La scrittrice concittadina Anna Rosa Balducci, che insegna allIstituto Marco Polo, ha curato una piccola ma preziosa antologia, intitolata «Schegge di guerra
Voci di pace
», a cui hanno collaborato anche gli allievi della sua scuola: sono loro i testi che occupano la prima parte del libro. Seguono brani ripresi da autori chiamati per convenzione classici (si parte da Plauto e si arriva a B. Brecht, passando attraverso il Ruzzante, Marinetti, Ungaretti, Quasimodo ed a contemporanei come M. Rigoni Stern e S. Benni). Poi incontriamo le voci che parlano della «sfida della pace» (Leopardi, M. L. King, papa Giovanni XXIII, don Milani, papa Wojtyla, S. Pertini). Infine ci sono «ospiti cittadini»: V. Giorgetti, O. Baldani, M. Ugolini, P. G. Franchini, N. Pazzini, A. Bellini.
Come può risultare dallimpianto con cui il volume è stato appassionatamente costruito, e dalle varie presenze di autori così diversi fra loro, questo libro gioca tutto il suo significato in una sfida pedagogica e culturale originale, così come sono nuovi i problemi storici che sono alla base della sua nascita. Finiti i tempi in cui, sino all11 settembre 2001, si poteva predicare uninterpretazione della Storia, in cui tutto andava (quasi) bene per (quasi) tutti, sono arrivati i momenti in cui ognuno di noi si è trovato di fronte alla necessità di pronunciarsi circa i processi politici messi in atto per rispondere concretamente agli interrogativi che il terrorismo poneva in senso globale, cioè ad ogni popolo, ad ogni Stato, nessuno escluso, dividendo il mondo in opposte fazioni.
Dice bene larguta prefazione: «Al di là delle particolari convinzioni, ideologiche e politiche, personali e di gruppo, quello che risultava evidente nella coscienza collettiva [dopo l11 settembre], era la percezione di un nodo epocale della storia dellumanità, un punto di non ritorno, una terra di nessuno in cui ci si stava immettendo».
Ovviamente, questoperazione culturale e pedagogica deve obbligarci a non richiedere a quegli studenti che hanno partecipato alla sperimentazione letteraria nientaltro che il senso della riflessione su temi che sono stati e saranno sempre più grandi di noi gente comune, e per i quali occorrono voci come quelle che poi arrivano nelle pagine seguenti, dove si raccontano la farsa e la tragedia della guerra, con uno scambio di territori che supera i confini delle definizioni letterarie. Come si può constatare in quella canzone in cui Bertolt Brecht parla di che cosa ricevette la donna del soldato dalla vecchia capitale Praga, da Varsavia, da Oslo, dalla ricca Rotterdam, da Brussels, da Parigi piena di luci, dalla vasta Russia: ricevette soltanto il velo vedovile per la cerimonia funebre.
La farsa, come non mai, racconta meglio di ogni altra forma il tormento e langoscia della vicenda storica, mentre le parole di Marinetti, con la futuristica descrizione della battaglia di Adrianopoli, descrivono ed illuminano il dramma di una generazione a cui lui stesso glorificava oscenamente la guerra come «sola igiene del mondo».
Due altre pagine meritano una segnalazione: il messaggio di Pertini agli italiani del 31 dicembre 1993 («E mentre si spendono miliardi per costruire questi ordigni di morte, 40 mila bambini muoiono di fame ogni giorno. Questa morte di innocenti pesa sulla coscienza di tutti gli uomini di Stato, quindi pesa anche sulla mia coscienza»), ed una poesia di Karol Wojtyla sulluomo che in una fabbrica darmi prepara minuscole viti, tormentandosi perché se non pecca, non influisce neppure: «Il mondo che io creo non è / buono / eppure non sono io che lo / rendo malvagio! / Ma questo basta?».
Approfitto di questa nota per segnalare, restando in argomento, lultimo numero (ottobre-novembre) di «Missioni Consolata» (Corso Ferrucci 14, 10138 Torino), rivista sempre interessante, dedicato al tema «La guerra. Le guerre. Viaggio in un mondo di conflitti. E di menzogne». Leditoriale di Benedetto Bellesi, intitolato «Non possiamo tacere», tra laltro contiene questa riflessione da non dimenticare: «Le cause ultime di tante guerre e terrorismo sono povertà disuguaglianze, ingiustizie: mali di cui non possiamo lavarci le mani»