il GRILLO parlante
per un'informazione equa e solidale nell'Est veronese
 
supplemento a "la Voce Civica", Aut.Trib.VR n.1215 del 27 maggio 1996 - Direttore Responsabile: Amedeo Tosi

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La iena non dorme con le pecore (Proverbio nazione: Burundi)
Alcuni lettori ci hanno evidenziato che la notizia relativa ai "gatti in bottiglia" (cft. il GRILLO parlante n.33) per la quale è stata avviata una petizione popolare, è una "bufala" e non corrisponde al vero. Si tratta di una burla, di uno scherzo, "inventato" di sana pianta da un gruppo di imbecilli cervelloni del famoso MIT (Massachussets Institute of Technology). Hanno confessato tutto dopo che l'FBI se ne è occupata...

 
IN PRIMO PIANO
 
 
La scelta della nonviolenza
di Sergio Paronetto
 
Contemporaneamente alla protesta più ferma contro il  comportamento del governo e di alcuni settori delle forze di polizia in occasione del vertice G8 di Genova, intendo partecipare anch'io a una riflessione più ampia sul popolo di Seattle. Non vorrei più chiamarlo così (l'espressione è datata, usurata, ormai ambigua). Propongo tre varianti: o popolo di Porto Alegre (cantiere aperto di proposte qualificanti sui grandi problemi dell'umanità); o  popolo delle  Nazioni Unite, evidenziando una cittadinanza universale in collegamento con le iniziative dell' "ONU dei popoli", previste nel prossimo ottobre a Perugia e ad Assisi; o, semplicemente,  popolo della pace  basato sulla limpida denuncia di ogni tipo di violenza e orientato alla scelta  alternativa e rivoluzionaria della totale e globale nonviolenza. Pochi giorni prima di essere ucciso, M.Luther King esclamava  preoccupato e sofferente: "Non è più questione di scegliere tra violenza e nonviolenza. Si tratta di scegliere: o nonviolenza o non esistenza".
1.   So bene che a Genova la situazione era complessa e rischiosa. Il compito del "Genoa Social Forum" era arduo, difficilissimo. Gridare "abbiamo vinto" al termine della marcia finale era comprensibile ma è stata una forzatura. Un modo, forse, per consolarsi, per farsi coraggio. Forse, era meglio dire: "abbiamo resistito", "continueremo", "ce la faremo". Qualcuno (tra questi "Pax Christi" e "Rete Lilliput") ha lanciato l'idea di non fare il corteo finale. Era un'ipotesi dignitosa come altre. I più "duri" l'hanno intesa come una forma di cedimento o di sconfitta. Forse era meglio fare il corteo dato il numero straripante di persone (che le televisioni non hanno documentato). Ma chi può dire con certezza quale sarebbe stato l'impatto di un grande "urlo silenzioso" di protesta? Di una manifestazione distribuita su più piazze o a semicerchio, seduti e silenziosi? Perché solo un corteo è segno di "forza"? Il movimento della pace italiano, a mio parere, deve riscoprire o valorizzare di più l'importanza del silenzio operoso o, per i credenti, della preghiera. Perché valutare quest'ultima come una fuga e non come gesto debole-potente di partecipazione? Le iniziative di contemplazione organizzate a Genova, a Verona, in molti monasteri e chiese durante il G8 sono state tra le più belle e fresche novità del popolo della pace. 
2.  Il movimento italiano per la pace ha fatto molto. Sta facendo molto. E' cresciuto. E' diventato un soggetto plurale e autonomo. Occorre, però, riconoscere che esce da Genova ferito e umiliato, sia (soprattutto) perché è morta una persona, sia perché si sono scatenate violenze di vario tipo che hanno oscurato le ragioni della protesta e della proposta. Tali ragioni sono state anticipate dall'incontro delle associazioni cattoliche, dal forum delle forze sindacali, dal GSF nelle piazze tematiche, dal progetto Lilliput. Parte della stampa le ha accompagnate e rilanciate. Molto, purtroppo, è stato oscurato. Le responsabilità sono molteplici. E' giusto denunciare il governo o i comandi delle forze dell'ordine-disordine. Bisogna continuare a farlo. Raccogliere le testimonianze. E' accaduto qualcosa di orribile. Eviterei, comunque, generalizzazioni qualunquistiche perché i poliziotti e i carabinieri, per quanto male guidati od ospitanti frange estremiste "di tipo fascista", non sono "assassini" o "nemici". Anni fa, uno spietato accusatore del "palazzo" reazionario e corrotto, come Pier Paolo Pasolini (ricordato dal padre di Giuliani), ammoniva i contestatori che la polizia, nonostante tutto, è composta di  lavoratori  e di cittadini come coloro che manifestano. 
3.   A mio avviso, è bene affrontare con calma le ombre o la  "zona grigia" presente in grandi incontri come quello di Genova. La  difficoltà di crescita del movimento per la pace riguarda anche il modo di pensare-agire di alcuni "pacifisti" o "antiglobalizzatori". Per me, i due termini sono ambigui. Il primo appare generico e approssimativo. Il secondo é schematico e deviante rispetto la qualità dell'impegno "globalizzante" del popolo della pace, che opera per la globalizzazione dei diritti, della giustizia e della solidarietà. Pur riconoscendo che il GSF ha fatto molto di buono, penso ci sia stato un difetto iniziale proveniente da coloro che si sono proposti prima di "bloccare il G8" e poi  di  "violare la zona rossa". L'enfasi riguardante tali obiettivi, accompagnata dalla famigerata "dichiarazione di guerra" delle tute bianche, ha modificato l'ordine delle  priorità. L'attenzione, complici i mass media alimentati dagli "esibizionisti", è stata spostata lontano dai grandi problemi della fame, delle guerre e dell'ingiustizia nel mondo. Si era in attesa di possibili incidenti. Giustificare operazioni paramilitari di questo tipo in nome dei poveri del mondo vuol dire possedere un'enorme presunzione. Per me, è stato un grave errore di provincialismo. Si è mescolato un problema di agibilità urbana, teoricamente giusto ma in quell'occasione secondario, con i temi internazionali fondamentali. Questioni che avrebbero dovuto avere la massima visibilità propositiva si sono ridotte alla necessità di conquistare qualche metro nella zona rossa. I temi della globalizzazione non possono essere affidati alla toponomastica urbana, alla rivendicazione di spazi.  Per un operatore di pace,  i "territori" da contendere non sono quelli delle cartografie ma i supermercati, le banche, l'informazione, la formazione, i tribunali. In una parola, la vita quotidiana. Lo stile di vita. Michele Serra ha osservato che gli scontrini contano più degli scontri. Dando troppo spazio ai riti simbolici del "blocco" o della "violazione", molti sono stati imbrigliati nella trappola virtuale dell'allarmismo mediatico. Sono, così, caduti nella rete tesa da una politica governativa insofferente di critiche e pronta a screditare il movimento, a ritenerlo complice delle tute nere o di altri gruppi paramilitari.
4.    So bene che in certe occasioni è difficile calibrare le parole. Noto, però, che il linguaggio di alcuni sedicenti "pacifisti" è cupo, gladiatorio, militarizzato. Quasi sempre ultimativo, eccitato. Alcuni vivono, per così dire, un orgasmo da scontro. Lo cercano. Mimano la guerra o la rivoluzione armata. Desiderano il "martirio". E' una logica tipica dell'estrema destra radicale, politica o esoterica. Il mito del guerriero è duro a morire. Cresce in luoghi diversi, uguali e contrari. Può contagiare persone miti e generose. A volte, nel clima teso di alcune grosse manifestazioni, i partecipanti ritengono secondaria la presenza dei "microviolenti" disposti a usare sassi, bastoni, scudi, o a fare un po' di guerriglia urbana. Pur dissentendo o denunciando il fatto, qualcuno pensa che si tratti di "compagni che sbagliano". E' un abbaglio! I violenti (ai margini o infiltrati nei cortei) sono pericolosi avversari del movimento per la pace. Lo umiliano. Lo sgretolano. Lo screditano. E' per questo che, a volte, vengono lasciati fare o sono manipolati. E' una storia vecchia. Il modo migliore per eliminare o indebolire un soggetto politico "alternativo" è quello di minarlo dall'interno, usando parole d'ordine condivise. E' quello di portarlo al degrado e al suicidio. Condivido l'allarme di Susan George in riferimento alle violenze di Goteborg e di Genova: "ne ho abbastanza di questi gruppi che arrivano nelle manifestazioni per distruggere.; ne ho abbastanza di questi teppisti e temo che se si continua a lasciarli fare finiranno per distruggere il movimento: la più bella speranza politica da trent'anni a questa parte. Il movimento che lotta per una globalizzazione diversa è in pericolo.Non potrà più andare avanti allo stesso modo.Noi, la immensa maggioranza che avanza proposte serie, noi che crediamo fermamente che un altro mondo è possibile, dobbiamo agire responsabilmente.Dovremo trovare nuovi percorsi democratici per portare avanti la lotta" ("Azione nonviolenta", n.7, 2001 e lettera e-mail del 26.7). 
5.  Cerco di precisare ulteriormente. Scrive Luca Casarini: "lanciare i sassi per fermare un inferno mi sembra legittimo"("La Repubblica" 23.7.2001). La frase è un misto di ingenuità e di irresponsabilità. Rivela disponibilità a usare o tollerare la violenza. Casarini e altri  si appellano, tra l'altro, alla "legittima difesa" senza rendersi conto che usano proprio l'argomentazione di coloro che  preparano le guerre o la corsa agli armamenti. Sono complici-vittima della logica dello scontro. Chi giustifica i  "microviolenti" ripete frasi solo apparentemente sensate come: "la vera violenza è quella dei potenti", "ci sono violenze più grandi", "il mondo è pieno di violenza". A mio parere, tali espressioni sono pericolosissime. Chi pensa così non si rende conto che la violenza fa sempre il gioco dei potenti. Le cosiddette "microviolenze" rafforzano le "macroviolenze". Le imitano. Le riproducono. Le riciclano. Le occultano. Le giustificano. Accreditano chi le compie, indisturbato, capace di presentarsi come benefattore o salvatore. Salvo casi rari, la violenza corrompe ogni fine cui venga subordinata. Appartiene alla notte della democrazia. Alla preistoria, ancora in atto, dell'umanità.
Le "microviolenze" sono figlie e complici delle grandi violenze. Sono la loro clonazione.  Bisogna dire con fermezza che anche la "microviolenza"  è sempre cattiva. Un sasso, un bastone, un oggetto lanciato possono ammazzare. Non colpiscono il capitalismo, l'imperialismo, ma un essere umano, una persona. Il suo diritto alla vita. Oltre che cattiva, la  "microviolenza" è stupida, ingenua, controproducente. Dà anche spazio alla repressione. Giustamente Curzio Maltese  osserva che "l'estremismo è il primo alleato del manganello, l'inevitabile utile idiota di ogni svolta autoritaria" ("La Repubblica" 23.7).  "Nulla è più gradito ai padroni del mondo -osserva a sua volta Enrico Peyretti ("Adista" 28, 9.4.2001)- che le manifestazioni contrarie in forma violenta. Esse permettono agli oppressori di apparire oppressi, quindi sono uno stupido regalo fatto ai padroni da rivoluzionari ingenui, complici per ignoranza e superficialità, succubi della stessa cultura dei loro avversari, perciò profondamente sconfitti".                      
6. La sconfitta è, soprattutto, umana. Chi sottovaluta il peso avvilente e degradante delle violenze o le vede come un fenomeno "normale" del mondo moderno, per quanto protesti o gridi, è sull'orlo della resa. Sta cadendo nella disperazione. Sta incubando il cinismo. Il popolo della pace deve esprimere in tutti i modi la sua radicale estraneità, il suo irriducibile antagonismo nei confronti di ogni forma di violenza. La violenza è male perché è disumana. Crea una spirale autodistruttiva nella persona e nella società. Si basa sull'automatismo botta-risposta, amico-nemico, occhio per occhio. Ci ingabbia in un meccanismo che paralizza il piacere di vivere e blocca ogni energia vitale. Ci inchioda in una coazione a ripetere che Fromm chiamerebbe "necrofilia". La nonviolenza, invece, rappresenta la "biofilia" operosa. Una forma di sanità mentale. Il libero civile dispiegarsi del piacere di vivere. La gioia di comunicare. La fiducia nella possibilità di costruire rapporti liberi, giusti e fraterni. La ricerca della convivialità. Una  novità di vita  che il cristiano può intendere come icona della Trinità, annuncio della Resurrezione, fuoco della Pentecoste. 
Dopo il G8, il movimento per la pace può agire in tal senso opponendosi al progetto necrofilo dello scudo spaziale al quale Berlusconi, mettendo da parte il dibattito parlamentare, la Costituzione e il futuro dell'Europa, ha dato l'appoggio. Occorre denunciare quest'ultima grande violenza, immensa ingiustizia verso i poveri, con la forza fresca e coraggiosa dell'amore che trasforma. 
Nonviolenza come forza dell'amore, proclamava Luther King, negli anni '60, nel vivo della polemica contro i metodi del "Black power" che, a suo parere, stava imitando i valori più spregevoli, brutali e incivili della società americana: "Sono stanco della violenza, ne ho vista troppa; ho visto un tale odio sui volti di troppi sceriffi del sud! Non intendo lasciare che sia l'oppressore a prescrivermi il metodo che devo usare. Non intendo abbassarmi al suo livello;  voglio elevarmi a un livello superiore. Noi abbiamo un potere che non si trova nelle bottiglie molotov. L'umanità si aspetta qualcosa di diverso dalla cieca imitazione del passato. Non potrebbe darsi che l'uomo nuovo di cui il mondo ha bisogno fosse l'uomo nonviolento?. La vita può diventare una serie continua di sogni infranti...  Io però riesco a sentire una voce che grida:  forse non sarà per oggi, forse non sarà per domani, ma è bene che sia nel tuo cuore. E' bene che tu ci provi  (M.L.King, Autobiografia, a cura di C. Carson).  In questo cammino  mezzi e fini s'intrecciano. Se vuoi la pace (shalom) prepara la pace. Anzi, non c'è nessuna via per la pace. La pace è la via. I contenuti dell'azione sono importanti. Ma il primo contenuto è la pace. E' bene continuare a provarci. (Sergio Paronetto)
 

 
MASSMEDIA e TAM TAM vari
 
 
 
LA GIRAFFA DISTRATTA
 
Da qualche giorno si aggira nelle librerie "La giraffa distratta...", (un libro-gioco realizzato da Paola Zinnamosca e Luciana Bertinato). Si può incontrare... a Soave, cartolibrerie "Cunico-Turella" e "Bonturi", a San Bonifacio, libreria "La piramide; a Verona, librerie "L'aquilone" e "Paoline; a Milano, "Mega libri- la Libreria"; a Roma, "Feltrinelli" e "Guidi". Sarà in circolazione anche a Bologna, alla prossima Fiera del libro - aprile 2002- con relativo bestiario al seguito... nel laboratorio che "Il Cerchio Magico" organizzerà per bambini e bambine.
 
STAMPA ALTERNATIVA
 
Il forum G8 presso il sito di Stampa Alternativa sta raccogliendo materiali e discussioni su quanto è successo la scorsa settimana a Genova. Inoltre, nell'ottica di un collegamento con altri siti che stanno agendo nella stessa maniera, sulla pagina del forum sono dati riferimenti di cui siamo a conoscenza: fate sapere di altri indirizzi presso cui trovare spazi analoghi. http://www.stampalternativa.it/pagine/forumg8.htm Vogliamo aumentare al massimo la visibilità di questo spazio. Invitiamo tutti a far circolare la voce. (http://www.stampalternativa.it)

LA SCUOLA ESTIVA 2001 PER RIPENSARE E RILANCIARE LA “ROSA BIANCA” 

Carissimi, quella di quest’anno sarà una “scuola estiva” particolare, ci auguriamo di svolta e di rilancio: una scuola di riflessione e di riorganizzazione per la Rosa Bianca. Una scuola per noi, mettiamola così. Una chiamata a raccolta, di amici e simpatizzanti attivi, o che vogliono esserlo (e non di ascoltatori passivi di un qualche illuminante contributo), per capire insieme quello che dobbiamo e possiamo fare, alla luce di quanto sta accadendo nel nostro paese e nel mondo (voglio ricordare, ad esempio, che a Genova c’erano diversi aderenti della Rosa Bianca, a partire dal presidente). Il titolo che abbiamo dato alla scuola, “I cristiani nell’età di Berlusconi : resistenza e costruzione dell’alternativa”, è soprattutto rivolto a noi, a noi come persone, ma, in particolare, a noi come fondatori e animatori di una esperienza di associazione politica cristianamente ispirata.  Da una parte approfondiremo, in modo collegiale e partecipato al massimo, i contenuti di un possibile schema di manifesto politico che dia chiarezza e forza alla presenza e all’attività della Rosa Bianca. Dall’altra, ridefiniremo la nostra organizzazione e gli incarichi, compreso quello del presidente il cui mandato, da molto tempo scaduto, è stato protratto in vista proprio di questa scadenza. In sostanza, ridefiniremo il patto associativo che dà senso alla nostra associazione. Mi pare perciò evidente l’importanza decisiva della prossima scuola, e il fatto che chi ha intenzione di parteciparvi lo faccia con lo spirito non dell’ascoltatore ma del protagonista responsabile in prima persona. L’importante è che alla fine della nostra “scuola” il patto associativo - sottoscritto da dieci, cinquanta o cento persone, quante saranno – sia l’inizio di una nuova stagione di cui tanti avvertono l’esigenza ma che richiede assunzione concreta di responsabilità per non restare solo buon auspicio (non possiamo perdere tempo con gli auspici, specie se buoni). Mando, quindi, a tutti voi, con il saluto più cordiale e l’augurio di una serena estate, un caloroso invito ad esserci, sul Monte Bondone, a Trento, dal 14 al 16 settembre.  Ad esserci, con lo spirito di chi sente di rimettersi in gioco con questa nostra piccola e bella Rosa Bianca. A presto! Il presidente, Vincenzo Passerini 

21° scuola di formazione politica

I CRISTIANI NELL’ETA’ DI BERLUSCONI Resistenza e costruzione dell’alternativa. Trento – Hotel Montana, Monte Bondone, 14-15-16 settembre 2001 Apertura: venerdì 14, ore 19.00, con la relazione introduttiva di Vincenzo Passerini;  Chiusura: domenica 16, ore 13.00 (conclusioni e pranzo) Relazioni e interventi di: Giovanni Colombo, Alberto Conci, Fulvio De Giorgi, Michele Dossi, Guido Formigoni, Paolo Giuntella, Giovanni Kessler, Paolo Marangon, Michele Nicoletti, Giorgio Tonini, Grazia Villa, Silvano Zucal. Serata pubblica: a Trento, sabato 15, ore 21.00: presentazione degli atti del seminario di Bose: Una porta per dove? La chiesa al passaggio di millennio. Iscrizioni: direttamente all’hotel Montana, gestito dai sig.ri Barbieri, posto a mt. 1500 in località Vason, sul Monte Bondone, la montagna che domina la città di Trento (a 30 minuti dalla città); tel. 0461-948200, fax 0461-948177; e-mail: info@hotelmontana.it I posti disponibili sono limitati. Quota di partecipazione: lire 150.000 (vitto, bevande incluse, e alloggio dalla cena di venerdì al pranzo di domenica). Informazioni: passeriniv@consiglio.provincia.tn.it, emanuele.curzel@katamail.com, fabio.caneri@tiscalinet.it

SITI DA VISITARE 
 
1) www.stilelibero.org  Sul sito di stilelibero alcuni versi della nuova poesivendoleria di Andrea Ciresola durante una serata di degustazione di vini svoltasi a Monteforte d'Alpone.
 
2) www.educare.it da vedere !!! 
 
3) Newsletter quotidiana "LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO" Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532. Per richiederla: e-mail: nbawac@tin.it
 
 
CARTA in EDICOLA

Quello che va in edicola venerdì 3 agosto è un numero eccezionale di Carta settimanale. E' tutto da leggere e durerà tre settimane, quando il settimanale tornerà in edicola. E' il nostro Almanacco, un bilancio dell'anno trascorso (da agosto ad agosto), ma con lo sguardo rivolto al futuro, agli appuntamenti dell'autunno e fino a Porto Alegre 2. E' l'equivalente di un libro.
L'Almanacco contiene un "dialogo" tra Marco Revelli e Pierluigi Sullo, sul senso degli avvenimenti genovesi e sulle prospettive; e poi il ruolo dei media, negli articoli di Anna Pizzo e Oscar Marchisio e nelle opinioni di un regista cinematografico, Davide Ferrario; l'indagine di Enzo Mangini sui meccanismi della macchina repressiva; una panoramica di Marco Calabria sui "social forum" nati in decine di città. Enrico Pugliese si occupa degli immigrati di fronte al governo di destra. Paolo Ferrero scrive dell'urto del movimento genovese sulla sfera della politica, con interviste a Fausto Bertinotti e Giorgio Cremaschi, segretario della Fiom del Piemonte. Vincenzo Ruggiero, studioso italiano che vive in Inghilterra, tratta, in una ampia intervista, il tema dei movimenti di strada, come «Reclaim the streets».
 
DIARIO in EDICOLA
 
É in edicola Genova 20, 21, 22 luglio, il nuovo speciale di Diario sui fatti di Genova. E' un numero essenzialmente fotografico, non ci sono articoli e saggi, ma solo le testimonianze di chi c'era, di era di fianco a Carlo Giuliani poco prima che venisse ucciso e di chi ha incontrato il padre di Carlo Giuliani in un'altra zona mezz'ora prima che morisse, di chi è stato picchiato e di chi è tornato a casa incolume, sapendo però che dopo Genova molto è cambiato.  Le pagine di questo numero sono pesanti, non solo perché la carta è più spessa e lucida di quella del Diario normale (cosa che ci costringe, eccezionalmente, a metterlo in vendita a 8 mila lire), ma perché le immagini di quello che è successo nei giorni del G8, viste tutte insieme, sono difficili da guardare senza emozione e rabbia. Forse si tratta del nostro lavoro migliore. Anche perché è il lavoro di tutte le persone che ci hanno mandato fotografie e racconti, intasando in due giorni le nostre caselle di posta elettronica. E' il lavoro dei nostri lettori. Vogliamo ringraziare tutti, quelli hanno trovato spazio e quelli che per ragioni di lunghezza, sono stati esclusi. La nostra intenzione è di continuare, per creare e conservare l'archivio più completo possibile di quanto è successo a Genova. È un impegno a cui cominciamo fin da subito a lavorare: cerchiamo ancora testi, foto, video. Se non l'avete ancora fatto, mandateceli ora in redazione (Diario della settimana, via Melzo 9, 20129, MIlano) o via email ad album@diario.it
E' il nostro modo (e il vostro) di raccontare Genova e di fare in modo che sia ricordata.
Diario della settimana tornerà in edicola venerdì 10 agosto con un numero di sole inchieste: in agosto c'è più tempo per leggere. Incontrete l'attentatore di Adolf Hitler e un bambino nella Cuba dei gangster, due vecchi medici cinesi e la loro cura contro il cancro che le multinazionali rubarono, le basette dell'ex presidente argentino Carlos Menem e uno scrittore italiano in Vietnam alla ricerca della tomba di sua nonna, Franco Rasetti, ragazzo "obbiettore" di via Panisperna. Assaggerete la patata, insospettabile caso di OGM del Settecento. Conoscerete la storia di ciò che è successo, negli ultimi 20 anni, dentro alla polizia italiana. Buona lettura (Redazione Diario)

 
INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI
 
 
RIFLESSIONE DI FRANCESCO COMINA: COME UNA LETTERA DI MONSIGNOR ROMERO DALL'ALDILA' DOPO I FATTI DI GENOVA
[Ringraziamo di cuore Francesco Comina per averci inviato questa lettera alle forze dell'ordine sulla nonviolenza che riprende lo spirito dell'omelia di Oscar Arnulfo Romero pronunciata dal vescovo salvadoregno poco prima di essere ucciso. L'autore ha voluto immedesimarsi in un Romero che guarda ai fatti di Genova. La lettera e' stata pubblicata come editoriale su "il Mattino di Bolzano" il 25 luglio. Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e' impegnato nel movimento di Pax Christi. Nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimundo Panikkar, collabora a varie riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000. Ha partecipato alla redazione del libro di AA. VV., Le periferie della memoria, e a AA.VV., Giubileo purificato. Per contatti: franzcomina@katamail.com Oscar Arnulfo Romero, nato nel 1917, e' stato arcivescovo di San Salvador, voce del popolo salvadoregno vittima dell'oligarchia, della dittatura, degli squadroni della morte. Muore assassinato mentre celebra la messa il 24 marzo 1980. Opere su Oscar Romero: James R. Brockman, Oscar Romero: fedele alla parola, Cittadella, Assisi 1984; Ettore Masina, Oscar Romero, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1993 (poi riedito, rivisto e ampliato, col titolo L'arcivescovo deve morire, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995); María López Vigil, Oscar Romero. Un mosaico di luci, Emi, Bologna 1997] Cari poliziotti, cari carabinieri, care forze dell'ordine, mi rivolgo a voi come un padre che ha a cuore la vita e il destino dei suoi figli.Ho visto le dimostrazioni violente di Genova con la morte orribile e triste del giovane Carlo Giuliani e poi il blitz nella sede del Genoa social forum; ho visto i feriti che venivano condotti all'ospedale e una citta' umiliata, sventrata, uccisa insieme alla democrazia di un Paese che si vanta di far parte degli otto piu' industrializzati della terra. E mi e' salita la febbre dell'angoscia come non mi accadeva da quando sono stato ucciso, colpito al cuore da un fucile del regime, quella sera del 24 marzo del 1980. Per questo io torno a parlare con voi, figli di un sistema che rischia di esplodere sotto i colpi sferzanti dei manganelli, delle pistole, dei lacrimogeni e delle provocazioni squallide di giovani vostri coetanei ammalati di odio, che vorrebbero contrastarvi: abbiate il coraggio di opporvi a ordini violenti e repressivi, abbiate il coraggio di dire di no a comandi omicidi, cercate di tenere limpida la vostra coscienza anche se vi obbligano a scaricare tutta la vostra forza contro cittadini inermi. Fate molta attenzione, non lasciate che i valori morali che vi avvolgono siano strumentalizzati da chi tiene le briglie di un ordine che non ammette alternative e che cerca in tutti i modi di preservare se stesso. Quando vi dicono di attaccare sulla folla voi fermatevi e obiettate, perche' la violenza provoca solo violenza. Fermate il pericolo, mettete in disparte chi provoca e inquina il dissenso nonviolento, garantite l'ordine pubblico, ma senza cadere nella trappola di una violenza fine a se stessa. E se vi dicono che tutto, al di la' del vostro schieramento, e' male, voi non credeteci: pensate alla realta' multiforme del mondo e al pluralismo dell'umanita'. Per questo motivo io vi chiedo, vi esorto, vi supplico: non fate violenza ai vostri coetanei, non sparate ai vostri fratelli, fate molta attenzione a non confondere i provocatori senza alcun fine etico con chi chiede a gran voce che un mondo migliore e' possibile. E non sparate, vi prego, non sparate a nessuno e uscite dai ranghi quando non ce la fate davvero piu': l'umanita' vi ringraziera' per l'eternita'. Ho vissuto gli anni del terrore nel mio piccolo paese sudamericano (El Salvador). Gli anni '70 sono stati terribili per tutti i popoli del continente. Il terrore aveva il volto minaccioso della dittatura che non voleva assolutamente che nel territorio ci fossero componenti di dissenso politico. I poveri che reclamavano i loro diritti sono stati colpiti, uccisi, massacrati. Gli avvocati dei poveri sono stati perseguitati, arrestati e malmenati, torturati e in molti casi uccisi. Ho ancora vivo nel ricordo il pianto lungo di Marianella Garcia Villas, l'avvocato della povera gente, il giorno dopo la violenza carnale che la polizia le ha riservato in una squallida cella subito dopo una retata anticomunista. Marianella piangeva e chiedeva vendetta, ma io l'ho convinta a non parlare cosi', perche' il vangelo dice a tutti i suoi figli di "amare anche i nemici". E quando mori', ucciso in un agguato militare, il mio amico, il padre Rutilio Grande, il mio cuore si riempi' di dolore e tutte le mediazioni diplomatiche imparate nei sacri palazzi curiali mi hanno abbandonato per sempre. Ho capito subito che la polizia agiva dietro comandi piu' alti, dietro strategie orchestrate dal potere politico. Si diceva che il nemico erano i comunisti e che i leader del popolo povero erano tutti militanti di organizzazioni sovversive. E cosi' i militari entravano nei villaggi con le mitragliatrici, uccidevano e ricoprivano gli assalti con i libri di Marx. E' accaduto cosi' anche ad alcuni amici sacerdoti, uccisi con la Bibbia nella mano coperta da un libretto rosso che essi non avevano mai letto. La strategia era stata studiata con un complotto internazionale: far passare le comunita' di base per organizzazioni filosovietiche. Per questo motivo ho cominciato a cercare un rapporto con voi, giovani militari e appartenenti alle forze dell'ordine. Ho chiesto il vostro aiuto e il vostro sostegno per ridefinire i confini di una violenza che ci sta sfuggendo dalle mani. A Genova ho rivissuto quei momenti brutali. Giovani pieni di allegria e di gioia volevano celebrare una festa del dissenso contro la cupola dei G8 in un mare di disperazione e di ingiustizie. Ma infiltrati aggressivi hanno ridotto quel grande sogno di pace in un inferno di guerra. E voi, ad aggiungere violenza a violenza senza fare distinzioni fra l'erba di una nuova primavera e l'inverno di fatti gia' visti. Uscire dal macabro gioco di forze contrapposte e' l'invito che faccio a voi dal cielo di un'altra vita.
Vostro
+ Oscar Arnulfo Romero (liberamente riletto, vent'anni dopo, da Francesco Comina)

Le Orecchie del cardinale (Biffi)

Ricevo da un carissimo amico il n.393 (1/2001) de "il Mulino". Mi invita a leggere (pagg. 156-166) il saggio di Sandro Vesce (che riporto qui sotto) e mi scrive "sono certo che piacerà anche a te". In effetti mi è piaciuto non poco. Ho molto apprezzato questa attenta analisi della Nota Pastorale del cardinal Biffi (La città di San Petronio nel terzo millennio - 12 settembre 2000), analisi rivolta non tanto all’esame delle "esplosive" considerazioni del nostro episcopo circa l’Islam, quanto a tante piccole e apparentemente irrilevanti questioni ("…le orecchie…") di cui Biffi ha trattato in quella Nota. L’autore mostra - con grande competenza storica e notevole rigore logico - come Biffi sia caduto in non poche contraddizioni ed inesattezze: a mio modesto avviso (dove sbaglio?) ciò dimostra come anche dalle piccole cose trattate con sicumera e in modo non esatto possa emergere quella grande ancorché forse subdola arroganza, tipica di chi sente depositario della verità. (Domenico Manaresi)

Uno studioso non dimenticato, Giovanni Morelli, centoventi anni fa insegnò agli storici dell'arte ad attribuire le opere di pittura non in base alle parti importanti, il volto, le mani, il panneggio, ma in base a quelle periferiche. Ogni artista le orecchie le dipinge in libertà, non vi dà peso, parlano di lui e sono inconfondibili. Si può calibrare un volto, per accreditarsi con la propria bravura, o avvicinarsi a un modello nobile, o coprirsi da critiche di avversari; in taluni casi (ma davvero non in quello di cui ci occuperemo) per incontrare il gusto del futuro acquirente. Come minimo, dedicarsi alle parti importanti per individuare un artista può far perdere tempo. Un po', appunto, perché “velate” in vario modo dall'autore, un po' perché, essendo quelle su cui si accentra l'attenzione generale, è inevitabile che le si osservi subendo l'interferenza di moltissime voci: potendone venir arricchiti, ma, più facilmente, perdendo a causa loro l'originalità dell'approccio; all'incirca, un conto è in un museo accostarsi direttamente a un quadro, un conto è decifrare per prima cosa l'etichetta postavi sotto.

Molte cose sono state dette e scritte sul cardinal Biffi a proposito delle sue dichiarazioni circa l'immigrazione islamica in Italia. Tali dichiarazioni però non nascono nel vuoto. Perseguendo l'obiettivo di ricavare l'idea più esatta e meno filtrata possibile del suo impianto di pensiero, ciò che si intende fare in questa sede è dedicare attenzione al testo da cui tutto è partito, la Nota pastorale La città di San Petronio nel terzo millennio, e percorrerlo passo passo badando a taluni particolari, che siano non troppo insignificanti (nel senso di rintracciabili in chiunque) e nello stesso tempo non troppo centrali. Si trascureranno, per intenderci, le parti da considerare idealmente sottolineate dall'autore. Quelli che prenderemo in esame sono alcuni elementi marginali, in cui si sente il suo gusto, ma che egli stesso sarebbe disposto a tagliare, seppure a malincuore, per un motivo appropriato.

Se a qualcuno ciò dovesse sembrare troppo minuzioso, eccentrico quanto al tempo stesso pedante, abbandoni la lettura, altro non troverà. Metta però contemporaneamente una croce sulla possibilità di dissentire dal Cardinale onestamente, dandogli il suo e argomenti alla mano. Non tanto perché egli scrive, ad altro proposito, “noi siamo tenuti a rendere conto al Signore; ma solo a lui, e a nessun altro” (n. 41), che pur dando l'idea del suo temperamento potrebbe essere un pio desiderio, quanto perché il Cardinale possiede di fatto un'abilità di controversista difficilmente superabile: sul terreno scelto da lui, bravo chi passa.

“Il bolognese più antico”

La Nota del cardinale arcivescovo inaugura tradizionalmente l'anno pastorale della diocesi di Bologna e intende esserne lo strumentò orientativo. Uscita il 9 settembre 2000, si presenta come un ampio documento, articolato in 64 paragrafi e comprendente una introduzione, una conclusione e cinque parti centrali: “Il "volto" di Bologna”, “L’ “anima” di Bologna”, “Le sfide del nostro tempo”, “I capisaldi della vita cattolica bolognese”, “Indicazioni operative”. Si tratta perciò, per rifarsi alla terminologia antica, non di una lettera, ma di una epistola: un trattato che ha espressamente qualcuno come destinatario, vedremo subito chi.

Di essa esamineremo, ritenendolo sufficiente allo scopo che ci siamo proposti, l'introduzione e, a seguire, la prima parte, “Il "volto" di Bologna”, in cui il Cardinale passa in rassegna l'architettura cittadina.

 

Il “volto” di questa città [...] è incontestabilmente un “volto” cristiano. Possiamo perfino congetturare che sia stata volontà esplicita di riplasmare il vecchio centro abitato in modo che richiamasse il regno di Dio [...] Questa è una città che - a saperla leggere - da ogni suo angolo rimanda alla verità e al primato del mondo invisibile. Tutto ciò si fa ancora più evidente in alcune sedi imponenti e mirabili di preghiera e di vita liturgica, che sono anche gli edifici più tipici e più ammirati (n.7).

Ma ritorniamo all'introduzione (se no inseguiremmo il dispettoso pensiero che non stia parlando di Bologna, nemmeno Assisi è descrivibile così, col vecchio centro riplasmato in modo da richiamare il regno di Dio). Vivace e gradevole nello stile quanto impegnata e seria nel progetto, “La città di San Petronio nel terzo millennio” si apre (nn. 1‑3) esprimendo gioia, coinvolgimento e fiducia:

Essere bolognesi è un dono [...] una fortuna che è opportuno saper riconoscere; [...] questa eredità chiede di essere consegnata alle generazioni future”; [...] queste pagine [...] intendono rasserenare e incoraggiare: desiderano convincere tutti che questa città [...] può affrontare con fiducia e con decisione le sfide e le incognite del futuro.

La Nota chiarisce fin dall'inizio di indirizzarsi “a quanti si riconoscono senza ambiguità appartenenti al "gregge" di Cristo” (n. 4), ma di essere offerta “anche a tutti i bolognesi, nel pieno rispetto delle loro convinzioni e della loro autonomia di giudizio”. E confida nel loro ascolto dato che l'estensore è, sotto un certa profilo, “il bolognese più antico”: “non c'è in Bologna né una dinastia familiare né una magistratura che possa attribuirsi un'origine remota e una continuità storica pari a quella della cattedra di San Petronio del quale io sono in ogni senso l'ultimo successore” (n. 5).

Nonostante la limitazione “sotto un certo profilo” e la bonarietà del contesto, che potrebbero farlo sembrare anodino, già questo porsi del Cardinale, vera ouverture della sua opera, va considerato attentamente, in primo luogo perché dà origine a una contraddizione e in secondo luogo in quanto rivendica uno status che egli non può pretendere per se. La contraddizione è rivolgersi a tutti (“auspichiamo che ciascuno dei bolognesi ricerchi [...] il vero bene di questa città”, n. 5) nello stesso tempo collocandosi in una condizione superiore. O “il più antico” lo prendiamo per un epiteto buttato là (ma il Cardinale lo usa con convinzione e lo sviluppa nel prosieguo con coerenza), oppure “il più antico” getta luce particolare sull'espressione “il vero bene”: chi si dichiara più antico rivendica per se una maggiore saggezza, cosicché “il vero bene” è lui, più di qualunque altro, a conoscerlo. Questa è la posizione di un genitore, non di un pari, e come tale non può costituire la base di una chiamata a raccolta che comprenda coloro i quali non si sentono figli: da figli non ne vengono attratti, perché non sono figli; da interessati non ne vengono attratti, perché non si può provare interesse là dove il confronto non nasce completamente aperto. Tanto più se le posizioni sono diverse e da molto tempo fortemente divaricate: come è la situazione a Bologna, per esperienza di tutti, Cardinale compreso, che vorrebbe rimediarvi e appunto per questo ha steso la Nota indirizzandola a una pluralità di soggetti.

Ma il porsi del Cardinale non solo è in contrasto con l'intento dichiarato, chiamare tutti a impegnarsi per il bene della città, è anche intrinsecamente insostenibile. Il vescovo di Bologna, “ultimo successore di San Petronio”, non è il genitore di Bologna. È vero che è istituzione cittadina molto antica, ma non è la più antica in assoluto. Si può concedere che la successione vescovile sia più lineare e, per il singolo passaggio, più soggettivamente consapevole; però la magistratura cittadina, se non si fa questione di appellativi (e non di altro: la Chiesa ha preso i vescovi dappertutto), rappresenta un susseguirsi altrettanto privo di interruzione: mai Bologna è stata senza una amministrazione efficace e legittima. Del resto, in una città non può verificarsi un vuoto di potere locale che non sia del tutto momentaneo, paragonabile alla vacanza di un vescovo, altrimenti essa crollerebbe, non sono pochi i casi di città sparite, Velleia, in questa regione, per dirne una sola. È vero che a volte gli amministratori devono essersi sentiti diversi dai predecessori immediati, che magari avevano fisicamente eliminato, più di quanto sia avvenuto presumibilmente per i vescovi. Tuttavia è ben difficile pensare che il sindaco, o comunque si sia chiamato, di Bologna, non si percepisca, chiunque egli sia, anello di una catena; e non avverta, insieme al peso, il respiro lunghissimo della funzione che svolge, esistente da che la città è città.

E non vi è dubbio, il susseguirsi degli amministratori bolognesi risale più indietro, e dunque è più antico, di quello dei vescovi: la città, Felsina, poi Bononia, poi Bologna, mantenutasi ininterrottamente, per secoli ha avuto amministratori (certo, che svolgevano insieme anche funzioni religiose) quando il cristianesimo non si era ancora affacciato e non vi erano vescovi. È indiscusso che il nucleo di Bologna coincide con la forma e la collocazione sul terreno di Bononia; ed è pacifico che la lingua attuale è la derivazione di quella che parlavano i bolognesi di allora, che adoravano Iside, fra le altre divinità, e sacrificavano all'imperatore, Gesù Cristo essendo creduto altrove e venendo predicato in greco o in una parlata latina centro-meridionale: a parte gli almeno due secoli di Bononia appartenente alla repubblica romana, nella nostra era l'Italia del Nord non venne evangelizzata prima del terzo secolo, seconda metà, e San Petronio, dal canto suo, visse all'inizio del quinto.

A meno che, beninteso, non si prenda in considerazione appunto questo, che religione vi è stata ininterrottamente a Bologna dalla sua fondazione ad oggi: da questo punto di vista il Cardinale non ha nessuno che possa dirsi più antico di lui. Deve però accettare, in tale prospettiva, di essere succeduto ai sacrificanti a Roma e all'imperatore romano, sommi sacerdoti di allora (del resto, il papa si fregia del titolo di Sommo Pontefice). Nel caso però che il Cardinale obiettasse, ed è pur vero anche questo, che tra paganesimo e cristianesimo c'è stata una grande rottura, non potrebbe continuare ad avvalersi dell'argomento da lui avanzato per darsi preminenza, la continuità storica superiore a qualunque altra: se vuole essere altrettanto antico dell'autorità civile, deve pensare di essere passato attraverso rotture paragonabili a quelle che essa ha conosciuto, se non addirittura maggiori.

Sia detto per inciso. Se il Cardinale accettasse di essere “il bolognese più antico” per questa via, di “gemmazione” dalla reggenza cittadina, che in epoca pagana era promiscua, civile e religiosa senza distinzione né concettuale né pratica, egli potrebbe come conseguenza vantare ciò per cui il cristianesimo non può non essere caro a ogni europeo: a causa del chiarissimo rifiuto di rivendicare il potere politico da parte del suo fondatore, il cristianesimo si trova alla base della separazione, sconosciuta fuori del suo raggio di influenza, tra il campo del politico e il campo del religioso. Ma non si presuma di suggerire al Cardinale, che con scelta meditata è orientato in modo antitetico, come si vedrà sempre più chiaramente andando avanti. Ci basti avervi accennato, perché veniva da se.

Altro aspetto da non passare sotto silenzio di questo pregnantissimo “il bolognese più antico” è la sovrapposizione e compenetrazione che lascia trasparire, nel pensiero dell'estensore della Nota, fra l'uomo, Giacomo Biffi, e la carica da lui occupata, la cattedra episcopale di Bologna. Non si entri nell'argomento di quanto questo sia suo o di tutta la Chiesa (la Chiesa, parrebbe segno contrario, distacca soggetto e carica vescovile al settantacinquesimo anno). Resta che la Nota pastorale confida nell'ascolto di tutti i bolognesi, anche laici, e almeno da questi ultimi non può venir accettato questo risalto personale di Giacomo Biffi, in quanto successore di San Petronio, come bolognese più antico e di conseguenza più saggio. Si immagini l'accoglienza che avrebbe avuto John Kennedy se in un discorso sullo stato dell'Unione avesse detto agli americani: confido nel vostro ascolto perché, in quanto successore di Washington, sono l'americano più antico. Questa identificazione, proposta a dei cittadini invece che mantenuta circoscritta a dei fedeli (dato e non concesso che ad orecchi fedeli suoni corretta) anzitutto mostra il Cardinale incapace di distinguere, all'atto pratico, e forse prima concettualmente, fra cittadini e fedeli; in secondo luogo, evoca ai laici, e perché no ai credenti, modelli di leadership superati, tipicamente Ancien régime. Era perfettamente in linea, alla sua epoca, Luigi XIV che diceva lo Stato sono io. Nessuno con una simile impostazione, di essere tutt'uno con la sua carica, lo può essere oggi in una democrazia. Tanto più inaccettabile è il Cardinale in quanto Luigi XIV occupava l'ambito civile e, per la resistenza della Chiesa, non invadeva l'ambito religioso; mentre il Cardinale, invocandosi il bolognese più saggio ed essendo anche vescovo della città, finisce per non lasciare scoperto, nelle intenzioni, né l'uno, né l'altro.

Questa sintonia fra Cardinale e Ancien régime, che qui al n. 5 fa capolino per la prima volta, oltre a ripresentarsi massicciamente nella sostanza, non è priva di riscontri espliciti nelle parti successive del testo. In una occasione, parlando dell'Università e di una donna a cui fu offerta la cattedra nel Settecento in epoca di governo pontificio, egli così si esprime: “Solo quando si impose l'ideologia progressista d'oltralpe, il maschilismo assoluto prevalse fino al secolo XX inoltrato” (n. 24). In una seconda occasione egli lamenta che alcune croci un tempo in città si trovino ora in San Petronio “rimosse dalle sedi originarie dalla prepotenza degli invasori francesi” (n. 55).

San Petronio e San Pietro

La tesi che il Cardinale sviluppa, riassunta al massimo, si può formulare così: la città di Bologna è frutto (esclusivo) del cattolicesimo; avrà un futuro se si manterrà in esso. Tutto si gioca su quell'“esclusivo”, che nel volto (nel senso spiegato sopra) della Nota è affermato di continuo, ma sottobanco, al punto da costringerci a scriverlo tra parentesi altrimenti ci verrebbe obiettato che in verità non è detto, mentre emerge senza possibilità di equivoco, e con tutta la sua carica lacerante, in quei punti secondari che abbiamo paragonato alle orecchie di un ritratto dipinto secoli fa. Proseguiamo a individuarne alcuni nella parte che segue l'introduzione, l'unica di cui ci occuperemo da qui alla fine e che ha come titolo “Il "volto" di Bologna”.

“La cattedrale non è il più famoso degli edifici sacri bolognesi. Eppure tra i nostri luoghi storici è il più illustre, il più carico di memorie, ecclesialmente il più rilevante” (n. 13). Per valutare adeguatamente questo passaggio della Nota è opportuno anzitutto domandarsi: a quale chiesa si sta riferendo il Cardinale? Qual’è la cattedrale di Bologna? Nel paragrafo ad essa dedicato passando in rassegna gli edifici cittadini, appunto il n. 13, bisogna arrivare alle ultime righe perché egli le dia il nome, San Pietro. Veramente? Non è San Petronio?, si chiederanno i non bolognesi e buona parte dei bolognesi stessi, almeno quelli di oggi. No, la cattedrale di Bologna non è San Petronio. È una particolarità che la città condivide con poche altre italiane: la chiesa più grande e più famosa non è il duomo, vale a dire la cattedrale, vale a dire la sede del vescovo.

Cercando il miglior parallelo, una situazione del genere si incontra a Venezia. San Marco, a tutti nota, fu dedicata dalla Serenissima al santo patrono della città e non c'entra nulla con la sede vescovile. I1 vescovo, che là si chiama patriarca, ha la sua cattedra a San Pietro di Castello, anche in quel caso si tratta di un San Pietro, chiesa fuori mano (diversamente da Bologna), relativamente anonima e visitata da pochi (stessa cosa a Bologna). La città di Bologna, soltanto in astratto appartenente ai domini della Chiesa all'epoca in cui fondò San Petronio, a un bel momento (1390) decise di dotarsi di un grandioso edificio sacro. Per questo demolì un intero quartiere, in cui si trovavano diverse chiese, e dedicò l'enorme costruzione, proprio come a Venezia, al santo cittadino, San Petronio. San Pietro era il duomo ed esisteva da secoli, ma a nessuno venne in mente di ampliarlo, oppure di compiere lo stesso sventramento e trasferire il titolo e la dignità alla nuova chiesa in progetto. Non era quella l'idea. Figurarsi poi dedicarla a San Pietro quando chi vantava diritti su Bologna era il papato. Ci sarebbe mancato altro: tenendo alla propria indipendenza, e volendo esaltarsi come città (e lodare Dio: a quel tempo i due vissuti si compenetravano), era al santo locale, e a nessun altro, che bisognava rendere il maggior omaggio possibile.

Se chi legge la Nota non ha familiarità con la storia bolognese non è in grado di rendersene conto, ma è a questo retroterra e a questo intreccio che l'allora sindaco Imbeni, citato dal Cardinale a conferma della propria tesi, pensava quando diceva: “I bolognesi hanno sempre amato e amano questa basilica” ‑ si noti l'esattezza: basilica, cioè “chiesa del re”, “chiesa illustre”, e non cattedrale, non duomo; si può esser certi che Imbeni, da comunista, in altra occasione sarebbe stato meno bravo a raccapezzarsi ‑ “perché l'hanno sempre sentita come una delle grandi “case comuni” della propria storia, nei cui complessi e ricchissimi significati vive la più autentica tradizione della città” (n. 10). Vale la pena di notare: il sindaco Imbeni, in questo discorso tenuto in occasione del sesto centenario della fondazione di San Petronio, dicendo “casa comune” crea volutamente un'assonanza con il Palazzo comunale, come a dire: ci sono varie case comuni del popolo bolognese, non solo il Palazzo comunale lo è. Il cardinal Biffi, proseguendo di suo pugno, il Palazzo comunale lo cancella addirittura dalla piazza. Lo si ascolti: “Sulla piazza Maggiore, che è il massimo arengo della nostra vita associata, si erge il tempio dedicato a San Petronio, nostro principale patrono”. E prosegue: “esempio insigne del gotico italiano [...]”; del Palazzo comunale, nulla (si abbia presente che l'argomento di questa parte della Nota è “I1 volto di Bologna” e non, poniamo, “Gli edifici sacri di Bologna”). La magistratura cittadina, espressione necessaria dei bolognesi al di là della loro appartenenza o non appartenenza religiosa, non l'ha davvero nel suo orizzonte mentale. Se uno non la conoscesse di persona, penserebbe che in piazza Maggiore c'è soltanto San Petronio, insomma che il massimo arengo della vita associata di Bologna è un sagrato.

Chiarito tutto ciò, torniamo ora al testo del Cardinale citato sopra (n. 13) e domandiamoci come può sostenere che San Pietro “tra i luoghi storici bolognesi è il più illustre, il più carico di memorie”. In San Petronio, chiesa di grande fascino oltre che grandissima, fu incoronato Carlo V “sul cui regno non tramontava mai il sole”. Vi si tennero due sessioni del Concilio di Trento, che ha improntato il cattolicesimo per quattro secoli. Al Cardinale viene spontaneo affermarlo perché, e in questo ha perfettamente ragione, San Pietro è il luogo storico “più ecclesialmente rilevante”, come scrive subito dopo: infatti, in quanto sede del vescovo, è la scaturigine dei sacramenti e il perno della vita cattolica religiosamente intesa. Ma sostenere che è il più illustre e il più carico di memorie è possibile soltanto se si considera vita cittadina quella che passa attraverso le manifestazioni della fede cattolica, e spazi di altro genere non vengono concepiti.

Nello specifico, per far valere la sua tesi il Cardinale ha due opzioni, e puntualmente, per quanto in contrasto l'una con l'altra, nella sua Nota le utilizza entrambe. La prima opzione è annettersi completamente San Petronio sottraendola alla storia civica bolognese. È quanto fa al n. 11. Dopo aver citato Imbeni è così che prosegue: “Nessuno però può disattendere l'indole originaria e inalienabile di San Petronio (che il sindaco aveva definito una delle grandi “case comuni”), che è di essere una casa di Dio e quindi della famiglia di Dio, cioè degli appartenenti alla Chiesa cattolica”. La seconda opzione è appunto quella che stiamo analizzando, di dichiarare la cattedrale, San Pietro, più illustre e più carica di memorie di San Petronio. Dove alla fine il Cardinale vada ad approdare lo si scopre leggendo il paragrafo successivo, il n. 14, che, essendo molto breve, riproduciamo per intero: “In questo tempio (è sempre della cattedrale che parla), ci imbattiamo anche nella figura di San Pietro che dalla nostra gente è stato venerato fin dal principio del cristianesimo bolognese con un affetto e una devozione senza eclissi (ma poco prima, al n.13, aveva scritto della sua chiesa che “oggi è stata riscattata dalla malinconia di un dignitoso declino”). E così appare chiaro che tra gli elementi originari dell'identità bolognese c'è anche il desiderio di comunione con la sede apostolica e l'amore per il successore del principe degli apostoli”. I1 che si regge, se si vuole affermare che attraverso i cattolici, per molti secoli largamente maggioritari, è stato presente a Bologna, da un certo punto della sua storia in poi, il desiderio di comunione col papa. Rimane non stabilito in che modo l'amore per il papa contribuisca oggettivamente, è questo che egli sostiene, all'identità bolognese considerata nella sua specificità.

Deriva dall'ironia petroniana, il cardinal Biffi non se ne avrà a male, lui che senza sussiego ha scritto un commento teologico a “Le avventure di Pinocchio”. È il guaio di essere il bolognese più antico. Se fosse un bolognese degli anni che ha, gli si sarebbe affacciato, qui a un passo da piazza Maggiore, in un punto di via Orefici, il ricordo di un esempio ben specifico della natura di Bologna, carissimo a tutti. Don Marella si metteva lì di notte, con qualunque stagione, e all'uscita dei ristoranti, sorridendo, aspettava in abito talare, da vecchio, la carità per i suoi poveri.

I portici

Bologna si caratterizza per i suoi portici che, rispetto a città di pari dimensioni, la rendono unica in Italia e probabilmente nel mondo. Dentro la terza e ultima cerchia di quelle che furono le sue mura se ne contano trentotto chilometri.

Vale la pena di soffermarsi sul fatto che i portici in Emilia tanto meno si incontrano nelle città quanto più ci si distanzia dal capoluogo regionale. Benché la regione non sia mai stata, si può dire, sotto un unico governo dalla caduta dell’Impero romano sino all'unità d'Italia, i portici sembrano dipendere dalla vicinanza di Bologna, come piante che non devono venir allontanate troppo dal loro habitat altrimenti non si mantengono. Modena è porticata, benché assai meno. Reggio e Ferrara, più lontane, hanno porticata solo una grande arteria. Parma, più lontana ancora, non ha portici, se non alcuni recentissimi, e li avverte così estranei a se da chiamare l'unica via secondaria che da un lato li possiede “Borgo Colonne”.

Poiché il cristianesimo è altrettanto storico e altrettanto sentito nelle cinque città, non viene spontaneo fare riferimento ad esso come causa dei portici. Perché a Bologna sì e altrove, a parità di devozione, sempre meno? Bisognerebbe che qui e non là si fossero verificate situazioni particolari concernenti la fede, ma non se ne conoscono. Riguardando in linea di massima tutte le vie e non avendo specifiche funzioni religiose, per il fenomeno bolognese sembrerebbe dover essere ipotizzato un insieme di cause profane, sia storico-economiche, sia politico-sociali. Una temperie culturale, un gusto, anche, forse; ma si rischia di finire nell'impalpabile, o nel comico involontario della tiritera: il gusto per i portici, dimostrato dai portici, fu la causa dei portici. Gli studi sulla prerogativa bolognese dei camminamenti coperti non la spiegano fino in fondo, arrivano soltanto a renderla più comprensibile - è singolare oltretutto trovare una città interamente porticata in un clima né piovoso né nevoso e invece molto umido e fermo, cosa che richiederebbe insolazione e aerazione a pena di maggiori rischi sanitari per gli abitanti.

Bologna era cristiana, certo, quando si orientò collettivamente per questa soluzione urbanistica e perseverò in essa, ma per vedervi un'origine cristiana occorrerebbero quanto meno indizi specifici, altrimenti tutto ciò che nacque allora dovrebbe essere detto cristiano: non riuscendo dopo di che a distinguere uno spazio laico (la mortadella è cristiana?) e non riuscendo a riservare alla Chiesa un margine di innocenza, perché a fil di logica anche le brutture, se tutto dipendeva da lei, le saranno imputabili. Si rispecchia pienamente il pensiero di chi accusa Dio di essere responsabile del male, se si sostiene che qualsiasi opera, in epoca di prevalenza cristiana, dipese dal cristianesimo.

Parliamo a nome nostro, perché il Cardinale non condivide queste preoccupazioni, che forse giudicherebbe dettate da “invidiabile candore”, come la domanda: “Ritiene anche lei che l'Europa sarà cristiana o non sarà?”, che riferisce essergli stata rivolta anni addietro (n. 50), e non rinuncia ad occuparsi dei portici in funzione della sua tesi: Bologna è cristiana, sia ancora cristiana o non sarà più Bologna. Diamogli anche qui la parola: n. 17, “I portici”, riprodotto quasi integralmente.

Bologna infine è la città dei portici. Questo è uno dei dati esteriori che più vistosamente entrano a determinarne l'aspetto. A differenza di quanto abbiamo notato fin qui, il portico a prima vista non pare possedere direttamente una finalità religiosa, anche se per la verità è stato spesso realizzato fin dai primi tempi per favorire l'accesso a luoghi sacri particolarmente cari, come San Luca e Santa Maria lacrimosa degli Alemanni.

Cosa capisce qui il lettore? Che portici e imponente uso religioso dei portici (svariate centinaia di metri fuori città per gli Alemanni, quasi quattro chilometri per San Luca) nascono insieme, e quindi un rapporto, almeno su questa base, deve essere istituito. Peccato che non sia andata così: l'uso dei portici per importanti scopi religiosi è di molto posteriore alla loro comparsa, che è medioevale. Per scopi religiosi sono stati usati quando erano la sigla indiscussa della città: quello di Santa Maria lacrimosa degli Alemanni risale al 1631 e quello della Madonna di San Luca al 1674, quattro secoli e più li separano dunque dai “primi tempi”.

Il Cardinale, prima di concludere:

“Come si vede, anche questa caratteristica bolognese può essere valutata come un risultato o almeno un indizio di una mentalità imbevuta di cristianesimo”, si appella a un'altra ragione: “È probabile che alla fortuna di questo elemento architettonico, abbiano contribuito motivazioni economiche e addirittura fiscali. Ma è indubbio che esso oggettivamente rivela un'attenzione agli altri che è consentanea allo spirito del Vangelo. I proprietari che, erigendo le loro case e i loro palazzi, costruiscono anche il portico, non pensano solo a se stessi: si preoccupano di agevolare la via che è loro antistante”. Peccato, anche stavolta, che i fatti stiano in altro modo, il Cardinale ha una visione troppo poco “comunista” di Bologna antica: non si trattava di una decisione dei proprietari, ma del Comune (l'amministrazione civica, perbacco, che in piazza Maggiore lui ha appena cancellato). I portici medioevali a Bologna erano, e anche quelli di oggi lo sono, di proprietà delle case, a cui il Comune consentiva a quell'epoca di protendersi sulla strada, ma non con un comodo sporto, come si tendeva a fare, bensì con un più costoso elemento architettonico, che fosse percorribile ai cittadini e di cui i proprietari si accollassero la manutenzione. I1 Cardinale, senza volerlo, ed è ancor più significativo, sposta nuovamente anche qui i primi portici a quando servirono per le grandi opere religiose, cioè nel Seicento avanzato, perché aggiunge: “Le strade antiche, che non avevano marciapiedi, erano dominio incontrastato dei cavalli e delle carrozze”. Nel Medioevo cavalli ce n'erano anche, più asini e muli, ma carrozze nessuna, dovevano ancora apparire.

Il Nettuno

Abbiamo un ultimo dei nostri punti secondari (per convenzione, orecchie) da prendere in esame. I1 Cardinale, che di tener desta l’attenzione del lettore è veramente capace, chiude questa parte della sua Nota “col botto”.

Mette conto qui di rilevare incidentalmente che perfino il “Nettuno” - monumento che spicca nel “volto” della città ed è comunemente ritenuto il più “laico” - è il prodotto di una “committenza ecclesiale”. È stato eretto nel 1563 (l'anno in cui si conclude il Concilio di Trento) per volontà del papa Pio IV e soprattutto del cardinale legato, che si chiamava Carlo Borromeo. Nasce, come si vede, nel pieno della così detta Controriforma a opera del più austero degli uomini di Chiesa di quel tempo. La statua del Giambologna è un'evidente glorificazione del corpo umano e raffigura una divinità pagana chiamata, come tutto il mondo classico, a mettersi al servizio della visione cattolica del committente. Il quale dimostra così una libertà di spirito e una larghezza di vedute, che dovrebbero mettere un po’ in crisi qualche convenzionale giudizio storico e molti luoghi comuni (n. 19).

Mette in crisi senz'altro, a prima vista. San Carlo Borromeo è il santo che tutti ricordiamo effigiato, col gran nasone, in adorazione del crocefisso tenuto fra le braccia davanti a se come se non esistesse nient'altro. È del resto verità storica che fu il grandissimo campione che portò la Controriforma a dispiegare i suoi effetti. Qui ce lo si presenta, per di più, cardinal legato di Bologna (cioè massima autorità amministrativa cittadina in tempo di dominio pontificio) che decide l'erezione del Nettuno! Non ce lo aspetteremmo, ma, procedendo con i riscontri, forse apparirà che non abbiamo tutti i torti a mancare di questa aspettativa. I1 Cardinale riferisce una cosa vera e poco conosciuta (Carlo Borromeo cardinal legato di Bologna). Però dovrebbe un minimo contestualizzarla. Carlo Borromeo, diventato cardinale nel 1560, aveva ventun'anni e se ne avesse avuti quindici sarebbe stato lo stesso. Eletto papa suo zio, Pio IV, si trovò prontamente coperto di un gran numero di cariche, oltre che di prebende e sinecure. Gli fu data persino la segreteria di Stato. La sua collocazione indiscussa era la corte pontificia, a Bologna non era previsto che mettesse piede, né ve lo mise mai se non per pochissimi giorni e di passaggio. Era stato immediatamente destinato ad essere arcivescovo di Milano, ma anche questo non significava alcunché quanto alla residenza: non si immagini la Chiesa dopo Carlo Borromeo uguale a quella prima di Carlo Borromeo. E neppure lo si pensi investito della Chiesa ambrosiana essendo già vescovo o almeno prete. Diventerà l'uno e poi l'altro proprio nel 1563, che non fu tanto l'anno del Nettuno (finito nel 1566), quanto quello in cui si riuscì a terminare il Concilio di Trento (ce lo ha ricordato il Cardinale en passant) e quello in cui Carlo Borromeo, dopo la morte del fratello maggiore unico maschio, accentuò la sua conversione: rinunciando a lasciare la porpora per continuare il casato (nel 1545 i Farnese avevano ricevuto dallo zio Paolo m uno stato addirittura, Parma e Piacenza) si impegnò con tutte le sue energie nella riforma di Milano, in cui volle risiedere, e della Chiesa universale, che non perse minimamente di vista. Prima facendosi forte del papa, poi, alla morte di questi (1565), come arbitro dell'elezione del successore Pio V, egli fu in quegli anni la figura di maggior spicco nella Chiesa e quella in cui erano riposte le speranze dei riformatori.

Ebbe tempo, ebbe voglia, ebbe inclinazione per un dio pagano in posa trionfante e con il membro scoperto? Per una statua in accordo con ciò contro cui lottava con tanto zelo? Le biografie fondamentali ne tacciono completamente. Le cronache di Bologna ricordano un vice legato Pier Donato Cesi a cui risalgono quegli interventi urbanistici (ci fu anche l'Archiginnasio), di certo voluti dal papa, a Roma non meno patrono di artisti e architetti. Ma il Cardinale dice che la statua la dobbiamo espressamente al desiderio di Carlo Borromeo, e il Cardinale è un uomo d'onore.

A noi riesce ragionevole pensare che quello fu uno degli ultimi frutti (buono, perché no) dell'epoca precedente, che non tramontò di colpo, è ovvio, né poteva essere soppiantata per decreto. Fu durissimo per la Chiesa, prese decenni e comportò conflitti di ogni tipo sterzare dall'umanesimo e passare dalla forma pretridentina a quella tridentina. A conferma dell'essere avvenuta l'erezione del Nettuno a cavallo di queste due epoche contrapposte e del trovarsi il ventiquattrenne Carlo Borromeo soltanto all'inizio della seconda e impossibilitato a influire su ogni cosa che si progettasse, quando la Controriforma fu completamente affermata alla statua furono imposte brache di bronzo, che non furono tolte se non molto dopo, arrivata ad esaurirsi quella rigida e austera stagione.

Sia nostro questa volta l'inciso. Possiede qualcosa di spaesante, unheimlich, essere qui a patrocinare la figura storica di un santo, e di un santo ufficialissimo, nei confronti di qualcuno che è cardinale di Santa Romana Chiesa, oltretutto milanese di origine, che vita e opere di lui le conosce a menadito. Questo a riprova di quanto si diceva: nel cardinal Biffi si incontra un interlocutore senza riguardi di sorta, che sa il fatto suo ed è capace come pochi di paradossi e di invenzioni; un interlocutore con cui, com'è come non è, difficilmente qualcuno degli stizziti che ne dicono male scende in concreto a confrontarsi. Va riconosciuto al cardinal Biffi di avere più di molti suoi critici il coraggio (e il gusto) di uscire allo scoperto e di prendere di petto le cose.

C'è dell'altro, però. Il Cardinale si distingue, allo stesso tempo, per una assoluta coerenza di fondo. Ci sono almeno due motivi, oltre stupire, per i quali tira in ballo inopinatamente San Carlo, entrambi irrinunciabili per lui. Uno è, come sempre, saltare a piè pari la natura per far risalire tutto al divino rivelato, di conseguenza cristiano, di conseguenza pienamente posseduto dalla Chiesa cattolica. Noi siamo portati a pensare che esiste una psicologia nelle persone, che è un dato laico, di natura, certamente dovuto a Dio, ma creazionale, pre-cristiano. Se Carlo Borromeo aveva mentalmente certe caratteristiche e non era dissociato, certamente non gli erano proprie le caratteristiche opposte; per cui nella Chiesa c'è il santo come lui, asceta, infaticabile, pugnace, mistico, alla Paolo di Tarso, e c'è il santo laico, coniugato, borghese, umanista, come Tommaso Moro, per non andare troppo lontano da quel periodo. Se si macerava per il crocefisso e imponeva processioni in tempo di peste, l'armonioso e possente Nettuno non c'entrava con lui; con Tommaso Moro dialogante e grecista sì, non con lui. Per il Cardinale, invece, questo che diciamo è pressappoco aria fritta: se uno è santo, è completo su tutta la linea, non ha senso, in definitiva, porsi il problema di sue incompatibilità naturali. Appunto, uno spazio laico non c'è. Soltanto a parole egli acconsentirebbe all'assioma cattolico (e tridentino) che la grazia porta a perfezione la natura, non la distrugge. Tutte le prevedibili conseguenze di ciò, fedeli al dichiarato progetto di non chiosare oltre l'indispensabile, le lasciamo alla riflessione di chi vorrà dedicarvisi.

Il suo secondo principale motivo per unificare in Carlo Borromeo Umanesimo e Controriforma è di natura ecclesiologica e comprenderlo porta a inquadrare con accresciuta chiarezza la posta in gioco. La fede cattolica ha queste due certezze, e sono tra quelle basilari: la Chiesa è santa; la Chiesa non è ancora il Regno di Dio. Dalla loro modulazione reciproca derivano conseguenze, per i credenti e di riflesso anche per i non credenti, che non è esagerato definire enormi: se la Chiesa non è santa, Cristo è venuto sulla terra per modo di dire e non c'è speranza per le nostre colpe; se la Chiesa è già il Regno di Dio, tutto ciò che non è Chiesa è destituito di effettivo valore, è buio e tenebre nella misura in cui non prende luce direttamente da essa: non ha diritti propri, al limite estremo, non c'è. Nello spazio intermedio tra le due verità, che è di ardua definizione e non è altrettanto sistemato dal magistero, il sentire del Cardinale è molto vicino alla prima (la Chiesa è santa) ed è molto lontano dalla seconda (la Chiesa non è ancora il Regno di Dio).

Umanesimo e Controriforma vengono unificati nel Borromeo perché per il Cardinale non esistono tempi diversi nella Chiesa, un'epoca prevalentemente fatta in un modo e un'epoca prevalentemente fatta in un altro, scorta di tempi diversi che non riusciremo ad esaurire, tornerà prima il Signore. La Chiesa è semper idem, sempre la stessa cosa e sempre, tutta quanta, in atto. Non si dovrà la decisione a un suo suggerimento, ma si può scommettere senza alcun pericolo di rimetterci che egli si è sentito perfettamente rappresentato da una iniziativa come proclamare simultaneamente santi Pio IX e Giovanni XXIII. La Chiesa come egli la concepisce, al di là delle parole con cui può girarci intorno, è senza profeti e senza peccatori, il peccato in realtà non c'entra con la Chiesa (per sostenerlo ha anche scritto un libro, secondo logica, “La sposa chiacchierata”). Non è disonestà intellettuale, è frutto del suo vissuto intimo scrivere di Pio IV e di Carlo Borromeo senza neanche far presentire il nepotismo. Esso infatti, “a ben guardare”, ecclesialmente non esiste, è un peccato di Pio IV e non riguarda che lui, così come non è vicenda da affrontare (anche) con l'antropologia, la sociologia, la psicologia, la storia, con le scienze dell'uomo insomma - chiaro, se vanno rispettate integralmente nell'autonomia dei loro statuti, altrimenti ben vengano.

La Chiesa cattolica è tutto, ha tutto e deve ora, di per sé, comprendere tutti. Non è così perché i credenti non si danno abbastanza da fare e non sono abbastanza santi (= obbediscono al vescovo: “Ascoltate il vescovo, se volete che Dio ascolti voi” (n. 4): Ignazio d'Antiochia, in questa sua frase, è l'unico padre della Chiesa a venire citato). Il considerevole spazio dedicato nella Nota ai musulmani e alla loro asserita incompatibilità con l'Italia, è qui che si radica, non altrove. Come nel Cardinale manca il concetto di un ambito laico, altrettanto è assente quello di un tempo prima della Rivelazione e quello di un tempo ulteriore rispetto alla Rivelazione, un tempo escatologico, che ancora non c'è. Il Regno di Dio non è presente oggi in enigma, come visto dentro uno specchio: dopo la venuta di Cristo è già in qualche modo tutto in questo mondo e attraverso Pietro, vicario di Cristo, è già in qualche modo tutto, adesso, nel papa e nella Chiesa cattolica. Certo, il Cardinale ci conta, al ritorno del Signore, “venga il tuo Regno” si prega ogni giorno, la Chiesa risplenderà di più, ma null'altro che magnificamente di più.

Suggello perfetto di tutto ciò è quel Nettuno che egli orgogliosamente sostiene essere stato “committenza ecclesiale”. Già a quell'epoca si era capaci di distinguere correttamente fra vescovo della città, a cui apparteneva l'ecclesiale - e infatti non fu il committente del Nettuno - e cardinal legato, a cui spettava il governo: costruire, nel caso, le fontane. Non è ipotizzabile maggiore chiarezza di quella fornita da questo esempio, se per il cardinal Biffi anche costruire le fontane appartiene alla Chiesa e compete al ministero che ha ricevuto da Dio.

Postilla

Non era luogo (forse) perché il Cardinale raccontasse nella Nota la storia di Gaetana Agnesi, la donna chiamata in cattedra nel Settecento dall'Università di Bologna. E non sarebbe luogo farlo qui, fuoriesce dal discorso. Ma un discorso che non trattiene l'umano che vi si affaccia è un discorso? Essa ci è parsa così memorabile, toccante e con movenze di tempi andati che ci onoriamo di inserirla, trascrivendola dall'Enciclopedia Italiana, edizione 1949.

Le Istituzioni analitiche dell'Agnesi (milanese, nata nel 1718) furono stampate nella casa di lei nel 1748. Qualche mese prima della pubblicazione del suo lavoro ella era stata aggregata all'Accademia delle Scienze di Bologna. Il papa Benedetto XIV ricevette una copia delle Istituzioni e rispose congratulandosi e inviando doni. Con un breve, le venne offerta la cattedra di matematica all'Università di Bologna. Cosi nacque la leggenda secondo la quale ella insegnò veramente in quella città, mentre invece non volle mai accettare la cattedra, malgrado le sollecitazioni degli accademici bolognesi. Ma pubblicato il suo libro (le Istituzioni, pregevoli per ordine e chiarezza, vennero tradotte in francese e in inglese, e studiate come le migliori del loro genere finché, a loro volta, vennero sostituite dalle opere di Eulero), ella segui quella che era sempre stata la sua inclinazione; e specialmente dopo la morte del padre, avvenuta nel 1752, si dedicò per intero alla religione e alle opere di carità: curava gl'infermi nella sua casa dove aveva istituito un ospedale. E mentre il suo nome era ancora ricordato tra gli scienziati per i suoi lavori matematici, ella li aveva lasciati da tempo, come risulta da un fatto particolare. Nel 1762 le furono inviate, dall'Accademia di Torino, delle dissertazioni intorno al calcolo, perché le esaminasse; v'erano alcuni articoli del Lagrange e tra questi l'esposizione del metodo che poi costituì il calcolo delle variazioni. Ella rispose che “le serie occupazioni sue l'impossibilitavano a ricevere questi contrassegni non meritati dell'altrui stima”. L'arcivescovo di Milano la chiamò come visitatrice a direttrice d'un ricovero per i vecchi e le vecchie prive d'assistenza. Infine durante gli ultimi quindici anni della sua vita rimase tra le vecchie del Luogo pio Trivulzio, dove morì nell'inverno del 1799.

 
Forze Armate e uso della nonviolenza
 
ANCHE L'EUROPARLAMENTARE GIUSEPPE DI LELLO UNO DEGLI EROI DEL POOL ANTIMAFIA DI PALERMO INTERESSATO E DISPONIBILE A SOSTENERE LA PROPOSTA CHE LE FORZE DELL'ORDINE SIANO FORMATE E ADDESTRATE ALLA CONOSCENZA E ALL'USO DELLA NONVIOLENZA.
DOPO IL SENATORE OCCHETTO, IL SENATORE CANETTI, L'EUROPARLAMENTARE LUISA MORGANTINI, CRESCE LA DISPONIBILITA' E L'ATTENZIONE NEL PARLAMENTO ITALIANO ED IN QUELLO EUROPEO INTORNO ALLA PROPOSTA DI UN PROVVEDIMENTO LEGISLATIVO AFFINCHE' LE FORZE DELL'ORDINE SIANO FORMATE E ADDESTRATE ALLA CONOSCENZA E ALL'USO DELLA NONVIOLENZA

L'assistente dell'europarlamentare Giuseppe Di Lello ha scritto una lettera al "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo nella quale si esprime attenzione e disponibilita' alla proposta di un provvedimento legislativo che disponga che tutto il personale delle forze dell'ordine sia formato e addestrato alla conoscenza e all'uso dei valori, delle tecniche e delle strategie della nonviolenza.
Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo evidenzia l'importanza della comunicazione: l'europarlamentare Giuseppe Di Lello, magistrato e saggista, e' uno degli eroi del pool antimafia di Palermo guidato da Antonino Caponnetto, con Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta, che istrui' il grande processo alla mafia che ha segnato un punto di svolta nella lotta contro i poteri criminali in Italia e nel mondo.
Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo auspica che altri parlamentari europei si uniscano a Luisa Morgantini e a Giuseppe Di Lello nell'interessamento alla proposta e nella predisposizione di una "raccomandazione" da presentare e deliberare nel Parlamento Europeo attraverso la quale si invitino tutti i paesi dell'Unione Europea a stabilire che nel curriculum formativo e addestrativo di tutti i dipendenti delle forze dell'ordine sia prevista la conoscenza e l'uso dei valori, delle tecniche e delle strategie della nonviolenza.
La proposta di un atto legislativo per formare le forze dell'ordine alla nonviolenza sta raccogliendo in questi giorni autorevoli e molteplici adesioni sia nella societa' civile che in sede parlamentare italiana ed europea: nel Parlamento italiano gia' il senatore Achille Occhetto ha avviato una collaborazione col "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo per stendere un articolato di legge; gia' il senatore Nedo Canetti ha dato la sua disponibilita' a cooperare all'iniziativa, e si attendono riscontri e conferme da altri autorevoli parlamentari; nel Parlamento Europeo la segreteria dell'on. Luisa Morgantini (autorevole figura del movimento pacifista) e la segreteria dell'on. Giuseppe Di Lello hanno espresso attenzione e disponibilita'. Inoltre in questi giorni numerosi cittadini ed associazioni hanno inviato e stanno inviando lettere al Presidente della Repubblica per sollecitare la sua attenzione sulla proposta formulata. ("Centro di ricerca per la pace" di Viterbo)
 
 
Dalla Chiesa - Scajola
 
Riportiamo di seguito l'intervento di Nando Dalla Chiesa sulla mozione di sfiducia al Ministro dell'Interno Scajola, discussa nella seduta del Senato della Repubblica num. 29 di mercoledì 1 agosto 2001.
Per chi fosse interessato al resoconto stenografico dell'intera seduta, visiti il sito del Senato www.senato.it .

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Dalla Chiesa. Ne ha facoltà per 11 minuti.

DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, signor Ministro, oggi noi chiediamo le sue dimissioni. Avremmo preferito poter contare sulla Commissione d'inchiesta e solo dopo arrivare alla formulazione di eventuali richieste come quella oggi presentata. Il senatore Nania ieri ci ha spiegato le ragioni per le quali tale commissione d'inchiesta non è stata concessa: ha evocato il pericolo di una influenza indebita sull'operato della magistratura e credo che tale evocazione abbia qualcosa di fondato. Ma certo bastava introdurre delle regole che mettessero in condizione questa commissione d'inchiesta di agire su versanti diversi da quelli sui quali ha titolo per indagare la magistratura. Faccio degli esempi che credo lo stesso senatore Nania coglierà nella loro fondatezza. È probabilmente irrilevante sul piano penale per la magistratura sapere se è vero che il venerdì gli apparati tecnologici della sala operativa della questura di Genova sono saltati più volte appena introdotti, ma politicamente è importante sapere se le Forze dell'ordine erano state preparate, in tutti i modi, a fronteggiare quegli eventi. È probabilmente irrilevante sul piano penale sapere se mentre i black bloc venivano guidati da personale di Genova nelle loro scorribande – così ci ha riferito il questore – i poliziotti venivano invece guidati dalla sala operativa da funzionari non genovesi che non conoscevano neanche le vie della città: è però politicamente rilevante saperlo! Non è rilevante sapere penalmente forse quali erano le ragioni per cui è stato consentito l'accesso ad alcuni parlamentari alla sala operativa dei Carabinieri, ma politicamente questo fatto è rilevante. Forse non è rilevante penalmente sapere se è vero che, al momento della partenza, contingenti di poliziotti e di carabinieri hanno ritmato l'urlo: "Uno di meno!": forse soltanto un orribile urlo di gioia penalmente non rilevante, ma politicamente non è irrilevante sapere se sia vero o no. Queste informazioni si possono avere con gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria e per questo la commissione d'inchiesta era importante e non per interferire con il lavoro della magistratura. A questo punto chiediamo conto a lei non avendo potuto appurare, fino in fondo, i fatti per le troppe cose che sono successe per la prima volta: ci sono troppe prime volte in questa vicenda! Certo, vi è stata una straordinaria violenza degli assalti che sono stati condotti contro le forze dell'ordine e questo è il punto di partenza che si tende, nelle polemiche, a dimenticare. La violenza che è stata condotta però non giustifica le tante prime volte che cerco di elencare; costringe casomai noi a riflettere più in profondità sui rapporti tra ogni forma di opposizione e la violenza. Ma l'irruzione nella scuola non ha rapporti con quelle violenze ed è una prima volta nella storia della Repubblica! Le torture di Bolzaneto sono una prima volta, signor Ministro: non è mai accaduto neanche sotto il terrorismo, con le uccisioni e i morti del terrorismo o della mafia, che venissero torturati mafiosi o terroristi. In questo caso, invece, sono stati torturati manifestanti fermati spesso a caso in piazza. La quantità di persone innocenti… VOCE DAL GRUPPO FORZA ITALIA. Tuo padre si rivolta nella tomba! DALLA CHIESA (Mar-DL-U). No, mio padre non si rivolta nella tomba, caro mio, perché quando venne torturato il terrorista Di Lenardo mio padre disse: "con me non è mai stato torturato nessuno" perché sapeva che quando delle persone finiscono nelle mani della polizia e dei Carabinieri, che li hanno presi anche sostenendo scontri e sacrifici duri, poi non gli torcono un capello. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U e Verdi-U). E' proprio sbagliato l'indirizzo! La quantità di persone pestate in piazza, innocenti e non violente (perché non è di violenti che si parla), la presenza di uomini di partito nelle sale operative ...(Commenti del senatore Schifani)… Non di uomini delle istituzioni di Governo, ma di uomini di partito che hanno rivendicato di esserci stati. L'intimazione ad urlare: "Viva il Duce!": non era mai successo, neanche negli anni più duri della contestazione! È la prima volta che accade questo, com'è la prima volta che accade che vengano messi mani e piedi addosso ad avvocati i quali cercano di esercitare i diritti della difesa; è la prima volta che viene messo il manganello sulle spalle di parlamentari. Ma io penso che chiunque di voi dovrebbe essere interessato a questo perché chiunque può trovarsi ad intervenire in una situazione non obiettivamente ingiusta, ma che lui reputa ingiusta. Il rifiuto di accesso ai rappresentanti diplomatici: anche questa è la prima volta!  Quando vi sono tante prime volte e quando si è incominciato – ne sono testimone – con un clima di dialogo, non può che essere intervenuto qualcosa che ha modificato il clima originario. In quei due giorni è cambiato il clima; si è instaurato un clima politico che ha prodotto effetti disastrosi, un clima della prima volta, un clima di mancanza di sensibilità. Vorrei invitarvi a riflettere su questo punto. E' possibile, signor Ministro, che né lei, né il prefetto, e neanche il questore abbiate sentito il dovere – come ha fatto il presidente della Camera Casini – di indirizzare una parola di ringraziamento al padre di Carlo Giuliani che in quel momento, pure infiammato e addolarato, ha speso parole di pace e di buon senso per tranquillizzare gli animi e per evitare guasti ancora peggiori? Nessuno lo ha ringraziato. Credo vi sia una colpa grave in quanto è accaduto. La polizia, i carabinieri, le Forze dell'ordine in generale, si sono conquistati, nel corso di questi anni, un alto prestigio e un'alta credibilità; li hanno conquistati non gratuitamente, ma a colpi di sacrifici. Hanno perduto i loro uomini nella lotta contro la mafia, contro la camorra, contro il terrorismo. Anche le persone che avevano culturalmente maggiori pregiudizi nei confronti delle Forze dell'ordine sono state costrette con il tempo a ricredersi e hanno stabilito un rapporto di fiducia. E' una forza dello Stato democratico il fatto che tutti i cittadini, e non soltanto una parte, abbia un pieno rapporto di fiducia con le Forze dell'ordine. Questo rapporto si è oggi incrinato e dobbiamo agire in tutti i modi affinché sia pienamente recuperato.  Non possiamo certo fare prediche ad un sovversivo o a un camorrista su come deve considerare le Forze dell'ordine; un sovversivo o un camorrista vedranno sempre il carabiniere o il poliziotto come uno "sbirro", come un avversario. Ma il giovane non violento di 20 anni, che vuole cambiare il mondo, ha il diritto di vedere il poliziotto o il carabiniere come colui che difende l'esercizio dei suoi diritti. Dobbiamo mantenere tale conquista fondamentale degli ultimi decenni all'interno del patrimonio dello Stato. Qualcuno può accarezzare il sogno di una polizia o di Forze dell'ordine di parte, o addirittura di partito; sarebbe un disastro al quale dovremo opporci in tutti i modi, anche superando difficoltà psicologiche che possiamo trovare in giovani che guardano più generalmente al centro-sinistra. Dobbiamo superare questo rischio, dobbiamo garantire a questo Paese che le divise siano di tutti. E' un calcolo miope quello che è stato fatto, quel via libera dato non già alle culture migliori, bensì agli istinti di minoranze che hanno evidentemente ritenuto, in quel clima, di poter dare libero sfogo, in certi momenti, a quegli istinti. Avete ragione voi: gli uomini erano gli stessi. Ma come mai sono accadute tante "prime volte", a parità di uomini, se non perché è cambiato il clima politico? Il clima non è cambiato subito perché, all'inizio, vi è stato un tentativo di dialogo da parte del ministro Scajola e da parte del ministro Ruggiero. Cos'è cambiato in quei due giorni? Certo, vi sono stati assalti, ma la nostra polizia ha la professionalità per saper resistere a quegli assalti - ciò era stato garantito giustamente negli incontri preparatori - senza cedere a tutte queste prime volte. Ricostruiremo un rapporto di fiducia, signor Ministro, se ci sarà verità; non speculazioni, ma verità. Abbiamo il diritto ad avere la verità; ce lo ha chiesto il Presidente della Repubblica, ce lo chiede il Paese, ce lo chiede l'opinione pubblica internazionale. Non riduciamo questo problema ad una questione di rapporti fra Polo e Ulivo. Non capiremmo alcunché, se pensassimo che quanto accaduto a Genova sia riconducibile a tali rapporti o ai rapporti tra il singolo e le Forze dell'ordine o i sindacati di polizia. Vi è una frattura rispetto alla quale dobbiamo intervenire con il massimo di coscienza, di consapevolezza e di amore per il nostro Paese. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-U, Aut, Misto-Com, Misto-SDI).  Guai a chi pensasse di ricondurre tutto a quelle dinamiche; solo chi non ha a cuore le divise e il loro rapporto con lo Stato può ricondurre tutto alle piccole polemiche interne al Senato o alla Camera. Questa è la ragione per cui mi rivolgo a lei, signor Ministro. Non avrei voluto personalmente fare la parte di chi chiede le sue dimissioni. Per le ragioni che ho illustrato prima, credo che la Commissione di inchiesta sarebbe stato lo strumento più appropriato. Non si è capito che avrebbe potuto essere istituita una Commissione di inchiesta autolimitata in alcune modalità di intervento, ma fortemente autorizzata ad intervenire nell'acquisizione di informazioni e capace di fornirci il giudizio politico più coerente e sereno. Non è un processo, signor Ministro. Ho riscontrato delle prime volte, accadute tutte insieme. Le chiediamo conto di quel clima e forse non dobbiamo chiederlo soltanto a lei, forse non dobbiamo chiederlo principalmente a lei. In ciò siamo agevolati perché lei, in quei due giorni – non è mancanza di rispetto, ma una valutazione obiettiva di ciò che è accaduto e delle informazioni diffuse pubblicamente e a volte privatamente – si è dimesso da solo e ha abdicato al suo ruolo di Ministro dell'interno. Il Ministro dell'interno, in quei due giorni, lo ha fatto l'onorevole Gianfranco Fini; ne ha formalmente i titoli, ma il Paese ha il diritto di sapere chi fa il Ministro degli interni nei due giorni cruciali in cui tutto il mondo ci guarda e per i quali ci siamo preparati per circa otto mesi. (Vivi applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-U, Aut, Misto-Com, Misto-SDI. Molte congratulazioni).

Le istigazioni di Ronconi

Apprendiamo dalla stampa che il Senatore del centro-destra Maurizio Ronconi ha svolto ieri una interpellanza urgente al Ministro degli Interni riguardo ad un "campo militare dei rivoluzionari di tutto il mondo". E' chiaro ad ogni persona dotata di buon senso che si tratta di una bufala colossale. Siamo al quarto giorno del Campo antimperialista e centinaia di persone hanno partecipato ai lavori, ascoltato relatori da tanti paesi, incontrato e conosciuto delegati di numerosi movimenti di liberazione. Allo stesso tempo decine di giornalisti hanno potuto vedere coi loro occhi cosa sia il Campo antimperialista: un incontro internazionale che, nella massima trasparenza, cerca il dialogo  e l'unità con i popoli oppressi dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina, per costruire un movimento internazionale contro la globalizzazione capitalista. Fino a prova contraria esercitiamo dunque un diritto costituzionalmente sancito, che difenderemo con le unghie e coi denti, anche contro chi, come il Senatore Ronconi, facendo leva  sulle più becere pulsioni reazionarie tenta, non ancora sazio del sangue versato a Genova, di istigare le forze di Polizia ad usare il manganello, a spedirci in galera, a chiuderci la bocca. L'interpellanza di Ronconi, prima ancora che spaventarci, ci ispira un profondo senso di pena. Che un Senatore della Repubblica scivoli così in basso, che menta in modo così spudorato, che istighi in modo sfrontato alla repressione; la dice lunga non solo sul suo mediocre spessore politico. Ci dice quanto marcio sia il centro-destra che rappresenta e quanto forti siano le tendenze antidemocratiche che albergano in esso. Per simili avversari vale il vecchio adagio: "tagliate le teste ai vostri nemici, non per avere nemici senza teste, ma solo per scoprire quanto esse siano vuote". No alla globalizzazione imperialista! Unità dei lavoratori e dei popoli oppressi di tutto il mondo! Non ci sarà pace senza giustizia! (Comunicato Stampa del Campo Antimperialista - 1 agosto 2001)

Testimoni di Genova

Al termine di un'assemblea che ha coinvolto numerosi giornalisti, operatori della comunicazione e singoli cittadini impegnati nell'associazionismo, si è costituita l'Agenzia nazionale di informazione "Testimoni di Genova". Il gruppo, interamente composto da volontari, nasce all'indomani dei gravi e tragici avvenimenti che hanno scosso la città di Genova e segnato le iniziative di protesta contro il vertice del G8. Obiettivo prefissato è quello di contribuire a un'informazione attenta, approfondita e capace di dare obiettivamente conto dei fatti e delle opinioni non solo sui fatti di Genova, ma più in là, sui contenuti e sulle problematiche connesse alla globalizzazione, ai diritti umani, al rapporto Nord/Sud del mondo in tutti gli aspetti e le implicazioni sociali, politici, economici. Interlocutori privilegiati saranno, ovviamente, tutti i media, ma anche i movimenti sociali critici nei confronti dei modelli economici liberisti e, in specifico, quell'arco vasto e plurale di forze e culture che hanno dato vita al Genoa Social Forum. Lo sforzo sarà anche quello di operare in collegamento, e valorizzare al massimo, quanto viene già realizzato sulle medesime tematiche da altri operatori dell'informazione o da realtà associative. È in allestimento un sito web (http://www.testimonidigenova.org) ed è già attivo un indirizzo e-mail (testimonidigenova@noprofit.org), dove possono essere da subito inviate testimonianze, informazioni, richieste e dove si raccolgono adesioni e disponibilità a partecipare all'iniziativa. L'Agenzia, infatti, intende strutturarsi con un "Comitato di Garanti", composto da figure autorevoli del mondo della cultura e dell'informazione e con una Redazione centrale, articolata con collaboratori e referenti in molte città italiane e in altri Paesi.
Per informazioni e adesioni inviare una mail a: testimonidigenova@noprofit.org


 
ZOOM ASSOCIAZIONI 
 
Attivisti di Greenpeace chiedono al premier britannico Tony Blair di impegnarsi nella protezione dell'Amazzonia.
 
Sao Paulo, 31 luglio 2001 - Greenpeace ha salutato la visita del premier britannico Tony Blair con una azione di protesta all'orto botanico di Sao Paulo. Gli attivisti dell'associazione hanno consegnato a sorpresa a Blair un trancio di samauma con cartelli che chiedevano do non acquistare la distruzione dell'Amazzonia. La samauma, albero conosciuto come "Regina della foresta", e' uno degli alberi rari abbattuti dalle compagnie del legno nella foresta amazzonica, per essere trasformata in legno di pregio. Greenpeace ha chiesto a Blair un impegno preciso nel fermare il traffico di legno amazzonico verso la Gran Bretagna. Nel 1998, i paesi G8 si erano impegnati a fermare il traffico di legno estratto illegalmente, ma nessun passo concreto e' stato fatto per porre fine a questa pratica.
Nel giugno 2000, il Ministro dell'Ambiente britannico Michael Meacher ha annunciato che avrebbe garantito la protezione delle foreste primarie, impegnando il proprio governo ad acquistare legno solo da fonti legali e da fonti di estrazione sostenibile, come quella assicurata dal marchio di certificazione FSC. Lo scorso marzo Blair si era nuovamente impegnato in tal senso con una lettera inviata a Greenpeace.
Ma le informazioni raccolte da Greenpeace smentiscono tale impegno. Tra gennaio e aprile del 2001, le compagnie britanniche hanno importato 5.000 metri cubi di legno amazzonico non certificato. Nel corso di tutto il 2000 la sola Gran Bretagna ha importato 13.000 metri cubi di legno amazzonico, privo di certificazione. L'80% del  legno amazzonico viene estratto illegalmente. La foresta amazzonica e' un patrimonio universale del'umanita'. Essa puo' vantare la biodiversita' piu' ricca del mondo. Anche la vita dei suoi abitanti, 20 milioni di persone, e' oggi minacciata dalla distruzione della foresta, di cui si rendono complici i paesi che  importano legno illegale.
Gran parte delle foreste del pianeta sono ormai state distrutte o degradate, e le foreste residue stanno scomparendo alla velocita' di 16 milioni di ettari l'anno. L'industria del legno nella regione amazzonica e' cresciuta senza controllo (le imprese registrate sono  7.595) minacciando l'ambiente, le specie viventi e le comunita'  locali la cui vita dipende dalla foresta. A Blair, come a tutti i governi dei paesi importatori di legno, Greenpeace chiede misure concrete per fermare il traffico del legno illegale, e senza un impegno economico per sostenere le alternative economiche alla distruzione della foresta. (Fonte: Greenpeace www.greenpeace.it)


SORRISI & CEFFONI

ENCICLOPEDIA DELLE CAVOLATE SPORTIVE

"Abbiamo apertuto il collegamento" - Giampiero Galeazzi

"Si sono fatti nomi di squadra di cui non sono d'accordo, si sono fatte avanti queste squadre di qua, di cui ho detto che rinuncerei anche a stare" - Toto Schillaci

"Speriamo di esserci evolti" - Carlo Ancelotti

"Quando fui estromesso esprisi, espretti, esprimetti la mia perplessità" - Pippo Marchioro

"Questo rovescio di Lendl è potentissimo, sembra una bomba al nepal" - Giampiero Galeazzi

"Tutti si aspettavano un punteggio più largamente" - Toto Schillaci

"Bugno e Chiappucci saranno, anzi Bugno e Chiappucci dovrebbero: meglio usare il connazionale" - Adriano De Zan

"Certo, non ho un fisico da bronzo di Rialto" - Totò Schillaci

"Vedo un sorriso come nemmeno Giotto riuscì a fare alla Gioconda" Maria Teresa Ruta

"Il cinquecentenario colombiano è una delle cose che capitano solo qualche volta all'anno" - Alberto Tomba

"E' un gol che dedico in particolare a tutti" - Toto Schillaci

"Io credo che gli Europei sono una cosa mondiale" - Stefano Tacconi

"Ho preso un dosso che mi ha sbandato, ho perso tanto, poi prima dell'intermedio un sassetto sotto i sci col mio peso ne risentivo sotto le lamine che tenevo poco. La seconda son partito un po', non dovevo partire così piano però ho recuperato: peggio di settimo e meglio di secondo non ho fatto... Mi sto preparando per questi anni dispari andava sempre male, 89, 91, 93, spero che vadi bene" - Alberto Tomba

"Allora mi sono girato su se stesso..." - Riccardo Ferri

"E' l'unico italiano che nel SuperG riesce a tenere gli sci uniti. Larghi ma uniti" - Furio Focolari

"Non mettiamo il carro davanti ai buoi, ma lasciamo i buoi dietro al carro" - Giovanni Trapattoni

"E' l'ultimo anello che mancava al nostro collage" - Sandro Ciotti

"Questo è un altro paio di scarpe" - Lothar Matthaus

"Oggi gli spettatori sono stati 230 mila lire" - Simona Ventura

"Ora vi proponiamo un summit: sì, un sommario, non è la stessa cosa?" - Alba Parietti

"Apro una piccola parente" - Jose Altafini

"Ferri ha riportato - lo dico per tranquillizzare i famigliari - la frattura della mandibola" - Enzo Foglianese

"Mi hai tolto la palla di bocca" - Alba Parietti

"Io la Laura Antonelli me la farei ancora" - Maurizio Mosca

"Andrea Moreno sta andando molto bene, è gia nel sedere di Berger" - Andrea De Adamich

"E' sempre meglio venire da dietro" - Nils Liedholm

"Il propagarsi o l'essere protagonista comunque sulla base quotidiana dei mezzi di comunicazione è un'esigenza che molti hanno, ma che è altamente inflazionistica" - Giovanni Trapattoni

"Qui al Processo le polemiche fioccano come nespole" - Aldo Biscardi

"C'è maggior carne al fuoco al nostro arco, anche se l'arco lancia le frecce" - Giovanni Trapattoni


IN PROGRAMMA

 

venerdì 5 ottobre 2001 - ore 21

spettacolo

Teatro Peroni – San Martino Buon Albergo

Awa Dances – Sangha (Mali)

Danze sacre

delle maschere Dogon

in collaborazione con il Comune di San Martino Buon Albergo (VR)

 

Sabato 6 ottobre 2001

Teatro Camploy - Verona

ore 21

Awa Dances – Sangha (Mali)

Danze sacre

delle maschere Dogon

in collaborazione con la

Fondazione AIDA

L’ingresso allo spettacolo sarà gratuito - offerta libera

ore 16 - 18

workshop di danze e maschere

con alcuni danzatori Dogon,

organizzato da Metis Africa

partecipanti: 20 persone

quota di iscrizione: lire 50.000

ore 18 - 20

seminario introduttivo

Ritualità e mitologia

della società delle maschere

con: Marco Gay, Sekou Dolo, Apam

Dolo, Lelia Pisani e Giulia Valerio

quota di iscrizione: lire 20.000

Tutto ricavato sarà devoluto ad un progetto per l’educazione e la salute in un’area rurale dell’altopiano Dogon

Domenica 7 ottobre 2001

dalle ore 12

Corte Molon

Pomeriggio in compagnia ai Dogon: iniziative varie, materiale informativo, cucina, musica  ???

laboratorio didattico

attività di formazione e informazione agli insegnanti in collaborazione con alcune scuole nel mese di settembre e incontro di  introduzione allo spettacolo per gli allievi presso il Teatro Camploy

ore 9-13 del 6 ottobre

Per informazioni e prenotazioni al work shop e al seminario: Onlus Metis Africa - via Santa Felicita, 9 – Verona tel. 045 8303266 – 045 8032507 e-mail  mari.pat@tiscalinet.it

 

Proposta di un viaggio nella Repubblica del Mali

ORISS e METIS, due associazioni senza scopo di lucro italiane, si sono impegnate in un progetto di cooperazione internazionale: la costruzione, l’equipaggiamento e il funzionamento per tre anni di una scuola elementare e di un centro di salute misto (ove guaritori e personale sanitario collaborino) a Bodio, sull’altopiano dogon di Bandiagara, in Mali. Come in altri interventi precedenti, le associazioni promuovono cooperazione «a specchio», che preveda cioè un ritorno in Italia; e quindi curano informazione e formazione, gemellaggi (soprattutto scolastici) e altre forme di scambio (artigianato, arte, ecc.). In questo quadro, viene proposto un viaggio in Mali per piccoli gruppi (massimo otto persone), accompagnati da italiani e maliani che conoscendo davvero le realtà locali siano in grado di farle visitare «dal di dentro».Due gruppi si stanno costituendo, in due periodi diversi: Gruppo 1, dal 23.12.01 al 6.01.02; Gruppo 2, dal 16.01.02 al 30.01.02.

 Programma provvisorio

1.Partenza dall’Italia e arrivo nel pomeriggio a BKO (Air France, via Parigi). Pernottamento in casa attrezzata. 2.Trasferimento per strada (auto private) a Djenné, arrivo la sera, pernottamento in casa attrezzata. 3.Visita di Djenné; la sera trasferimento a Sangha con macchine private e pernottamento all’Hotel Campement. 4. Partenza per la visita guidata alla falesia e ai villaggi dogon. Due opzioni: un trekking di due giorni o percorso di due giorni in auto 4x4 con pernottamento in case private o tende. 5. Fine della visita all’altopiano dogon e pernottamento a Mopti in casa attrezzata. – 7. – 8. – 9. Partenza da Mopti in piroga a motore privata, con cucina, per Timbuctu. Soste lungo il fiume, pernottamento in tende (con materassi e zanzariere) fornite dall’organizzazione. 10. Arrivo a Timbuctu, pernottamento in casa attrezzata. 11. Visita di Timbuctu e alla biblioteca Ahmed Baba. 12. Partenza per Bamako in aereo (se disponibile) o con macchine private. 13. – 14 Arrivo a Bamako, visita della città e dei mercati con accompagnatore. Pernottamenti in casa attrezzata. 15. Partenza per l’Italia.

Questo programma può subire variazioni o per esigenze degli organizzatori, o per particolari esigenze del gruppo. Il costo del viaggio è di £ 2.300.000 escluso viaggio aereo e vitto. Di questa somma, £ 500.000 sono destinate al «Progetto per l’educazione e la salute in un’area rurale dell’altopiano dogon» e saranno versate dai partecipanti direttamente sul conto corrente del Progetto al momento dell’iscrizione definitiva al gruppo, entro il mese di Settembre c.a. (saranno restituite in caso di annullamento del viaggio da parte delle Associazioni per cause di forza maggiore).Un incontro dei partecipanti ai due gruppi con alcuni degli organizzatori avrà luogo in Italia nel mese di Ottobre. Sono disponibili indicazioni bibliografiche per eventuali approfondimenti. Si raccomanda di prenotare i voli il più presto possibile per trovare tariffe convenienti.Per l’ingresso in Mali è obbligatorio il visto (Ambasciata del Mali a Roma, £ 50.000) e la vaccinazione contro la febbre gialla. Altre vaccinazioni sono consigliate, così come la profilassi antimalarica. Un medico è a disposizione dei partecipanti per consigli e per valutare particolari situazioni. Per informazioni e contatti: Piero Coppo e-mail pierocop@tin.it, Giulia Valerio e-mail giulia-valerio@iol.it


14 ottobre: Marcia Perugia - Assisi

[Dal programma di convocazione della marcia Perugia-Assisi del prossimo 14 ottobre 2001 riportiamo i seguenti stralci. Per ulteriori informazioni, per adesioni e per contatti con la Tavola della Pace che promuove l'iniziativa: Tavola della pace, via della Viola 1, 06122 Perugia, tel. 075/5736890, fax: 075/5739337, e-mail: mpace@krenet.it, sito: www.krenet.it/a/mpace; o anche:
Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace, via della Viola 1, 06122 Perugia, tel. 075/5722479, fax: 075/5721234, e-mail: info@entilocalipace.it, sito: www.entilocalipace.it]
* Premessa
"Un altro mondo e' possibile. Costruiamolo insieme". Con questo slogan, il 26 settembre 1999, decine di migliaia di persone provenienti da ogni parte del mondo (dopo aver partecipato alla 3a Assemblea dell'Onu dei Popoli) hanno camminato insieme da Perugia ad Assisi chiedendo all'Italia, ai governi e a tutte le istituzioni internazionali di "cambiare le priorita' della politica e dell'uso delle risorse rimettendo al centro le persone, i popoli e il rispetto dei loro diritti fondamentali". Al centro di quella Marcia c'era la proposta di costruire una grande alleanza mondiale di cittadini, organizzazioni della societa' civile, comunita' ed Enti Locali impegnati a "sostituire la cultura della competizione selvaggia con quella della cooperazione, la cultura della guerra con la cultura della pace, l'esclusione con l'accoglienza, l'individualismo con la solidarieta', la separazione con la condivisione, l'arricchimento con la ridistribuzione, la sicurezza nazionale armata con la sicurezza comune". Oggi quello slogan e quell'obiettivo appaiono sempre piu' concreti e urgenti. La necessita' di "agire insieme, con audacia, operando oltre le frontiere e le diversita' come un fronte unico, con una strategia globale e una consapevolezza comune" e' condivisa da una rete sempre piu' fitta di organizzazioni della societa' civile attive e di istituzioni locali in tutto il mondo. La Tavola della pace e il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace intendono dare un ulteriore contributo a questo processo organizzando la 4a Assemblea dell'Onu dei Popoli e una nuova edizione della Marcia per la Pace Perugia-Assisi che si svolgeranno dall'8 al 14 ottobre 2001.
* Gli obiettivi generali
- Globalizzare i diritti umani, la democrazia e la solidarieta';
- Rafforzare la societa' civile mondiale;
- Costruire un'Europa di pace. Con la 4a Assemblea dell'Onu dei Popoli e la Marcia per la pace Perugia-Assisi del 14 ottobre 2001 ci proponiamo di: 1. promuovere la globalizzazione dei diritti umani, della democrazia e della solidarieta', sollecitando un cambiamento delle priorita' della politica e dell'uso delle risorse; 2. contribuire alla costruzione e al rafforzamento della societa' civile mondiale, della sua capacita' di proposta e azione comune per la pace, un'economia di giustizia e la democrazia internazionale; 3. contribuire alla costruzione di un'Europa aperta e solidale, strumento di pace, giustizia e democrazia nel mondo; 4. promuovere la costruzione di una rete europea delle organizzazioni e istituzioni locali che operano per la pace; 5. promuovere la costruzione di un "network per la globalizzazione dal basso" e di un "Forum permanente della Societa' Civile Mondiale"; 6. costruire una coalizione internazionale in vista della Conferenza dell'Onu "Financing for Development" (Finanza per lo Sviluppo) (Messico, marzo 2002); 7. rilanciare le proposte della societa' civile mondiale, in vista della conferenza dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (Qatar, novembre 2001); 8. sollecitare l'intervento dell'Europa e dell'Onu a favore della pace in Medio Oriente, nei Balcani, in Africa, in Colombia, in Turchia, etc. 9. promuovere una campagna (e una coalizione) internazionale per il rafforzamento e la democratizzazione dell'Onu; 10. promuovere una campagna (e una coalizione) internazionale contro il progetto di scudo spaziale americano, per il disarmo e la prevenzione dei conflitti. Con queste iniziative intendiamo dare seguito agli impegni assunti a New York dal Millennium Forum e contribuire alla preparazione del secondo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre (Brasile, gennaio 2002).
La 4a Assemblea dell'Onu dei Popoli, la Marcia per la pace Perugia-Assisi e le iniziative collegate sono inoltre:
- uno strumento per: 1. promuovere l'alleanza tra quanti, in Italia e nel mondo, sono impegnati contro la guerra, la poverta' e il disordine internazionale, per la pace, un'economia di giustizia, i diritti umani e la democrazia; 2. presentare al nuovo Governo e al nuovo Parlamento un pacchetto di proposte per accrescere l'impegno dell'Italia per la pace e la giustizia nel mondo; 3. richiamare l'attenzione dei mezzi di comunicazione sulle principali proposte e iniziative della societa' civile e degli Enti Locali per la pace, un'economia di giustizia e la democrazia internazionale; 4. suscitare un ampio dibattito internazionale sulle responsabilita' e il ruolo dell'Europa nell'era della globalizzazione ("Oltre l'Euro") mettendo a confronto la societa' civile europea e quella del Sud del mondo; 5. dare nuovo impulso all'impegno per la pace nel nostro paese; 6. sollecitare il coinvolgimento dei giovani e del mondo della scuola; 7. sostenere le principali campagne nazionali e internazionali in corso per la pace e un'economia di giustizia (debito, acqua, Tobin Tax, farmaci, etc.); 8. dare voce alla domanda di pace e giustizia di tanti popoli e persone; 9. proporre una visione del mondo che dobbiamo costruire; 10. democratizzare, rinnovare e rilanciare la politica estera italiana, sollecitando la sua apertura alla societa' civile. - un modo per portare alla luce il lavoro di migliaia di volontari, associazioni e istituzioni locali impegnati per la pace, la giustizia sociale e lo sviluppo umano, la difesa dei diritti umani;
- un invito a: 1. riflettere sul contributo che ciascuno puo' dare nella vita quotidiana alla costruzione di un mondo piu' giusto e solidale; 2. aprire le nostre comunita' locali ai problemi del mondo promuovendo l'idea della cittadinanza europea e planetaria, la solidarieta' e la cooperazione internazionale;
- un contributo: 1. allo sviluppo della societa' civile mondiale; 2. alla crescita della solidarieta' e della cooperazione internazionale; 3. al dialogo interculturale; - una grande iniziativa di educazione alla pace, alla mondialita' e alla solidarieta'. Il mondo ha bisogno di pace e di giustizia, di garantire a tutti l'accesso ai diritti umani fondamentali e di gestire il bene pubblico globale attraverso istituzioni internazionali democratiche.

* Marcia per la pace Perugia-Assisi: Cibo, acqua, istruzione e lavoro per tutti. Una marcia per cambiare le priorita' della politica e dell'uso delle risorse; per rimettere al centro le persone, i popoli e i loro diritti; per rispondere alla domanda d'aiuto e di giustizia di miliardi di persone; per promuovere la globalizzazione dei diritti umani, della democrazia e della solidarieta'; per promuovere il bene comune globale; per costruire una nuova Europa aperta, solidale, strumento di pace nel mondo; una nuova Onu e un nuovo ordine internazionale pacifico e democratico; una marcia per i giovani; alla riscoperta del valore della solidarieta' e della condivisione.

Casa delle Arti e del Gioco 15 settembre 2001 

PICCOLE STORIE CRESCONO

Bambini e bambine fra cinema di animazione, fumetti e videogiochi 

Giornata di studio

(a cura del Gruppo di studio sui Linguaggi Multimediali 

09.00à Accoglienza

             Presentazione di Mario LODI

09.30à (Relazione con video)

             OMBRE CHE CAMMINANO

             Cinema e serie di animazione per i bambini e le bambine

             Carlo RIDOLFI

             Gruppo di lavoro sui Linguaggi Multimediali della Casa delle Arti e del Gioco

10.30à Pausa

10.45à (Relazione)

             STRISCE E NOTIZIE

             I fumetti per i bambini e le bambine

             Enrico FORNAROLI

              Accademia delle Belle Arti di Carrara

11.45à (Relazione)

             BIT-GENERATION

             Tecnologie dell’informazione e della comunicazione  per i bambini e le     bambine

             Linda GIANNINI

              Insegnante scuola materna

              Tutor Progetto MULTILAB – Tecnologie Didattiche-Educative

13.00à Pausa pranzo

14.30à Ripresa dei lavori in gruppo

1.       Cinema e Tv.

2.       Fumetti

3.       Videogiochi e Internet

16.45à Pausa

17.00à Ripresa dei lavori in plenaria

             Presentazione dei lavori di gruppo

             Discussione

18.00à Conclusione dei lavori

             Saluto

Quota di partecipazione L. 40.000 Da versare entro il 08 settembre 2001 sul c.c.p. n°10790269: “Casa delle Arti e del Gioco”, via Trento Trieste 5/b, 26034 Drizzona (Cremona)


SOS Salvador
Progetto Sorriso

«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione avviata un anno fa a San Bonifacio. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.


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per contatti
Amedeo Tosi
loc. Praissola 74/b
37047 San Bonifacio (VR)
il GRILLO parlante: grilloparlante@mbservice.it

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