il Rimino - Riministoria

Lo scoppio del 24 ottobre 1953
Che cosa accadde veramente in Via Zavagli

Quattro morti per ustioni, fra cui un bambino di due anni, e circa 150 ustionati. Quel bilancio pesa nella memoria come pagina tragica ancora vicina in chi la visse o ne ha soltanto sentito parlare in famiglia.

Alle 20,30 di sabato 24 ottobre 1953, nel sottopassaggio stradale di via Carlo Zavagli è l'inferno. lS'è fermata un'autocisterna con rimorchio, diretta verso la spiaggia, dopo aver superato i due sottopassaggi ferroviari. Proviene da Mestre dove ha caricato gpl, ed è diretta alle acciaierie di Terni. I due autisti di 23 e 25 anni, abitanti a Piacenza, scappano presi dal panico. Il maggiore si è sposato otto giorni prima.

Hanno sbagliato itinerario, secondo le cronache del tempo in cui leggiamo: cercavano la circonvallazione per Pesaro che allora transitava sul Ponte di Tiberio. Perché invece si sono infilati in quel budello fatale?

Racconta il vigile del fuoco Silvio Trovanelli, classe 1931, di servizio quella sera nella disadorna caserma del Corpo, in via Dario Campana: «Piovigginava, e stavo guardando il cielo. Verso il porto ho visto un enorme bagliore. Intanto squilla il telefono: è l’allarme per quel camion. Partiamo verso via Zavagli. Troviamo la cisterna che brucia». I pompieri non fanno in tempo ad erogare acqua che la motrice esplode. Il ponte fa da coperchio. La forza del gas colpisce verso il mare e verso monte.

Qualcuno, all'inizio di via Zavagli, ha visto passare la motrice già con le fiamme sotto la cabina, sviluppate nel vano delle batterie. Gli autisti conoscono la zona. D'estate soggiornano alla Barafonda. Hanno deciso di tentare una via di scampo verso il mare. Inoltrarsi verso il centro storico sarebbe stato un atto da irresponsabili.

Il procedere del camion alimenta le fiamme. Il punto in cui i conducenti lo bloccano, ha poche case. Scendono dalla cabina. Tentano inutilmente di spegnere l'incendio con gli estintori di bordo. Urlano disperati alla gente di chiamare i pompieri.

Questa ricostruzione di Silvio Trovanelli smentisce le versioni apparse sui giornali d’allora, quando si scrisse che, arrivati sotto il cavalcavia, gli autisti forse hanno tentato una retromarcia; e che scoccata una scintilla, immediatamente è esplosa la motrice.

Secondo alcune fonti giornalistiche, i conducenti avevano toccato il fianco del ponte con il loro mezzo. Per altre invece era stata la sommità della cisterna a provocare lo scoppio. Ma il ponte era alto 370 cm, il camion più basso: metri 3,36.

I due autisti in preda al terrore corrono verso la via Emilia, chiedono un passaggio ad un camion in transito, vanno sino a Cesena, dove sono ricoverati all’Ospedale e piantonati dalla Polizia.

All'improvviso la motrice di via Zavagli esplode, provocando la tragedia. Qualcuno descrive una lingua di fuoco lunga trecento metri: i feriti in grande maggioranza abitano fra il sottopassaggio ed il mare.

Non è quindi il rimorchio ad esplodere, come abbiamo letto sui giornali del 1953. Nei quali appare una foto della colonna di fuoco verso il cielo provocata dal rogo del rimorchio che però non provocò altri feriti. L’immagine è stata scattata dall’artigliere Bruno Verducci, del 35° Reggimento artiglieria della Divisione Friuli, di stanza alla caserma Giulio Cesare, e comandato a San Giuliano.

Dopo il rogo, ricorda Silvio Trovanelli, ci fu un «profondo buio». Anche lui rimase ustionato. A trasportarlo al vecchio ospedale fu un medico, il dottor Alberto De Giovanni, a bordo della propria Topolino.

Tutta la città si mobilitò. Fu un'emergenza dolorosa e lunga. A mezzanotte di quel sabato 24, fra ospedale civile e casa di cura Contarini ci sono 104 ricoverati. Lunedì 26, ne resteranno in corsia 101. Di loro, 22 hanno riportato gravi ustioni, per cui si renderanno necessari trasferimenti in centri sanitari più attrezzati.

La Rai tace la notizia per 40 ore. Il pci riminese protesta contro la discriminazione operata in tutti i programmi radiofonici. Lo scrive sul proprio organo, «Nuova voce», che esce in due edizioni straordinarie, domenica 25 e martedì 27 ottobre, dedicate alla tragedia di San Giuliano.

La Giunta municipale, riunitasi il 25 mattina alle 10, stanzia mezzo milione di lire per i primi soccorsi; 200 mila ne invia il vescovo. Il «Giornale dell'Emilia» (il 4 novembre, uscirà con la vecchia testa prebellica del «Carlino»), apre una sottoscrizione. Che «l'Unità» censura, provocando una risentita reazione del foglio bolognese dal quale parte l’accusa verso il quotidiano comunista di profanare la commiserazione con la propaganda.

Nel verbale della Giunta, presieduta dal sindaco Walter Ceccaroni, si sottolinea che i colpiti dallo scoppio nella quasi totalità sono «umile gente lavoratrice, per cui una così grande sciagura vuol dire la cessazione di ogni guadagno, e il conseguente bisogno immediato di aiuti, nonché la miseria che va urgendo alle porte».

La Giunta ringrazia quanti si sono prodigati nel soccorso «con slancio generoso»: vigili del fuoco, vigili urbani, militari del Presidio, carabinieri, guardie di Polizia. Tra costoro le cronache registrano nove ricoverati: i pompieri Antonio Lorenzutta (caposquadra), Adrio Sartini (autista), Silvio Trovanelli (il nostro testimone) e Stelio Urbinati; il vigile urbano Luigi Sarti; l’agente di Ps Giuseppe Bonora (che abitava a monte del luogo dello scoppio) ed il collega vice brigadiere Vincenzo Riccio (recatosi a trovare dei parenti in zona, dalla vicina via Matteotti dove risiedeva); il finanziere Giovanni Domeniconi; il sottufficiale di Marina Augusto Calieri (cognato di Riccio). Anche due altri vigili urbani, Sergio Ranchi e Domenico Ridolfi, sono rimasti feriti.

Il 7 dicembre la somma raccolta dalla sottoscrizione del «Carlino» è divisa fra gli infortunati, diecimila lire a testa.

Per tutto novembre il mondo politico locale si è cimentato in polemiche circa la risposta sanitaria ospedaliera nell’emergenza del 24 ottobre. I socialisti denunciano la mancanza di medicinali e di plasma, partendo dalla richiesta appunto di plasma inoltrata via telefono alla prefettura da un medico del nosocomio e dal vicesindaco. Da parte della dc si risponde, per la penna di Gino Zannini, che la notizia era falsa: il plasma portato a Rimini dal vice prefetto è stato infatti restituito perché non necessitava.

Il ministro degli Interni, all’inizio di dicembre, risponde ad un’interrogazione del sen. dc Giovanni Braschi, in base ad una relazione tecnica inviatagli da Rimini: gli autisti avevano imboccato la via Zavagli per sbaglio, in una serata dalle «cattive condizioni atmosferiche». Il ministro espone la tesi dello sfregamento della parte superiore della cisterna, contro l’evidenza che essa è più bassa del ponte.

Mentre i politici si accalorano nelle dispute, la gente conta le vittime. I morti per ustioni sono quattro, come già riferito all’inizio, secondo quanto risulta dai quotidiani dell’epoca, unica fonte documentaria rintracciata (negli atti comunali sono ricordati soltanto due nomi).

La prima vittima è Lucia Pasini vedova Savini, deceduta il 26 ottobre. Gilberto Mangianti, il bambino di due anni, muore il 31 ottobre. La perpetua del parroco, Virginia Mainardi, scompare il 18 novembre. Il 2 dicembre a Ferrara, se ne va Antonio Montemaggi (64 anni), dopo aver subìto un trapianto di pelle donatagli da un figlio.

Non per le ustioni, ma per quello che la gente ricorda con termine vago come un «infarto», il 31 ottobre muore Rinaldo Soldati, di professione calzolaio, quinta vittima.

Domenica 7 marzo 1954 una lapide commemorativa fu scoperta nel vecchio Ospedale. La Giunta il 12 luglio 1954 stabilisce nuovi aiuti una tantum per 76 ustionati, visto lo stato di estremo bisogno in cui sono venuti a trovarsi con le loro famiglie «a seguito del luttuoso scoppio dell’autocisterna», e non potendo esonerarli dal pagamento biennale delle tasse (come essi avevano richiesto). La somma erogata, di lire 388.700, è prelevata da un fondo di riserva disponibile di 821 mila lire. Le cifre individuali sono diverse, secondo i casi, da un minimo di 200 lire ad un massimo di 43.300.

A cinquant'anni dall'accaduto, l'Amministrazione Comunale di Rimini ha ricordato il tragico evento sbagliando però la data di un giorno: il 23 ottobre, è stata collocata una lapide nel punto del rogo, alla presenza del presidente del Consiglio Comunale di Rimini, Cesare Mangianti, del comandante provinciale dei vigili del fuoco, Luigino Ercoli, e dei vigili del fuoco Trovanelli e Sartini rimasti feriti allora. Anche la mamma del piccolo Gilberto Mangianti, Nazzarena Mondaini, 79 anni, è intervenuta alla cerimonia. Guido Lucchini, che fu tra gli ustionati, ha letto una sua lirica.

(Ringraziamo per le fonti: Silvio Trovanelli, don Duilio Magnani, l’Ufficio Protocollo ed Archivio del nostro Comune, i Servizi cimiteriali di Rimini, Fabrizio Bronzetti portavoce del sindaco e della Giunta di Rimini, la Biblioteca Gambalunga [Emeroteca], Maria Teresa Calisesi, Guido Lucchini, Gino Betti, Anna Rosa Balducci, Paola Delbianco, Aldo Viroli della Voce e Monica Raschi del Carlino.)

Antonio Montanari


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Per informazioni scrivere a monari@libero.it.


862/2.11.2003
Riministoria/il Rimino
http://digilander.libero.it/ilrimino/att/2003/862.sangiuliano.1953.html