Zeno Zaffagnini, ex sindaco di Rimini ed amabile persona, ha scritto una breve storia della «politica turistica in Italia», intitolata significativamente «Il petrolio del Bel Paese» (Edup, Roma, 10 euro). Vi racconta la sua lunga esperienza (1983-2002) quale responsabile del settore turistico del pci, pds e ds. Le due parti iniziali dellopera sono dedicate alle origini del pci riminese, definito «un partito originale», ed alla memoria della sua attività di sindaco dal 1978 al 1983. Non è quindi soltanto lautobiografia od il «diario di un uomo tranquillo» (come avverte la prefazione scritta da Giuseppe Imbesi). Si tratta invece duna serie di appunti che possono servire a delineare la storia della nostra città, ovviamente tenendo conto che il punto di vista dellautore è interessato a difendere le posizioni dalle quali ha sempre operato. Le sue pagine meritano di essere lette e studiate, per poi confrontarle con altre fonti e con i dati oggettivi.
Laddove Zaffagnini tratta del locale partito comunista come «originale», il discorso parte dal 1949 quando la federazione riminese è lunica di una città non capoluogo di provincia. La sua vita fu difficile perché la «base era costituita prevalentemente da mezzadri, braccianti, operai con esigenze ben distanti dal mondo del turismo». Come avvio del discorso politico non cè male: si sottolinea una crisi fra lo zoccolo duro proletario (chiamato secondo il credo marxista ad incarnare la verità storica), ed il vertice che avverte il mutamento in corso nella società verso un mondo non più basato sullagricoltura, ma su quei valori economici borghesi che dovevano essere combattuti, almeno sulla carta. Ma se la memoria non cinganna, fu proprio gran parte dei componenti della realtà agricola periferica a rimanere coinvolta nel fenomeno del turismo famigliare delle piccole pensioni, che esplode a metà del secolo scorso. Fu il miracolo economico alla riminese.
La visione di Zaffagnini è onestamente coerente con quellideologia delluomo dapparato (lantico, ferreo apparato del pci), che vede lo svolgersi degli avvenimenti non operati «dal basso», ma imposti «dallalto», come è possibile constatare nel passaggio in cui attribuisce al gruppo dirigente comunista riminese «il merito di porre allattenzione del partito la questione del turismo, come elemento centrale nella elaborazione politica e nelle conseguenti iniziative da attuare». In fin dei conti, Zaffagnini traduce in campo turistico quello che fu chiamato in gergo il «centralismo democratico» della politica comunista. Questa formula oggi, anche a livello locale, andrebbe riletta e spiegata non tanto per aggiungere parole a parole, quanto per tentare di comprendere levolversi dei fatti nella loro verità essenziale (la famigerata «prassi» dei marxisti dun tempo).
Ad esempio, non si può volare soltanto alto in questi bei discorsi, dimenticandosi della politica che procedeva a colpi di piccoli compromessi o di grandi favori, e classificando lo sviluppo urbanistico selvaggio di Rimini come «il più macroscopico degli errori» commessi a quel tempo. Va bene dichiarare onestamente tutto ciò, ma occorre comprenderne (e quindi elencarne) le cause. Perché quellerrore, non veniale, non nasce spontaneamente in un terreno incolto, ma è frutto di precise scelte di cui vanno individuate le responsabilità, alle quali Zaffagnini non bada dal momento che la questione è giustificata dalla situazione del momento (Rimini distrutta, bisogno di ricostruire).
Illuminante per la storia cittadina resta la vicenda del Kursaal, che Zaffagnini non ricorda: il tempio dellodiata borghesia (che andava distrutta assieme ai suoi locali), fu atterrato ancora prima che esistesse una decisione del Comune, presa soltanto a posteriori per sanare amministrativamente il misfatto. La cosiddetta «riminizzazione» prosegue molto dopo gli anni del dopoguerra. Infine, quel piano regolatore del 1965 non fu risolutore come prospetta lottimismo di Zaffagnini. Apparve al semplice cittadino un libro dei sogni che non poté tradursi in realtà, e che ha ad esempio il suo simbolo nella famigerata piscina olimpica nel ponte di Tiberio, oggi laghetto per le anatre, con sottostante «pannolone» di plastica sistemato anni fa. Per non dire di tante altre cose prospettate e, per fortuna, mai realizzate.
Lautore ricorda che circolò in città, sempre a metà degli anni cinquanta, un opuscolo che aveva un titolo («Rimini, Scelba, i monopoli») oggi forse oscuro, ma allora chiaro per tutti. Scelba era il ministro degli Interni («prevalentemente Ministro della Polizia», ricordato per gli eccidi operai che avvennero ai suoi tempi), che sospese il sindaco Ceccaroni responsabile di aver troppo aiutato poveri e bisognosi con sussidi e protesi dentarie. Aggiungo un mio ricordo: il commissario prefettizio mandato a Palazzo Garampi, divenne famoso in città per una risposta che seriamente indirizzava ai cittadini indigenti che si rivolgevano a lui per avere nuove dentiere, come sotto lamministrazione Ceccaroni: «Non riuscite a mangiare il pane? Inzuppatelo nel latte».
I monopoli erano rappresentati da Gaetano Ceschina, un milanese (primo contribuente per la tassa di famiglia nella capitale lombarda), grande proprietario a Rimini di fabbricati e terreni «lasciati nel più completo abbandono». Scelba e Ceschina erano visti come i due freni per lo sviluppo democratico della città e per la nascita di un nuovo turismo, quello di massa. Lopuscolo, commenta Zaffagnini, aveva «ingenuità, esasperazioni, errori di valutazione», ma fu alla base degli accesi dibattiti che si svolsero in seno al pci del tempo, e che approdarono ad «una strategia che si è dimostrata, nel corso degli anni, efficace e vincente». Circa il turismo di massa, va detto pure che esso corrispondeva ad una vocazione riminese che non fu né innovata né introdotta dalle amministrazioni rosse.
Restiamo in queste pagine di Zaffagnini nel circolo chiuso (autoreferenziale ed autoelogiativo) di un partito che guida tutto, grazie al quale tutto va bene, nonostante gli errori commessi. Negli anni Cinquanta il turismo interessava forse più al pci che al Comune che era (come ho documentato anni fa in una piccola pubblicazione, «Marina Centro»), in perenne lotta con lAzienda di soggiorno in mano allopposizione rispetto a chi amministrava da Palazzo Garampi. Pure questo è un aspetto che va esaminato per ricostruire quegli anni.
La necessità di leggere il passato con unottica diversa da quella ufficiale del tempo, è ben segnalata (in altri e più contorti settori storici, lontani ovviamente dal nostro discorso) dal libro di Carlo Ginzburg che intervista Vittorio Foa il quale oggi ammette: «Avrei dovuto essere più libero», confessando «doppiezza» ed «opportunismo» nei confronti del pci.
Ringraziamo Zaffagnini daverci offerto lopportunità di esprimere in sede locale questa necessità, avvertita da molti non per spirito di polemica politica, ma per sano desiderio di ricostruire chiaramente i nostri ieri.