il Rimino - Riministoria

E Mussolini cacciò Giulietti da Palazzo Venezia
Un saggio di Vittorio Emiliani in esclusiva per «il Rimino»

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Lo storico Vittorio Emiliani ha cortesemente aderito all'invito di comporre per il nostro giornale un breve ritratto di Capitan Giuseppe Giulietti, al quale sarà dedicato il 20 e 21 giugno un convegno di studi.

Vittorio Emiliani, che è tra i più noti giornalisti italiani, ha pubblicato vari libri, tra cui «Libertari di Romagna» (Longo, Ravenna 1995) che contiene le biografie d'Andrea Costa, Amilcare Cipriani ed Armando Borghi.

Il volume si chiude con un «Dizionario dei personaggi» citati, in cui appare anche la voce dedicata a Giuseppe Giulietti (pp. 122-123). Qui leggiamo che il riminese fu «abile e ambiguo». Per spiegarci il suo giudizio, Vittorio Emiliani ha scritto per «il Rimino» queste pagine che siamo lieti di presentare come contributo al dibattito storiografico in una città che di Giulietti (verrebbe da dire, pure di Giulietti), si era sinora dimentica.

Amilcare Cipriani è anch'egli riminese, non tanto per nascita quanto per appartenere ad una famiglia che qui aveva le sue origini e che qui si trasferì con lui che vi trascorse gli anni sino all'adolescenza.

Ecco il testo che ci ha inviato. [01.06.2003]
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Della potenza carismatica, anche postuma, di Capitan Giulietti, l'ufficiale di marina riminese (e non ligure come comicamente dice il pur recentissimo «Dizionario del Fascismo») il quale unificò e dominò a lungo la Federazione della Gente del Mare, potei rendermi conto nel 1959, cioè sei anni dopo la sua scomparsa.

In quel luglio del 1959 infatti si svolse, lanciato da Genova, in tutti i porti d'Italia e del mondo un memorabile sciopero di oltre 50 giorni dei marittimi italiani. Sull'«Espresso» diretto da Arrigo Benedetti potei scrivere - ero agli esordi - un vasto sevizio nel quale raccontai i molti aspetti epici di quella lotta sindacale. Potei anche unire - e venne subito pubblicata con grande evidenza - la lettera che Angelo Costa, presidente di Confitarma e di Confindustria, aveva scritto a tutti i suoi dipendenti in sciopero stabilendo che quanti di loro si fossero presentati dicendo "Ho sbagliato" (a scioperare), sarebbero stati riammessi a bordo.

Tempi difficili. E lì mi parlò a lungo di Capitan Giulietti, in forma ammirativa in fondo, un comunista vero e attivissimo come il segretario della Film-Cgil Giordano Bruschi, carrarino stabilitosi a Genova, per il quale l'unità sindacale veniva prima di ogni altra considerazione.

Ebbene in quell'occasione i sindacati marittimi riacquistarono una loro prima unità di azione dopo che la scomparsa di Giulietti nel 1953 aveva creato le premesse di una vera e propria frantumazione (credo che i vari pezzi del sindacato fossero arrivati a sette).

Figura carismatica dunque come poche questa di Giuseppe Giulietti, anche se talora controversa. Come tutte quelle di un sindacato che nel primo ventennio del '900 crebbe in modo autonomo, spesso in concorrenza col riformismo del nucleo centrale della CGdL, con venature corporative e anarco sindacaliste. Che lo portarono (vedi il caso di Alceste De Ambris e, in parte, dello stesso Giulietti) a schierarsi per un "interventismo di sinistra" nel primo conflitto mondiale in opposizione al neutralismo della CGdL e di gran parte dei socialisti.

Certo, Giulietti aveva mostrato un coraggio straordinario: un ufficiale che costituisce una cellula sindacale a bordo ben sapendo che in navigazione ogni forma di protesta diventa ammutinamento (ancor oggi, credo) e i suoi responsabile sono passibili di punizioni gravissime.

Egli assunse poi un ruolo "imprenditoriale" - che gli costò guai ed accuse - con la costituzione della potente «Cooperativa Garibaldi» dotata di numerose navi, da lui manovrata anche in senso politico nel primo dopoguerra.

Capitan Giulietti, come è noto, appoggiò apertamente l'impresa fiumana di Gabriele D'Annunzio coltivando però una sua personale idea: quella di una sorta di Marcia su Roma del Vate, che anticipasse quella mussoliniana, e che vedesse la compresenza degli anarco-sindacalisti (Alceste De Ambris era il portavoce di D'Annunzio a Fiume, poi sarà presto antifascista dichiarato e morrà in esilio) e degli stessi socialisti. I quali, come minimo, non dovevano essere "contro".

Intanto Giulietti dirottò una nave, il piroscafo "Persia", carica di armi, probabilmente diretta in Russia, su Fiume. Poi mandò a prendere in Gran Bretagna, a Cardiff, l'anarchico Errico Malatesta e lo portò a Fiume. Ci fu anche una riunione coi socialisti a Roma. Alcuni si dissero d'accordo. Nicola Bombacci (altro romagnolo, testa confusa, all'epoca massimalista, finito poi a Salò col conterraneo Mussolini, coautore della Carta di Verona) era entusiasta. Ma bloccò tutto l'altro leader massimalista Giacinto Menotti Serrati.

Il rapporto di amicizia fra Giulietti e D'Annunzio continuò ancora a lungo dopo il fallimento dell'impresa fiumana. Benito Mussolini guardò sempre con grande sospetto a quella relazione e provocò, alla fine, il distacco del Vate dal sindacalista ancora potente. Si dice che il duce avesse, o avesse avuto, in odio tre oratori di piazza che considerava a lui superiori: uno era l'eroe della trincea delle Frasche, il povero Filippo Corridoni, trasformato in eroe protofascista quando era un anarchico pentito di essersi cacciato nell'intervento bellico (morì nel 1916, figurarsi), il secondo era il grande avvocato socialista (quello dei delitti d'onore) Genuzio Bentini, forlivese, e il terzo proprio il riminese Giuseppe Giulietti.

I rapporti fra i due furono sempre difficili se non tempestosi. Capitan Giulietti cercò di difendere la sua Federazione della Gente del Mare e la stessa Cooperativa Garibaldi finché poté dalla "conquista" da parte del regime. Una illusione pagata cara, al prezzo di ambiguità che poi gli verranno a lungo rimproverate. Si racconta anche che un giorno - siamo ormai a regime in via di avanzato consolidamento - Benito Mussolini convocasse Giulietti e gli chiedesse con aria cupa e solenne: «Dove è finita la cassa della Cooperativa Garibaldi?». Pare che Giulietti, imitando il tono del duce, rispondesse scandendo le parole: «La cassa della Cooperativa Garibaldi giace in fondo al mare coi suoi caduti!». La storia orale vuole che Mussolini desse fuori da matto urlando a più non posso e cacciando Giulietti da palazzo Venezia.

Non so se l'episodio sia provato. Se non è del tutto vero, è ben inventato e dipinge le due differenti psicologie.

Per accuse poi rivelatesi false Giulietti, come si sa, fu mandato dal fascismo al confino politico in Sardegna. Poi visse di sussidi, anche governativi o personali. Così ebbe altre noie, di segno opposto, all'atto della Liberazione. Presto superate se è vero che, avvicinatosi, o riavvicinatosi, al Partito Repubblicano, ne fu deputato dal 1948 al 1952 morendo l'anno dopo. Intanto aveva contribuito poderosamente a ridare vita al sindacato marittimi che, come dicevo all'inizio, rimase unitario fino alla sua scomparsa finendo poi in molti pezzi. L'ultima sua battaglia vinta fu quella per una pensione più dignitosa ai marittimi italiani.

Certo, a Genova, dove molto aveva operato, resisteva una memoria viva e ammirata di Capitan Giulietti, anche in ambienti fortemente conservatori come quelli armatoriali della Lanterna. Fra i marittimi c'era ancora una vera e propria devozione.

Vittorio Emiliani


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798/01.06.2003