il Rimino - Riministoria

Europa, Chiesa e guerra in Iraq
Il papa: «Giustizia e perdono» per salvare il mondo

Il 20 marzo 2003 è il primo giorno del conflitto iracheno, dichiarato concluso il 2 maggio. Questo conflitto può già ricevere una prima, provvisoria sistemazione storica non soltanto per quanto riguarda i rapporti fra Stati Uniti d'America e mondo arabo, ma anche per ciò che si riferisce agli equilibri internazionali occidentali, cioè ai legami fra Usa ed Europa.

L'Europa del 2003 è una realtà ancora in bilico fra il suo processo di integrazione politica e la rivendicazione nazionale (non dico nazionalistica) che Paesi come Francia ed Inghilterra fanno per una gestione molto autonoma della politica estera.

Nel secondo dopoguerra, Francia e Germania si sono trovate a gestire i reciproci rapporti seguendo la corsia preferenziale dell'asse Parigi-Bonn che testimoniava: primo, la necessità di superare le situazioni di attrito che avevano portato i due Stati ad essere lungamente nemici e cause degli scontri militari; e secondo, il desiderio di esercitare un ruolo privilegiato, quasi di primato, nel consesso di tutti i Paesi europei.

La realtà europea post-bellica è concentrata nello sforzo di superare quelle rivalità che avevano portato agli scontri armati fra alleanze e blocchi che avevano segnato una netta divisione del continente sin dalla seconda metà dell'Ottocento.

Ancora oggi, nel 2003, noi dobbiamo fare i conti con i residui di mentalità, pensieri, atteggiamenti che affondano le loro radici nel XIX secolo.

Per questo motivo credo che l'idea dello sforzo comune per realizzare qualcosa di nuovo in Europa, sia più importante delle inevitabili differenze che restano come un ricordo di divisioni che fortunatamente non ci sono più.

Quello che conta è che non girino più per il continente le idee nazionalistiche, militaristiche ed imperialistiche che ponevano nella guerra la risoluzione dei problemi e dei contrasti fra Stati.

L'unificazione economica e monetaria (l'introduzione dell'euro parte dal 2002) è soltanto una tappa nella storia politica della nuova Europa che intanto si apre a nuovi Stati.

Attualmente l'Unione Europea comprende quindici Paesi. Dieci nuovi membri entreranno a far parte dal prossimo anno: Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Slovenia, Malta, Cipro, Estonia, Lettonia e Lituania. Restano in lista d'attesa: Turchia (se ne discuterà dal dicembre del prossimo anno), Romania e Bulgaria (se ne parlerà nel 2007).

Su questo quadro, indubbiamente nuovo ed originale, di un'Europa pacificata, cioè senza più cortine di ferro, muri di Berlino, Paesi dell'orbita sovietica, si pone urgentemente oggi l'interrogativo che nasce dalla guerra irachena: quali conseguenze questo conflitto avrà nell'ambito dei rapporti fra le due parti del blocco occidentale, appunto la parte europea e quella americana?

Uno storico, Piero Melograni [cfr. "L'inesorabile declino dell'Europa", «Il Sole-24 Ore», 23 marzo 2003], ha scritto all'indomani dello scoppio della guerra irachena, che il divario fra l'Europa e gli Usa, accentuatosi con questo conflitto, ha radici lontane. Esso risalirebbe alla vigilia della prima guerra mondiale, quando l'Europa "era militarmente più potente degli Stati Uniti ed esercitava un controllo diretto o indiretto sui quattro quinti delle terre emerse".

Ma rispetto alla situazione del 1914, quella attuale presenta "molti elementi di assoluta novità. [...] Per la prima volta nella storia non è stata l'Europa a chiedere il sostegno degli Usa [...]. Per la prima volta nella storia gli Usa si presentano come l'unica grande potenza mondiale [...]. Per la prima volta nella storia l'Europa avverte in forma acuta l'assenza dell'Unione sovietica, vale a dire l'assenza di un secondo grande poliziotto che, nel bene o nel male, dell'Europa faceva parte [...]".

Conclude Melograni: "La crisi attuale insomma dovrebbe indurci a pensare che le regole sulle quali le relazioni internazionali si sono basate nel XX secolo, non varranno più nel XXI".

Quest'affermazione, sul piano storico, ci obbliga a riflettere su quali fossero appunto quelle regole sulle quali le relazioni internazionali si sono basate nel XX secolo, nel nostro caso, nel periodo successivo al 1945. Ma nello stesso tempo ci invita a chiederci: come cambierà la valutazione della storia passata in base alla nostra situazione attuale?

La storia passata infatti non è mai qualcosa di definito una volta per sempre. Pensiamo soltanto a come, dopo la caduta del muro di Berlino e del sistema sovietico, sia stata avvertita la necessità di rileggere il passato, in base a nuovi documenti emersi dagli archivi, in base alla consapevolezza acquisita che non esistono miti eterni, ed alla scoperta, da parte di molti, che la storia è diversa dalla propaganda di partito.

Per non parlare delle dirette conseguenze che la caduta del muro di Berlino e del sistema sovietico ha avuto sul piano pratico. Per l'Italia, ad esempio, non va soltanto registrata la svolta di Achille Occhetto (con il 'pensionamento' del Pci e la nascita del Pds al Congresso di Rimini apertosi il 31 gennaio 1991), ma andrebbe anche considerata la fine dell'impunità della classe politica per i reati di corruzione economica, che ha preso il nome di "Mani pulite" per indicare l'azione giudiziaria che ha fatto tramontare un'intera classe dirigente del nostro Paese.

E' stato infatti scritto che il crollo del regime comunista ha fatto scomparire le giustificazioni che garantivano la liceità morale dei finanziamenti occulti dei partiti per contrastare analoghe sovvenzioni sovietiche nei confronti del Pci. Il primo arresto di "Mani pulite" è del 17 febbraio 1992 a Milano.

Giovanni XXIII, lo scandalo della pace

Le crisi di Cuba e del Vietnam nel 1963


Quando Kennedy muore, gli Usa hanno già inviato in Vietnam ben 15 mila uomini, definiti "consiglieri militari". Nel 1968 arriveranno a più di mezzo milione. Cinquantaseimila saranno uccisi o risulteranno dispersi. Nell'aprile 1975 la guerra d'Indocina finisce con la sconfitta americana e l'occupazione di Saigon da parte dei Vietcong.

Giovanni XXIII succede a Pio XII nell'ottobre 1958. Proprio quarant'anni fa, nell'aprile 1963, pubblica la «Pacem in terris», rivolta anche "a tutti gli uomini di buona volontà", poco prima di morire (3 giugno dello stesso 1963).

Di recente Marco Tosatti, vaticanista del quotidiano "La Stampa" [cfr. La bomba di Roncalli, 11 aprile 2003], in un commento che porta il significativo titolo "La bomba di Roncalli", ha scritto che "la distinzione che chiudeva il documento - una paginetta - doveva avere conseguenze grandissime".

Ecco quella conclusione rivoluzionaria dell'enciclica, già di per sé rivoluzionaria nel suo impianto: "Non si dovrà mai confondere l'errore con l'errante", ammoniva papa Giovanni XXIII, dopo aver esortato alla coerenza i cristiani "anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale. [...] Gli incontri e le intese [...] fra credenti e quanti credono in modo non adeguato, perché aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio".

Commenta il vaticanista de "La Stampa": "Si aprivano le porte del dialogo, veniva di fatto cancellata la scomunica emanata da Pio XII nei confronti di chi votava per i partiti marxisti. Da rilevare che nello stesso periodo Papa Roncalli inviava in missione un monsignore minuto, dagli occhi vivaci e dalla mente sottile, futuro protagonista della Ostpolitik vaticana, Agostino Casaroli".

Sulla pace e sulla guerra, mentre lo status quo del mondo si reggeva sull'equilibrio del terrore, Giovanni XXIII scriveva: "E' evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante".

Come ha scritto lo storico Alberto Melloni [cfr. "Quando Papa Giovanni disse no alla 'violenza giusta'", «Corriere della Sera», 18 febbraio 2003], Giovanni XXIII con la sua enciclica "rovescia il modo abituale di pensare la guerra e la pace" su tre punti chiave:

1. si afferma la dignità inviolabile di ogni uomo e di ogni coscienza, per cui si condanna il ricorso alle guerre di religione;

2. si dichiara che nell'oggi vi sono "segni dei tempi" essenziali alla Chiesa per comprendere il Vangelo nella storia di cui l'Agnello è la luce;

3. gli antichi parametri della "guerra giusta" non sono più validi nell'era nucleare per cui è appunto "folle" ("alienum a ratione" nel testo latino) pensare ancora alla guerra come giusta restaurazione del diritto.

Melloni scriveva alla vigilia della guerra irachena, sottolineando che la Chiesa interpretava in quei giorni "più e meglio della politica la convinzione che quella di oggi non è la storia del 1938, dove ci sarebbe voluta più risolutezza contro il fascismo e il nazismo; ma quella del 1962, dove un briciolo di risolutezza in più avrebbe incenerito 1,2 miliardi di noi".

Concludeva Melloni: "E questa convinzione fallibile, ma maggioritaria, la interpreta più la Chiesa depopolata del mondo secolarizzato, che le istituzioni democratiche dell'Occidente in frantumi".

La pagina di Melloni conferma nella necessità di una conoscenza della Storia non solamente come curiosità erudita, ma anche quale strumento della comprensione del nostro presente.

Lo scorso 28 marzo, padre Enzo Bianchi [cfr. "Il Papa, la pace e gli Usa", «La Stampa», 28 marzo 2003] scriveva sull'attuale pontefice segnalando "tre punti" sui quali Giovanni Paolo II è intervenuto a proposito del tema della pace:

1. "l'affermazione, inedita e vigorosa, che la pace è frutto non solo della giustizia, ma anche del perdono";

2. la convinzione (espressa il 1° gennaio scorso ricordando i quarant'anni della «Pacem in terris»), la convinzione della necessità di una "nuova organizzazione dell'intera famiglia umana per assicurare la pace e l'armonia fra i popoli";

3. la convinzione che la Chiesa oggi misura la propria fedeltà al suo Signore e compie nel contempo il suo servizio di evangelizzazione soprattutto attraverso "il vangelo della pace", cioè l'annuncio della pace tra le nazioni e tra gli uomini.

A quarant'anni dalla «Pacem in terris», un pontefice che ha vissuto sulla propria carne e nella propria coscienza gli orrori del nazismo e del comunismo, ha saputo scandalizzare con il suo grido di pace, quando la parola passava nuovamente alle armi. Questo suo grido di pace è la più alta lezione morale ricavata da quella storia che proprio nel 1945 si chiude nei confronti del passato, e si apre verso quel futuro che è anche il nostro presente.

Queste pagine sono tolte dalla conferenza «1945-1964, dalle macerie della guerra al nuovo mondo», tenuta lo scorso 2 maggio presso la Libera Università Righetti.
Il testo completo è leggibile su Internet nel sito Riministoria.

Antonio Montanari


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792/15.05.2003