Pietro Metastasio - Opera Omnia >>  Zenobia




 

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Dramma scritto dall'autore l'anno 1740, e rappresentato la prima volta, con musica del Predieri, nel palazzo dell'imperial Favorita, alla presenza degli augusti sovrani, il dì 28 agosto dell'anno medesimo, per festeggiare il giorno di nascita dell'imperatrice Elisabetta, d'ordine dell'imperator Carlo sesto.


ARGOMENTO

La virtuosa Zenobia, figliuola di Mitridate, re d'Armenia, amò lungamente il principe Tiridate, fratello del re de' Parti; ma, a dispetto di questo suo tenerissimo amore, obbligata da un comando paterno, divenne secretamente sposa di Radamisto, figliuolo di Farasmane, re d'Iberia. Gran prova della virtù di Zenobia fu questa ubbidienza di figlia; ma ne diede maggiori la sua fedeltà di consorte.
Ucciso, poco dopo le occulte nozze, il re Mitridate, ne fu creduto reo Radamisto, e, benché il tradimento e l'impostura venisse da Farasmane, padre, ma nemico di lui, fu costretto a salvarsi, fuggendo dalle furie de' sollevati Armeni. Abbandonato da tutti, non ebbe altro compagno nella sventura che la costante sua sposa. Volle questa risolutamente seguirlo; ma, non resistendo poi al disagio del lungo e precipitoso corso, giunta su le rive dell'Arasse, si ridusse all'estremità di pregare il consorte che l'uccidesse, pria che lasciarla in preda de' vicini persecutori. Era fra queste angustie l'infelice principe, quando vide comparir da lontano le insegne di Tiridate, il quale, ignorando il segreto imeneo di Zenobia, veniva con la sicura speranza di conseguirla. Le riconobbe Radamisto, ed invaso in un tratto dalle furie di gelosia, sua dominante passione, snudò il ferro e disperatamente trafisse la consorte e se stesso, egualmente incapace di soffrirla nelle braccia del suo rivale che di sopravvivere a lei. Indeboliti dalla natural repugnanza, non furono i colpi mortali: caddero bensì semivivi entrambi, uno su le rive e l'altra nell'acque dell'Arasse. Egli, ravvolto fra' cespugli di quelle, deluse le ricerche de' persecutori, e fu poi da mano amica assistito; ella, trasportata dalla corrente del fiume, fu scoperta e salvata da pietosa pastorella, che la trasse alla sponda, la condusse alla sua capanna e la curò di sua mano.
Quindi comincia l'azione del dramma, in cui le illustri prove della fedeltà di Zenobia verso il consorte sorprendono a tal segno lo stesso abbandonato Tiridate, che trasportato questi da una gloriosa emulazione di virtù, quando potrebbe farsi possessor di lei, opprimere Radamisto ed occupare il regno d'Armenia, rende ad essa lo sposo, la libertà al rivale, e ristabilisce entrambi generosamente sul trono.
Il fondamento della favola è tratto dal XII lib. degli Annali di Tacito.


INTERLOCUTORI

Zenobia principessa d'Armenia, moglie di Radamisto.
Radamisto principe d'Iberia.
Tiridate principe parto, amante di Zenobia.
Egle pastorella, che poi si scopre sorella di Zenobia.
Zopiro falso amico di Radamisto ed amante di Zenobia.
Mitrane confidente di Tiridate.



ATTO PRIMO

SCENA I

Fondo sassoso di cupa ed oscura valle, orrida per le scoscese rupi che la circondano
e per le foltissime piante che la sovrastano.

Radamisto dormendo sopra un sasso, e Zopiro che attentamente l'osserva.

Zopiro - No, non m'inganno, è Radamisto. Oh, come
Secondano le stelle
Le mie ricerche! Io ne vo in traccia; e il caso,
Solo, immerso nel sonno, in parte ignota,
L'espone a' colpi miei. Non si trascuri
Della sorte il favor: mora! L'impone
L'istesso padre suo. Rival nel trono
Ei l'odia, io nell'amor. Servo in un punto
Al mio sdegno e al mio re. (in atto di snudar la spada)

Radamisto - (sognando) Lasciami in pace.

Zopiro - Si desta. Ah, sorte ingrata!
Fingiam.

Radamisto - Lasciami in pace, ombra onorata. (si desta)

Zopiro - Numi! (fingendo di non averlo veduto)

Radamisto - Stelle, che miro!

Zopiro - Radamisto!

Radamisto - Zopiro! (si leva)

Zopiro - O prence invitto,
Gloria del suol natio,
Cura de' numi, amor dell'Asia e mio,
Ed è pur ver ch'io ti rivegga? Ah! lascia
Che mille volte io baci
Questa destra real.

Radamisto - Qual tua sventura
Fra questi orridi sassi,
Quasi incogniti al sol, guida i tuoi passi?

Zopiro - Dell'empio Farasmane
Fuggo il furor.

Radamisto - Non l'oltraggiar: rammenta
Ch'è tuo re, ch'è mio padre. E di qual fallo
Ti vuol punir?

Zopiro - D'esserti amico.

Radamisto - È giusto.
Tutti aborrir mi denno. Io, lo confesso,
Son l'orror de' viventi e di me stesso.

Zopiro - Sventurato e non reo, signor, tu sei.
Mi son noti i tuoi casi.

Radamisto - Oh, quanto ignori
Della storia funesta!

Zopiro - Io so che tutta
Sollevata è l'Armenia e che ti crede
Uccisor del suo re. Ma so che venne
Il colpo fraudolento
Dal padre tuo; ch'ei rovesciò l'accusa
Sopra di te; che di Zenobia...

Radamisto - Ah! taci.

Zopiro - Perché?

Radamisto - Con questo nome
L'anima mi trafiggi.

Zopiro - Era altre volte
Pur la delizia tua. So che in isposa
La bramasti.

Radamisto - E l'ottenni. Ah! fui di tanto
Tesoro possessor. Ma... oh Dio!

Zopiro - Tu piangi!
La perdesti? dov'è? Parla: qual fato
Sì bei nodi ha divisi?

Radamisto - Ah, Zopiro, ella è morta, ed io l'uccisi!

Zopiro - Giusti numi! e perché?

Radamisto - Perché giammai
Mostro il suol non produsse
Più barbaro di me; perché non seppi
Del geloso furor gl'impeti insani
Mai raffrenar.

Zopiro - Nulla io comprendo.

Radamisto - Ascolta.
Da' sollevati Armeni
Creduto traditor, sai già che astretto
Fui poc'anzi a fuggir. Lungo l'Arasse
Presi il cammin. La mia Zenobia (oh troppo
Virtuosa consorte!) ad ogni costo
Volle meco venir; ma poi del lungo
Precipitoso corso
Al disagio non resse. A poco a poco
Perdea vigor. Stanca, anelante, oppressa,
Già tardi mi seguia; già de' feroci
Persecutori il calpestio frequente
Mi cresceva alle spalle. ‘Io manco, o sposo,'
Mi dice alfin: ‘salva te sol; ma prima
Aprimi il seno, e non lasciarmi esposta
All'ire altrui.' Figurati il mio stato.
Confuso, disperato,
Lagrimava e fremea; quando... ah, Zopiro,
Ecco il punto fatal!... quando mi vidi
Del parto Tiridate
A fronte comparir le note insegne.
Le vidi, le conobbi; e in un istante
Non fui più mio. Mi rammentai gli amori
Di Zenobia e di lui; pensai che allora
L'avrei difesa in van; lei mi dipinsi
Fra le braccia al rival; tremai, m'intesi
Gelar le vene ed avvampar; perdei
Ogni uso di ragion; non fui capace
Più di formar parole;
Fosca l'aria mi parve e doppio il sole.

Zopiro - E che facesti?

Radamisto - Impetuoso, insano,
Strinsi l'acciar: della consorte in petto
L'immersi, indi nel mio. Di vita priva
Nell'Arasse ella cadde, io su la riva.

Zopiro - Principessa infelice!

Radamisto - Io per mia pena
Al colpo sopravvissi. A' miei nemici
Mi celò la caduta. Al nuovo giorno
Pietosa man mi sollevò, mi trasse...
Ma tu non m'odi, e torbido nel volto
Pensi fra te! So che vuoi dir: stupisci
Che mi sostenga il suol, che queste rupi
Non mi piombin sul capo. Ah! son punito:
È giusto il Ciel. M'han consegnato i numi,
Per castigo a me stesso, al mio crudele
Tardo rimorso.

Zopiro - (A trucidar quest'empio
Non basto sol).

Radamisto - So che aprir deggio il varco
A quest'anima rea, ma pria vorrei
Trovar l'amata spoglia,
Darle tomba e morir. L'ombra insepolta
Erra per queste selve. Io me la veggo
Sempre su gli occhi: io non ho pace. Andiamo,
Andiamo a ricercar... (incamminandosi)

Zopiro - (arrestandolo) Ferma! che dici?
Circondano i nemici
Ogni contorno, e il tenteresti in vano.
In questa valle ascoso
Resta e m'attendi: alla pietosa inchiesta
Io volerò.

Radamisto - Sì, caro amico; e poi...

Zopiro - Non più: fidati a me. Da questo loco
Non dilungarti: io tornerò. Frattanto
Modera il tuo dolor, pensa a te stesso,
Quel volto oblia, non rammentar quel nome.

Radamisto - Oh Dio! Zopiro, il vorrei far, ma come?

Oh, almen, qualor si perde
Parte del cor sì cara,
La rimembranza amara
Se ne perdesse ancor!
Ma, quando è vano il pianto,
L'alma a prezzarla impara:
Ogni nEgletto vanto
Se ne conosce allor. (parte)



SCENA II

Zopiro solo.

Zopiro - Oh Zenobia! oh infelici
Mie perdute speranze! Avrai, tiranno,
Avrai la tua mercé. Co' miei seguaci,
Quindi non lungi ascosi, a trucidarti
Di volo io tornerò. Quel core almeno,
Quell'empio cor ti svellerò dal seno.

Cada l'indegno, e miri
Fra gli ultimi respiri
La man che lo svenò.
Mora; né poi mi duole
Che a me tramonti il sole,
Se il giorno a lui mancò. (parte)



SCENA III

Vastissima campagna irrigata dal fiume Arasse, sparsa da un lato di capanne pastorali, e terminata dall'altro dalle falde d'amenissime montagne. A piè della più vicina di queste comparisce l'ingresso di rustica grotta, tutto d'edera e di spini ingombrato. Vedesi in lontano, al di là del fiume, la real città di Artassata, con magnifico ponte che vi conduce, e su le rive opposte l'esercito parto attendato.

Zenobia ed Egle da una capanna.

Zenobia - Non tentar di seguirmi:
Soffrir nol deggio, Egle amorosa. Io vado
Fuggitiva, raminga; e chi sa dove
Può guidarmi il destin? Se de' miei rischi
Te conducessi a parte, al tuo bel core
Troppo ingrata sarei. Facesti assai:
Basta così. Due volte
Vivo per te. La tua pietà mi trasse
Fuor del rapido Arasse; il sen trafitto
Per tua cura sanò; dolce ricetto
Mi fu la tua capanna; e tu mi fosti
Consolatrice, amica,
Consigliera e compagna. Io nel lasciarti
Perdo assai più di te. Non lo vorrei;
Ma non basta il voler. Presso al cadente
Padre te arresta il tuo dovere, e in traccia
Me del perduto sposo affretta il mio.
Facciamo entrambe il dover nostro. Addio

Egle - Ma sola e senza guida
Per queste selve... Il tuo coraggio ammiro.

Zenobia - Non è nuovo per me. Fanciulla appresi
Le sventure a soffrir. Tre lustri or sono
Che l'Armenia ribelle un'altra volta
A fuggir ne costrinse; e allor perdei
La minor mia germana. Oh lei felice,
Che morì nel tumulto o fu rapita!
Io per sempre penar rimasi in vita.

Egle - E vuoi con tanto rischio andare in traccia
D'un barbaro consorte?

Zenobia - Ah! più rispetto
Per un eroe ripieno
D'ogni real virtù.

Egle - Virtù reale
È il geloso furor?

Zenobia - Chi può vantarsi
Senza difetti? Esaminando i sui,
Ciascuno impari a perdonar gli altrui.

Egle - Ma una sposa svenar...

Zenobia - Reo non si chiama
Chi pecca involontario. In quello stato,
Radamisto non era
Più Radamisto. Io giurerei che allora
Strinse l'armi omicide,
M'assalì, mi trafisse e non mi vide.

Egle - Oh generosa! E ben, di lui novella
Io cercherò: tu puoi restar.

Zenobia - No, cara
Egle, non deggio: a troppo rischio espongo
La gloria mia, la mia virtù.

Egle - Che dici?

Zenobia - Io lo so, non m'intendi. Or odi e dimmi
Se temo a torto. Il giovanetto duce
Delle attendate schiere,
Che da lungi rimiri, è Tiridate,
Germano al parto re. Prence fin ora
Più amabile, più degno
Non formarono i numi
D'anima, di sembianti e di costumi.
Mi amò, l'amai: senza rossor confesso
Un affetto già vinto. Alle mie nozze
Aspirò, le richiese; il padre mio
Lieto ne fu. Ma, perché seco a gara
Le chiedea Radamisto, al mio fedele
Impose il genitor ch'armi e guerrieri
Pria dal real germano
Ad implorar volasse; e, reso forte
Contro il rivale, all'imeneo bramato
Tornasse poi. Partì; restai. Qual fosse
Il nostro addio, di rammentarmi io tremo:
Prevedeva il mio cor ch'era l'estremo.
Mentr'io senza riposo
Affrettava co' voti il suo ritorno,
Sento dal padre un giorno
Dirmi che a Radamisto
Sposa mi vuol; che a variar consiglio
Lo sforza alta cagion; che, s'io ricuso,
La pace, il trono espongo,
La gloria, i giorni suoi. Suddita e figlia,
Dimmi, che far dovea? Piansi, m'afflissi,
Bramai morir; ma l'ubbidii. Né solo
La mia destra ubbidì: gli affetti ancora
A seguirla costrinsi. Armai d'onore
La mia virtù; sacrificai costante
Di consorte al dover quello d'amante.

Egle - Né mai più Tiridate
Rivedesti fin ora?

Zenobia - Ah, nol permetta il Ciel! Questo è il timore
Che affretta il partir mio. Non ch'io diffidi,
Egle, di me: con la ragion quest'alma
Tutti, io lo sento, i moti suoi misura.
La vittoria è sicura,
Ma il contrasto è crudel: né men del vero
L'apparenza d'un fallo
Evitar noi dobbiam. La gloria nostra
È geloso cristallo, è debil canna,
Ch'ogni aura inchina, ogni respiro appanna.

Egle - Misero prence! E alla novella amara
Che detto avrà?

Zenobia - L'ignora ancor: mi strinse
Segreto laccio a Radamisto. Ei torna
Agl'imenei promessi.

Egle - Oh numi! e trova
Sollevata l'Armenia,
Vedovo il trono, ucciso il re, scomposti
Tutti i disegni sui;
E Zenobia...

Zenobia - E Zenobia in braccio altrui.

Egle - Che barbaro destin!

Zenobia - Or di': poss'io
Espormi a rimirar l'acerbo affanno
D'un prence sì fedel? che tanto amai?
Che tanto meritò? che forse al solo
Udir che d'altri io sono... Addio.

Egle - Mi lasci?

Zenobia - Sì, cara; io fuggo: è periglioso il loco,
Le memorie, i pensieri.

Egle - A chi fa oltraggio
L'innocente pietà...

Zenobia - Temer conviene
L'insidie ancor d'una pietà fallace.
Addio: prendi un amplesso e resta in pace.

Resta in pace, e gli astri amici
Bella ninfa, a' giorni tuoi
Mai non splendano infelici,
Come splendono per me.
Grata ai numi esser tu puoi,
Che nascesti in umil cuna.
Oh, di stato e di fortuna
Potess'io cangiar con te! (parte)



SCENA IV

Egle sola.

Egle - Misera principessa,
Quanta pietà mi fai! Semplice, oscura,
Povera pastorella
Per te oggetto è d'invidia! E a che servite,
O doni di fortuna? a che per voi
Tanto sudar, se, quando poi sdegnato
Il Ciel con noi si vede,
Difendete sì mal chi vi possiede?

Di ricche gemme e rare
L'indico mare abbonda,
Né più tranquilla ha l'onda,
Né il cielo ha più seren.
Se v'è del flutto infido
Lido che men paventi,
È qualche, ignoto a' venti,
Povero angusto sen. (parte)



SCENA V

Zenobia sola, cercando per la scena.

Zenobia - Radamisto! Ove andò? Consorte! Il vidi;
Tornai su l'orme sue; ma per la selva
Ne ho perduta la traccia. A questa parte
Eran vòlti i suoi passi. Ah! dove mai
Sconsigliato s'aggira? Il loco è pieno
Tutto de' suoi nemici. In tanto rischio,
Custoditelo, o dèi. Che fo? m'inoltro?
Avventuro me stessa. Egle si trovi:
Ella per me ne cerchi. Astri crudeli,
Bastan le mie ruine:
Cominciate a placarvi; è tempo al fine.

Lasciami, o Ciel pietoso,
Se non ti vuoi placar,
Lasciami respirar
Qualche momento
Rendasi col riposo
Almeno il mio pensier
Abile a sostener
Nuovo tormento.
(parte, e, finito il ritornello dell'aria, torna agitata)

Misera me! Da questa parte, oh Dio!
Vien Tiridate. Oh, come io tremo! oh, come
L'alma ho in tumulto! Il periglioso incontro
Fuggi, fuggi, Zenobia. Il cupo seno
Di que' concavi sassi
Al suo sguardo m'asconda insin che passi. (si cela nella grotta)



SCENA VI

Tiridate, poi Mitrane, e detta in disparte.

Tiridate - Né ritorna Mitrane! Ah! mi spaventa
La sua tardanza. Eccolo. Aimè! Che mesto,
Che torbido sembiante! Amico, ah! vola:
M'uccidi, o mi consola. Il mio tesoro
Dov'è? ne rintracciasti
Qualche novella?

Mitrane - Ah, Tiridate!

Tiridate - Oh Dio,
Che silenzio crudel! Parla. È un arcano
La sorte di Zenobia? Ognuno ignora
Che fu di lei, dove il destin la porta?

Mitrane - Ah! pur troppo si sa.

Tiridate - Che avvenne?

Mitrane - È morta.

Tiridate - Santi numi del ciel!

Mitrane - Quell'empio istesso
Che il genitor trafisse,
La figlia anche svenò.

Tiridate - Chi?

Mitrane - Radamisto
Fu l'inumano.

Tiridate - Ah, scellerato! E tanto...
No, possibil non è. Qual cor non placa
Tanta bellezza? Ei ne languia d'amore.
Non crederlo, Mitrane.

Mitrane - Il Ciel volesse
Che fosse dubbio il caso. Ei dell'Arasse
Sul margo la ferì: dall'altra sponda
Un pescator nell'onda
Cader la vide. A darle aita a nuoto
Corse, ma in vano: era sommersa. Ei solo
L'ondeggiante raccolse
Sopravveste sanguigna. I detti suoi
Esser non ponno infidi:
La spoglia è di Zenobia, ed io la vidi.

Tiridate - Soccorrimi.

Zenobia - (Oh cimento!)

Tiridate - (si appoggia ad un tronco) Agli occhi miei
Manca il lume del dì.

Zenobia - (Consiglio, o dèi!)

Mitrane - Principe, ardir! Con questi colpi i numi
Fan prova degli eroi.

Tiridate - Lasciami.

Mitrane - In questo
Stato degg'io lasciarti!
Di me, signor, che si direbbe?

Tiridate - Ah! parti.

Mitrane - Ch'io parta? M'accheto,
Rispetto il comando;
Ma parto tremando,
Mio prence, da te.
Minaccia periglio
L'affanno segreto,
Qualor di consiglio
Capace non è. (parte)



SCENA VII

Tiridate e Zenobia in disparte.

Tiridate - Dunque è morta Zenobia? E tu respiri,
Sventurato cor mio! Per chi? che speri?
Che ti resta a bramar? Gli agi, i tesori,
La grandezza real, l'onor, la vita
M'eran cari per lei. Mancò l'oggetto
D'ogni opra mia, d'ogni mia cura: il mondo
È perduto per me. No, stelle ingrate, (si leva)
Dal mio ben non sperate
Dividermi per sempre. Ad onta vostra,
Ne' regni dell'oblio
M'unirà questo ferro all'idol mio. (snuda la spada)

Zenobia - (Aimè!) (uscendo)

Tiridate - L'onda fatale
Deh! non varcar, dolce mia fiamma: aspetta
Che Tiridate arrivi;
Ecco... (vuol ferirsi)

Zenobia - Fermati! (trattenendolo)

Tiridate - (rivolgendosi) Oh dèi!

Zenobia - Fermati e vivi! (gli toglie la spada, e s'incammina per partire)

Tiridate - Zenobia, anima bella! (vuol seguirla)

Zenobia - Guardati di seguirmi: io non son quella. (in atto di partire)

Tiridate - Come! e vuoi... (in atto di seguirla)

Zenobia - Non seguirmi,
Principe, te ne priego; e non potrebbe
Chi la vita ti diè chiederti meno.

Tiridate - Ma possibil non è... (seguendola)

Zenobia - (risoluta in atto di ferirsi) Resta o mi sveno.

Tiridate - Eterni dèi! Deh!... (arrestandosi)

Zenobia - (in atto di ferirsi) Se t'inoltri un passo,
Su questo ferro io m'abbandono.

Tiridate - Ah, ferma!
M'allontano, ubbidisco. Odi: ove vai?

Zenobia - Dove il destin mi porta. (partendo)

Tiridate - Ah, Zenobia crudel!

Zenobia - Zenobia è morta. (parte)



SCENA VIII

Tiridate e poi Mitrane.

Tiridate - Principessa, idol mio, sentimi... Oh stelle!
Che far degg'io? Né seguitarla ardisco
Né trattener mi so. Questo è un tormento,
Questo...

Mitrane - Signor, gli ambasciadori armeni
Giunsero d'Artassata.

Tiridate - (con affanno) Ah, mio fedele,
Corri, vola, t'affretta,
Sieguila tu per me.

Mitrane - Chi?

Tiridate - Vive ancora;
Ancor del chiaro dì l'aure respira.

Mitrane - Ma chi, prence?

Tiridate - Zenobia.

Mitrane - (Aimè! delira).

Tiridate - Oh Dio! perché t'arresti? Ecco il sentiero;
Quelle son l'orme sue.

Mitrane - Ma...

Tiridate - (con impazienza) S'allontana,
Mentre domandi e pensi.

Mitrane - Vado. (Oh, come il dolor confonde i sensi!) (parte)



SCENA IX

Tiridate solo.

Tiridate - Non so più dove io sia: sì strano è il caso,
Che parmi di sognar. Come s'accorda
La tenerezza antica
Con quel rigor? M'odia Zenobia, o m'ama?
Se m'odia, a che mi salva?
Se m'ama, a che mi fugge? Io d'ingannarmi
Quasi dubiterei, ma quel sembiante
Tanto impresso ho nell'alma... E non potrebbe
Esservi un'altra ninfa
Simile a lei? Di sì bell'opra forse
S'invaghì, si compiacque,
E in due l'idea ne replicò Natura.
No; begli occhi amorosi,
Siete quei del mio ben. Voi sol potete
Que' tumulti, ch'io sento,
Risvegliarmi nel cor. Non diè quest'alma
Tanto dominio in su gli affetti suoi,
Care luci adorate, altro che a voi.

Vi conosco, amate stelle,
A que' palpiti d'amore
Che svegliate nel mio sen.
Non m'inganno; siete quelle:
Ne ho l'immagine nel core:
Né sareste così belle,
Se non foste del mio ben.



ATTO SECONDO

SCENA I

Tiridate e Mitrane.

Tiridate - Ma s'io stesso la vidi,
S'io stesso l'ascoltai! Ne ho viva ancora
L'idea su gli occhi; ancor la nota voce
Mi risuona sul cor. Zenobia è in vita:
Mitrane, io non sognai.

Mitrane - Signor, gli amanti
Sognano ad occhi aperti. Anche il dolore
Confonde i sensi e la ragion. Si vede
Talor quel che non v'è: ciò che è presente
Non si vede talor. L'alma per uso
L'idea che la diletta a sé dipinge;
E ognun quel che desia facil si finge.

Tiridate - Ah! seguìta io l'avrei: ma quel vederla
Già risoluta a trapassarsi il petto
Gelar mi fe'.

Mitrane - Pensa alla tua grandezza,
O mio prence, per or. T'offron gli Armeni
Il vòto soglio, e chiedono in mercede
Di Radamisto il capo. Occupa il tempo
Or che destra è Fortuna: i suoi favori
Sai che durano istanti.

Tiridate - In ogni loco
Radamisto si cerchi: il traditore
Punir si dee. Né contro lui m'irrìta
Già la mercé; bramo a Zenobia offesa
Offrire il reo.

Mitrane - Dunque ancor speri?

Tiridate - Ad una
Leggiadra pastorella
Ne richiesi poc'anzi: Egle è il suo nome;
Questa è la sua capanna. Avrem da lei
Qualche lume miglior.

Mitrane - Ma che ti disse?

Tiridate - Nulla.

Mitrane - E tu speri?

Tiridate - Sì. Mi parve assai
Confusa alle richieste:
Mi guardava, arrossia, parlar volea,
Cominciava a spiegarsi, e poi tacea.

Mitrane - O amanti, oh quanto poco
Basta a farvi sperar!

Tiridate - Con Egle io voglio
Parlar di nuovo: a me l'appella.

Mitrane - Il cenno
Pronto eseguisco. (entra nella capanna)

Tiridate - Oh che crudel contrasto
Di speranze e timori,
Giusti numi, ho nel sen! Non v'è del mio
Stato peggior.

Mitrane - (tornando) La pastorella è altrove:
Solitario è l'albergo.

Tiridate - Infin che torni,
L'attenderò. Vanne alle tende.

Mitrane - È vana
La cura tua. Quella sanguigna spoglia,
Ch'io stesso rimirai...

Tiridate - Crudel Mitrane,
Io che ti feci mai? Deh! la speranza
Non mi togliere almen.

Mitrane - Spesso la speme,
Principe, il sai, va con l'inganno insieme. (parte)

Tiridate - Non so se la speranza
Va con l'inganno unita:
So che mantiene in vita
Qualche infelice almen.
So che, sognata ancora,
Gli affanni altrui ristora
La sola idea gradita
Del sospirato ben. (entra nella capanna)



SCENA II

Zenobia ed Egle.

Zenobia - Vanne, cercalo, amica,
Guidalo a me: conoscerai lo sposo
A' segni ch'io ti diedi. In queste selve
Certamente ei dimora. Infin che torni,
Me asconderà la tua capanna: io tremo
D'incontrarmi di nuovo
Con Tiridate. Il primo assalto insegna
Il secondo a fuggir.

Egle - Degna di scusa
Veramente è chi l'ama: io mai non vidi
Più amabili sembianze.

Zenobia - Ove il vedesti?

Egle - Poc'anzi in lui m'avvenni. Ei, che a ciascuno
Di te chiede novelle,
A me pur ne richiese.

Zenobia - E tu?

Egle - Rimasi
Stupida ad ammirarlo. I dolci sguardi,
La favella gentil...

Zenobia - Questo io non chiedo,
Egle, da te: non risvegliar con tante
Insidiose lodi
La guerra nel mio cor. Dimmi se a lui
Scopristi la mia sorte.

Egle - Il tuo divieto
Mi rammentai: nulla gli dissi.

Zenobia - Or vanne,
Torna a me col mio sposo; e cauta osserva,
Se Tiridate incontri,
La legge di tacer.

Egle - Volendo ancora,
Tradirti non potrei:
Son muti, a lui vicino, i labbri miei.

Ha negli occhi un tale incanto,
Che a quest'alma affatto è nuovo,
Che, se accanto a lui mi trovo,
Non ardisco favellar.
Ei dimanda, io non rispondo,
M'arrossisco, mi confondo:
Parlar credo, e poi m'avvedo
Che comincio a sospirar. (parte)



SCENA III

Zenobia, e Tiridate nella capanna.

Zenobia - Povero cor, t'intendo: or che siam soli,
La libertà vorresti
Di poterti lagnar. No, le querele
Effetto son di debolezza. Io temo,
Più che l'altrui giudizio,
Quel di me stessa; ed in segreto ancora
M'arrossirei d'esser men forte... Ah! voi,
Che inspirate a quest'alma
Tanta virtù, non l'esponete, o numi,
Al secondo cimento. A farne prova
Basti un trionfo. A Tiridate innanzi
Mai più non mi guidate. E con qual fronte
Dirgli che d'altri io son? Contro il mio sposo
Temerei d'irritarlo: il suo dolore
Vacillar mi farebbe... Ah, se tornasse
Quindi a passar! Fuggasi il rischio: asilo
Mi sia questa capanna. Aimè! chi mai
Veggo?... o il timor che ho nella mente impresso
Mi finge... Oh stelle! è Tiridate istesso.

Tiridate - Senti. Or mi fuggi in van: dovunque andrai,
Al tuo fianco sarò. (uscendo dalla capanna ed inseguendo Zenobia)

Zenobia - Ferma! Ti sento.

Tiridate - Ah, Zenobia, Zenobia!

Zenobia - (Ecco il cimento).

Tiridate - Sei tu? Son io? Così mi accogli? È questo,
Principessa adorata, il dolce istante
Che tanto sospirai? Sol di due lune
Il brevissimo giro
A cangiarti bastò? Che freddo è quello?
Che composto sembiante? Ah! chi le usate
Tenerezze m'invola?
È sdegno? è infedeltà? No, di sì nera
Taccia non sei capace: io so per prova
Il tuo bel cor qual sia;
Conosco, anima mia...

Zenobia - Signor, già che m'astringi
Teco a restar questi momenti, almeno
Non si spendano in van.

Tiridate - Dunque ti spiace...

Zenobia - Sì, mi spiace esser teco. Odimi, e dammi
Prove di tua virtù.

Tiridate - (Tremo!)

Zenobia - I legami
De' reali imenei per man del fato
Si compongono in Ciel. Da' voti nostri
Non dipende la scelta. Io, se le stelle
M'avesser di me stessa
Conceduto l'arbitrio, in Tiridate
Sol ritrovato avrei
Chi rendesse felici i giorni miei.
Ma questo esser non può. Da te per sempre
Mi divide il destin. Piega la fronte
Al decreto fatal. Vattene in pace,
Ed in pace mi lascia. Agli occhi miei
Non offrirti mai più. Sì gran periglio
Alla nostra virtù, prence, si tolga.
Questa già ci legò; questa ci sciolga.

Tiridate - Assistetemi, o dèi! Dunque io non deggio
Mai più sperar...

Zenobia - Che più sperar non hai.

Tiridate - Ma perché? Ma chi mai
T'invola a me? Qual fallo mio...

Zenobia - Non giova
Questo esame penoso
Che a sollevar gli affetti nostri; e noi
Soggiogarli dobbiamo. Addio. Già troppo
Mi trattenni con te. Non è tua colpa
La cagion che ne parte, o colpa mia:
Questo ti basti, e non cercar qual sia.

Tiridate - Barbara! e puoi con tanta
Tranquillità parlar così? Non sai
Che 'l mio ben, la mia pace,
La mia vita sei tu? che, s'io ti perdo,
Tutto manca per me? che non ebb'io
Altro oggetto fin or...

Zenobia - (vuol partire) Principe, addio.

Tiridate - Ma spiegami...

Zenobia - Non posso.

Tiridate - Ascoltami.

Zenobia - Non deggio.

Tiridate - Odiarmi tanto!
Fuggir dagli occhi miei!

Zenobia - Ah! signor, se t'odiassi, io resterei.
Temo la tua presenza: ella è nemica
Del mio dover. La mia ragione è forte;
Ma il tuo merito è grande. Ei basta almeno
A lacerarmi il core,
Se non basta a sedurlo. Oh Dio! nol vedi
Che innanzi a te... che rammentando... Ah! parti:
Troppo direi. Rispetta
La mia, la tua virtù. Sì, te ne priego
Per tutto ciò che hai di più caro in terra
O di più sacro in ciel, per quell'istesso
Tenero amor che ci legò, per quella
Bell'alma che hai nel sen, per questo pianto
Che mi sforzi a versar: lasciami, fuggi,
Evitami, signore.

Tiridate - E non degg'io
Rivederti mai più?

Zenobia - No, se la pace,
No, se la gloria mia, prence, t'è cara.

Tiridate - Oh barbara sentenza! oh legge amara!

Zenobia - Va, ti consola, addio;
E da me lungi almeno
Vivi più lieti dì.

Tiridate - Come! tiranna! Oh Dio!
Strappami il cor dal seno,
Ma non mi dir così.

Zenobia - L'alma gelar mi sento.

Tiridate - Sento mancarmi il cor.

A DUE - Oh che fatal momento!
Che sfortunato amor!
Questo è morir d'affanno;
Né que' felici il sanno,
Che sì penoso stato
Non han provato ancor.

(Prima che termini il duetto, comparisce Zopiro in lontano, e s'arresta ad osservar Zenobia e Titridate, che partono poi senza vederlo)


SCENA IV

Zopiro e seguaci.

Zopiro - Zenobia insieme e Tiridate! E come
Ella in vita tornò? perché da lui
Si divide piangendo? Ah! l'ama ancora.
No: sposa a Radamisto
La rigida Zenobia... E v'è rigore
Che d'un tenero amor regga alla prova?
Che barbara, che nuova
Specie di gelosia:
Aver rivale e non saper qual sia!

Quel geloso incerto sdegno,
Onde acceso il cor mi sento,
È il più barbaro tormento
Che si possa immaginar.
Odio ed amo; e giunge a segno
Del mio fato il rio tenore,
Che sperar non posso amore,
Né mi posso vendicar.
(nel voler partire, vede da lontano Radamisto, e si trattiene)

Da lungi a questa volta
Vien Radamisto. I miei seguaci ho meco:
Non differiam più la sua morte. Ei forse
Già dubita di me: là non mi attese
Dove il lasciai. Ma, se Zenobia è amante
Di Tiridate, un gran nemico io scemo
Al rival favorito. Ah! se potessi
Irritarli fra lor, ridurre entrambi
A distruggersi insieme, e 'l premio intanto
Meco rapir di lor contese! Un colpo
Sarebbe in ver d'arte maestra. Almeno
Si maturi il pensier. Fra quelle piante
Celatevi, o compagni. Eccolo: all'opra...
Ma vien seco una ninfa.
Che sia solo attendiam. (si nasconde)



SCENA V

Radamisto, Egle, e Zopiro in disparte.

Radamisto - Non ingannarmi
Cortese pastorella. Il farsi giuoco
Degl'infelici è un barbaro diletto,
Troppo indegno di te.

Egle - No non t'inganno:
Vive la sposa tua. Trafitta il seno,
Io dall'onde la trassi, e con periglio
Di perir seco.

Radamisto - Oh amabil ninfa! oh mio
Nume liberator! Dunque si trova
Tanta pietà ne' boschi? Ah! sì, la vera
Virtù qui alberga; il cittadino stuolo
Sol la spoglia ha di quella, o il nome solo.

Egle - Attendimi: siam giunti.
Vado Zenobia ad avverTiridate (entra nella capanna)

Radamisto - M'affretto
Impaziente a rivederla, e tremo
Di presentarmi a lei. M'accende amore;
Il rimorso m'agghiaccia.

Egle - (tornando) In altra parte
Zenobia andò: non la ritrovo.

Radamisto - Oh dèi!

Egle - Non ti smarrir, ritornerà: va in traccia
Forse di noi.

Radamisto - No; m'aborrisce, evìta
D'incontrarsi con me. Non la condanno;
È giusto l'odio suo; minor castigo,
Egle, non meritai.

Egle - Zenobia odiarti!
Aborrirti Zenobia! Ah! mal conosci
La sposa tua. Questo timore oltraggia
La più fedel consorte
Di quante mai qualunque età ne ammira.
Te cerca, te sospira,
Non trema che per te. Difende, adora
Fin la tua crudeltà. Chi crede a lei,
Condannarti non osa:
La man, che la ferì, chiama pietosa.

Radamisto - Deh! corriamo a cercarla. A' piedi suoi
Voglio morir d'amore,
Di pentimento e di rossor.

Egle - La perdi
Forse, se t'allontani.

Radamisto - Intanto almeno
Va tu per me: deh! non tardar. Perdona
L'intolleranza mia: sospiro un bene
Ch'io so quanti mi costi e pianti e pene.

Egle - Oh che felici pianti!
Che amabile martìr!
Pur che si possa dir:
‘Quel core è mio.'
Di due bell'alme amanti
Un'alma allor si fa,
Un'alma che non ha
Che un sol desio. (parte)



SCENA VI

Radamisto e poi Zopiro.

Radamisto - Oh generosa, oh degna
Di men barbaro sposo,
Principessa fedel! Chi udì, chi vide
Maggior virtù? Voi, che oscurar vorreste
Con maligne ragioni
La gloria femminil, ditemi voi
Se han virtù più sublime i nostri eroi.

Zopiro - Dove, principe, dove
T'aggiri mai? Così m'attendi?

Radamisto - Ah! vieni,
De' miei prosperi eventi
Vieni a goder. La mia Zenobia...

Zopiro - È in vita,
Lo so.

Radamisto - Lo sai?

Zopiro - Così mi fosse ignoto!

Radamisto - Perché?

Zopiro - Perché... Non lo cercar. Di lei
Scordati, Radamisto: è poco degna
Dell'amor tuo.

Radamisto - Ma la cagion?

Zopiro - Che giova
Affliggerti, o signor?

Radamisto - Parla: m'affliggi
Più col tacer.

Zopiro - Dunque ubbidisco. Io vidi
La tua sposa infedel... Ma già cominci,
Principe, a impallidir! Perdona: è meglio
Ch'io taccia.

Radamisto - Ah! se non parli... (minacciandolo)

Zopiro - E ben, tu il vuoi:
Non lagnarti di me. Poc'anzi io vidi
Qui col suo Tiridate
La tua sposa infedel: parlar d'amore
Gli udii celato. Ei rammentava a lei
Le sue promesse; ella giurava a lui
Che l'antica nel sen fiamma segreta
Ognor più viva...

Radamisto - Ah! mentitor, t'accheta.
Io conosco Zenobia: ella è incapace
Di tal malvagità.

Zopiro - Tutto degg'io
Da te soffrir; ma la mia pena, o prence,
Nel vederti tradito
Non meritò questa mercé. Tu stesso
A parlar mi costringi, e poscia...

Radamisto - Oh Dio!
Non vorrei dubitar.

Zopiro - Senza ch'io parli,
Non conosci abbastanza
Ch'ella fugge da te? Forse non sai
Ch'ella amò Tiridate
Più di se stessa, e che un amor primiero
Mai non s'estingue?

Radamisto - Ah, che pur troppo è vero!

Zopiro - (Già si spande il velen).

Radamisto - Numi! e a tal segno
Son le donne incostanti? Oh fortunati
Voi, primi abitatori
Dell'arcadi foreste,
S'è pur ver che da' tronchi al dì nasceste!

Zopiro - Pria di te Tiridate
Ebbe il cor di Zenobia; e fin ch'ei viva,
Signor, l'avrà.

Radamisto - L'avrà per poco: io volo
A trafiggergli il sen.

Zopiro - Ferma: che speri?
In mezzo a' suoi guerrieri
T'esponi in van. Se in solitaria parte
Lungi da' suoi trar si potesse...

Radamisto - E come?

Zopiro - Chi sa? Pensiam. Bisogna
Il colpo assicurar.

Radamisto - Ma il furor mio
Non soffre indugi.

Zopiro - Ascolta. Un finto messo
A nome di Zenobia in loco ascoso
Farò che il tragga.

Radamisto - E s'ei diffida? Almeno
D'uopo sarebbe accreditar l'invito
Con qualche segno... Ah! taci: eccolo. Prendi
Quest'anel di Zenobia: a lei partendo
Il donò Tiridate; ed essa il giorno
De' fatali imenei, quasi volesse
Depor del primo amore
Affatto ogni memoria, a me lo diede.
Falso pegno di fede
Se fummi allor, fido stromento adesso
Sia di vendetta.

Zopiro - (Oh sorte amica!) Attendi
Alla nascosta valle,
Dove pria t'incontrai.

Radamisto - Ma...

Zopiro - Della trama
A me lascia il governo.

Radamisto - Ricordati che ho in sen tutto l'inferno.

Non respiro che rabbia e veleno;
Ho d'Aletto le faci nel seno,
Di Megera le serpi nel cor.
No, d'affanno quest'alma non geme;
Ma delira, ma smania, ma freme,
Tutta immersa nel proprio furor. (parte)



SCENA VII

Zopiro con seguaci, indi Zenobia.

Zopiro - Oh che illustre vittoria! I miei nemici
Per me combatteranno, ed io tranquillo
Zenobia acquisterò. Miei fidi, udite: (escono i suoi seguaci)
Voi la valle de' mirti
Andate a circondar. Colà verranno
E Tiridate e Radamisto. Ascosi,
Lasciateli pugnar; ma, quando oppresso
Cada un di loro, il vincitor già stanco
Resti da voi trafitto. Andate, e meco
Qualcun rimanga. (partono i seguaci, a riserva di pochi) A Tiridate or deggio
Il messaggio inviar. Ma i miei non sono
Atti a tal opra: ei scoprirebbe... È meglio
Che una ninfa o un pastor... Ma non è quella
Che giunge... Oh fausti dèi! Vedete, amici:
Quella è Zenobia; io la consegno a voi.
Con forza o con inganno, allor ch'io parto,
Conducetela a me. Più non avrei
Or che bramar, se fosse mio quel core,
O se potessi almeno
Saper chi mel contende. Ambo i rivali
Morranno, è ver; ma l'odio mio fra loro
Determinar non posso, e l'odio incerto
Scema il piacer della vendetta. Io voglio
Scoprir l'arcano. Una menzogna ho in mente,
Che l'istessa Zenobia a dirmi il vero
Costringerà.

Zenobia - Che veggo!
Tu in Armenia, o Zopiro!

Zopiro - Ah! principessa,
Giungi opportuna: un tuo consiglio io bramo,
Anzi un comando tuo. D'affar si tratta,
Che interessa il tuo cor.

Zenobia - Del mio consorte
Or vado in traccia.

Zopiro - Il perderlo dipende
O il trovarlo da te.

Zenobia - Che!

Zopiro - Senti. Io deggio
Inevitabilmente o a Radamisto
Dar morte o a Tiridate.

Zenobia - Ah!...

Zopiro - Taci. Il primo
Già da' miei fidi è custodito; e l'altro
Da un finto messo, a nome tuo, con questa
Gemma per segno, ove l'insidia è tesa,
Tratto sarà.

Zenobia - Donde in tua man...

Zopiro - Finisci
Pria d'ascoltar. Qual di lor voglio, io posso
Uccidere o salvar. L'arbitrio mio
Dal tuo dipenderà. Tu l'uno amasti,
Sei sposa all'altro. In vece mia risolvi:
Qual vuoi condanna, e qual ti piace assolvi.

Zenobia - Dunque... Misera me! Qual empio cenno!
Per qual ragion? Chi ti costringe...

Zopiro - È troppo
Lungo il racconto e scarso il tempo: assai
Ne perdei, te cercando. Apri il tuo core,
E lasciami parTiridate

Zenobia - Numi! e tu prendi
Sì scellerato impiego ed inumano?

Zopiro - Il comando è sovrano, e a me la vita
Costeria trasgredito.

Zenobia - E qual castigo,
Qual premio o quale autorità può mai
Render giusta una colpa?

Zopiro - Addio. Non venni
Teco a garrir. Nella proposta scelta
Vedesti il mio rispetto. A mio talento
Risolverò. (finge voler partire)

Zenobia - Ferma!

Zopiro - Che brami?

Zenobia - Io... Pensa...
(Assistetemi, o dèi!)

Zopiro - T'intendo: io deggio
Prevenir le tue brame
Senza che parli: è privilegio antico
Già delle belle. Il so: tu Radamisto
Hai ragion d'aborrir. Gl'impeti suoi,
Le ingiuste gelosie, l'empia ferita
Note mi son. Basta così. Fra poco
Vendicata sarai. (in atto di partire)

Zenobia - Perfido! e credi
Sì malvagia Zenobia? un sì perverso
Disegno in me?...

Zopiro - Non ti sdegnar: l'errore
Nacque dal tuo silenzio. (ai seguaci) Olà! guidate
La principessa al suo consorte... Io volo
Tiridate a svenar. (in atto di partire)

Zenobia - Sentimi. (O numi,
La mia virtù voi riducete a prove
Troppo crudeli! Io di mia bocca, io stessa
Condannar Tiridate! E che mi fece
Quell'anima fedel? come poss'io...)

Zopiro - Dubiti ancor?

Zenobia - No, non è dubbio il mio:
So chi deggio salvar; ma di sua vita
M'inorridisce il prezzo.

Zopiro - A me non lice
Più rimaner: decidi, o parto.

Zenobia - Aspetta
Solo un istante. Ah! tu potresti...

Zopiro - Il tempo
Perdiamo inutilmente. O l'uno o l'altro
Deve perir.

Zenobia - Dunque perisca... (oh Dio!)
Dunque salvami...

Zopiro - Chi?

Zenobia - Salvami entrambi,
Se pur vuoi ch'io ti debba il mio riposo;
E, se entrambi non puoi, salva il mio sposo.

Zopiro - (Ah! Radamisto adora). E vuoi la morte
D'un sì fido amatore?

Zenobia - Salva il mio sposo, e non mi dir chi muore.

Zopiro - Salvo tu vuoi lo sposo?
Salvo lo sposo avrai:
Lascia del tuo riposo,
Lascia la cura a me.
I dubbi tuoi perdono:
Tutto il mio cor non sai.
Ti spiegherà chi sono
Quel ch'io farò per te. (parte)



SCENA VIII

Zenobia sola.

Zenobia - E vivi, e spiri, e pronunciar potesti,
Donna crudel, sì barbaro decreto
Senza morir! né mi scoppiasti in seno,
Ingratissimo cor! Dunque... Che dici,
Folle Zenobia? Il tuo dover compisti:
E ti lagni e ne piangi? Ah! questo pianto
Scema prezzo al trionfo. È colpa eguale
Un mal che si commetta,
E un ben che si detesti. È ver; ma intanto
Muor Tiridate, io lo condanno, e forse
Or, chiamandomi a nome... Ah! dèi clementi,
Difendetelo voi. Salvar lo sposo
Eran le parti mie: le vostre or sono
Protegger l'innocenza. Han dritto in Cielo
Le suppliche dolenti
D'un'anima fedel; né col mio pianto
Rea d'alcun fallo innanzi a voi son io:
Vien da limpida fonte il pianto mio.

Voi leggete in ogni core;
Voi sapete, o giusti dèi,
Se son puri i voti miei,
Se innocente è la pietà.
So che priva d'ogni errore,
Ma crudel non mi volete;
So che in Ciel non confondete
La barbarie e l'onestà.



ATTO TERZO

SCENA I

Bosco.

Radamisto ed Egle.

Radamisto - Chi ti diè quella gemma?

Egle - Uno straniero
Ch'io non conosco.

Radamisto - Ed a qual fin?

Egle - M'impose,
Con questo segno, e di Zenobia a nome,
Alla valle de' mirti
D'invitar Tiridate.

Radamisto - Andasti a lui?

Egle - No.

Radamisto - Perché?

Egle - Perché questa
Certamente è una frode.

Radamisto - (Ah! di costei
Non potea far Zopiro
Scelta peggior). Ma del messaggio il peso
A che dunque accettasti?

Egle - Affin che un'altra
Non l'eseguisse.

Radamisto - (Or la cagion comprendo,
Per cui fin or nel destinato loco
Atteso in vano ho Tiridate).

Egle - Io vado
Di sì nera menzogna
Zenobia ad avverTiridate (in atto di partire)

Radamisto - No. Senti: a lei
Narrar non giova...

Egle - Anzi ignorar non deve
Che le insidia un indegno
La gloria di fedele.

Radamisto - E tu che sai
A qual di lor convenga
D'indegno il nome o di fedel?

Egle - Che! dunque
Puoi dubitar...

Radamisto - Non è più dubbio...

Egle - Ah! taci:
Orror mi fai.

Radamisto - Sappi...

Egle - Lo so: non merti
Tanto amor, tanta fede.

Radamisto - Io son...

Egle - Tu sei
Un ingiusto, un ingrato,
Un barbaro, un crudel. (in atto di partire)

Radamisto - (seguendola) Se puoi, dilegua
Dunque il sospetto mio.

Egle - No; quel sospetto
Sempre, per pena tua, ti resti in petto. (parte)



SCENA II

Radamisto solo.

Radamisto - Ma convincimi almen; sentimi... Oh Dio!
A chi creder degg'io? Zopiro afferma
Che Zenobia è infedele; Egle sostiene
Che son vani i sospetti ond'io deliro.
Giusti dèi! chi m'inganna: Egle o Zopiro?
Ti sento, oh Dio! ti sento,
Gelosia, del mio cor furia tiranna;
Tu mi vai replicando: ‘Egle t'inganna.'

Ah! perché, s'io ti detesto,
S'io ti scaccio, empio timore,
Ah! perché così molesto
Mi ritorni a tormentar?
Qual riposo aver poss'io,
Se vaneggio a tutte l'ore,
Se diventa il viver mio
Un eterno dubitar?

(Mentre Radamisto è per partire, sente la voce di Zenobia, s'arresta e si rivolge)

Zenobia - Ma dove andiam? (di dentro)

Radamisto - Qual voce udii! La sposa
Giurerei che parlò. Vien quindi il suono:
Cerchisi. O sorte, alle mie brame arridi!

(Nell'entrar Radamisto per la parte donde ascoltò la voce, escono poco lontano, non veduti da lui, Zenobia e Zopiro)



SCENA III

Zenobia e Zopiro, poi Radamisto di nuovo.

Zenobia - E non posso saper dove mi guidi?

Zopiro - Sieguimi: non temer.

Zenobia - (arrestandosi sospettosa) (Qualche sventura
Il cor mi presagisce).

Radamisto - (Eccola. È seco
Zopiro: udiam s'egli è fedel). (resta in disparte)

Zopiro - Che fai?
Vieni: al tuo sposo io ti conduco.

Zenobia - E quando
Il troverem? Da noi
Poco lontan mel figurasti. Io teco
Già lung'ora m'aggiro
Per sì strani sentieri, e ancor nol miro.

Zopiro - Pur l'hai presente.

Zenobia - Io l'ho presente? Oh Dio!
Come? Dov'è?

Zopiro - Lo sposo tuo son io.

Zenobia - Numi! (sorpresa)

Radamisto - (Ah, mora il fellon!... (vuol snudar la spada e si pente) No; pria bisogna
Tutta scoprir la frode).

Zenobia - E tu di Radamisto alla consorte
Osi parlar così?

Zopiro - Di Radamisto
Alla vedova io parlo.

Zenobia - Aimè! non vive
Dunque il mio sposo?

Zopiro - Ad incontrar la morte
Già l'inviai.

Radamisto - (Fremo!)

Zenobia - Ah, spergiuro! Adempi
Così le tue promesse?

Zopiro - E in che mancai?

Zenobia - In che! Non mi dicesti
Che per legge sovrana o Radamisto
Perir doveva o Tiridate?

Zopiro - Il dissi.

Zenobia - Che un sol di loro a scelta mia potevi,
E m'offrivi salvar?

Zopiro - Sì.

Zenobia - Non ti chiesi
Del consorte la vita?

Zopiro - È vero; ed io
D'ubbidirti giurai,
E uno sposo in Zopiro a te serbai.

Radamisto - (Più non so trattenermi).

Zenobia - Oh sventurato!
Oh tradito mio sposo!

Zopiro - In van lo chiami;
Fra gli estinti ei dimora.

Radamisto - Menti! per tuo castigo ei vive ancora. (palesandosi)

Zopiro - Son tradito!

Zenobia - Ah, consorte!

Radamisto - Indegno! infido!
Così.. (snuda la spada, e vuole assalir Zopiro)

Zopiro - T'arresta, o che Zenobia uccido. (impugnando con la destra uno stile in atto di ferir Zenobia e tenendola afferrata con la sinistra.)

Radamisto - Che fai? (fermandosi)

Zenobia - Misera me!

Radamisto - Non so frenarmi:
Il furor mi trasporta.
Empio...!

Zopiro - Se muovi il piè, Zenobia è morta.

Radamisto - Che angustia!

Zenobia - Amato sposo,
Già che il Ciel mi ti rende,
Salva la gloria mia. Le sue minacce
Non ti faccian terror. Si versi il sangue,
Purché puro si versi,
Dal trafitto mio sen, sciolgasi l'alma
Dal carcere mortal purché si scioglia
Senza il rossor della macchiata spoglia.

Radamisto - O parte del mio core, o vivo esempio
D'onor, di fedeltà, dove, in qual rischio,
In qual man ti ritrovo! Oh Dio! Zopiro,
Pietà, se pur ti resta
Senso d'umanità, pietà di noi!
Rendimi la mia sposa. Io, tel prometto,
Vendicarmi non voglio: io ti perdono
Tutti gli eccessi tuoi.

Zopiro - No, non mi fido.
Parti.

Radamisto - Il giuro agli dèi...

Zopiro - Parti, o l'uccido.

Radamisto - Ah, fiera! ah, mostro! ah, delle Furie istesse
Furia peggior! Da quell'infame petto
Voglio svellerti... (avanzandosi)

Zopiro - Osserva. (in atto di ferir Zenobia)

Radamisto - (ritirandosi) Ah, no! Ma dove,
Dove son io? Chi mi consiglia? Ah, sposa!...
Ah, traditor!... Che affanno! A un tempo istesso
Freme l'alma e sospira.
Mi straccia il cor la tenerezza e l'ira.

Zopiro - Tu, Zenobia, vien meco; (a Zenobia)
(a Radamisto) E tu, se estinta
Rimirarla non vuoi,
Guardati di seguirci.

Radamisto - Al mio furore
Cede già la pietà.

Zopiro - Vieni. (a Zenobia)

Zenobia - E lo sposo
M'abbandona così?

Radamisto - No. Cadi ormai!... (volendo assalir Zopiro)

Zopiro - E tu mori!... (in atto di ferir Zenobia)

Radamisto - Odi, aspetta.



SCENA IV

Tiridate e detti.

Tiridate - (trattenendo Zopiro) Empio, che fai!

Zopiro - Oimè!

Tiridate - Cedimi il ferro. (procura levargli lo stile)

Zopiro - Ah, son perduto! (lascia lo stile, e fugge)

Radamisto - Perfido! in van mi fuggi.



SCENA V

Zenobia e Tiridate.

Zenobia - Ove t'affretti,
Signor? Fermati. (a Radamisto, seguendolo)

Tiridate - Ingrata!
Già t'involi da me?

Zenobia - Principe... Oh Dio!
Ti pregai d'evitarmi.

Tiridate - Ah! quale arcano
Mi si nasconde? Ubbidirò; ma dimmi
Perché mi fuggi almen.

Zenobia - Tutto saprai
Pria di quel che vorresti. Addio.

Tiridate - Perdona,
Deggio seguirti.

Zenobia - Ah! no.

Tiridate - Pur or ti vidi
In troppo gran periglio. Io non conosco
Chi t'assalì, chi ti difese, e sola
Lasciarti in rischio a gran rossor mi reco.

Zenobia - Il mio rischio più grande è l'esser teco. (partendo)

Tiridate - Ma ch'io non possa almen... (volendo seguirla)

Zenobia - Lasciami in pace;
Per pietà lo domando. È questa vita
Dono della tua man; grata ti sono:
Perché, signor, vuoi funestarmi il dono?

Pace una volta e calma
Lascia ch'io trovi almen;
Non risvegliarmi in sen
Guerra e tempesta:
Tempesta, in cui quest'alma
Potria smarrirsi ancor;
Guerra, che al mio candor
Saria funesta. (parte)



SCENA VI

Tiridate e poi Mitrane.

Tiridate - Non intendo Zenobia, e non intendo
Ormai quasi me stesso. Ella mi scaccia.
E perché non vuol dirmi. Offeso io sono,
E con lei non mi sdegno, e non ardisco
Di crederla infedel. Suona in que' labbri,
In quelle ciglia un non so che risplende,
Che rigetta ogni accusa e lei difende.

Mitrane - Signor, liete novelle: è Radamisto
Tuo prigionier.

Tiridate - Dove il giungesti?

Mitrane - Ei venne
Per se stesso a' tuoi lacci.

Tiridate - E come?

Mitrane - Appresso
A un guerrier fuggitivo entrò l'audace
Fin dentro alle tue tende. Incontro a mille
In vano opposte spade,
Dell'orrenda ira sua cercò l'oggetto:
Lo vide, il giunse e gli trafisse il petto.

Tiridate - Che ardir!

Mitrane - Tutto non dissi. Uscir dal vallo
Sperò di nuovo, e l'intraprese, e forse
Conseguito l'avria; ma rotto il ferro
L'abbandonò nel maggior uopo. E pure,
Benché d'armati e d'armi
Cresca contro di lui l'infesta piena,
Egli è solo ed inerme, e cede appena.

Tiridate - Un di que' due, che or ora
Qui rimirai, l'empio sarà.



SCENA VII

Egle, da prima non veduta, e detti.

Mitrane - La vita
Di Radamisto ecco in tua man. (a Tiridate)

Egle - (Che sento!)

Mitrane - Punisci il traditor.

Tiridate - Sì, andiam. (vuol partire)

Egle - T'arresta,
Prence: ove corri? incrudelir non déi
Contro quell'infelice.

Tiridate - E te chi muove
D'un perfido in difesa?

Egle - Io non lo credo,
Signor, sì reo.

Tiridate - Ma di Zenobia il padre
A tradimento oppresse.

Mitrane - E poi la figlia
Tentò svenar. Non m'ingannò chi vide
L'atto crudel.

Egle - Pensaci meglio. A tutto
Prestar fé non bisogna; e co' nemici
Più bella è la pietà.

Tiridate - Le proprie offese
Posso obliar; ma di Zenobia i torti
Perdonargli io non posso. A lei quel sangue
Si deve in sacrifizio.

Egle - Io t'assicuro
Ch'ella nol chiede.

Tiridate - E non richiesto appunto
Ha merito il servir. (vuol partire)

Egle - Fermati, oh dèi!
Credi: non parlo in van. Se ami Zenobia,
Radamisto rispetta: il troppo zelo
T'espone a un grande errore;
Tu vuoi servirla, e le trafiggi il core.

Tiridate - Ma perché? L'ama forse?

Egle - Ella?... Se brami...
Io dovrei... (Troppo dico).

Tiridate - Ah! ti confondi.
Mitrane, io son di gel. Fu Radamisto
Già mio rival; sta in queste selve ascoso,
Dov'è Zenobia ancora; ei la difende;
Ella il volea seguir; me più non cura;
Egle m'avverte... Ah! per pietà palesa,
Pastorella gentil, ciò che ne sai.

Egle - Altro dir non poss'io: già dissi assai.

Tiridate - Aimè! Qual fredda mano
Mi si aggrava sul cor! che tormentoso
Dubbio è mai questo! Io non ho più riposo.

Si soffre una tiranna,
Lo so per prova anch'io;
Ma un'infedele, oh Dio!
No, non si può soffrir.
Ah! se il mio ben m'inganna,
Se già cambiò pensiero,
Pria ch'io ne sappia il vero
Fatemi, o dèi, morir. (parte)



SCENA VIII

Egle e Mitrane.

Egle - Povero prence! Oh quanta
Pietà sento di lui! qual pena io provo
Nel vederlo penar! Quel dolce aspetto,
Quel girar di pupille,
Quel soave parlar, del suo tormento
Chiama a parte ogni cor. Sì degno amante
Merita miglior sorte. Oh, s'io potessi
Renderlo più felice!

Mitrane - Assai pietosa,
Egle, mi sembri. Ei di pietade è degno;
Ma la pietà, che mostri, eccede il segno.

Pastorella, io giurerei
O che avvampi, o manca poco:
Hai negli occhi un certo foco,
Che non spira crudeltà.
Forse amante ancor non sei,
Ma d'amor non sei nemica:
Ché d'amor, benché pudica,
Messaggiera è la pietà. (parte)



SCENA IX

Egle sola.

Egle - È ver, quella ch'io sento
Parmi più che pietà. Ma che pretendi,
Egle infelice? A troppo eccelso oggetto
Sollevi i tuoi pensieri: alle capanne
Il Ciel ti destinò. La fiamma estingui.
Di sì splendide faci;
E, se a tanto non giungi, ardi, ma taci.

Fra tutte le pene
V'è pena maggiore?
Son presso al mio bene,
Sospiro d'amore,
E dirgli non oso:
‘Sospiro per te.'
Mi manca il valore
Per tanto soffrire;
Mi manca l'ardire
Per chieder mercé. (parte)



SCENA X

Deliziosa dei re d'Armenia, abitata da Tiridate.

Tiridate e Mitrane.

Mitrane - Pur troppo è ver; pur troppo
D'Egle i detti intendesti: è Radamisto
Di Zenobia l'amor. Quando l'intese
Tuo prigioniero, impallidì, sen corse
Frettolosa alle tende, a lui l'ingresso
Ardì cercar; ma non le fu permesso.

Tiridate - E pur, Mitrane, e pure
Non so crederlo ancora.

Mitrane - A lei fra poco
Lo crederai: del prigionier la vita
A dimandarti ella verrà.

Tiridate - Che ardisca
D'insultarmi a tal segno?

Mitrane - A te dinanzi
Giunta di già saria; ma due guerrieri,
Che dal campo romano
A lei recano un foglio, a gran fatica
La ritengon per via.

Tiridate - No, no, l'ingrata
Non mi venga su gli occhi: io non potrei
Più soffrirne l'aspetto.

Mitrane - Eccola.

Tiridate - Oh dèi!



SCENA XI

Zenobia e detti.

Zenobia - Principe...

Tiridate - Il grande arcano,
Lode al Ciel, si scoperse. Al fin palese
È pur de' torti miei
La sublime cagion. Parla: che vuoi?
Non t'arrossir: di Radamisto il merto
Scusa l'infedeltà. Libero il chiedi?
Lo brami sposo? ho da apprestar le tede
Al felice imeneo?

Zenobia - Signor...

Tiridate - Tiranna!
Barbara! menzognera! il premio è questo
Del tenero amor mio? Così tradirmi?
E per chi, giusti dèi! per chi d'un padre
Ti privò fraudolento, e poi...

Zenobia - T'inganni;
Mentì la fama.

Mitrane - (a Tiridate)È ver: da Farasmane
Il colpo venne. Il perfido Zopiro
Lo palesò morendo.

Tiridate - E tu dài fede
A un traditor?

Mitrane - Sì: lo conferma un foglio
Ch'ei seco avea. Del tradimento in esso
Son gli ordini prescritti, e Farasmane
Di sua mano il vergò.

Zenobia - Vedi se a torto...

Tiridate - Taci: il tuo amor per Radamisto accusi,
Mentre tanto il difendi.

Zenobia - È vero, io l'amo,
Non pretendo celarlo. Il suo periglio
Qui mi conduce. A liberarlo io vengo,
Vengo a chiederlo a te; ma reco il prezzo
Della sua libertà. D'Armenia il soglio
M'offre Roma di nuovo: in mio soccorso
Già le schiere latine
Mossero dalla Siria; al soglio istesso
Te pur chiaman gli Armeni: io, se tu vuoi,
Secondo il lor disegno:
Rendimi Radamisto; abbiti il regno.

Tiridate - Per un novello amante
In vero il sacrifizio è generoso.

Zenobia - Ma eccessivo non è per uno sposo.

Tiridate - Sposo!

Zenobia - Appunto.

Tiridate - Ed è vero? e un tal segreto
Mi si cela fin or?

Zenobia - Contro il consorte
Dubitai d'irritarti, il tuo temei
Giusto dolor; non mi sentia capace
D'esserne spettatrice; e almen da lungi...

Tiridate - Oh instabile! oh crudele!
Oh ingratissima donna! A chi fidarsi,
A chi creder, Mitrane? È tutto inganno
Quanto s'ascolta e vede:
Zenobia mi tradì; non v'è più fede.

Zenobia - Non son io, Tiridate,
Quella che ti tradì; fu il Ciel nemico,
Fu il comando d'un padre. Io non so dirti
Se timore o speranza
Cambiar lo fe': so che partisti, e ad altro
Sposo mi destinò.

Tiridate - Né tu potevi...

Zenobia - Che potevo? infelice! ‘E regno e vita
E onor' mi disse ‘a conservarmi, o figlia,
Ecco l'unica strada.' Or di': che avresti
Saputo far tu nel mio caso?

Tiridate - Avrei
Saputo rimaner di vita privo.

Zenobia - Io feci più: t'ho abbandonato, e vivo.
Non giovava la morte
Che a far breve il mio duol: te ucciso avrei,
Disubbidito il padre.

Tiridate - I nuovi lacci
Però non ti son gravi: assai t'affanni
Per salvar Radamisto. Egli ha saputo
Lusingare il tuo cor. Fu falso, il vedo,
Che svenarti ei tentò.

Zenobia - Fu ver; ma questo
Non basta a render gravi i miei legami.

Tiridate - Non basta?

Zenobia - No.

Tiridate - Tentò svenarti, e l'ami?
E l'ami a questo segno,
Che m'offri per salvarlo in prezzo un regno?

Zenobia - Sì, Tiridate; e, s'io facessi meno,
Tradirei la mia gloria,
L'onor degli avi miei,
L'obbligo di consorte, i santi numi
Che fur presenti all'imeneo, te stesso,
Te, prence, io tradirei. Dove sarebbe
Quell'anima innocente,
Quel puro cor che in me ti piacque? Indegna,
Dimmi, allor non sarei d'averti amato?

Tiridate - Quanta, ahi quanta virtù m'invola il fato!

Zenobia - Deh! s'è pur ver che nasca
Da somiglianza amor, perché combatti
Col tuo dolor questa virtù? L'imìta,
La supera, signor: tu il puoi; conosco
Dell'alma tua tutto il valor. Lasciamo
Le vie de' vili amanti. Emula accenda
Fiamma di gloria i nostri petti. Un vero
Contento avrem nel rammentar di quanto
Fummo capaci. Apprenderà la terra
Che, nato in nobil core,
Frutti sol di virtù produce amore.

Tiridate - Corri, vola, Mitrane: a noi conduci
Libero Radamisto. (Mitrane parte) Oh, come volgi,
Gran donna, a tuo piacer gli altrui desiri!
Un'altra ecco m'inspiri
Spezie d'ardor, che il primo estingue. Invidio
Già il tuo gran cor; bramo emularlo; ho sdegno
Di seguirti sì tardo: altro mi trovo
Da quel che fui. Non t'amo più: t'ammiro,
Ti rispetto, t'adoro; e, se pur t'amo,
Della tua gloria amante,
Dell'onor tuo geloso,
Imitator de' puri tuoi costumi,
T'amo come i mortali amano i numi.

Zenobia - Grazie, o dèi protettori! Or più nemici
Non ha la mia virtù: vinsi il più forte,
Ch'era il pensier del tuo dolor. Va, regna,
Prence, per me; ne sei ben degno.

Tiridate - Ah! taci:
Non m'offender così. Prezzo io non chiedo,
Cedendo la cagion del mio bel foco;
E, se prezzo chiedessi, un regno è poco.



SCENA ULTIMA

Egle, poi Radamisto con Mitrane, e detti.

Egle - Lascia, amata germana,
Lascia che a questo seno...

Zenobia - Egle, che dici?
Quai sogni?

Egle - Egle non più: la tua perduta
Arsinoe io son. Questa vermiglia osserva
Nota, che porta al manco braccio impressa
Ciascun di nostra stirpe.

Zenobia - È vero!

Tiridate - Oh stelle!

Zenobia - Quante gioie in un punto! E donde il sai?

Egle - Da quel pastor, che padre
Credei fin ora. Ei da' ribelli Armeni,
Già corre il quarto lustro,
M'ebbe bambina, e per soverchio amore
Più non mi rese. Or di Zenobia i casi
Sente narrar: sa che tu sei; né il seppe
Da me; ti serbai fede. O l'abbian mosso
Le tue sventure, o che, al suo fin vicino
Voglia rendermi il tolto
Onor de' miei natali, a sé mi chiama,
Tutta la sorte mia
Lagrimando mi svela, e a te m'invia.

Zenobia - Ben ti conobbi in volto
L'alma real.

Radamisto - Deh! Tiridate...

Tiridate - Ah! vieni,
Vieni, o signore. Ecco, Zenobia, il tanto
Tuo cercato consorte: io te lo rendo.

Radamisto - Perdono, o sposa.

Zenobia - E di qual fallo?

Radamisto - Oh Dio!
Il mio furor geloso...

Zenobia - Il tuo furore
Per eccesso d'amor ti nacque in petto:
La cagion mi ricordo e non l'effetto.

Tiridate - Oh virtù sovrumana!

Zenobia - Principe, una germana il Ciel mi rende, (a Tiridate)
A cui deggio la vita: esserle grata
Vorrei. So che t'adora: ah! quella mano,
Che doveva esser mia,
Diasi a mia voglia almen; d'Arsinoe or sia.

Tiridate - Prendila, principessa. Ogni tuo cenno,
Zenobia, adoro.

Egle - Oh fortunato istante!

Radamisto - Oh fida sposa!

Zenobia - Oh generoso amante!


CORO
È menzogna il dir che Amore
Tutto vinca, e sia tiranno
Della nostra libertà.
Degli amanti è folle inganno,
Che, scusando il proprio errore
Lo chiamar necessità.


LICENZA

Se del maggior pianeta
L'aspetto luminoso
Altri mirar desia, lo sguardo audace
Non fissa in lui, ma la riflessa immago
Ne cerca in fonte o in lago, ove per l'onda,
Che i rai mal fida rende,
O in sé parte di lor solo introduce,
Scema il vigor della soverchia luce.
Giovi l'arte anche a noi. Giacché non osa
Mirarti, eccelsa Elisa,
Rispettoso il pensier, le tue sembianze
Va cercando in Zenobia; e, se non giunge
A vederti qual sei,
Parte almen di tua luce ammira in lei.

Qual de' tuoi pregi, Elisa,
Saria la luce intera,
Se giunge ancor divisa
Ad abbagliar così!
Se que' sublimi vanti,
Che sparse avaro in tanti,
In te, felice Augusta,
Prodigo il Cielo unì!






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