il Rimino - Riministoria

Documenti

LETTERA APERTA AL VESCOVO GIACOMO BIFFI

Bologna, 3 maggio 2003

Caro vescovo Giacomo,

leggo su "Il Resto del Carlino" di domenica 27 aprile 2003 quanto tu hai pronunciato (vedi qui di seguito) a Rimini sabato 26 aprile scorso circa l'evangelica "parresia": Ti confesso che quelle tue parole hanno provocato nel sottoscritto sconcerto e incredulità.

Ho reagito (riconosco senza carità cristiana!) esclamando ironicamente: A quando, da parte del nostro ineffabile cardinale, un perentorio "Zitti tutti, parlo solo IO, IO sono la Chiesa, la Chiesa sono me...!"

Poi, fuor da ironia, più seriamente mi sono chiesto: "La chiesa di Biffi, quella in cui io mi trovo per motivi eminentemente geografici, è la stessa chiesa del compianto don Tonino Bello, vescovo pure lui in quel di Molfetta?

La spiegazione che don Tonino dà del concetto evangelico di "parresia" (vedi articolo da «Nigrizia» pure riportato qui di seguito) mi sembra nettamente in contrasto con quanto da te affermato. Scrive don Tonino: "...che cos'è la parresia? È il parlar chiaro, senza paura e senza tentennamenti di fronte alle minacce del potere... con tutta franchezza. Senza peli sulla lingua... senza sfumare le finali, per amor di quieto vivere... Oggi dovremmo chiedere al Signore la grazia della parresia. Anzitutto per le nostre chiese. Perché riscoprano la loro missione profetica e non tacciano di fronte alle violenze perpetrate sui poveri. Perché sappiano intervenire con coraggio ogni volta che vengono violati i diritti umani. Perché non tremino di fronte alte minacce e parlino con franchezza..." E, in chiusura dell'articolo, queste terribili parole: "... voglia il cielo che tutti ci persuadiamo di questa verità: che delle nostre parole dobbiamo rendere conto davanti al tribunale della storia, ma dei nostri silenzi dobbiamo rendere conto davanti al tribunale di Dio."

Sorge allora spontanea la domanda (mi si conceda ancora un po' di ironia e qualche parola scherzosa): lo Spirito Santo era "distratto" quando è stato fatto Vescovo Biffi, oppure quando è stato fatto Vescovo don Tonino?

Caro vescovo Giacomo, io certamente manco di carità, però anche quelle tue parole "...parresia... Non è la superficialità e l'improntitudine di far circolare entro l'incolpevole popolo cristiano le proprie discutibili idee... davanti a chi è ostile, prevenuto, talvolta persino prepotente e oppressivo..." Beh mi sembrano poco misericordiose e anche un po' offensive. (vedi testo integrale in
http://www.bologna.chiesacattolica.it/bo7/2003_04_27/testi/14.html).

D'altronde chi come te si è tranquillamente permesso di smentire o contraddire perfino papa Wojtyla varie volte (guerra in Iraq, richieste di perdono del papa, "la chiesa deve essere ricca", nonostante i richiami contenuti nell'enciclica "Centesimus annus".... ecc.), può certo permettersi questo ed altro.

Un'ultima domanda, caro vescovo Giacomo. Da tutto ciò che affermi, sembra chiaro che il dialogo all'interno della chiesa forse ti sembra pericoloso e spesso inopportuno. Ma allora che significato ha il Canone 212 del "Codex Iuris Canonici" promulgato da Papa Wojtyla il 25 gennaio 1983 (non mille anni fa!): "....I fedeli hanno diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri....essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere (...ius est, immo et aliquando officium...), di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli..." ?

Per finire, credo, voglio credere che i vescovi, nella chiesa cattolica, sono i custodi della Verità... ma credo siano i custodi essenzialmente delle verità dogmatiche, e non delle norme positive che costituiscono la Pastorale, norme e comportamenti sui quali "tutto il popolo di Dio" a mio avviso può e deve poter esporre le proprie idee, secondo l'antico principio canonistico contenuto nel Decretum Gratiani "quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet" ("ciò che interessa tutti da tutti deve essere discusso ed approvato").

Quanto sopra è ciò di cui, in piena libertà di coscienza e senza servilismi, sono profondamente convinto.

Perdonami se in queste mie righe ho usato la parresia come mi sembra la intende don Tonino Bello, vescovo pure lui.

Un cordiale saluto ed un sincero shalom-salaam! Domenico Manaresi

Da "il Resto del Carlino" (Emilia Romagna) - di domenica 27 aprile 2003
BIFFI / enciclica "Centesimus annus". Severa omelia del cardinale di Bologna


«Alcuni cattolici abusano della libertà di parola»

Nel mirino di Biffi coloro che criticano i vescovi turbando così gli altri credenti
di Chiara Ungendoli

RIMINI - Il cardinale Biffi torna, dopo un po' di tempo, a polemizzare con una certa parte del mondo cattolico, quella che lui stesso definisce un «settore acculturato e inquieto della cristianità». Se la prende cioè ancora una volta con quei cattolici che, in nome della libertà e anzi della necessità di «parlare liberamente» anche dentro la Chiesa, in realtà, sostiene il cardinale, riescono solo a turbare gli altri credenti, «proponendo opinioni mondane e facili compromessi» e ad attaccare i Vescovi, che sono invece i custodi della verità nella Chiesa.

L'occasione è stata la Messa che ieri Biffi ha celebrato a Rimini, come aveva già fatto molti anni fa, per l'annuale Convocazione nazionale del «Rinnovamento nello Spirito»: un movimento ecclesiale che conta 30mila aderenti in Italia.

Parlando della parola greca «parresia», contenuta in una lettura della messa e che significa «libertà di parola, capacità di esprimersi senza paure», Biffi ha spiegato che «è un vocabolo che in questi decenni talvolta compare nei discorsi» di quei cattolici di cui si diceva; ma «viene usato con un significato ben diverso» da quello della Sacra Scrittura. Diverso, e completamente sbagliato: infatti «parresia» in realtà «è il coraggio di annunciare Gesù e il suo messaggio, anche davanti a chi è ostile, prevenuto, talvolta prepotente», e non invece «la temerarietà di turbare i fratelli nella fede, proponendo opinioni mondane e facili compromessi».

Non è «contestare gli inermi pastori della Chiesa, magari proprio nei momenti e nelle occasioni in cui con le loro dichiarazioni essi si sforzano di restare fedeli al loro Signore»: trasparente allusione a quelle dichiarazioni, di Biffi stesso ma anche di altri vescovi, ad esempio sull'Islam, che molti cattolici non hanno avuto timore di contestare.

Infine, la «parresia» è «far risuonare tra le insipienze umane la sapienza di Dio», e non invece la superficialità e la sfrontatezza di chi «fa circolare entro l'incolpevole popolo, cristiano le proprie discutibili idee».

Mitt. Domenico Manaresi - via Gubellini, 6 - 40141 Bologna - tel&fax 051 6233923 - e-mail: bon4084@iperbole.bologna.it



Bologna, 2 Maggio 2003

Sia in campo ecclesiale, sia in campo civile-politico, queste splendide parole dell'amico don Tonino Bello appaiono (più che mai oggi dopo alcune esternazioni del card. Biffi) attuali e profetiche: credo che se ognuno di noi - a cominciare naturalmente dal sottoscritto - cercasse di "viverle", beh forse allora le cose andrebbero meglio... cosa ne pensate?

----

Parresia, o il parlar chiaro

di don Tonino Bello, vescovo (da "Nigrizia" di luglio-agosto 1992)

A dire il vero, la letteratura popolare, quella che si esprime in aforismi e in detti sapienziali, non ci aiuta molto. Anzi, a furia di ripetere che la parola è d'argento mentre il silenzio è d'oro, finisce col persuaderci che, davvero, a tacere non si sbaglia mai.Dal canto loro, gli anziani in vena di sentenze ci avvertono che la natura ha messo la bocca tra due orecchie, e che la lingua ha dapprima la barriera dei denti e poi quella delle labbra: sicché, perfino da queste collocazioni geofisiologiche siamo indotti a guardare la parola con un alto tasso di sospetto. Se poi al massimario corrente si dà la veste latina, il gioco è fatto: "Dixisse aliquando poenituit, tacuisse nunquam" esclamava non so chi. Che vuol dire: "Qualche volta mi son pentito di aver parlato; di aver taciuto, mai".

Come si vede, il discorso che porta acqua al mulino del silenzio potrebbe continuare all'infinito, e con argomentazioni che vanno dalla filosofia alle citazioni bibliche. Ci accorgeremmo alla fine che il tacere, nei convincimenti comuni dettati dal buon senso, guadagna ai punti sul parlare. La qual cosa mi sembra anche giusta. Peccato, però, che in questa partita qualcuno finisca col parteggiare a tal punto per uno dei due contendenti da non riconoscere per nulla i meriti dell'altro.

"Nella bocca chiusa, non entrano mosche" diceva Miguel Cervantes. Il quale, però, non s'è pronunciato sulla opportunità di tener chiusa la bocca se, per preservarsi dalle mosche, si è costretti ad ingoiare rospi. Eccoci, allora, alla domanda cruciale: il tacere è sempre una virtù?

La Bibbia non sembra di questo avviso. Non solo perché, al capitolo terzo del Qoelet, ci avverte che "c'è un tempo per tacere e un tempo per parlare", ma anche perché ha introdotto una categoria che costituisce l'antitesi del pavido silenzio di fronte alla verità e alla giustizia: la parresia

Che cos'è la parresia? È il parlar chiaro, senza paura e senza tentennamenti di fronte alle minacce del potere. Gli apostoli erano stati precettati più volte di non parlare di Gesù nazareno. Ma di fronte ad un comando del genere, pur consapevoli delle torture con cui avrebbero pagato la loro disobbedienza, non se la son sentita di tacere e hanno proclamato con coraggio la verità. "Annunciavano il Regno di Dio e insegnavano le cose riguardanti il Signore Gesù con tutta franchezza e senza impedimento". È il versetto finale degli Atti degli Apostoli.

Con tutta franchezza. Senza peli sulla lingua, cioè.. Senza sfumare le finali, per amor di quieto vivere. Senza mettere la sordina alla forte prorompente della ve-rità. Senza decurtare la Parola, per non recar dispiacere a qualcuno. Senza ambiguità dettate da prudenze carnali. Senza le furbizie escogitate dalla preoccupazione di salvare la pelle. Senza gli stratagemmi del defilarsi nei momenti della prova, per timore di compromettersi troppo.

Oggi dovremmo chiedere al Signore la grazia della parresia. Anzitutto per le nostre chiese. Perché riscoprano la loro missione profetica e non tacciano di fronte alle violenze perpetrate sui poveri. Perché sappiano intervenire con coraggio ogni volta che vengono violati i diritti umani. Perché non tremino di fronte alte minacce e parlino con franchezza, senza operare tagli sull'interezza della Parola e senza praticare sconti sul prezzo di copertina, quando i diritti di Dio vengono subordinati agli interessi degli innumerevoli idoli che pretendono il suo posto.

E poi, dovremmo implorare il dono della parresia per tutti gli uomini che amano la verità. Perché con i loro pretestuosi silenzi non interrompano gli esiti della giustizia. Perché non vestano di apparente virtù il loro pauroso tacere. Perché usino la lingua come una spada a doppio taglio, quando si tratta di recidere i legami adulterini con i poteri mafiosi. Perché comprendano che l'omertà, oltre che connotare di vigliaccheria colui che non parla, consolida quelle sotterranee strutture di peccato che avviliscono la storia e rallentano il cammino della pace. Perché si rendano conto che la connivenza di chi tace di fronte ad un delitto, di cui conosce le trame genetiche, ha la stessa gravità morale di chi quel delitto stesso ha architettato e portato ad esecuzione. Perché le "madri coraggio" infittiscano dei loro nomi i calendari laici, così come i santi infittiscono della loro testimonianza cristiana il martirologio romano. Perché chi viene taglieggiato dai rackettari si renda conto che possiede un'arma di difesa più potente di qualsiasi bomba al plastico che metta in pericolo la sua azienda: la parola. Perché chi, per un triste destino o per solidarietà di parentela, ha conosciuto l'oscena economia sommersa della droga sappia che una parola di denuncia pareggia i benefici di dieci case di accoglienza per tossicodipendenti. Perché la verità deposta nei segreti del cuore e impedita di esplodere nella pienezza della luce apra finalmente crateri improvvisi sulle fiancate del silenzio, e sgorghi come colata lavica fino a bruciare tutte le resistenze dettate dalla paura.

È vero: c'è un tempo per tacere e c'è un tempo per parlare. Quello che oggi stiamo vivendo è il tempo per parlare. E voglia il cielo che tutti ci persuadiamo di questa verità: che delle nostre parole dobbiamo rendere conto davanti al tribunale della storia, ma dei nostri silenzi dobbiamo rendere conto davanti al tribunale di Dio.

don Tonino Bello, vescovo

----------

Dal libro: LORENZO MILANI "I CARE a n c o r a".Lettere, progetti, appunti e carte varie inedite e/o restaurate. A cura di GIORGIO PECORINI - presentazione di ALEX ZANOTELLI - (E.M.I - 2001)

Il libro "I CARE ancora" : è una raccolta di lettere di don Lorenzo Milani. Induce a riflettere anche e soprattutto la splendida e presentazione che - di questo libro - ne fa padre Alex Zanotelli.Anche queste mi sembrano parole molto belle e coraggiose, espresse con grande evangelica "parresia", con quella franchezza cioè che rifiuta ogni ossequio servile e che quindi non si rifugia nel silenzio, anzi lo condanna.

Lo stesso don Lorenzo Milani infatti, a pag. 75 di questo stesso testo scrive

"...spero proprio che la Chiesa vorrà almeno farmi il garbo di prolungare un po' questa vita che non le è parso di usare se non per esiliarla. Ho sempre pensato che lo stare in esilio sia un'elevata funzione ecclesiastica. MI DOMANDO SOLO SE SIA GIUSTO SEGUITARE A SANTIFICARSI NEL SILENZIO QUANDO SUL PIANO TERRENO QUESTO NON FA CHE AUMENTARE IL GIÀ TANTO PROFONDO SDEGNO DEI POVERI VERSO LA GERARCHIA ECCLESIASTICA. FINO ALL'ANNO SCORSO PENSAVO CHE FOSSE SANTITÀ.. DA QUALCHE TEMPO IN QUA TEMO CHE SIA CORREITÀ..." Parole di questo tipo, su cui concordo in toto, fanno bene sperare che la chiesa-istituzione possa nuovamente vivere appieno quello spirito di "profezia" che le compete in modo - se non erro - del tutto peculiare.

Shalom a tutti, ma proprio a tutti...anche e in particolare a chi (in campo politico) dà credito all'"uomo della Provvidenza", all'"unto del Signore" e in campo ecclesiale presume che l'ossequio acritico e servile sia prova di grande fede.

Domenico, assieme alla pazientissima moglie Luciana
Via Gubellini, 6 - 40141 Bologna - tel&fax 051 6233923
e-mail: bon4084@iperbole.bologna.it


All' indice de il Rimino



All' indice di Riministoria


789/4.5.2003