uscivano nella città lagunare, Bianchi parla in una seconda missiva:
Io hò per compagni due
sciocarelli Anconitani che passano per li primi studenti che qua siano,
[…] e pure eglino non hanno fatto altro studio che leggere i giornali di
Venezia, e per questo debole studio sono tenuti, o per dir meglio si
tengono d’essere i primi Uomini del mondo, e perciò danno temerariamente
d’ogni autore in che lingua sia, e che che si tratti il suo giudicio.
Al
«debole studio» di chi si dedicava unicamente ad esaminare gli
strumenti di quella grande invenzione della cultura moderna che sono i
giornali, visti come frutti acerbi di una vana moda, Bianchi intendeva contrapporre
la sua continua e solida attenzione verso le fonti classiche del sapere.
Egli si era
dimostrato, a Rimini, un appassionato cultore di studi umanistici e scientifici:
il vescovo, monsignor Giovanni Antonio Davìa, nel 1715 lo ha nominato
segretario della neonata Accademia di Letterati, le cui adunanze si tenevano
ogni venerdì con l’ascolto di tre dissertazioni. Nella prima
tornata, dopo l’apertura dei lavori da parte dello stesso monsignor
Davìa, Bianchi ha inaugurato la serie degli interventi parlando di
Pindaro. L’Accademia fondata a Rimini da monsignor Davìa è
simbolo e luogo d’elezione di una mentalità che non sa
(oppure non vuole) attingere al nuovo che sta entrando in circolazione.
Attraverso le
riunioni accademiche riminesi, Bianchi si era abituato ad avere un culto
del passato che oscillava tra rimpianto e progetto di restaurazione di modelli
letterari ormai inadeguati ad interpretare i tempi nuovi. Gli
sfuggivano così i significati di fondamentali esperienze, come quella di
Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) che nel 1703 aveva pubblicato i Primi
disegni della repubblica letteraria d’Italia, ai quali Bianchi
accenna nella seconda missiva sopra citata, quando chiede al suo
corrispondente:
Vorrei che quando Ella ha
comodo mi dicesse come si chiami quell’autore che fa la
Charlataneria Reipublicæ Litterariæ, e quali siano i motivi
principali cui s’induce l’autore a dispregiare questa
veramente ideale e sciocca repubblica.
Il giudizio
contro l’opera muratoriana riflette da una parte la saccenteria tipica
della personalità di Bianchi, e dall’altra gli umori
dell’ambiente riminese in cui egli si è formato. Il nome di
Muratori, come vedremo, non era ignoto ai superciliosi raccoglitori di
materiale antiquario che indirizzavano la vita intellettuale di Rimini, e
che probabilmente lo pronunciavano con un moto di scandalo per le opinioni
espresse nei Primi disegni contro il fiorire di tante accademie «debilissime»
e «ridicole» perché piene di «cervelli fievoli, o
sfaccendati», le cui uniche fatiche si riducevano all’ascolto di
«argomenti per lo più assai leggieri, perché quasi sempre
destinati a trattar de’ grandi affari d’amore», ovviamente in
versi ai quali si indirizzava «un breve applauso», testimonianza
complice di un ideale effimero di cultura.
Al nome di
Muratori è legato un episodio riminese del 1696, quando Giuseppe
Malatesta Garuffi (1655-1727) gli invia proprie opere [[53]]. Garuffi,
sacerdote, è stato dal 1678 al 1694 direttore della Civica Biblioteca
Gambalunghiana, ed ha compilato tra l’altro una storia delle
accademie italiane, L’Italia Accademica, il cui primo ed unico
volume a stampa [[54]], apparso nel
1688, non è piaciuto a Muratori. L’epistolario di Garuffi con
Muratori è improntato ad «uno scambio di sterili notizie»
aldilà delle quali il riminese non poteva andare con la sua cultura che
spaziava entro limitati orizzonti [[55]].
Abituato a
comporre poesie che Carlo Tonini avrebbe definito «lo stillato e la
quintessenza di tutte le stravaganze del Seicento» [[56]], Garuffi si
dedicò anche a trattare di argomenti letterari, con la dichiarata
cautela di non ricorrere allo «stile illuminato» che egli
identificava in quelle «gonfiezze di elocuzione, che oggi chiamasi del
buon gusto» [[57]]. A Garuffi
sfuggiva che la condanna di tali «gonfiezze», tipiche della prosa
barocca, era stata pronunciata in quegli anni tra fine Seicento ed inizio
Settecento anche in nome del «buon gusto» contro cui lui si
lanciava in uno scritto apparso in volume nel 1705.
Tre anni dopo,
sarebbero uscite le Riflessioni sopra il buon gusto di Muratori
che segneranno un punto fermo nel dibattito letterario
sull’argomento, apertosi nel 1674 con la celebre Art poétique di Nicolas
Boileau. Nella citazione di Garuffi, le gonfiezze secentesche vengono invece
interpretate come frutto delle nuove concezioni. Il che dimostra una scarsa
conoscenza delle novità prodottesi da Galilei in poi, sul piano
della pratica stilistica e delle stesse concezioni estetiche. Garuffi non pare
accorgersi che il dibattito sul puro fatto formale, diventa anche un discorso
sui contenuti e sulle finalità della letteratura [[58]].
L’attendibilità
di Garuffi come studioso era stata messa in dubbio già da Giovanni
Bianchi che così ne scrisse a Muratori:
[…] il Garuffi, come con
una mediocre attenzione per ognuno si conosce e anche i giornalisti di
Lissia modestamente il notarono, non solamente era poco esatto, ma ha riferite
molte cose, copiate da altri, che non ci sono più, e Dio sa se ci
sono mai state [[59]].
La figura di
Garuffi sembra quasi assumere il valore paradigmatico di
quell’ambiente provinciale riminese che era «posto, e per interessi
e per problemi, ai margini dell’ideale Repubblica letteraria
italiana del Settecento [[60]].
Il ritardo
culturale del bibliotecario gambalunghiano viene confermato da un episodio del
1726. Garuffi chiede a Muratori «qualche notizia di libri suoi e
d’ultimi». Non avendo ricevuto risposta, Garuffi pubblica
il Genio de’ letterati di quell’anno senza «neppure
una recensione di un’opera del Muratori» [[61]]. Quel
ritardo culturale (che per certi aspetti sarà superato proprio anche
grazie all’attività di studiosi come Bianchi [[62]]), trova
giustificazione e conferma nella censura con cui ci si oppone alla diffusione
delle nuove idee. Monsignor Davìa, benemerito alla città per
tanti motivi, passa alla storia come colui che avversò nel 1722,
quale vescovo di Rimini, la diffusione del Saggio sull’intelligenza
umana di Locke, con molto anticipo sulla condanna romana del 1734, giudicando
quel filosofo «cento volte più pericoloso del Machiavelli» [[63]].
L’autore
del Principe era definito dal vescovo Davìa come «un matto
che discorre con la corta vista d’un segretariuccio di una ben
piccola e sempre tumultuante repubblica». Locke invece era accusato di
aver costruito, su nobili basi scientifiche, «un perfidissimo
ateismo». Sarà più tardi proprio un allievo di Bianchi,
l’abate savignanese Giovanni Cristofano Amaduzzi, a prendere le difese di
Locke in due Discorsi filosofici [[64]], mentre gli
ambienti tradizionalisti continueranno a demonizzare il Saggio
sull’intelligenza umana, con una condanna che voleva colpire quella
Ragione con i cui dettami, secondo Amaduzzi, doveva convivere la stessa
Religione.
Il nome di
Giovanni Bianchi torna a proposito della gestione della «Pubblica
Libreria» Gambalunghiana il cui direttore (dal 1742 al 1748) conte
Lodovico Bianchelli, nel corso del 1744 incarica il chierico Stefano Galli [[65]] di
aggiornare la Biblioteca con i più importanti titoli usciti
nel corso dell’ultimo mezzo secolo. Non sapendo come procurarsi un elenco
che gli faciliti il compito, Galli si rivolge appunto ad Iano Planco
di cui è stato allievo alla sua scuola privata [[66]]. Bianchi era
allora insegnante di Anatomia umana all’Università di
Siena. Galli cerca di ottenere da Bianchi, attraverso l’abate Francesco
Pasini futuro vescovo di Todi e noto quale educatore [[67]] del giovane
Aurelio De’ Giorgi Bertòla (1753-98), «un Catalogo di Libri
in diverse Materie, come a dir di Fisica, Storia Naturale,
Medicina, e sue parti, Mattematica, Istoria &cc, del quale io mi
vorrei servire per la compra de’ libri che so dovranno fare per
questa nostra Libreria». (Pasini, come Planco, allora si trovava a
Siena).
Per la
«compra» commissionatagli, Galli si sarebbe recato a Venezia appena
possibile, «se mai si apriranno i passi», scrive a
Planco, alludendo alle misure precauzionali prese dopo la peste di Messina.
Galli dichiara di non avere «la necessaria cognizione de’
libri, conoscendo di non potere far nulla» da sé, per cui si
raccomanda «a chi sa, e può» dargli «notizie amplissime»,
sottolineando che nella Gambalunghiana mancano i libri degli ultimi «50, o 60 anni».
L’incarico
affidato a Galli era stato in precedenza svolto da Giuseppe Garampi, il quale
aveva cominciato a lavorare alla Gambalunghiana nel 1741 a sedici
anni. Dell’attività di Giuseppe Garampi alla Gambalunghiana,
abbiamo un ulteriore documento in altra lettera di Galli a Bianchi, del 19
novembre 1743: tra i volumi «provveduti in Toscana» da
Garampi, Galli non aveva «veduto che i primi due tomi delle
Antichità del Montfaucon alla sfuggita; egli aspetta gli altri,
ora ch’è aperto il commercio tra la Toscana, e questo Stato del
Papa. Di questi m’ha detto a bocca alcuni quali libri sono
[…]».
Altre notizie
relative all’attività della Gambalunghiana, si ricavano dalle
lettere inviate a Planco dallo stesso Bianchelli. Trattando il 23
ottobre 1742 della «Libreria Gambalunga, di cui doppo la morte del Brancaleoni
sono io stato dichiarato Bibliotecario», Bianchelli scrive:
spero che questa Libraria
non sarà in avvenire ridotto da ciarle, ma luogo unicamente di studio,
tantopiù che il suo degno scolare il Chierico Galli mi farà da
sottobibliotecario, giovane com’ella sà di studio, e degno
d’ogni riguardo.
Sulla gestione
della Gambalunghiana, Bianchelli aggiunge:
e se Dio mi darà
talento, e salute lusingomi, che non s’avrà per la seconda
volta da Viaggiatori à stampare, come negli Anni adietro, che la nostra
Libraria quanto è copiosa di volumi altrettanto è
mancante d’ogni buon libro, così essendogli, come egli
scrive, stato riferito dall’Ignorante Bibliotecario [[68]] che la custodiva [[69]].
In una lettera
a Bianchelli [[70]], del 4
febbraio 1743, Planco scrive che in passato aveva preparato un
«Cattalogo» di «Libri di Scienza, e di soda erudizione il
più, per far vedere che la Libreria era mancante d’assai
buoni Libri, e necessari […]. Esso era lungo e di Libri di scienze, e di
soda erudizione il più […]». L’11 ottobre dello stesso
1743 Bianchelli lo ringrazia «della copiosa lista di libri che ella
mi hà trasmessa, onde aver comodo di provedermene ad effetto
di arichir alla compra de’ medesimi questa Publica
Libraria». In altra lettera a Planco [[71]], Bianchelli
accenna a «qualche provisione» fatta direttamente da lui in
Venezia e da parte del signor conte Garampi, «di mio
consenso», a Firenze. Segue, nella medesima epistola, la richiesta
a Bianchi di leggere, quando glielo avrà fatto avere, un
«Elenco» di libri promesso da una terza persona, usando la cortesia
di «segnare in margine il nome di quei libri, che considera
più convenirsi di pressente al bisogno e decoro di nostra Libreria».
Francesco
Pasini il 30 luglio 1744 riferisce a Bianchi quanto gli ha scritto
l’abate Galli: Bianchelli
si è annojato del Sig.r
Contino Garampi, e perché non è molto contento de’
libri che questi comprò l’anno passato in Toscana, e
perché in due anni non ha mai conchiuso alcun’altra compra di
libri, dicendo continuamente di scrivere in Inghilterra, in Ollanda, e
altrove, ma senza alcun esito, non vedendosi altre risposte se non
che i Libraj irritati dal voler risparmiare pochi scudi non vogliono nemeno
più dare i medesimi libri al medesimo prezzo, per cui essi li
avevano offerti una volta.
Bianchelli
ha ottenuto dall’Ab.
Galli, che metta all’ordine de’ Cataloghi di libri che possono
bisognare per la Libreria in ogni materia; e quando li avrà messi
all’ordine, e sarà aperto il commercio con Venezia, si sono
accordati [Bianchelli e Galli, n.d.r.] d’andar colà insieme a fare
una buona provvisione, per quello che colà si potrà
ritrovare; nel qual caso porrebbero anche avere qualche vantaggio. Per la
qual cosa il sudd[et]to m[aestr]o Galli mi prega, che, prima di ritornarmene
in Rimini, io procuri d’avere da lei, pregandola instantemente a suo
nome, un indice di libri in materia di Medicina, Fisica, Storia
Naturale, Astronomia, Matematica, Istoria ecc. giacché ella ha
tutta la prattica della Libreria di Rimini, e sa quel che manca, e quello che
si è stampato da molti anni in quà, da che la libreria non
n’acompra più.
Galli aveva
domandato a Pasini anche un Catalogo in teologia, storia ecclesiastica e
jus pubblico, compilato da «qualche Teologo, e giurista erudito
di Siena, o d’altri luoghi». Pasini comunica a Bianchi di
aver risposto a Galli:
per quello che riguarda a me,
io sono dispostissimo a passar le di lui suppliche con lei;
pregandola ancor io a fare con suo commodo, e per quanto le concedono le
altre sue occupazioni, questo beneficio allo stesso Galli, a me,
e a tutti i Giovani Studiosi di Rimini (benché siano pochi) e generalmente
a tutta la nostra commune città [[72]].
La lettera si
conclude con la duplice richiesta a Bianchi non soltanto
del Catalogo in Fisica,
Storia Naturale, Medicina ecc. e in altre cose spettanti alle principali sue
professioni, ma anche dell’altro in Teologia, Storia Ecclesiastica e
Legge; affinché ella, non già a nome di noi, che non abbiamo alcun
merito presso alcuno, bensì a nome suo proprio supplichi per questo
effetto qualche suo amico costì in Firenze.
Il baricentro
culturale italiano si sposta da Venezia a Firenze. Qui si fa largo «una
mentalità nuova nella ricerca storica», mentre in Terra di San
Marco si avvertono, sulla vita intellettuale, le conseguenze di una più
vasta crisi politica [[73]]. Proprio
nella città medicea Bianchi nel 1742 pubblica (anonima) la propria
autobiografia in latino nel tomo primo dei Memorabilia curati da
Giovanni Lami. Alle Novelle letterarie di Lami, Planco
collabora assiduamente con scritti di vari argomenti e procura abbonati sia in
Romagna sia nelle Marche [[74]]. Bianchi,
mediante questa Vita, innalza un monumento a se stesso, utilizzando
uno stile solenne e ricorrendo all’imitazione dei modelli autobiografici
classici [[75]].
Nel 1745
Bianchi rinnova a Rimini i Lincei [[76]],
contribuendo all’aggiornamento culturale della città. La
rifondazione dell’Accademia di Cesi appare come momento iniziale di un
progetto di più ampio respiro che avrebbe dovuto articolarsi anche
nell’impianto di una stamperia con iniziative editoriali sotto l’insegna
della Lince. Alla base di questo progetto probabilmente non c’è
soltanto la necessità di avere a disposizione strumenti mancanti in una
città di provincia come Rimini, sprovvista nel 1736, ad esempio, come
lui scriveva, di «librai che rileghino, o che acconcino libri» [[77]], ma anche il
desiderio di imitare, se non superare, i risultati di altre imprese culturali,
quali quelle di Giovanni Lami [[78]]. Pure
Garuffi aveva avviato in precedenza un ampio programma [[79]], sotto il
titolo di Bibbioteca Manuale degli Eruditi [[80]], con
Accademia e stamperia, a cui sembra rimandare il progetto di Bianchi.
L’Accademia
planchiana incontrò ostacoli ed attirò rivalità, come
dimostra l’episodio della rapida ed «improvvisa» (la
definizione è di Giuseppe Garampi), condanna all’Indice emessa il 4
luglio 1752 contro la dissertazione di Bianchi sull’Arte comica, tenuta nei
Lincei l’11 febbraio dello stesso anno, «ultimo venerdì di
carnovale».
L’episodio
ci permette di ricostruire due aspetti strettamente legati tra loro: la
reputazione e la fama letteraria di Planco, riconosciutegli da gran parte degli
eruditi italiani, e la diffidenza dell’ambiente ecclesiastico locale che,
attraverso denunce segrete, porta alla condanna romana del suo testo [[81]]. Alla
diffamazione culturale, si aggiungono feroci pettegolezzi per aver Bianchi
fatto esibire nell’adunanza dei Lincei, quel «venerdì di
carnovale», la «venusta» cantante ed attrice romana Antonia
Cavallucci Celestini, che oltretutto egli ospita in casa propria: ne nasce uno
scandalo che trae origine non soltanto dalla giovinezza della donna (la quale,
nelle lettere, dichiara a Bianchi una devozione filiale, mescolata a richieste
di soccorso economico), ma anche dal fatto di trattarsi di un’attrice,
cioè appartenente ad una infima categoria sociale [[82]]. Anche
Bianchi, in questa occasione, appare agli occhi dei suoi censori un pericoloso
libertino, capace di dare esempio di pubblica indecenza.
Gli avversari
di Planco approfittarono della dissertazione sull’Arte comica e
dell’esibizione di Antonia Cavallucci, per lanciargli anatemi e regolare
conti in sospeso da tempo [[83]]. Alla base
dell’attacco rivoltogli, c’è una ragione più segreta
ed importante: Bianchi dava fastidio agli ecclesiastici riminesi come rivale
laico nel campo della formazione di giovani (tra i suoi allievi ricordiamo un cardinale,
Giuseppe Garampi, ed un papa, Giovanni Vincenzo Ganganelli, Clemente XIV); e
soprattutto quale pensatore e scienziato indipendente, ribelle ad ogni regola
imposta dalla casta sacerdotale. Nel 1749 Planco aveva letto nei Lincei
l’epistola De monstris ac monstrosis quibusdam, poi
pubblicata nello stesso anno a Venezia in due edizioni: nell’opera
è messa in discussione la pretesa perfezione naturale delineata dalla
teologia aristotelico-tomista che dettava la dottrina ufficiale della Chiesa.
La condanna
all’Indice non ha conseguenze nella successiva carriera
pubblica di Bianchi, se nel 1755 egli è nominato Consultore
dell’Inquisizione e Medico del Sant’Uffizio di Rimini, prima di
diventare nel 1769 «Archiatro Segreto Onorario» proprio di papa
Ganganelli [[84]].
Però, a testimoniare quanto fosse consolidata e profonda
l’avversione degli ecclesiastici concittadini verso Planco,
c’è un episodio postumo che riguarda la pubblicazione dell’Orazion
funerale composta in suo onore da un ex allievo, il sacerdote Giovanni
Paolo Giovenardi: il vescovo di Rimini, monsignor Francesco Castellini,
minacciò, in caso di edizione di quel testo, una «vendetta
trasversale» al nipote ex fratre di Bianchi, Girolamo,
medico dell’ospedale cittadino [[85]].
Nell’autobiografia
latina di Bianchi, troviamo notizie utili per ricostruire il clima culturale
riminese all’inizio del secolo dei Lumi, come quella sulla diffusione
(poi ostacolata dai Superiori) del pensiero di Epicuro presso il convento
cittadino dei padri Minimi [[86]]. Epicuro,
ristudiato tra fine Seicento ed inizio Settecento in tutt’Italia,
è considerato maestro del pensiero libertino e scettico: ha la sua
celebrazione in Gassendi [[87]], autore di
un’opera, De vita et moribus Epicuri (1646), rivolta alla
riabilitazione di questo filosofo contro le accuse di immoralità e di
empietà che erano state lanciate contro il suo pensiero. Gassendi
sostiene inoltre una dottrina empirica dell’origine delle idee, che
assieme alla rivalutazione di Epicuro, ne fanno un autore sospetto.
Il De vita
et moribus Epicuri è contenuto nell’Opera
omnia di Gassendi (tomo v,
libro x), della quale ho trovato
elencate, nel catalogo antico («Gambetti») alla Gambalunghiana,
due edizioni in sei tomi ciascuna, del 1658 e del 1727. Planco possedeva
quella del 1727 nella propria biblioteca personale la quale indica
un’attenzione marcata verso i problemi filosofici con la presenza di
opere di Locke, Vico, Galilei, oltre a Cartesio, Lucrezio, Roussseau, Voltaire
ed, ovviamente, lo stesso Epicuro [[88]]. Davanti
allo scontro tra l’aristotelismo interpretato in una chiave
esclusivamente dogmatica, e la ventata rivoluzionaria portata dalla rilettura
di Epicuro attraverso Gassendi, Planco sposa la causa delle innovazioni
introdotte dalla fisica di quest’ultimo [[89]], come
dimostra la ricordata epistola De monstris.
Che la lotta
per il nuovo pensiero fosse difficile da combattere a causa delle resistenze
del vecchio (rese più forti dagli obblighi derivanti dal rispetto
dell’ortodossia ecclesiastica anche nella vita politica e culturale), lo
attesta un ricordo di Amaduzzi, passato a quindici anni (era nato nel 1740)
alla scuola di Iano Planco [[90]], dove
studiò Greco e Filosofia, materia nella quale, come lui confessa,
si pose «con giovanile ardore a cozzare con gli ultimi avanzi
dell’Aristotelico rancidume» [[91]]. Del quale
invece abbiamo testimonianza nella «biblioteca Agolanti», ad
esempio con il nome del cardinal Francesco Toleto [[92]], autore di
una Introductio in Dialecticam Aristotelis, apparsa a Venezia nel
1602.
L’immagine
riassuntiva dell’ideale curatore e fruitore [[93]] della
«biblioteca Agolanti», è quella di uno spirito libero,
attento alle novità culturali, alla storia (con quasi un terzo di titoli
legati a questa materia), però mai dimentico del ruolo e del peso delle
letture di spiritualità e di religione che assommano ad una ventina di
titoli sul totale di 192 libri elencati. Ecco perché, questo personaggio
di casa Agolanti ce lo immaginiamo come un «libertino devoto», pronto
a cogliere le provocazioni del pensiero ‘veneziano’, ma pure
attento ad onorare il rispetto della fede: non altrimenti potremmo
giustificare, nel settore dedicato alla religione, la presenza di opere come Il
predicatore del francescano cinquecentesco Francesco Panigarola,
«la cui opera fu strettamente legata a quella di Carlo Borromeo» [[94]]. O di altri
testi quali il Cerimoniale spirituale, l’Eternità
consigliera, la Somma spirituale, il Trionfo delle
continenze, il Compendium manualis ad uso di confessori e
penitenti [[95]], la Vita
di San Girolamo, la Regola benedettina e le Dicerie Sacre di Giovanni
Ambrogio Marini, più noto nel mondo delle lettere quale autore del Calloandro
fedele.
Rispetto a
questi volumi si differenzia il Paolo Sarpi del Concilium tridentinum, presente
nell’«Agolanti» come testo anonimo [[96]], con la
carica eversiva che a quest’opera deriva dall’essere stata messa all’Indice nel 1619,
pochi mesi dopo la sua pubblicazione a Londra [[97]]. Destinata a
restare «una pagina centrale della storia religiosa nell’età
moderna», l’Istoria del Concilio Tridentino di Sarpi
elabora «il mito di una Chiesa libera, democratica, legata allo
Stato», che «troverà risonanza nel Settecento giannoniano, e
poi in quello giurisdizionalista e riformatore» [[98]].
Con
quest’ultimo titolo ci proiettiamo in una diversa prospettiva storica, ci
affacciamo in una situazione in cui accanto alla cultura troviamo la politica
lungo un secolo che si chiuderà con la ventata rivoluzionaria
napoleonica destinata a portare, anche a Rimini, i suoi complessi e
contraddittori effetti, com’è complessa e contradditoria la Storia
tutta.
Appendice
Indice
alfabetico ragionato della «biblioteca Agolanti»
L’inventario
dell’«Agolanti» comprende 194 voci. Due, come ho già
ricordato, sono riferite a manoscritti: per uno di essi, il n. 159, ho
identificato l’autore in Giulio Agolanti [[99]]. Le altre
192 voci sono tutte relative a libri.
L’indicazione
dell’autore è presente nell’inventario in soli 59 casi. Per
i restanti 133 titoli senza autore, sono risalito ad esso con certezza in 128
casi, restandone così dubbi solamente cinque (nn. 7, 56, 109, 136 e
165).
Per i 133
volumi senza autore nell’inventario, il nome dell’autore è,
in questo mio indice, sempre riportato tra parentesi quadra. I cinque casi
dubbi di attribuzione dell’autore, sono segnalati con il punto
interrogativo dopo la parentesi quadra entro cui è indicato lo stesso
nome ‘possibile’.
Quando il
titolo è indicato tra parentesi quadra, significa che esso manca
nell’inventario «Agolanti».
Dopo il numero
progressivo dell’inventario «Agolanti» riporto, entro
parentesi tonda, il titolo completo dell’opera (quando esso non appare
già nella sezione specifica, dove per eventuali integrazioni uso le
parentesi quadre), od altre indicazioni utili, oltre alla precisazione della
presenza del titolo in BGR, per la quale indico pure se il testo è di
provenienza BAG [[100]].
Molti dei
volumi rintracciati in BGR erano in origine nella sala «ES», nata
come raccolta di opere provenienti dalle Corporazioni Religiose soppresse.
Ometto
l’indicazione BGR se l’ed. presente ora in Gambalunghiana è
di data successiva all’inventario della «biblioteca
Agolanti». Complessivamente i volumi esistenti in BGR sono 91 dei 192
catalogati nella «biblioteca Agolanti». Di questi 91 della BGR, 25
sono di provenienza BAG.
Indico anche
le edizioni che è stato possibile individuare. Il dato riportato non si
riferisce obbligatoriamente alla prima edizione.
Contravvenendo
alle regole seguite per le note al testo, ometto l’indicazione
dell’editore o tipografo, per comprensibili difficoltà di
reperimento dei dati in molti casi.
Manoscritti
[Agolanti, Giulio], Libro
de’ Signori Agolanti, n. 159. (G. Agolanti,
Libretto di memorie familiari, BGR, SC-MS. 925.)
N.N., Libro manoscritto che contiene varie cose, Un, n. 167.
Libri
[AA. VV.], Dieta di vari autori, La, n. 175. (La dieta di
vari autori o vero Raunanza di varie opere politiche modernissime. Sopra li
correnti, ed emergenti affari, ed interessi di tutti li potenti
dell'Europa…, Cologna 1675.)
[AA. VV.], Scielta di lettere, n. 119. (Della nuoua
scielta di lettere di diuersi nobilissimi huomini, et eccell.mi ingegni,
scritte in diuerse materie, fatta da tutti i libri fin'hora stampati, libro
primo, Venetia 1574. Potrebbe trattarsi però della prima ed.,
1650, delle epistole di Belmonte Belmonti,
di cui troviamo la Seconda impressione di lettere varie del 1664, al
n. 13.)
[Adriani, Giovambattista],
Historie de’ suoi tempi, p. I, n. 39. (Divisa in libri XXII,
Venezia 1587, Firenze 1583. BGR-BAG.)
[Adriani, Giovambattista],
Historie de’ suoi tempi, p. II, n. 40. (BGR-BAG.)
[Alagona, Pietro], Compendium
manualis, n. 155 (Compendium manualis Nauarri, ad commodiorem vsum, tum
confessariorum, tum paenitentium, compilatum. Petro Alagona ex Societate Iesu
theologo auctore. Et ab eodem auctum, Venetiis 1592; Azpilcueta, Martin, de, Compendium
manualis Nauarri. Ad commodiorem vsum, tum confessariorum, tum pœnitentium
confectum. Pietro Giuuara theologo auctore. Nunc recognitum…,
Ferrariæ 1590; Azpilcueta, Martin,
de, Compendium manualis Nauarri Petro Alagona ex Societate Iesu
Theologo auctore. Ad commodiorem vsum, tum confessariorum, tum poenitentium
compilatum, et ab eodem auctum, Bergomi 1593.)
Ammirato, Scipione, Discorsi [sopra
Cornelio Tacito], n. 58. (BGR, BAG.)
[Ammirato, Scipione], Discorsi
sopra Cornelio Tacito, n. 63. (BGR.)
[Angelo, Marin dall’]
?, Baleno delle glorie, n. 136. (Le glorie del niente. Discorso del
sig. Marin dall'Angelo nell'Academia dei signori incogniti di Venetia in casa
dell'illustrissimo sig. Gio. Francesco Loredano. Venetia 1634.
L’inventario «Agolanti» reca: Angeli, Marino. BGR, ed. Venetiis 1676.)
Anonimo, Diffesa di stato, e
di giustizia, n. 115. (Difesa di Stato e di givstitia contro il
disegno della monarchia vniversale sotto il vano pretesto delle pretensioni
della regina di Francia, 1667?)
[Anonimo], Riflessioni
politiche et morali, n. 133. (Riflessioni politiche, et morali
sopra le vite de’ rè di Francia. Traduzione di Prisca, Rechierio.)
[Aprosio, Angelico], Grillaja,
curiosità erudite, La, n.81. (La grillaia, curiosità erudite
di Scipio Glareano… ovvero Angelico Aprosio. Venezia 1641, Bologna
1673. BGR.)
[Apuleio], Asino
d’oro, n. 118. (BGR-BAG.)
[Argomanas, Juan], Trattato del valore
et maravigliosi frutti della Santa Messa, n. 84. (Trattato del
valore et effetto delle indulgenze et perdoni, composto del reuerendo padre
frate Giouanni di Argomanas, dell’ordine de Minori, Venetia 1582.)
[Barcitotti, Galerana, pseud.
di Tarabotti, Arcangela], Che
le donne siano delle spetie degl’huomini, n. 182. (Difesa
delle donne, Venetia 1651.)
[Baronio, C., a cura
di], Martyrologium romanum, Romæ 1630, n. 137. (BGR-BAG, ed. Parigi
1665.)
[Bartoli, Daniello], Eternità
consigliera, n. 145. (L' Eternità consigliera, del reuerendo
padre Daniello Bartoli, della Compagnia di Giesù, Venetia
1678. BGR.)
[Belli, Pietrino], Dell’arte
militare, n. 14. (De Re Militari e de Bello. BGR.)
[Belmonti, Belmonte], Seconda impressione di
lettere varie, n. 13. (Seconda impressione di lettere varie con altre
aggiunte alla prima, del sig. Belmonte Belmonti riminese. Con l'indice copioso
delle cose contenute in esse…, Rimino 1664. BGR.)
[Belmonti, Pietro], Genealogia
dell’Antica Famiglia detta delle Caminate, n. 2. (Rimini 1671.
BGR.)
[Benedictus, Cassinesis],
Regula sancti Patris Benedicti, n. 57 (Regula divi patris Benedicti,
& vita eiusdem ex secundo libro Dialogorum sancti Gregorii excerpta
accessit Regula secunda eiusdem patris b. Mauro tradita cum in Galliam proficisceretur, Venetiis
1593. BGR.)
[Benincasa, Rutilio], Almanacco
perpetuo, n. 162. (Almanacco perpetuo utile così ad
astrologi, medici, agricoltori, nocchieri, come a qualsivoglia altra curiosa
persona, Napoli 1636. BGR. [Alcune fonti descrivono l’autore
fuggiasco, perseguitato per aver partecipato alla congiura di Campanella.
L’astronomia era considerata premessa all’astrologia. condannata da
Sisto V.])
[Bentivoglio, card. Guido], Historia
di Fiandra n. 32. (Della guerra di Fiandra, Venetia
1637; La guerra di Fiandra descritta, Venetia 1645. Entrambe
le edd. in BGR.)
Bentivoglio, card. [Guido], Memorie, n. 38. (Memorie
della sua vita, Venetia 1648. BGR.)
Bentivoglio, card. [Guido], Relazioni, n. 44 (Relazioni
fatte in tempo delle sue nunziature di Fiandra e di Francia, Anversa 1629
e Venetia 1633. BGR.)
Bettini, Giuseppe, Dialogo, n. 154. (Ho
trovato traccia soltanto di Bettini, Mario, 1582-1657, autore di opere
pubblicate in Bologna.)
[Bevilacqua, Onofrio]
?, Corona o palma militare d’artiglieria, n. 165. (Ragionamento
sopra il comando, maneggio, & uso dell'artiglieria, del conte Honofrio
Bevilacqua, governatore generale dell'artigleria di Nostro Signore, Bologna
1644. BGR.)
[Birago Avogaro, G. Battista],
Historia della disunione del regno di Portogallo, n. 148. (Historia
della disunione del regno di Portogallo dalla corona di Castiglia. Scritta dal
dottore Gio. Bat. Birago Auogaro. Cittadino veneto. Nuovamente corretta,
emendata…, Amsterdam 1647.)
[Birago Avogaro, G. Battista],
Turbolenze d’Europa, n. 88. (Turbolenze di Europa dall'anno 1640 fino
al 1650 descritte dal d. f. Gio. Battista Birago Auogadri…,
Venetia 1654. BGR.)
Boccaccio, Giovanni, Decameron, n. 72.
(BGR.)
[Boccalini, Traiano], Pietra del
paragone politico, n. 55. (Pietra del paragone politico tratta
dal Monte Parnaso, doue si toccano i gouerni delle maggiori monarchie del
Vniuerso, Cosmopoli [i.e. Venezia] 1615. BGR, con l’indicazione
«Proibito».)
Bonacina, Martino, [Tractatus de
legitima Summi pontificis electione. Iuxta Summorum pontificum, praesertim
Gregorij XV et Sanctiss. D. N. Urbani VIII constitutiones…, Venetiis
1638], n. 164. (Di M. Bonacina, 1585-1631,
e non Bonaccina come riporta l’elenco citando il solo autore e non anche
il titolo, si ricorda pure l’opera: Tractationes variae, Venetiis
1628.)
Bonini, Filippo Maria, Atteista
convinto, L’, n. 129 (L'ateista convinto dalle sole ragioni
dell'abbate Filippo Maria Bonini…, Venetia 1665. BGR, con
l’indicazione «Prohibito».)
[Botero, Giovanni], Della raggione di
Stato, n. 62. (BGR. Con il titolo Della raggione di Stato ci sono due
opere nell’inventario «Agolanti» con i nn. 62 e 146, ed
abbiamo tre autori che usano lo stesso titolo: G.
Botero, S. Chiaramonti e L.
Settala, come si è già osservato. Vedi sotto alla voce Chiaramonti.)
Botero, Giovanni , Relationi
universali, Le, n. 43. (BGR.)
Braccio, Alessandro, Proemio, n. 153.
[Brignole Sale, Anton Giulio], Tacito
abburattato, discorsi politici, n. 124. (Tacito abburattato. Discorsi
politici, e morali del sig. marchese Antongiulio Sale…, Genova 1643,
Napoli 1671. BGR.)
[Brusoni, Girolamo], Guerre
d’Italia, n. 48. (Delle historie memorabili, contiene le guerre
d'Italia de' nostri tempi: di Girolamo Brusoni racconti vndeci. [Dal 1635 al
1655]. Venezia 1656.)
[Brusoni, Girolamo], Nuova
scelta di sentenze, n. 138. (Venezia 1657. BGR.)
[Caliari, Pietro], Novo
lume dell’arte, Il, n. 89. (Il Nuouo lume delle gioie. Opera
vtilissima ad'ogni persona, cosi a orefici, & speciali, per l'arte pratico.
Composto da Pietro Caliari, gioiliero del serenissimo duca di Mantua, e
seruitore attuale di S. M. l'imperatrice Eleonora, Venetia 1682.)
[Campana, Cesare], Historie
del mondo, n. 174. (Delle historie del mondo descritte dal sig. Cesare
Campana, gentil'huomo aquilano, libri tredici, ne' quali si narrano le cose
auuenute dall'anno 1580, fino al 1596, Venetia 1596, 1599,
1607. BGR.)
[Campana, Cesare], Historie
del mondo, Dell’, n. 8. (Vedi sopra. BGR.)
[Camus, Jean Pierre], Elisa,
overo l’innocenza colpevole, n. 173. (Elisa ouero l'innocenza
colpeuole. Historia tragica del vescouo di Belley seguita durante il regno del
christianiss. Henrico III re di Francia e di Polonia…, Roma 1632.)
[Camus, Jean Pierre], Ifigene, n. 71.
(L'Ifigene del vescovo di Belley, austerità sarmatica, trasportato dal
francese per il signor Reginaldo Lalmano e pubblicato da Michel'Angelo
Torcigliani..., Venetia 1638. BGR: l’esemplare, edito nel 1639, reca
scritto: «Di me Cesare Gambalunga».)
[Caprara, A., oppure Doni A.F.], Filosofia morale, n. 143. (In
BGR extant con il titolo Della filosofia morale entrambi gli autori.)
Caprara, Alberto, Insegnamenti del
vivere, n. 25. (Insegnamenti del viuere del conte Alberto Caprara a
Massimo suo nipote, Bologna 1672; e Insegnamenti del viuere del
conte Alberto Caprara gentilhuomo della Camera di S.M. imperiale, ... Con
l'aggiunta del Chirone itinerante ouero Istruttione per vn aio, Venetia
1688. BGR.)
Capriata, Pietro Giovanni, Della
historia, n. 114. (Historia, libri XII, voll. II; Genova 1638. BGR.)
[Carafa, Tommaso], Dicerie
poetiche, n.113. (Dicerie poetiche ouero vaghissime discrittioni, &
discorsi accademici del m.r.p.f. Tomaso Caraffa dominicano…, Venetia 1682
e 1690.
[Cepari, p. Virgilio], Historia
di San Luigi, Dell’, n. 59. (Vita del Beato Luigi Gonzaga della
compagnia di Gesù… scritta dal p. Virgilio Cepari, Roma 1606.
BGR. L’esemplare di BGR reca la scritta a mano in calce al frontespizio:
«P. Tadeo Agolanti Abbate Olivetano» [[101]].)
[Chiaramonti, S. oppure Settala, L.], Della raggione di
Stato, n. 146. (Entrambi i testi extant in BGR.)
[Chracas, Luca Antonio]
?, Trattati diversi con la decisione d’Alcuni casi, n. 56. (Miscellanea
di diversi trattati, e discorsi eruditi politici adattati al governo de'
principi, messi in stampa da Luca Antonio Chracas, Roma 1650.)
[Cinelli Calvoli, Giovanni],
Vita di San Girolamo, n. 24. (Vita di s. Girolamo scritta
nuovamente da Giovanni Cinelli…, Firenze MDCLXXXVIII.)
[Clementini, Cesare], Raccolto
istorico della fondatione di Rimino, n. 191. (Rimini
1617-27, BGR.)
Commynes, Philippe de, Memorie, n. 60. (Memorie
intorno alle principali attioni di Lodovico XI e Carlo VIII tradotte…, Venezia
1640. BGR, BAG.)
Corbelli, Nicolò Maria, Il Perseo, n. 123.
[Corradi, Giulio Cesare], Trionfo
della continenza, Il, n. 157.
Crescenzi, Gio. Pietro, [Corona
della Nobiltà d’Italia], n. 111. (Bologna 1639.
BGR. Nell’inventario «Agolanti», si legge Crescentino, Pietro, nome a cui le
ricerche non sono state però in grado di attribuire alcun titolo.)
[Dallatorre, Raffaele],
Astrolabio di Stato, n. 67. (Astrolabio di stato da racoglier le
vere dimensioni dei sentimenti di Cornelio Tacito ne gl'Annali, o sia
instruttione di Raffaele Dalla Torre ad Oratio suo figlio..., Genoua
1650.)
[Davila, Enrico Caterino],
Historia delle guerre civili di Francia, n. 49. (Venezia 1630.
BGR.)
[De Rogatis, Bartolomeo],
Historia della perdita, o riaquisto della Spagna, I, n. 93. (Historia
della perdita e riacquisto della Spagna, occupata da Mori. Del p. Bartolomeo De
Rogatis…, Venetia 1689. BGR.)
[De Rogatis, Bartolomeo],
Historia della perdita, o riaquisto della Spagna, II, n. 156. (Vedi sopra.
BGR.)
[De Rogatis, Bartolomeo],
Historia della perdita, o riaquisto della Spagna, III, n. 80. (Vedi
sopra. BGR.)
[De Rogatis, Bartolomeo],
Historia della perdita, o riaquisto della Spagna, IV, n. 151 (Vedi sopra.
BGR)
Diana, Antonio, [Summa…], n. 85. (Summa
Diana in qua a r.p.d. Antonini Diana Panormitani clerici regularis… opera
omnia septem partibus comprehensa, Diana, ipso committente, & approbante,
Antonio vero Catanio, alias Ausonio Noctinot Siculo, tertij ordinis s.
Francisci operam dante, in unicum volumen orctantur, & bipartitum. Cum
additionibus…, Venetia 1656, 1663. Del p. A. Diana in BGR
extant varie opere teologiche, tra cui questa Summa che pongo
arbitrariamente, non essendo indicato nell’inventario
«Agolanti» alcun titolo.)
[Dolce, Lodovico], Vita
di Carlo V duca di Lorena, n. 193. (Vita dell'inuittiss. e gloriosiss.
imperador Carlo Quinto, discritta da m. Lodouico Dolce, Vinegia
1561.)
Domenichi, Lodovico, Historie, n. 163 (La prima
parte dell'historie del suo tempo di mons. Paolo Giouio vescouo di Nocera.
Tradotte per m. Lodouico Domenichi, Firenze 1558 e Venezia 1551 e 1560.
Seguì La seconda parte dell'historie del suo tempo…, Vinegia 1554
e 1560. BGR.)
[Domingo de Jesús
María, O.C.D.], Sententiario spirituale [I parte], n.
087. (Sententiario spirituale, et pratiche affettive, nelle tre vie della
perfettione christiana, purgativa, illuminativa, et unitiva... , Roma 1622 e
1676. Esiste però anche un Sententiario spirituale et altre
meditationi divote, raccolte dall'opere della S. V. Teresa di Giesù, Roma 1647.)
[Domingo de Jesús
María O.C.D.] Sententiario spirituale [II parte],
n. 108. (Vedi sopra.)
[Doni, Anton Francesco],
Fortuna di Cesare, n. 181. (La fortuna di Cesare, tratta da
gl'autori latini, Vinegia 1550 e Roma 1637.)
[Doria, Paolo Mattia],
Vita civile, della, n. 64. (La vita civile di Paolo Mattia Doria
distinta in tre parti, aggiuntovi un trattato della Educazione del principe, Augusta 1710.)
[Durante, Castore], Tesoro
della Sanità, Il, n. 77. (Il tesoro della sanità,
di Castor Durante da Gualdo, medico & cittadino romano nel quale s'insegna
il modo di conseruar la sanità, & prolungar la uita, & si
tratta…, Venetia 1588. BGR-BAG.)
Erizzo, Sebastiano, Sei giornate, Le, n. 45. (Le
sei giornate di M. Sebastiano Erizzo, mandate in luce da M. Lodouico
Dolce…, Venetia 1567.)
[Estienne, Charles], Agricoltura
nova, n. 15. (Agricoltura nuova et casa di villa di Carlo Stefano
Estienne nuovamente tradotta..., Venetia 1591. BGR l’ed. 1606, tradotta
da Hercole Cato, e catalogata
sotto Stephanus, Carolus.)
[Faret, Nicolas], Arte
del piacere, L’, n. 78. (L' Arte di piacere alla corte del
signor di Faret, tradotta dal Francese nella lingua italiana dal conte Alberto
Caprara, al marchese Enea Magnani…, Bologna 1662.)
[Favolius, Hugo], Theatri
orbis terrarum, n. 73. (Theatri orbis terrarum enchiridion, minoribus
tabulis per Philippum Gallaeumexaratum: et carmine heroico, ex variis
geographis & poetis collecto, per Hugonem Fauolium illustratum, Antuuerpiae
1585.)
[Filippi, Paolo], Lettere
di complimenti semplici, n. 110. (I complimenti di Paolo Filippi
dalla Briga, segretario de ser.mi principi di Sauoia. Scritti gia da lui in
nome dell'eccellentiss. sig. marchese d'Este…, Torino 1619.)
[Filippo della Trinità],
Viaggi orientali, n. 103. (Viaggi orientali del p. Filippo
della SS. Trinita. Generale de' Carmelitani scalzi. Ne' quali si descriuono
varij successi, molti regni dell'Oriente, monti, mari e fiumi…, Venetia
1667.)
[Frachetta, Girolamo],
Idea del libro de’ governi , L’, n. 94. (Idea del
libro de’ governi di stato e di guerra, L’, 1592. In BGR, da
BAG, extat ed. di Parigi 1648.).
Franco, Niccolò, Dialoghi
piacevolissimi, n. 90. (Dialoghi piacevolissimi di Nicolò Franco, Venetia
1606: nell’inventario «Agolanti» si legge
«Franchi».)
Galiardi, Incibonio, Mosé, n. 189.
[García, Carlos],
Antipatia de’ Francesi e Spagnoli, n. 132. (García,
Carlos [pseud.], L'antipatia de' francesi e spagnuoli, opera piacevole e
curiosa tradotta di lingua spagnuola in italiana da Claudio Vilopoggio, Bologna 1638.)
[Gaudenzio, Paganino],
Vita di Cleopatra considerata, n. 169. (Di Cleopatra, reina
d'Egitto, la vita considerata da Paganino Gaudenzio, e poi dall'istesso
riletta, con non piccola varietà di cose tanto moderne, quanto antiche, Pisa 1642.)
[Gerardo, Pietro], Vita
e gesti d’Ezzelino, n. 79. (Vita et gesti d'Ezzelino terzo da
Romano, da l'origine al fine di sua famiglia, sotto la cui tirannide mancarono
di morte uiolenta piu di 12 millia padouani. Vinegia 1552. BGR.)
[Ghirardelli, Cornelio], Cefalogia
fisonomica, n. 11. (Cefalogia fisonomica diuisa in dieci deche, doue
conforme a' documenti d'Aristotile, e d'altri filosofi naturali ... si
esaminano le fisonomie di cento teste humane…, Bologna 1630 e 1674.
Con quest’altro titolo: Compendio della cefalogia fisonomica nella
quale si contiene cento sonetti di diuersi eccellenti poeti sopra cento teste
humane del signor Cornelio Girardelli bolognese. Bologna 1673.)
[Giovio, Paolo], Huomini
illustri, le vite, n. 52. (Le vite di dicenoue huomini illustri,
descritte da monsignor Paolo Giouio, et in diuersi tempi et luoghi stampate;
cioe, di dodici Visconti, & di Sforza, duchi di Milano, Venetia
1561. Nell’inventario «Agolanti» si legge «Le vite di
D. Genove huomini Illustri»: il nome indicato (Genove) potrebbe essere la
corruzione di Giovio. BGR)
[Giraldi, Giovanni Battista],
Hecatommithi overo cento novelle, n. 70. (Hecatommithi,
ouero Cento nouelle di M. Giouanbattista Giraldi Cinthio… Nelle quali,
oltre le diletteuoli materie, si conoscono moralita vtilissime a gli huomini, Vinegia 1574.
Altre edd. veneziane del 1584, 1593, 1608. Ed. in Monte Regale 1565. BGR-BAG.)
Girolamo da Stridone, [Epistolae
selectae], n. 190. (D. Hieronymi Stridoniensis Epistolae selectae et in
libros tres distributae. Opera D. Petri Canisii theologi. Nunc denuo ad
exemplar Mariani Victorij Reatini, episcopi Amerini, emendatae, argumentisque
illustratae…, Parisiis 1649, 1666. BGR.)
[Giuglaris, Luigi], Scuola
della verità, La, n. 100. (La scuola
della verita aperta a' Prencipi, dal P. Luigi Giuglaris…, Venetia
1662. BGR.)
[Granada, Luis De], Introduttione
al Simbolo, Della, n. 66. (Della introduttione al simbolo della
Fede parti quattro, Venetia, 1587, 1590 e 1596. BGR.)
[Gryphius, Andreas], Celinda, n. 27. (Cardenio
e Celinda.)
[Gualdo-Priorato, Galeazzo],
Historia delle Guerre di Ferdinando 2°e 3°, n. 34; (Historia
delle guerre di Ferdinando 2. e 3. imperatori. E del re Filippo 4. di Spagna.
Contro Gostauo (|) Adolfo re di Suetia. E Luigi 13. re di Francia, Venetia
1642. BGR.)
[Gualdo-Priorato, Galeazzo],
Historia delle rivolutioni di Francia, n. 29. (Historia
delle rivolutioni di Francia sotto il Regno di Luigi XIV, sl. 1655.
BGR.)
Gualdo-Priorato, Galeazzo, Historie, I parte, n. 18. (Historia
delle guerre di Ferdinando II e III Imperadori contro Gustavo Adolfo Re di
Svezia e Luigi XIII Re di Francia dall’anno 1630-1640, Venezia
1640. Nell’inventario «Agolanti» l’autore è
indicato come «Gualdi». BGR, BAG.)
Gualdo-Priorato, Galeazzo, Historie, II parte, n.
19. (Vedi sopra. BGR, BAG.)
Gualdo-Priorato, Galeazzo, Historie, III parte,
n. 20. (Vedi sopra. BGR, BAG.)
Guarini, Battista, Lettere, n. 150. (Lettere
[…] da Agostino Michele raccolte, Venezia 1593 e 1615.)
[Guarini, Battista], Pastor
fido, n. 180. (Edd. 1590 e 1602. BGR.)
[Guattini, Michelangelo],
Viaggio nel regno del Congo, n. 104. (Viaggio nel regno del Congo.
Del padre Michael Angelo de Guattini da Reggio, et del padre Dionigi de Carli
da Piacenza capuccini, predicatori, & missionarij apostolici, Venetia
1679. BGR.)
Guicciardini, Francesco, Compendio
dell’istoria, n. 69.
[Guicciardini, Francesco],
L’istorie d’Italia, n. 61. (Nell’inventario
«Agolanti» leggiamo L’Istorie d’Italia in due libri
distinti. BGR.)
[Guicciardini, Francesco],
Propositioni, overo considerationi di materia di cose di Stato, n. 76. (Propositioni,
ouero considerationi in materia di cose di stato, sotto titolo di Auuertimenti,
auuedimenti ciuili, & concetti politici, di m. Francesco Guicciardini,
Venetia 1583. BGR.)
[Guilelmus Tyrensis], Historia
della Guerra Sacra di Gerusalemme, 51. (Historia della guerra sacra di
Gierusalemme. Della terra di promissione, e quasi di tutta la storia ricuperata
da' christiani: raccolta in 23 libri…, Venetia 1562, 1610.)
[Lancillotti, Secondo]
Hoggidì, overo gli ingegni non inferiori, n. 91. (Hoggidì,
overo gli ingegni non inferiori ai passati, 1636. BGR.)
[Lancillotti, Secondo],
Hoggidì, overo il mondo non peggiore, n. 92. (Hoggidì,
overo il mondo non peggiore né più calamitoso del passato, Venezia
1623. BGR.)
[Leognani Ferramosca, Egidio]
?, Cœlesti Physiognomoniæ, n. 7. (Potrebbe
trattarsi di questo titolo: Eminentiss. et reverendiss. domino P. D.
Gregorio Carafæ e Roccellæ principibus… Positiones suas
physioastronomicas de sphæra cœlesti publice demonstrandas…, Napoli 1682.)
Livio, Tito, Storia di Roma, libri 35, n.
9. (BGR-BAG.)
Livio, Tito, Storia di Roma, libri 35
[parte II], n. 10. (BGR-BAG.)
[Lohenstein, Daniel Casper von], Perfetto
Ibrahim Bassà, Il, n. 192. (Il perfetto Ibrahim ouero
l'illustre bassà tradotto dal francese, e diuiso in due parti, Venetia
1651. Ibrahim Bassa, 1650. Alla Biblioteca del Seminario di Biella
esiste un’opera con titolo analogo, di Georges
de Scudéry, stampata a Parigi nel 1645.)
Loredano, Giovan Francesco, Opere, n. 141.
(Nell’inventario «Agolanti» leggiamo «Opere di Gio.
Fran.co Loredano consistenti in otto volumi seguiti, et qui essistenti».
Questa ed. è del 1667.)
[Lucinge, Rene’],
Origine, conservatione et decadenza delli Stati, Dell’, n. 96. (Dell'origine,
conseruatione, et decadenza de gli Stati, doue sono trattate molte notabili
questioni circa lo stabilimento de gl'imperij, & monarchie, Ferrara
1590.)
[Machiavelli, Niccolò],
Stato politico del prencipe, n. 140. (BGR.)
Malespini, Ricordano, Historia
antica, n. 172. (Historia antica di Ricordano Malespini gentil'huomo
fiorentino. Dall'edificazione di Fiorenza per insino all'anno 1281. Con
l'aggiunta di Giachetto suo nipote dal detto anno per insino al 1286, Fiorenza
1568.)
[Malvezzi, Virgilio], La
monarchia di Spagna, n. 166. (Successi principali della monarchia
di Spagna nell’anno 1639, di V. Malpezzi, Anversa 1641. Ricordo
che T. Campanella scrisse una Monarchia di Spagna, 1600.)
Malvezzi, Virgilio, Opere, n. 187. (Opere
del sig. marchese Virgilio Malvezzi, Romulo, Tarquinio Superbo, Davide
perseguitato, Il privato politico, Venetia 1662 e 1666. BGR.)
Malvezzi, Virgilio, Romulo, n. 134.
(Bologna 1629, 1633. BGR.)
[Manzini, Giovanni Battista], Furori
della gioventù, Dei, n. 128. (De i furori della
gioventù. Esercitij rhettorici, Bologna 1634. BGR.)
[Mariales, Xantes], Catholico
di Stato, Il, n. 105. (Bilancio delle confederationi, e
guerre de prencipi giuste ed ingiuste contro le massime dello asserto Cattolico
di stato. Auttore il dottor Santa Maria…, Colonia [i.e. Venezia]
1646.)
[Marinelli, Giovanni],
Medicine partenenti all’infermità delle donne, Le, n. 98. (Le
medicine partenenti alle infermita delle donne scritte per M. Giouanni
Marinello, & diuise in tre libri: nel primo de' quali si curano alcuni
difetti, che possono…, Venetia 1562, 1574. BGR)
Marino, Giovambattista, Lira, La, n. 19.
(Nell’inventario «Agolanti» appare scorrettamente Dell’ira.)
[Marino, Giovambattista], Dicerie
sacre, n. 177. (Le dicerie sacre, del signor cavalier Marino…, Venetia
1667.)
[Marino, Giovambattista], Francia
consolata, n. 131. (La Francia consolata . Epithalamio nelle nozze delle
maesta christianissime Lodouico XIII re di Francia , et Anna d'Austria
primogenita di Spagna.)
Marino, Giovambattista, Galleria, La, n. 106. (Venezia
1626. BGR)
[Matthieu, Pierre], Historia
del re Enrico IV, n. 188. (Historia di Francia e delle cose
memorabile… del regno del re… Henrico IIII tradotta dal francese in
italiano dal sig. conte Alessandro Senesio, Milano 1624.)
[Matthieu, Pierre], Historia
della prosperità infelice di Elio Seiano, n. 54. (Elio Seiano
tradotto...nella lingua italiana dal Gelato academico Humorista, Ferrara
1619. Historie delle prosperità infelici di Elio Seiano, e d'vna
femina di Catanea gran siniscalca di Napoli, di Pietro
Mattei historiografo del re' christianissimo tradotta…, Venetia
1620. Elio Seiano di Pietro Mattei
historiografo del Re christianissimo, tradotto dal francese, nella lingua
italiana dal Gelato Academico Humorista. 5. impressione, Ronciglione
1621. BGR.)
[Matthieu, Pierre], Historia
memorabile dei Luigi XI Re di Francia, Della, n. 30. (Della
historia memorabile di Luigi 11. re di Francia libri dieci del sig. Pietro Mattei… Tradotti… dal
M.R. sig. D. Girolamo…, Venetia 1628.)
[Matthieu, Pierre], Interrotta
continuatione della historia d’Henrico quarto, n. 33. (Interrotta
continuatione dell'Historia di Enrico quarto re di Francia, e di Nauarra di
Pietro Mattei; nella quale si descriue la coronazione della regina, e si
narrano tutti gli auuenimenti accaduti nella morte deploranda di cosi gran
re.Tradotta dal francese in italiano da Gio. Bernardo della Bastarderie. Et
vltimamente abbellita con gli sommari alle narrationi, & con le postille
nel margine da Barezzo Barezzi, Venetia 1625. In Venetia 1629, essa è
inserita in fondo ad altra ed. della cit. Historia di Francia. [Petri Matthaei, Historiarum Franciae
continuatarum, tomus tertius...interprete Iohanne Friderico Salvedt Darmstadino, 1613.])
[Matthieu, Pierre], Ministro
di Stato, n. 26. (Minister status seu Considerationes politicae super
vita Nicolai Neovili...scriptae a Petro Mattheo...nunc in latinum sermonem
traductae a Joachimo Pastorio, Jenae 1664.)
[Matthieu, Pierre], Perfetta historia
di Francia, Della, n. 28. (Della perfetta historia di Francia, e
delle cose piu memorabili occorse nelle prouincie straniere gli anni di pace
regnante il christianissimo Henrico IV. il Grande, Milano 1624, Venetia
1625. Petri Matthaei, Historiarum
Franciae, et rerum memorabilium in exteris provinciis...sub Henrico IV Franciae
& Navarrae rege gestarum, 1611.)
Messia, Pietro (Mexia, Pedro), Selva
rinuovata, n. 1. (Selva di varia lettione… diuisa in cinque
parti…, Venetia 1516, 1547, 1597. BGR ed. Venetia 1670.)
[Milletot, B.], Huomo
del papa e del re, L’, n. 179. (L' huomo del papa, e del
re, contra gl'intrighi del nostro tempo, Cuneo 1660 ca.
Traduzione di Romolo Cortaguerra dell'opera L'homme du pape et du roi .)
[Mini, Paolo], Discorso
delle nobiltà di Firenze, n. 112. (Discorso della nobilta di
Firenze, e de fiorentini. Di Paolo Mini medico, filosofo, e cittadino
fiorentino, Firenze 1593, 1594.)
[Minucci, Genesio], Compendium
Summæ Card. Toleti, n.158. (Summae cardinalis Toleti
Compendium…, [s.l., s.d.].)
[Minucci, Genesio], Compendium
Summæ, n. 122. (Vedi sopra.)
[Monti, Antonio Maria],
Pace convenuta fra le maggiori potenze d’Europa, La, n. 160. (La
pace conuenuta fra le maggiori potenze dell'Europa ne' tratrati fatti,
conclusi, e sottoscritti da' loro plenipotentiarij nel celebre congresso di
Nimega l'anno 1678 e 1679, Bologna 1679.)
N. N., Cerimoniale spirituale, Il, n. 5. (Cerimoniale
episcoporum Clementis VIII primum nunc denuo Innocentii papae X auctoritate
recognitum, Romae 1651.)
N. N., Dialogo sopra le raggioni della Regina Christianissima, n. 95. (Risposta
al trattato delle ragioni della regina cristianissima sopra il ducato del
Brabante et altri stati della Fiandra nella quale si dimostra l'ingiustizia
della guerra mossa dal re di Francia…, Napoli 1676.)
Omero, Illiade, n. 22. (BGR,
BAG, ed. Basilea 1583.)
Ovidio, Epistole, n. 116. (BGR
ed. Venetia 1630.)
[Palazzo, Giovanni Antonio],
Discorso sopra la raggion di Stato, n. 107. (Discorso
del governo e della Ragion vera di Stato, Venezia 1606. BGR.)
[Pallavicino, Ferrante],
Agrippina minore, n. 186. (BGR. Egli scrisse due Agrippine, entrambe del
1642: la madre di Nerone [minore], e la moglie di Claudio.)
[Pallavicino, Ferrante],
Panegirici epitalami, n. 185. (Panegirici epitalami, discorsi
accademici, novelle, et lettere amorose, Venetia 1654. BGR.)
[Pallavicino, Ferrante],
Prencipe hermaprodito, Il, n. 121. (Venetia 1654. BGR.)
[Pallavicino, Ferrante],
Pudicizia schernita, La, n. 183.
[Pallavicino, Ferrante],
Rete di Vulcano, n. 125.
Pallavicino, Ferrante, Sansone,
Il, n. 135. (BGR.)
Panigarola, Francesco mons., Il
predicatore, n. 41. (Nell’inventario «Agolanti»
è detto «Panighella». BGR-BAG.)
[Passerone, Lodovico],
Guida geografica, n. 86. (Guida geografica, ouero compendiosa
descrittione del globo terreno, premessa vna breue notitia di tutto l'vniuerso.
Di D. Ludouico Passerone…, Torino 1672. BGR.)
[Passi, Carlo], Selva
di varia historia, n. 74. (Selua di varia istoria di Carlo Passi, vedi Delle
istorie del svo tempo, di mons. Paolo Giovio… tradotte da M. Lodouico
Domenichii… Con una Selua di varia istoria di Carlo Passi… Et vn
supplimento del signor Girolamo Rvscelli, fatto sopra le medesime Istorie. Et
vn'indice de' nomi antichi, & moderni, delle città, castella…, Venetia
1608.)
Petrarca, Francesco, [Opere?], n. 161.
(Nell’inventario «Agolanti» si legge: «Il Petrarca».
BGR, Opera omnia ed. 1516.)
Petrarca, Francesco, [Opere], n.117.
(Nell’inventario «Agolanti» si legge: «Il Petrarcha con
l’espositione». In BGR-BAG extat l’opera Annotationi…
soura le rime di M. F. P.)
[Pisanelli, Baldassarre],
Trattato della natura dei cibi, n. 149. (Trattato della natura de'
cibi et del bere del sig. Baldassare Pisanelli… nel quale non solo tutte
le virtù, & i vitij di quelli minutamente si palesano; ma anco i
rimedj…, Roma 1583. BGR)
Platina [Bartolomeo Sacchi] ?, n. 12.
(Nell’inventario «Agolanti» si legge soltanto:
«Battista Platina Cremonese». In BGR extant Le vite de’
Pontefici, 1650, ed Historie delle vite…, 1563.)
Plinio, Gaio Secondo, Historia naturale, n. 42. (BGR in varie
edd. XVI sec.)
Plutarco, Vite, n. 168.
(Nell’inventario «Agolanti» si legge: «seconda ed
ultima parte». BGR-BAG, ed. 1607 dell’Opera omnia.)
[Plutarco], Vita di
Ligurgo, n. 170. (BGR-BAG, ed. 1607 dell’Opera omnia.)
[Ramusio, Giovan Battista],
Navigationi et viaggi, II vol., n. 3. (In BGR-BAG extat l’opera
completa, 1550,1559, 1556.)
[Ramusio, Giovan Battista],
Navigationi et viaggi, III vol., n. 4. (In BGR-BAG extat l’opera
completa, 1550,1559, 1556.)
[Ricciardi, Giovanni
Battista], Tavole della fortuna, n. 152. (La ruota
della fortuna opera del signor Gio. Battista Ricciardi pisano, Bologna [fra
1684 e 1688]).
[Rinuccini, G. Battista],
Cappucino scozzese, n. 127. (Il cappuccino scozzese, di mons. Gio. Battista Rinuccini… di nuovo
ristampato…, Viterbo 1654. I ed. 1645.)
Ripa, Cesare, Nuova iconologia, n. 31. (Roma
1593. Questa ed. in BGR-BAG.)
Rosaccio, Giuseppe, Discorsi, n.97. (Discorsi
del Rosaccio. Nelli quali si tratta brevemente dell’Eternità, Evo
& Tempo, Venetia 1598 e 1602. BGR.)
[Rosaccio, Giuseppe], Teatro
del mondo, n. 46. (Teatro del cielo e della terra, nel quale si discorre
breuemente del centro, e doue sia. Del terremoto, e sue cause. De' fiumi, e
loro proprieta. De' metalli, e loro ori, Ferrara 1564, Venetia
1597. BGR-BAG.)
Sannazzaro, Giacomo, L’Arcadia, n. 130.
(Venetia 1501. BGR ed. Venetia 1525. Opera omnia 1593 in BAG.)
[Sansovino, Francesco],
Annali turcheschi, Gl’, n. 53. (Gl' Annali turcheschi ouero
vite de principi della casa othomana di m. Francesco Sansouino. Ne quali si
descriuono di tempo in tempo tutte le guerre fatte dalla natione de turchi in
diuerse provincie del mondo…, Venetia 1564. BGR.)
[Santacroce, Antonio],
Secretaria d’Appollo, n. 171. (La secretaria di Apollo di Antonio Santacroce…, Venetia
1654.)
[Santacroce, Antonio],
Trattamenti istorici della guerra di Candia, n. 147. (Frammenti
istorici della guerra di Candia, di Sertonaco
Anticano, cioe inuasione del Regno. Resa di Canea. Successi di terra.
Presa di Retimo…, Bologna 1647. Sertonaco Anticano è
chiaramente l’anagramma di Antonio Santacroce.)
[Sarpi, Paolo], Concilium
tridentinum, n. 139. (Historia del Concilio tridentino. Nella quale
si scoprono tutti gl'artificii della Corte di Roma, per impedire che ne la
verita di dogmi si palesasse, nela riforma del papato, & della chiesa si
trattasse. Di Pietro Soave polano, Londra 1619. Seconda editione,
riveduta e corretta dall'autore, Ginevra 1629. Quarta editione,
riueduta e corretta dall'autore, Geneua 1660. Altra ed., Venezia [s. d.].
BGR.)
[Sarpi, Paolo], Republica
di Venetia, n. 102. (Historia particolare delle cose passate tra il sommo
pontefice Paolo V, e la serenissima republica di Venetia. Scritta dal padre
Paolo, e divisa in 7 libri, Mirandola 1675, oppure Dominio del mar
Adriatico della serenissima Republica di Venetia, descritto da fr. Paolo Sarpi
suo Consultore d'ordine publico, Venetia 1686.)
[Scoto, Francesco], Itinerario,
over nova discrittione, 83. (Itinerario, ouero Nova descrittione de'
viaggi principali d'Italia, di Francesco Scoto nella quale si ha piena notizia
di tutte le cose piu notabili, & degne…, Padoua 1654.)
[Serdonati, Francesco],
Fatti d’arme famose, n. 68. (De' fatti d'arme de' Romani, libri
tre. Ne' quali si tratta di tutte le battaglie, & imprese, fatte da Romani,
della edification di Roma, fino alla declination dell'Impero, Venetia
1572.)
[Serragli, Silvio], Santa
Casa abbilita, La, n. 178. (La S. Casa abbellita, del sig. cap.
Siluio Serragli da Pietra Santa di Toscana. Nuouamente ricorsa, & ampliata
di molte cose graui, e notabili, non prima osseruate, Loreto 1637
e Macerata 1659. BGR, ed. 1637, «terza impressione»., con la
scritta sul frontespizio: «Collegium Arimini. Biblioteca».)
[Sgualdi, Vincenzo, O.S.B.], Uticense
aristocratico, n. 47. (L' Uticense aristocratico, overo Il Catone, Venetia 1648,
Modona 1649. BGR)
Siri, Vittorio, Mercurio over historia de correnti tempi, n. 65. (Il
Mercurio ouero historia de' correnti tempi di d. Vittorio Siri, consigliere, elemosinario, &
historiografo della maesta christianissima, 15 voll., Casale
1644-1682. Bollo di d. Vittorio Siri
consigliere di stato, et historiografo della maesta christianiss. nel Mercurio
veridico del sig. dottore Birago…, Modona 1653. In BGR
extat ed. Lione 1652].
Siri, Vittorio, Mercurio over
historia, Del, (tomo II), n. 37. (Vedi sopra. BGR.)
Siri, Vittorio, Mercurio Veridico, n. 17. (Vedi
sopra. BGR)
Siri, Vittorio, Mercurio, Del, (tomo II,
libri 3), n. 35. (Vedi sopra. BGR)
[Siri, Vittorio], Politico
soldato, Il, n. 75. (Il politico soldato monferrino ouero
discorso politico sopra gli affari dii Casale, del Capitano Latino Verita
Monferrino, Casale di Monferrato 1640.)
Tacito, Opere, n. 6. (BGR,
BAG ed. 1600.)
[Tanara, Vincenzo], Economia
del cittadino in villa, L’, n. 50. (L' economia del cittadino in
villa di Vincenzo Tanara. Libri 7.
Intitolati. Il pane, e'l vino. Le viti e l'api. Il cortile. L'horto. Il
giardino. La terra. La luna…, Bologna 1644. BGR.)
[Tasso, Torquato], Gierusalemme
liberata, n. 23. (BGR ed. Padova 1616.)
Tasso, Torquato, Rinaldo, n. 126. (Il
Rinaldo dei Sig. Torquato Tasso, leggiamo
nell’inventario «Agolanti».)
Tassoni, Alessandro, Pensieri
diversi, n. 16. (Pensieri diversi, libri X , Venetia 1636. BGR.)
[Tingoli L.-Marcheselli F.],
I cigni del Rubicone, n. 176. (Bologna 1673. BGR.)
[Torquemada, Antonio],
Giardino fiorito, n. 120. (Giardino di fiori curiosi, in forma
di dialogo; diuiso in sei trattati. Nel quale si trattano alcune materie di
humanità, filosofia, teologia, geografia,cosmografia, &…, Vinegia
1590. BGR.)
[Torsellini, Orazio], Ristretto
delle historie del mondo, n. 101. (Venetia 1661. BGR.)
[Turlot, Nicolas], Tesoro
della dottrina christiana di Christo Nostro Signore, n. 144. (In SBN solo
edd. sec. XVIII.)
[Veltroni, Vincenzo M.] ?, Schiribizzi
del Genio, n. 109. (L' incanti del genio nell'antipatie fortunate opera
scenica, Roma 1675.)
Vergilio, Opere, n. 99. (BGR,
ed. 1534.)
[Villani, Giacomo, mons.],
Ariminensis Rubicon, n. 21. (Ariminesis Rubicon in Cæsenam
Claramontii, Arimini 1641. BGR.)
Vives, Giovanni Lodovico, [De
conditione vitæ christianæ sub Turca], 142. (In BGR, opp.
varie, tra cui quella cit., legata ad analoghi temi storici presenti nella
«Agolanti».)
[Zabata, Cristoforo], Diporto
de’ viandanti, n. 184. (Diporto de viandanti, nel quale si
leggono facetie, motti & burle raccolte... da Christoforo Zabata, Venetia 1604. BGR, ed.
Trivigi con data illegg. [16…]. In calce al libro, ci sono annotazioni a
mano di motti e facezie, tra cui questa: «Disse una donna, che ai suoi
amanti non concedeva favori dalla cintura in giù, ed uno soggiunse che
le donne se è così, portano tutte la cintura
all’Arlicchina».)
[Zampini, Matteo], Stati
di Francia, Delli, n. 36. (De gli stati di Francia et della lor
possanza : ove, con autorevoli sentenze et essempi di governo di stato…
si vede la continuata, et assoluta possanza de' re…, Venetia
1625. BGR.)
[Zappi, Giovan Battista],
Somma spirituale, n. 82. (Prato della filosofia spirituale
doue si contiene la somma del viuer christiano. Con vn breue trattato
dell'osseruanza delle feste, & d'alcuni sermoni, & espositioni…, Venetia
1585.)
Nota
bibliografica
Oltre alle fonti riportate
nelle singole note, dichiaro di aver utilizzato anche i repertori biografici
della Letteratura Italiana, cit., Einaudi, Torino 1990-91 (pure nella versione
informatica, Mondadori 2000), e del Dizionario Bompiani degli autori, Milano 1987.
Per la individuazione degli
autori sono ricorso anche al Catalogo Unico Telematico del Servizio
Bibliotecario Nazionale [SBN, http://www.sbn.it], ed a quelli della rete
telematica URBS [Unione Romana Biblioteche Scientifiche,
http://www-urbs.vatlib.it/urbs], e di altre varie biblioteche locali.
Il testo n. 133, Riflessioni
politiche et morali sopra le vite de’ rè di Francia, è stato rintracciato
presso la Bayerische Staatsbibliothek, München, tramite BGR, con
collegamento operativo organizzato dalla Soprintendenza per i Beni librari e
documentari della Regione Emilia Romagna (http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it),
presso HPB (Hand Press Book) del CERL (Consortium of European Research
Libraries, http://www.cerl.org).
Ringraziamenti
Un sentito ringraziamento esprimo alla
dott. Paola Delbianco, memoria storica della BGR, per le preziose informazioni
fornitemi.
Al personale tutto della stessa
istituzione, per l’assistenza prestatami durante le lunghe ricerche in
essa compiute, vada un sincero riconoscimento di gratitudine.
Ringrazio anche la dott. Lara Facchini
della Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, ed il dott. Carlo Dezzuto,
direttore della Biblioteca del Seminario Vescovile di Biella.
libertino.843.html
[1] Piero Meldini, La Biblioteca Gambalunghiana e la sua origine. Sale antiche e preziosi codici, Rimini, Raffaelli 1998 («I quaderni del Portico, I»), p. 7. Sulla storia della Gambalunghiana, cfr. Paola Delbianco, La Biblioteca Gambalunghiana, Milano, Nuova Editoriale AIEP 1989-91 («Storia illustrata di Rimini»), pp. 1121-1136; ed il Catalogo critico della mostra storica 1617-1974, Rimini, Cosmi 1974, con introduzione e schede critiche di Angelo Turchini. [I testi dei mss. sono riportati fedelmente agli originali. Le integrazioni sono poste tra parentesi quadre, in corsivo.]
[2] Meldini, op. cit., p. 10. L’altro «fatto eccentrico» è la laurea (ibid., p. 6).
[3] Ibid., p. 7.
[4] Catalogo critico, cit., Introduzione, «Le origini della biblioteca»: il testo non ha pagine numerate.
[5] Cfr. Novelle letterarie, tomo XVII, n. 31, coll. 487-490. Il brano è interessante non soltanto perché inedito, ma soprattutto in quanto attesta per la prima volta l’attività dell’Accademia degli Adagiati nel corso del sec. XVIII. Di tale Accademia fu «principe» Belmonte Belmonti: cfr. Carlo Tonini, La coltura letteraria e scientifica in Rimini, Rimini, Albertini 1884, ed. an. Rimini, Luisè 1988, a cura di Paola Delbianco, II, p. 87.
[6] Cfr. Luigi Vendramin, Per una storia della Nobile famiglia riminese degli Agolanti e del loro “Castello” di Riccione, «Studi Romagnoli», XLII (1991), Cesena 1995, pp. 173-192. L’inventario delle «quattro scanzie di libri» conservati in un «camerino ad uso di biblioteca al primo piano» (pp. 183-188), è desunto da atto notarile di S. L. Ferrarini, protocollo 1718-1720, cc. 53v-66v, Archivio di Stato di Rimini (ASR). L’atto, che reca la data del 15 novembre 1719 ed è relativo all’eredità «quondam domini Alexandri de Agolantis», è compilato «de ordine et mandato illustrissimæ dominæ Angelæ Bertolli viduæ, et hæredis» dello stesso Alessandro (1653-1719), secondo il testamento che i coniugi avevano dettato il 1° febbraio 1695. (La numerazione della «biblioteca Agolanti» che citerò nel corso del testo, non è presente nell’atto notarile. La uso per facilitare le ricerche nell’elenco alfabetico dell’Appendice, Indice della «biblioteca Agolanti».)
[7] Cfr. Elisabetta Ricca Rosellini, Il lettore e l’erudito. Libri nelle case forlivesi dal Quattro al Settecento, Firenze, Olschki 1998 («Il libro in Romagna. Produzione, commercio e consumo dalla fine del secolo XV all’età contemporanea», I, a cura di Lorenzo Baldacchini e Anna Manfron), pp. 369-420. Più consistente appare la biblioteca del medico Cesare Rosetti che nel 1621 lascia 1.360 testi in latino e 161 in volgare.
[8] Nel XXXII cap. de I promessi sposi, Manzoni, a proposito della peste, sottolinea: «il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune».
[9] Chiamiamo «biblioteca Gambalunga» [BAG] quella personale di Alessandro Gambalunga, distinguendola dalla odierna «Civica Gambalunghiana» [BGR], nella quale essa è inserita.
[10] Ludovico Settala è il «protofisico» che incontriamo nei Promessi sposi: egli fu uomo reputato per vita e scienza, e tuttavia partecipò «de’ pregiudizi più comuni e più funesti de’ suoi contemporanei», come dimostra l’episodio ricordato nel XXXI cap.: «con un suo deplorabile consulto, cooperò a far torturare, tanagliare e bruciare, come strega, una povera infelice sventurata». Anche Federico Bonaventura compose un trattato Della raggion di Stato e della prudenza politica, Urbino 1623: cfr. Domenico Ferraro, Libertà ecclesiastica e ragion di Stato, Bari, Laterza 1995 («Storia della filosofia. 3. Dal Quattrocento al Seicento»), pp. 280-298, ove troviamo utili considerazioni sul progressivo tramutarsi della «scandalosa dottrina» in «uno strumento necessario alla stabilità dello Stato» (p. 287). In questo saggio è pure cit. Scipione Chiaramonti, un cui esemplare della Raggione di Stato è presente in BGR (segn. AP 557). Sul dibattito italiano relativo alla «ragion di Stato», cfr. Eugenio Garin, Storia della Filosofia Italiana, II, Torino, Einaudi 1966, pp. 765-795 (parte IV, Controriforma e barocco. Da Campanella a Vico, cap. I, La Controriforma)
[11] Palazzo dedica il suo lavoro, il 7 ottobre 1604, a Fabrizio di Sangro («duca di Vietro, Cavalier di San Giacomo, scrivano di ratione di Filippo II Re di Napoli»), di cui era segretario. In BGR (segn. CP 796) esiste un esemplare «Ad uso di F. Arcangelo […] de’ Minimi», come si legge in annotazione sul frontespizio. Abbiamo notizia di due edd. di questo Discorso, Napoli 1604 e Venezia 1606.
[12] Michele Rosa, Chiesa e stati regionali nell’età dell’assolutismo, Torino, Einaudi 1982 («Letteratura Italiana, I, Il letterato e le istituzioni»), p. 361.
[13] Paolo Mauri, Il Piemonte, Torino, Einaudi 1988, («Letteratura Italiana, Storia e Geografia, II. 2, L’età moderna»), p. 825. Botero lascia la Compagnia di Gesù nel 1590, l’anno successivo a quello della pubblicazione del suo volume. Su Botero ed altri autori politici del 1600, cfr. l’Introduzione intitolata Dalle teorie della Ragion di Stato ai movimenti per la riforma politica e l’indipendenza, di Rosario Villari al volume antologico Scrittori politici dell’età barocca, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1998, pp. VII-XXXII.
[14] Machiavelli è tra gli autori elencati nell’Index librorum prohibitorum di Paolo IV (Roma, 1559). La sua condanna è ribadita nel 1564.
[15] Salvatore Guglielmino - Hermann Grosser, Il sistema letterario, III, Milano, Principato 1988, p. 121.
[16] Ibid.
[17] Ibid.
[18] Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Milano, Einaudi Scuola 1992, p. 365.
[19] Rosa, op. cit., p. 315.
[20] Nella «biblioteca Agolanti» esistono al n. 147 i Trattamenti istorici della guerra di Candia (la quale guerra fu un tipico esempio di conflitto di religione, ed i cui echi si trovano anche nelle cronache riminesi del Seicento), ed al n. 53 gli Annali turcheschi. Nella «biblioteca Agolanti» poi incontriamo, al n. 142, il nome di Giovanni Lodovico Vives, di cui in BGR esiste il De conditione vitæ christianæ sub Turca (XVI sec.). Circa i Trattamenti istorici della guerra di Candia, come specifico nell’Appendice, Indice della «biblioteca Agolanti, potrebbe trattarsi di un errore di trascrizione del titolo originale: Frammenti istorici della guerra di Candia di Antonio Santacroce.
[21] Come vedremo successivamente, nella «biblioteca Agolanti» (n. 32) esiste una Historia di Fiandra, senza indicazione dell’autore, che potrebbe essere identificato nel cardinale Guido Bentivoglio.
[22] Anche questo argomento è presente nella «biblioteca Agolanti», dove incontriamo (n. 49) l’Historia delle guerre civili di Francia, Venezia 1630, senza l’indicazione dell’autore, Enrico Caterino Davila.
[23] In BGR troviamo due edizioni delle Opere di Tacito, rispettivamente del 1618 (Venezia) e del 1637 (Firenze).
[24] Le Opere di Malvezzi comprendono Romulo, Tarquinio Superbo, Davide Perseguitato, Il Privato Politico. Un esemplare del Romulo si trova nella stessa «biblioteca Agolanti» (n. 134).
[25] Paul Matthieu, 1563-1621, fu storiografo sotto Enrico IV e Luigi XIII: cfr. nell’Historie de la Littérature Française depuis le XVI siècle jusqu’à nos jour, 1.) XVIe siècle. Prosateurs et poètes, par Frédéric Godefroy (http://gallica.bnf.fr), dove a p. 20 leggiamo: «Le roi [Henri IV] lui recommanda de parler avec une entiére franchise, de n’user envers lui d’aucune complaisance et de ne voir que la vérité. […] Mais l’histor en ne sut pas observer l’impartialité à laquelle il était convié. Trop souvent il pousse son admiration un peu suspecte jusqu’à l’adulation. Après la mort de Henri IV, Matthieu fut égalment attaché à Louis XIII, et en reçut les mêmes témoignages de faveur qu’il avait éprouvés de la part de son pére».
[26] In BGR incontriamo, tra altre opere di Matthieu, le Historie della prosperità infelici d’Elio Seiano. Qui l’autore espone una concezione laica della storia: «mentre durerà il Teatro del Mondo, la fortuna vi rappresenterà le sue Tragedie, e farà vedere, ch’ella abbraccia talvolta coloro, che poi vuole affogare» (p. 58, ed. Venetia, 1620).
[27] I volumi della «Agolanti» dedicati alla Spagna, sono l’Historia della perdita, o riaquisto della Spagna, in quattro volumi (nn. 80, 93, 151, 156); l’Antipatia de’ Francesi e Spagnoli (n. 132); e l’Historia della disunione del regno di Portogallo (n. 148).
[28] Martino Capucci, La cultura del Sei-Settecento, Imola, University press Bologna 1977, («Storia dell’Emilia Romagna, II»), p. 572.
[29] Ibid., p. 573.
[30] Riccardo Merolla, Lo Stato della Chiesa, («Letteratura Italiana, Storia e Geografia, II. 2, L’età moderna», op. cit.), p. 1029.
[31] Il re di Spagna, scrive Boccalini, fa i papi a suo piacimento: per cui, la corte romana dipende da lui che, «sotto titolo di Prencipe Cattolico, e di Protettore, e difensore della Chiesa di Christo» dona «a questo, e a quell’altro Prelato, con simulata carità, diverse sorti d’entrate», e tiene «mano nella elettione de’ Vescovi, e de’ Cardinali». Ciò facendo, egli si obbliga «in fine i parenti de’ Papi, e ogni altro dipendente da quella Repubblica, con l’allettamento dell’avaritia, e dell’ambitione». I Religiosi claustrali, aggiunge, non soltanto sono divenuti servitori di quel Re, ricevendone ricchezze ed entrate, ma in tutt’Europa, imbrogliando con «mille loro inventioni in apparenze sante i poveri popoli, si sono fatti tiranni spirituali delle Anime, de i loro corpi, e della robba loro» [pp. 441-444, ed. BGR, Cosmopoli (i.e. Venezia) 1664]. La Pietra «ebbe un successo strepitoso: nel solo 1615 ne apparvero in Italia quindici differenti ristampe e un’altra ventina seguirono nel sessantennio seguente ad opera di tipografi italiani, francesi e fiamminghi» (Luigi Firpo, T. B., DBI, vol. XI, I.E.I., Roma 1969, pp. 11-19). L’edizione veneziana «promossa avventurosamente da un ignoto amico dell’autore, fu postuma e clandestina come le altre diciotto che ad essa seguirono nel giro di pochi anni»: cfr. Villari, op. cit., p. XII.
[32] Nato e morto a Cesena (1565-1652), insegnò a lungo a Pisa (a partire dal 1592) e si ritirò in un convento cappuccino in seguito alla morte della moglie Virginia Abbati, con cui era vissuto per mezzo secolo; compose anche una storia della sua città: cfr. Cesarina Casanova, Ai vertici della società, Rimini, Ghigi 1989 («Storia di Cesena, III. La dominazione pontificia, secoli XVI-XVII-XVIII»), p. 94. Altre notizie si trovano in saggi diversi della stessa opera, passim.
[33] Il figlio Simone Chiaramonti ricorda nella Cesena trionfante che il padre Scipione aveva «difeso così sodamente la parte aristotelica» ed anche «convinti li Kepleri […] mortificati li Galilei»: cfr. C. Casanova, La storiografia a Bologna e in Romagna («Storia dell’Emilia Romagna, II», cit.), p. 618. A Rimini, Scipione Chiaramonti era noto per aver scritto una Cæsenæ historia (1641), in cui identifica il «Rubicone degli Antichi» con il Pisciatello (pp. 17-45). In polemica con questa tesi apparve l’Ariminesis Rubicon in Cæsenam Claramontii (1641) di mons. Giacomo Villani, sostenitore delle ragioni dell’Uso. Una copia del volume di Villani è presente con il n. 21 nella «biblioteca Agolanti». Sulla complessa e secolare questione rubiconiana, rimando a due miei lavori di prossima pubblicazione: Lettori di provincia nel Settecento romagnolo. Giovanni Bianchi (Iano Planco) e la diffusione delle Novelle letterarie fiorentine. Documenti inediti, comunicazione tenuta al Convegno sammarinese degli Studi Romagnoli (ottobre 2000); e Tra erudizione e nuova scienza. I Lincei riminesi di Giovanni Bianchi (1745), comunicazione svolta al Convegno forlivese (maggio 2000) su Le Accademie in Romagna dal ’600 al ’900, organizzato dalla Società di Studi Romagnoli. Abbiamo già visto, in una precedente nota che la Colonia riminese dell’Arcadia era stata definita «Rubiconia». Un ricordo di essa s’incarna nell’Accademia Rubiconia Simpemenia dei Filopatridi di Savignano, essendo il termine «Simpemenia» usato per indicare l’«adunanza dei pastori». La Rubiconia Simpemenia nascerà in aperto contrasto con Rimini: infatti, proprio nell’invito diffuso il 26 febbraio 1801 alla gioventù savignanese, si definiscono «dotte chimere» le opinioni sul Rubicone espresse mezzo secolo prima da Planco che lo aveva identificato nell’Uso. Proprio a Rimini era stato diffuso, qualche anno prima, il termine di Filopatride in un proclama diretto «Al popolo del Rubicone». In calce al proclama si legge: «Impresso con pubblica approvazione in una Città del Mondo da sincero Filopatride all’insegna della Verità l’anno primo della Repubblica Cispadana». (La Cispadana era stata proclamata il 27 dicembre 1796. La Cisalpina nasce il 29 giugno 1797: di essa la Romagna fa parte dal 27 luglio. Il 3 novembre la Cisalpina viene divisa in venti dipartimenti. Inizialmente il capoluogo del dipartimento del Rubicone è Rimini, poi dal primo settembre 1798 passa a Forlì.) Il proclama riminese diretto «Al popolo del Rubicone» esalta «l’invitto liberatore d’Italia, il Distruttore della Oligarchia», Napoleone; condanna la «prostituzione» dei passati governanti che avevano favorito «l’Egoismo, e l’Aristocrazia», mali contro i quali era necessario combattere; e lancia questo grido di battaglia: «A terra Egoisti, Aristocratici, Disturbatori della bella Democrazia a terra». La parola Filopatride, dunque, ha una valenza politica che non poteva non essere presente anche alla mente dei giovani savignanesi che davano vita alla Rubiconia: Girolamo Amati, Bartolomeo Borghesi e Giulio Perticari. Il che è confermato da due fatti: la diffidenza con cui le autorità locali accolsero le adunanze accademiche; e l’esperienza liberale di Bartolomeo Borghesi che si rifugiò a San Marino nel 1821. (Per una storia dei Filopatridi, cfr. Dario Mazzotti, Rubiconia Accademia dei Filopatridi, Note storiche e biografiche, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 1975, passim.)
[34] Capucci, op. cit., p. 572.
[35] Circa l’unione delle due materie, ricordiamo ad esempio che nell’Università di Bologna, «il Collegio di Medicina insieme a quello di Filosofia, è parte della struttura binaria del Collegio degli Artisti». «I due Collegi sono distinti come lo sono i dottorati in Medicina e in Filosofia; […] ma molti dottori appartengono di fatto a entrambi i Collegi. Dalla fine del Cinquecento alla fine del Settecento, le liste dei Collegiati di Filosofia e di Medicina coincidono in buona misura ma non completamente […]»: cfr. Gianna Pomata, La promessa di guarigione, malati e curatori in antico regime, Bologna xvi-xviii secolo, Bari, Laterza 1994, p. 15 e p. 46 nota 1. Sull’argomento, cfr. Antonio Montanari, Modelli letterari dell’autobiografia latina di Giovanni Bianchi (Iano Planco, 1693-1775), «Studi Romagnoli», XLV (1994), Cesena 1997, pp. 277-299.
[36] In BAG si trovano sia le Memorie, sia le Relazioni, sia il Della guerra di Fiandra. A proposito del tema della guerra, nella «biblioteca Agolanti» appare un testo di Pietrino Belli (Dell’arte militare, n. 14), che espone la concezione giuridica dei conflitti armati per dirimere i contrasti internazionali. Belli, giureconsulto, fu fra i più chiari esponenti del suo secolo. Un’indiscussa importanza è attribuita alla sua opera, basata sul concetto del rispetto dei trattati.
[37] Nell’inventario, F. Pallavicino (1616-1644) viene dichiarato autore soltanto del Sansone; mentre sono riportate anonime altre sue cinque opere: Il Principe Hermafrodito, La Rete di Vulcano, La Pudicizia schernita, Agrippina minore e Panegirici epitalami, Discorsi accademici, Novelle et Lettere amorose. La vicenda di Pallavicino è esaminata, sotto il profilo letterario e politico, in Mario Allegri, Venezia ed il Veneto dopo Lepanto («Letteratura Italiana, Storia e Geografia, II. 2, L’età moderna», op. cit.), p. 959 e p. 969. (A p. 966, Pallavicino è definito «personaggio determinate per la sorte complessiva di tutto il romanzo veneto», proprio a causa della sua vicenda. Egli era giunto a Venezia nel 1634.)
[38] Tra i suoi scritti, va ricordata La rettorica delle puttane, testo in cui sostiene che «appare personaggio d’elevati sensi chi applica tutto se stesso anche al male per sortire nell’attione sua con eccesso di perfettione»: cfr. Gabriele Muresu, Chierico e libertino, Torino, Einaudi 1982 («Letteratura Italiana, V, Le Questioni»), p. 924.
[39] Dall’ambiente dell’Accademia degli Incogniti proviene la cit. Anima di Ferrante Pallavicino (1643).
[40] Claudio Varese, Teatro, prosa, poesia, Garzanti, Milano 1967 («Storia della Letteratura Italiana, V, Il Seicento»), p. 696. Brusoni fu primo biografo di Ferrante Pallavicino. Egli, dopo momenti molto turbolenti della sua esistenza, ripiegò su «posizioni più conformistiche» e sembrò voler superare la concezione della «ragion di Stato», preavvertendo l’esistenza settecentesca della «pubblica felicità» (ibid., p. 933). Di Brusoni, l’«Agolanti» possiede un altro testo (che nell’inventario, al n. 138, appare pure esso anonimo come lo sono Le guerre d’Italia), cioè la Nuova scelta di sentenze, motti e burle, Venezia 1657. Sulla figura di Brusoni, cfr. pure Alberto Asor Rosa, La narrativa italiana del Seicento, Torino, Einaudi 1984 («Letteratura Italiana, III, Le forme del testo. II, La prosa»), pp. 742-743.
[41] Merolla, op. cit., p. 1032.
[42] Al proposito si può ricordare che Lancillotti scrive anche I farfalloni degli antichi istorici notati, Venezia 1636.
[43] Merolla, op. cit., p. 1032-1033.
[44] Gabriel Naudé tratta di un altro tema che è «pilastro della cultura barocca», cioè «l’invettiva contro la plebe, la denuncia dei suoi vizi e delle sue nefandezze»: cfr. Villari, op. cit., p. XIX.
[45] Ibid., p. 1032. La polemica di Lancillotti contro gli antichi assume una valenza molto più ampia nell’accademico linceo monsignor Giovanni Ciampoli, amico di Galileo, il quale scrive che «nello spazio di quasi settanta secoli, nei quali si ristringe tutta la notizia delle memorie umane», la diligenza umana ha letto solo un’infima parte del gran libro della Natura; e che «la perfezione della sapienza è figlia del tempo». Ciampoli inoltre distingue tra i dogmi della fede («soggetta all’autorità»), e la scienza che «non crede ad altri che alla dimostrazione». Egli sa che dinanzi al «sapere» sta sempre il «potere» dei professori, i quali siedono «sopra una cattedra stipendiata», ed «odiano non men d’imparare che di filare»; il potere li strumentalizza e li umilia, è l’amara conclusione di Ciampoli che nel ’32 fu costretto a lasciare Roma: cfr. Ezio Raimondi, Scienziati e viaggiatori («Storia della Letteratura Italiana, V, Il Seicento», cit.), pp. 281-282.
[46] Allegri, op. cit., p. 943.
[47] L’opera è indicata con il solo titolo. Boccalini muore nel 1613.
[48] Muresu, op. cit., p. 921.
[49] Allegri, op. cit., p. 957. Loredano, assieme ad altri autori, è presente in un piccolo elenco di libri stilato da Belmonte Belmonti in due delle sue Lettere a stampa, pubblicate a Rimini nel 1650 e nel 1664. Due delle opere elencate nella lettera del 4 novembre 1645 da Ferrara (p. 296, II ed.), appaiono pure nell’«Agolanti»: «Il Mercurio del P. Siri» e «l’Istoria de’ nostri tempi» di Gualdo-Priorato. In questa lettera Belmonti ricorda poi «la Repubblica di Lesbo del P. Ab. Sgualdi» (autore che nell’«Agolanti» incontriamo con L' Uticense aristocratico, overo Il Catone…); e questi altri titoli: «le Turbolenze di Catalogna dell’Assarini, le novelle Albergo e Nove del Co. Bisaccioni, le Rime ultime del Co. Testi». In una successiva epistola, del 16 agosto 1650 (p. 542, II ed.), Belmonti riferisce della «lettura de’ libri d’amenità, e specialmente d’alcuni mandati modernamente alle stampe». Qui ci sono «i Successi differenti del Vescovo di Belley», cioè J. P. Camus, presente nell’«Agolanti» con due testi (Elisa ed Ifigene), e «i Vari trattati del Loredano» di cui l’«Agolanti» contiene le Opere. Gli altri titoli elencati sono «le Ode del nostro Sig. Girolamo Porti, le Opere dell’Achillini ristampate, e aggiunte; le Rime di Mons. Ciampoli, l’Agrippina Minore di Francesco Capacio, e ‘l bellissimo Poema detto il Conquisto di Granata del Sig. Girolamo fratello» di Massimiliano Gratiani, destinatario della missiva che si conclude così: «e in questa forma», cioè leggendo, «vo passando la stagione più noiosa». Nelle stesse Lettere di Belmonti, alla data del primo luglio 1657 (II ed., pp. 357-358), leggiamo che la regina Cristina di Svezia fu ospite degli Agolanti, alla Tomba d’Arcione. (Galeazzo Gualdo-Priorato, che appare nella «Agolanti» con tre titoli, è autore anche di una Historia della sacra real maestà di Christina Alessandra regina di Suetia, Roma 1656.)
[50] Ibid., p. 958.
[51] Tonini, op. cit., p. 52.
[52] Cfr. Antonio Montanari, Giovanni Bianchi (Iano Planco) studente di Medicina a Bologna (1717-19) in un epistolario inedito, «Studi Romagnoli», XLVI (1995), Cesena 1998, pp. 379-394.
[53] Angelo Turchini, G. Bianchi (Iano Planco) e l’ambiente antiquario riminese e le prime esperienze del card. Garampi (1740-1749), estratto [1975] da «L. A. Muratori storiografo», Modena 1972, p. 389.
[54] Il resto dell’opera «è conservato manoscritto» in BGR: cfr. Delbianco, La Biblioteca Gambalunghiana, cit., p. 1126.
[55] Turchini, op. cit., p. 390
[56] Tonini, op. cit., p. 103.
[57] Ibid., p. 110.
[58] Il barocchismo dell’Italia Accademica di Garuffi, è confermato da giudizi odierni: cfr. Carlo Ossola, Autori, committenti, pubblico Torino, Bollati Boringhieri 1994 («Manuale di Letteratura italiana», a cura di Franco Brioschi e Costanzo Di Girolamo, ii), p. 111, nota 67.
[59] Turchini, op. cit., p. 393. Lettera del 7 luglio 1739. (Circa «i giornalisti di Lissia», il riferimento è agli Acta eruditorum lipsiensium, fondati nel 1682.)
[60] Ibid., p. 422.
[61] Ibid., p. 392.
[62] Bianchi si teneva costantemente informato sulle novità editoriali e culturali anche attraverso i suoi numerosi corrispondenti. Una fonte privilegiata era il suo ex allievo Giuseppe Garampi da quella Roma considerata dal giovane erudito riminese come una «città di negozi» in cui si stentava a trovare «novità letterarie»: cfr. in Fondo Gambetti, Lettere al dottor Giovanni Bianchi, BGR [FGLB], ad vocem, 25.11.1750.
[63] Da una lettera di monsignor Davìa ad Eustachio Manfredi del 17 dicembre 1722, in Antonio Rotondò, La censura ecclesiastica e la cultura, Torino, Einaudi 1973 («Storia d’Italia V, ii»), pp. 1486-1488. Davìa fu creato cardinale nel 1724, e nel ’26 rinunziò alla Chiesa riminese. Trasferitosi a Roma, presiede il Sant’Uffizio e la Congregazione dell’Indice, avendo un ruolo fondamentale nella condanna di Locke del 1734. (Cfr. A. Montanari, Nei «ripostigli della buona Filosofia». Nuovo pensiero scientifico e censure ecclesiastiche nella Rimini del sec. XVIII, «Romagna arte e storia», 64, 2002.) Nei Primi disegni muratoriani, «l’esortazione conclusiva ai filosofi contemporanei aveva già un’implicazione di razionalismo sperimentale, che rivelava l’influenza di Locke e preannunziava il nuovo corso illuminista»: cfr. Furio Diaz, Politici ed ideologi, Milano, Garzanti 1968 («Storia della Letteratura Italiana, vi, Il Settecento»), p. 108. Si ricordi pure, nelle Riflessioni sopra il buon gusto, il cap. XV che ha come titolo: «Filosofia universale necessaria a tutte le Scienze ed Arti. […] Sempre filosofare».
[64] I due Discorsi sono La Filosofia alleata della Religione (1778) e Dell’indole della Verità, e delle Opinioni (1786). Quest’ultimo procura ad Amaduzzi grosse grane che avrebbero potuto avere per lui gravi conseguenze, se non lo avesse salvato il conterraneo Pio VI. Nel recente volume Due Papi per Cesena. Pio VI e Pio VII nei documenti della Piancastelli e della Malatestiana (a cura di Paola Errani), Bologna, Pàtron 1999, si legge (nel saggio di Massimo Ceresa, Una biblioteca nella Rivoluzione, p. 216) che Pio VI possedeva «una sola opera, un opuscolo, di Giovanni Cristofano Amaduzzi», secondo quanto emerge da un Catalogo conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Grazie alla cortesia della stessa Biblioteca Apostolica Vaticana, ed in particolare dell’autore del saggio, dottor Massimo Ceresa che vi lavora, ho potuto apprendere che l’opuscolo è appunto il Discorso dell’indole della Verità, e delle Opinioni. Questa notizia fa ipotizzare che, proprio attraverso quella copia che figurava nella sua biblioteca, il pontefice abbia avuto conoscenza del lavoro amaduzziano. Ai due Discorsi già ricordati, La Filosofia alleata della Religione (1778), e Dell’indole della Verità, e delle Opinioni (1786), va aggiunto quello intitolato Sul fine ed utilità dell’Accademie (1776), il primo in ordine cronologico. Sui Discorsi amaduzziani, cfr. Antonio Montanari, Appendice a La Filosofia alleata della Religione, ed. anast., Rimini, Il Ponte, 1993, pp. 54-59.
[65] Cfr. Antonio Montanari, Il contino Garampi ed il chierico Galli alla «Libreria Gambalunga». Documenti inediti, «Romagna arte e storia», 49, 1997, pp. 57-74. Galli diventerà abate e poi minutante alla Segreteria di Stato a Roma. Quando Planco nel novembre ’45 ricostituisce a Rimini l’Accademia dei Lincei, lo nomina segretario perpetuo. Il 3 dicembre dello stesso ’45, Galli tiene nell’Accademia planchiana una dissertazione «sopra l’utilità della lingua Greca».
[66] Sull’attività di questa scuola, cfr. Antonio Montanari, Due maestri riminesi al seminario di Bertinoro. Lettere inedite (1745-51) a G. Bianchi, «Studi Romagnoli», XLVII (1996), Cesena 1999, pp. 195-208. Su questo stesso argomento ritorno, a proposito di Amaduzzi, nella nota 90, ove riproduco un mio articolo sui compiti del giovane Amaduzzi alla scuola di Planco.
[67] Si potrebbe facilmente ironizzare su questa funzione di educatore svolta da mons. Pasini nei confronti del giovane Bertòla, oggi ricordato come personaggio propenso alla licenza morale ed alla voluttà più che alla pietà religiosa. Ma il giudizio sarebbe ingeneroso verso Pasini ed ingiusto nei confronti di Bertòla, vittima di una situazione famigliare che lo costrinse alla vita monastica contro il suo volere ed il suo naturale. Cfr. Antonio Montanari, La filosofia della voluttà. Aurelio Bertòla nelle lettere di Elisabetta Mosconi, Rimini, Raffaelli 1997; Id., Aurelio De’ Giorgi Bertòla, «Il carteggio tra Amaduzzi e Corilla Olimpica, 1775-1792», a cura di L. Morelli, Firenze, Olschki 2000, pp. 389-398.
[68] L’espressione «negli Anni adietro» pare rimandare al suo immediato predecessore, di cui Bianchelli parla all’inizio della citazione, cioè ad Antonio Brancaleoni, che tenne l’ufficio di bibliotecario a partire dal 1715: cfr. Delbianco, op. cit., p. 1126.
[69] Sulla mancanza di «buoni Libri» nella Gambalunghiana, ricordiamo che c’è una testimonianza di Planco il quale, il 27 maggio 1739, scriveva a L. A. Muratori che le opere di quest’ultimo non erano presenti nella biblioteca riminese. La lettera è riportata in A. Turchini, op. cit., p. 385. Contrasta con la disattenzione delle pubbliche istituzioni culturali, l’interesse intellettuale dimostrato da molti allievi di Planco, per i quali egli svolge il ruolo di consigliere che suggerisce libri soprattutto in campo scientifico, come si ricava dall’epistolario [FGLB].
[70] Minutario, SC-MS. 969, BGR, cc. 300v-301r.
[71] La lettera è del 22 gennaio 1743.
[72] Lo sforzo di aggiornamento della BGR continua anche negli anni successivi, come documenta questa lettera (inedita) inviata dal «principale Bibliotecario» Bernardino Brunelli il 16 febbraio 1766 al marchese Bernardo Tanucci, primo ministro del re di Napoli (AP 486, Libreria Gambalunga, ASR, Archivio Storico Comunale): in essa si dice di volerla rendere «vieppiù aumentata di Libri di ogni Scienza, ed Arte, de’ quali a comune beneficio sin d’ora abbonda, e da Noi premurosamente si fà tuttavia ampliare». Al re di Napoli si chiedono in omaggio «tutti quei Libri, che a regie spese sonosi fin’ora stampati, e in appresso si stamperanno sopra le rinomate scoperte di Ercolano, e le Fabbriche di Caserta, onde a beneficio de’ Leterati, ed a perpetua memoria insieme di così insigne opera, possano conservarsi nella Libreria stessa, che ogni giorno sta aperta a comodi di tutti anche Esteri, ed hà un tenue assegnamento annuo per la sua ampliazione». La risposta da Napoli fu positiva, se il successivo 4 maggio la Municipalità ringraziava ufficialmente il primo ministro Tanucci (ibid.).
[73] Giuseppe Nicoletti, Firenze e il Granducato di Toscana, («Letteratura Italiana, Storia e Geografia, II. 2, L’età moderna», op. cit.), p. 770; Allegri, op. cit., pp. 975-976.
[74] Planco collaborò assiduamente alle Novelle letterarie: cfr. la cit. comunicazione Lettori di provincia.
[75] Montanari, Modelli letterari, cit., pp. 288-293.
[76] Sul tema cfr. la cit. comunicazione Tra erudizione e nuova scienza.
[77] Gian Ludovico Masetti Zannini, Carta e stampa nel Settecento, «Bollettino dell’Istituto di Patologia del Libro «Alfonso Gallo», XXXI, 1972, fascc. I-IV, p. 120, nota 13.
[78] Montanari, Modelli letterari, cit., p. 282, ove è riportata la prima lettera inviata da Lami a Bianchi (25 novembre 1741), contenente l’accenno ad uno «stampato accluso» che doveva dettare le norme per comporre lo scritto autobiografico per i Memorabilia. Nel 1741 le Novelle letterarie stavano già uscendo da un anno.
[79] Nel Genio de’ letterati, si veda il piano editoriale illustrato a p. 119 del II tomo.
[80] Il titolo esatto è Bibbioteca, e non Biblioteca come quasi sempre si trova riportato.
[81] Tutta la vicenda è documentata nella cit. comunicazione Tra erudizione e nuova scienza. Nell’Index Librorum Prohibitorum Benedicti XIV P.O.M. iussu editus, Roma 1758, fu inserito a p. 80 il titolo del Discorso (in lode dell’Arte Comica), e taciuto il nome di Bianchi, come questi aveva chiesto al pontefice.
[82] Sul tema, cfr. Antonio Montanari, Per soldi, non per passione. «Matrimonj disuguali» a Rimini (1763-92): tra egemonia nobiliare ed ascesa borghese, «Romagna arte e storia», 52, 1998, pp. 45-60, ove si parla della vicenda di Elisabetta Tintori sposata al marchese Giambattista Carradori Fregoso, e definita in un documento pubblico donna «di bassa estrazione, e maggiormente avvilita dall’esercizio di Cantastorie sopra un pubblico teatro» (p. 46). Elisabetta Tintori era figlia di un chirurgo.
[83] Sull’argomento cfr. il mio volume, di prossima pubblicazione, Iano Planco, la puttanella, il vescovo. Retroscena di una condanna all’Indice, Raffaelli, Rimini. Di Antonia Cavallucci mi occupo anche nella comunicazione al Convegno degli «Studi Romagnoli» del 2001, di prossima pubblicazione, intitolata «Contro il volere del padre». Diamante Garampi, il suo matrimonio, ed altre vicende riguardanti la condizione femminile nel secolo XVIII.
[84] Nella nuova serie delle Novelle letterarie, che inizia, sempre a Firenze, nel 1770 dopo la morte di Giovanni Lami, Bianchi pubblica una lettera (cfr. tomo I, n. 30, 27 luglio 1770, coll. 471-474), in cui ricorda la benevolenza usata dal pontefice nei suoi confronti: «Nostro Signore oltre ad avermi dichiarato suo Archiatro Segreto Onorario, mi ha fatto duplicare lo stipendio, che mi dava la mia Patria, acciocché possa tirare avanti i miei studi, e le mie stampe, raccomandandomi nelle sue lettere, che io seguiti a promuovere nella gioventù i buoni studi della filosofia tutta, e della lingua Greca spezialmente». Nei suoi Viaggi 1740-1774, SC-MS. 973, BGR, c. 569v, 25 settembre 1769, Planco rammenta che Clemente XIV rispose alle sue felicitazioni per l’elezione, con una lettera «dove mi stimola a seguitare a promuovere li buoni studi di Filosofia, e di Lingua Greca nella Gioventù».
[85] Delle difficoltà incontrate per la pubblicazione dell’Orazion funerale, parla lo stesso G. P. Giovenardi in due lettere (inedite) al nipote di Planco, il medico Girolamo Bianchi. Nella missiva del 7 gennaio 1777 leggiamo che, in caso di edizione di quel testo, era minacciata allo stesso Girolamo Bianchi «la privazione dell’Ospitale dal vescovo», come si vociferava autorevolmente in città. Il 5 aprile 1777 Giovenardi suggeriva a Girolamo Bianchi di restare estraneo alla distribuzione di quell’opuscolo «per isfuggire qualunque odiosa taccia di parzialità, e mettersi al coperto da qualunque vendetta trasversale, alla quale potesse pensare il vescovo contro di lei». (V. cartella Giovenardi, don Giampaolo, Fondo Gambetti, Miscellanea Manoscritta Riminese, BGR.) Il 5 giugno 1773 Bianchi aveva dettato le sue volontà al notaio Francesco Masi, disponendo tra l’altro che l’orazione funebre in suo onore, senza l’obbligo di recitarla, venisse stampata «in 4° in buona carta, non in Rimino, né in Pesaro, ma in Cesena, o altrove ove siano buoni caratteri», con una tiratura di «cinquecento copie per distribuirle». Nel testamento, Bianchi indicava una terna di autori tra cui scegliere l’incaricato per l’orazione funebre: don Giovanni Paolo Giovenardi, il dottor Cesare Torri di Jesi, ed il signor Lorenzo Drudi, un riminese che allora studiava medicina a Bologna e che sarebbe divenuto bibliotecario della Gambalunghiana, tra 1797 e 1818. Dopo il decesso di Bianchi, fu incaricato G. P. Giovenardi. L’Orazion funerale, da lui composta, fu recitata a Rimini nel Palazzo pubblico il 5 dicembre 1776 e pubblicata «in Venezia presso Simone Occhi» nell’aprile del 1777. Drudi («uomo asiatico, pesante, e per conseguenza mediocre» a detta di Giovanni Cristofano Amaduzzi), non volle essere da meno, e scrisse pure lui, nello stesso 1776, una Laudatio in onore di Planco. Per stampare l’Orazion funerale la scelta cadde su Venezia e non su Cesena forse per poter dare maggiore diffusione allo scritto.
[86] Montanari, Modelli letterari, cit p. 291. Circa il ruolo svolto in città dai Padri Minimi, riprendiamo dalle Novelle letterarie fiorentine, tomo XIV, n. 43, 26 ottobre 1753, coll. 677-679, una corrispondenza da Rimini in cui si ricorda l’accademia «di cose di fisica», da essi organizzata e dedicata a Giovanni Bianchi. A Bianchi è indirizzata un’«elegante lettera latina» che fa da prefazione alla tesi del Padre Filippo Bordi («dovendo egli trovare uno, che protegesse dalle dicerie degli invidiosi le sue Tesi, subito gli è venuto in mente il Signor Dottor Bianchi, uomo dottissimo, il quale per fare egli ancora scuola, e per aver mandate alla luce varie opere, si può dire che colla sua varia dottrina sia d’ornamento all’Italia tutta», col. 677).
[87] Nell’Autobiografia di Giambattista Vico leggiamo che, già sul finire del 1600, «si era cominciata a coltivare la filosofia d’Epicuro sopra Pier Gassendi» (Balsamo, Ed. Paoline 1958, pp. 48-49). La vicenda biografica di Vico è esemplare per comprendere il clima del tempo. Scrive Francesco De Sanctis: «Il movimento europeo gli giunse attraverso la sua biblioteca […]. Gli venne addosso la fisica di Gassendi, poi la fisica di Boyle, e poi la fisica di Cartesio. […] E per capire Gassendi si pose a studiare Lucrezio. […]» (Storia della letteratura italiana, ii, Milano, Feltrinelli 1956, p. 357). Gassendi su Epicuro pubblicò anche, nel 1649, le Animadversiones sul decimo libro di Diogene Laerzio (BGR, segn. CT 660-662).
[88] Cfr. Cataloghi e indici della Biblioteca di Giovanni Bianchi, SC-MS. 1352, BGR.
[89] «Critico del dogmatismo degli aristotelici, degli occultisti, dei cartesiani, Gassendi era vicino a posizioni libertine e teorizzava uno scetticismo metafisico che costituiva la premessa per l’accettazione consapevole del sapere ‘limitato’ della scienza»; secondo una «tesi centrale» di Gassendi, «la nuova scienza non è interessata né alle scolastiche quidditates rerum né agli arcana naturæ dei maghi del Rinascimento: è conoscenza fenomenica del mondo»: cfr. Paolo Rossi, La filosofia meccanica, Milano, Tea 2000 («Storia della scienza moderna e contemporanea», I), pp. 248-249.
[90] Cfr. Antonio Montanari, I compiti del giovane Amaduzzi alla scuola riminese di Iano Planco, «Riminilibri», 5, marzo 1994: «Il Liceo privato istituito e gestito a Rimini da Giovanni Bianchi, venne frequentato anche da Giovanni Cristofano Amaduzzi. Preziosa testimonianza dell’attività didattica che vi si svolgeva, sono i sette compiti (finora inediti), assegnati da Planco e svolti da Amaduzzi, conservati nella Biblioteca dell’Accademia dei Filopatridi [BFS]. Della loro esistenza ho dato per primo notizia in Lumi di Romagna (Rimini, Il Ponte 19932, nota 1, p. 102). Amaduzzi, in una pagina anch’essa inedita (Manoscritti, 33, c. 35, BFS), scrive di sé: “Ha atteso per sette anni allo studio della Filosofia e Lingua Greca sotto la disciplina del Ch: Dott. Giovanni Bianchi”. I compiti si riferiscono agli anni 1757-59. La frequenza del Liceo planchiano è relativa al periodo 1755-62. Nel 1762 infatti Amaduzzi, all’età di 22 anni, viene avviato a Roma dal suo maestro. Gli argomenti dei sette compiti svolti da Amaduzzi sono relativi alla filosofia e alla scienza, e propongono questi argomenti: l’impossibilità di difendere il sistema tolemaico; la funzione della logica artificiale come propedeutica alle altre Scienze; la forza elettrica; gli spiriti degli animali bruti; la sede nel cervello degli affetti dell’animo; i nervi dell’udito; la digestione. L’esperienza di Amaduzzi nel Liceo privato di Planco ha un molteplice significato. Il savignanese conosce argomenti filosofici che in seguito approfondirà e svilupperà in tre importanti Discorsi [vedi sopra, nota 64]. Inoltre Amaduzzi si accosta a problemi medici ai quali non sarà mai indifferente, se raccoglierà nella propria biblioteca (ora presso i Filopatridi), molti opuscoli che ne trattano. Infine l’esperienza con Bianchi lascerà in Amaduzzi una traccia nel terzo Discorso, Dell’indole della Verità, e delle Opinioni, dove (p. 51) l’ex allievo polemizza con l’antico maestro, quasi a volere insinuare che Planco nulla avesse compreso delle teorie di Newton. […] In sostanza, Bianchi appariva più come un vecchio umanista che un nuovo filosofo dell’età dei Lumi. Di ciò si ha conferma se si confrontano i titoli dei compiti assegnati da Planco con gli argomenti affrontati negli stessi anni su periodici e libri scientifici. Planco appare su posizioni incerte ed arretrate. Costringere gli allievi a spiegare che il sistema tolemaico non poteva essere difeso “nulla ratione”, a oltre due secoli dall’opera di Copernico, significava discutere di argomenti polverosi, mentre la nuova scienza percorreva le strade d’Europa. Planco sembra riproporre ai suoi allievi gli stessi argomenti da lui studiati quand’era giovane, prima a Rimini e poi a Bologna. Nella terminologia usata in quei temi liceali, ci sono talora ricordi cartesiani, come là dove si parla di “spiriti animali” (si veda al proposito il cap. XVII del Discorso sul metodo). Altri argomenti (sede degli affetti, digestione), vanno invece in direzione opposta, negando le tesi di Descartes.»
[91] Montanari, Appendice a La Filosofia alleata della Religione, cit., p. 53.
[92] Francesco Toleto è presente in essa (nn. 122 e 158), con una doppia citazione del Compendium Summæ, curato da Genesio Minucci. La prima volta, il titolo è riportato soltanto in parte nell’inventario della «Agolanti» (Compendium Summæ); la seconda, invece per esteso (Compendium Summæ Card. Soleti).
[94] Lina Bolzoni, Oratoria e prediche («Letteratura Italiana, III, Le forme del testo. II, La prosa», cit.), p. 1062.
[95] L’opera è di Pietro Alagona.
[96] Concilium tridentinum [Istoria del Concilio Tridentino] è al n. 139; al n. 102 è ricordata un’anonima Republica di Venetia: potrebbe trattarsi di un testo di Paolo Sarpi (Historia particolare delle cose passate tra il sommo pontefice Paolo V, e la serenissima republica di Venetia. Scritta dal padre Paolo, e divisa in 7 libri, Mirandola, 1675, oppure Dominio del mar Adriatico della serenissima Republica di Venetia, descritto da fr. Paolo Sarpi suo Consultore d’ordine publico, Venetia, 1686).
[97] In rapporto con Paolo Sarpi fu Tommaso Campanella, alla cui congiura (finalizzata alla realizzazione di una repubblica comunitaria e teocratica), avrebbe partecipato anche Rutilio Benincasa (1555-1626), autore dell’Almanacco perpetuo, presente nella «biblioteca Agolanti» (n. 162). L’Almanacco, considerato oggi un «eterno best-seller dell’Italia “profonda”» di quel tempo («Letteratura Italiana, Storia e Geografia, II. 2, L’età moderna», cit., v. alla fig. 72), era definito nel titolo «utile così ad astrologi, medici, agricoltori, nocchieri, come a qualsivoglia altra curiosa persona». L’astronomia allora era considerata premessa all’astrologia. Quest’ultima fu condannata da papa Sisto V. (Sull’opera dell’Inquisizione, Sarpi scrisse: «In Italia molti buoni dottori hanno insegnato la verità, ma per la patronìa che [gli ecclesiastici della Corte romana] hanno delle stampe li libri sono distrutti, sì come tentano di distruggere li nostri, e non permettono che li dottori di buona coscienza pubblichino le loro dottrine»: cfr. Villari, op. cit., p. XIV.)
[98] Rosa, op. cit., p. 349.
[99] Il manoscritto indicato nell’inventario dell’«Agolanti» con il n. 159, probabilmente si può identificare in parte (come vedremo) con il piccolo fascicolo conservato in BGR, SC-MS. 925, e registrato sotto il titolo di Libretto di memorie familiari. Tale titolo è presente nel cosiddetto «Catalogo Lucchesi», mentre in un’anteriore Scheda Gambetti, BGR, leggiamo: «Agolanti Giulio riminese nato il 3 Dicembre 1523. Morto nel 1598. Memorie mss. autografe di sé stesso. 8° di 60 carte (mancante). Mss. Sc. IV. Busta n° VII. N°3». Si tratta in tutto di 17 cc. che iniziano con questa frase «Memoria che io Julio Agulanti, naqui il di 3 di decembro, ne l’anno 1523 a hore 12 si commo ho veduto in un libro vecchio di mio padre, qual per non haverlo io potuto havere, mi è parso conveniente farne nota in questo mio libretto per potennere servire per me, et per altri, ogni volta che mi occorre». Giulio Agolanti vive dal 1523 al 1598. Le cc. nn. 66 e 70 del Libretto recano però date posteriori (rispettivamente il 1600 ed il 1599). Il Libretto ha una numerazione moderna ed una antica. Le riportiamo entrambe, mettendo la seconda tra parentesi quadra: 1 [2], 2 [4], 3 [30], 4 [39], 5 [48], 6 [49], 7 [51], 8 [52], 9 [57], 10 [58], 11 [59], 12 [60], 13 [63], 14 [66], 15 [68], 16 [69], 17 [70].
[100] Per il controllo delle edd. presenti in BAG, è fondamentale il lavoro di Silvia Pratelli, Il fondo originale della Biblioteca Gambalunghiana di Rimini. Catalogo delle opere, Tesi di laurea 1991-1992, Magistero, Bologna, SC-TS. 1, BGR. L’inventario della BAG è desunto da atto del notaio Mario Bentivegna, 1620: esso comprende 1.439 titoli, corrispondenti a circa duemila volumi: ibid., p. 3.
[101] Su Taddeo Agolanti,
scomparso nel 1703, cfr. Rosita Copioli, Gli Agolanti e i Malatesti,
e la Tomba Bianca di Riccione, «Studi Romagnoli», XLII, cit., p. 261.