Pietro Metastasio - Opera Omnia >>  L'eroe cinese




 

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Dramma scritto dall'autore in Vienna d'ordine della maestà dell'imperatrice-regina e rappresentato la prima volta con musica del Bonno da giovani distinte dame e cavalieri nel teatro dell'imperial giardino di Schönbrunn, alla presenza degli augustissimi regnanti, nella primavera dell'anno 1752.


ARGOMENTO

In tutto il vastissimo impero cinese è celebre anche a' dì nostri dopo tanti e tanti secoli l'eroica fedeltà dell'antico Leango (nella Storia Tchao-kong).
In una sollevazione popolare, da cui fu costretto a salvarsi con l'esilio l'imperadore Livanio suo signore, per conservare in vita il piccolo Svenvango, unico resto della trucidata famiglia imperiale, offerse Leango con lodevole inganno alle inumane ricerche de' sollevati, in vece del reale infante, il proprio figliuolo ancor bambino, da lui nelle regie fasce artifiziosamente ravvolto; e sostenne a dispetto delle violenti tenerezze paterne di vederselo trafigger su gli occhi, senza tradire il segreto.

(Il padre Du Halde ne' Fasti della monarchia cinese, ed altri).



INTERLOCUTORI

Leango reggente dell'impero cinese.
Siveno creduto figliuolo di Leango, amante di Lisinga.
Lisinga principessa tartara, prigioniera de' Cinesi, amante di Siveno.
Ulania sorella della medesima, amante di Mintéo.
Mintéo Manderino d'armi, amante di Ulania, amico di Siveno.


L'azione si rappresenta nel recinto della residenza imperiale, situata a quei tempi alle sponde del fiume Veio nella città di Singana, capitale della provincia di Chensì.


ATTO PRIMO

SCENA I

Appartamenti nel palazzo imperiale destinati alle tartare prigioniere, distinti di strane pitture, di vasi trasparenti, di ricchi panni, di vivaci tappeti e di tutto ciò che serve al lusso ed alla delizia cinese.
Tavolino e sedia da un lato.

Lisinga ed Ulania; nobili tartari, de' quali uno inginocchiato innanzi a Lisinga in atto di presentarle una lettera.

Lisinga - Del real genitore (prende la lettera)
I caratteri adoro:
I cenni eseguirò. Quando dobbiate
A lui tornar, farò sapervi. Andate.
(partono i Tartari dopo gli atti di rispetto di lor nazione. Lisinga depone la lettera sul tavolino)
Oh Dio!

Ulania - Leggi, o germana,
Del padre i sensi.

Lisinga - Ah, cara Ulania, ah, troppo
Senza legger gl'intendo! Ecco l'istante
Che ognor temei. Partir dovrem: quel foglio
Senza dubbio ne reca
Il comando crudele. Or di', se a torto
Le novelle di pace
Mi facevan tremar.

Ulania - Termina al fine
La nostra schiavitù; la patria, il padre
Al fin si rivedranno. Amata erede
Tu del tartaro soglio, alle speranze
Di tanti regni al fin ti rendi: al fine
Torni agli onori, alle grandezze in seno.

Lisinga - Sì, tutto è ver; ma lascerò Siveno.

Ulania - Ma la real tua mano
Sai che non è per lui, sai che nemico,
Sai che suddito ei nacque.

Lisinga - Io so che l'amo;
So che n'è degno assai; che il primo è stato,
Ch'è l'unico amor mio,
Che l'ultimo sarà; che, se da lui
Barbaro mi divide,
Senza saperlo il genitor m'uccide. (siede)

Ulania - Odi, o Lisinga, e impara
Da me fortezza. Io per Mintéo sospiro,
E Mintéo non lo sa: forse per sempre
Or da lui mi scompagno;
Me ne sento morir, ma non mi lagno.

Lisinga - Felice te, che puoi
Amar così. Del mio Siveno anch'io
Se potessi scordarmi... Ah, non sia vero!
Da sì misero stato
Mi preservin gli dèi. Mi fa più orrore
Il viver senza amarlo
Che l'amarlo e morir.

Ulania - Pria d'affannarti
Leggi quel foglio almen. Chi sa!

Lisinga - Tu vuoi
Ch'io perda anche il conforto
Di poter dubitare. (prende la lettera, e vuole aprirla)



SCENA II

Siveno e dette.

Siveno - Ah, dimmi, è vero
Ch'io ti perdo, o mia vita?

Lisinga - Ha questo foglio
Del padre i cenni. Assicurarmi ancora
Io non osai della sventura mia.
Leggi: qualunque sia,
Mi sembrerà men dura
Sempre fra' labbri tuoi la mia sventura.

Siveno - (legge) “Figlia, è già tutto in pace;
Non abbiam più nemici. Alla tua mano
Io l'onor destinai d'essere il pegno
Del pubblico riposo. A te l'erede
Del cinese diadema
Sarà consorte; e regnerai sovrana
Dove sei prigioniera. È il gran mistero
Noto a Leango; ei scopriratti il vero.
Zeilan.” Giusto Ciel!

Ulania - Che fia?

Lisinga - (si leva) Quel foglio
Forse mal comprendesti.

Siveno - Ah, no! Tu stessa
Leggilo, o principessa. (le porge il foglio)

Lisinga - (legge)“

A te l'erede
Del cinese diadema
Sarà consorte.” Ov'è costui? Menzogna
Dunque, o Siveno, è la tragedia antica?
Ah, parla, ah, di'.

Siveno - Che vuoi, mio ben, ch'io dica?
Mancava a' miei timori
Un ignoto rival!

Ulania - Fu pur dal soglio
Da' popoli ribelli
Discacciato Livanio.

Siveno - E il quarto lustro
Siam vicini a compir.

Lisinga - Pur nell'esiglio
I suoi dì terminò.

Siveno - Sin da quel giorno
Che tu dell'armi nostre, io prigioniero
Restai di tua beltà.

Ulania - Del regio sangue...

Siveno - Nessun restò. Fu tra le fasce ucciso
Fin l'ultimo rampollo
Della stirpe real.

Lisinga - Ma questo erede
Chi mai sarà?

Ulania - Qualche impostor.

Lisinga - Leango,
Il padre di Siveno,
Complice d'un inganno! Ah, no. Deh! corri
Vola al tuo genitor; chiedi, rischiara
I miei dubbi, o Siveno, i dubbi tuoi.

Siveno - Ah principessa, ah che sarà di noi!

Ah se in ciel, benigne stelle,
La pietà non è smarrita,
O toglietemi la vita,
O lasciatemi il mio ben!
Voi, che ardete ognor sì belle
Del mio ben nel dolce aspetto,
Proteggete il puro affetto
Che inspirate a questo sen. (parte)



SCENA III

Lisinga ed Ulania.

Lisinga - Tutti dunque i miei dì saran, germana
Neri così?

Ulania - Non li sperar sereni.

Lisinga - Perché?

Ulania - Perché avveleni
Sempre col mal che temi, il ben che godi?

Lisinga - Or qual ombra ho di ben?

Ulania - Qual? Tu non parti;
Siveno è qui; questo temuto erede
Non comparisce ancor. Sempre disastri
Perché temer? Figurati una volta
Qualche felicità; spera in Siveno
Cotesto erede.

Lisinga - Ah sarei folle!

Ulania - È vuoto
Pur questo soglio; estinta
È la stirpe real; del gran Leango
Siveno è figlio: e del cinese impero
È Leango il sostegno,
Il decoro e l'amore. Ei, che fu il padre
Fin or di questi regni, oggi il monarca
Farsene ben potria.

Lisinga - Perché nol fece
Dunque fin or? Sempre ha potuto.

Ulania - Il trono
Vuoto serbò come dovea, Leango
All'esule suo re; ma, quello estinto,
A chi più dee serbarlo?

Lisinga - Ah che pur troppo
Quest'incognito erede,
Pur troppo vi sarà!

Ulania - Dunque ad amarlo
L'alma disponi.

Lisinga - Io?

Ulania - Sì. Fingi che sia
Amabile, gentil...

Lisinga - Taci.

Ulania - Cancelli
L'idea d'un nuovo amore...

Lisinga - Taci, crudel; tu mi trafiggi il core.

Da quel sembiante appresi
A sospirare amante;
Sempre per quel sembiante
Sospirerò d'amor.
La face, a cui m'accesi,
Sola m'alletta e piace;
È fredda ogni altra face
Per riscaldarmi il cor. (parte)



SCENA IV

Ulania, poi Mintéo.

Ulania - Ecco Mintéo; si evìti. Ah, s'ei sapesse
Quanto mi costa il mio rigor!... (in atto d'incamminarsi)

Mintéo - Tu fuggi,
Bella Ulania, da me? Ferma; se il volto
Del povero Mintéo tanto ti spiace,
Tocca a lui di partir; rimanti in pace. (in atto di partire)

Ulania - Senti. (Mintéo si rivolge e resta lontano) (Che dolce aspetto,
Che modesto parlar!) T'appressa. (Mintéo s'avvicina rispettosamente) Imposi
Pure a te d'evitarmi? (con serietà)

Mintéo - (con rispetto)È ver

Ulania - Ma dunque
A che vieni?

Mintéo - Perdona: io vengo in traccia
Del mio caro Siveno. Un folto stuolo
Di Manderini impaziente il chiede.

Ulania - Me non cercasti?

Mintéo - No.

Ulania - Di non amarmi
La legge ti sovvien?

Mintéo - Sì.

Ulania - (con risentimento) Di Siveno
Siegui dunque l'inchiesta.

Mintéo - Oh Dio! sì presto
Non scacciarmi, crudel.

Ulania - Se più non m'ami,
Di che lagnar ti puoi?

Mintéo - Se più non t'amo,
T'adoro e non t'offendo. In cielo ancora
V'è un nume, non si sdegna, e ognun l'adora.

Ulania - (Che fido cor!) (con tenerezza)

Mintéo - (con risentimento) Ma se gli omaggi miei
T'offendono così, l'ultima volta
Questa sarà che tu mi vedi. (in atto di partire)

Ulania - (Oh Dio!)

Mintéo - Da te lungi, idol mio,
Disperato vivrò; ma il bel sereno
Non turberò di quei vezzosi rai.
Forse io morrò d'amor, tu nol saprai. (in atto di partire)

Ulania - Mintéo, m'ascolta. Io non son tanto ingiusta
Quanto mi credi. Io te non odio: ammiro
Il tuo valor, la tua virtù; mi piace
Quel modesto contegno,
Quell'aspetto gentil: ma...

Mintéo - Che?

Ulania - (con dolcezza) Ma il fato
Troppo il tuo dal mio stato
Allontanò. Tanta distanza...

Mintéo - (con allegrezza) Ah! dunque
In Mintéo non ti spiace...

Ulania - Che gli oscuri natali. (con tenerezza)

Mintéo - E se foss'io
Di te più degno...

Ulania - Ah! se tu fossi... Addio. (con serietà)

Io del tuo cor non voglio
Gli arcani penetrar;
Gli arcani non cercar
Tu del cor mio.
È in me dover l'orgoglio;
Né lice a te saper
Quanto del mio dover
Lieta son io. (parte)



SCENA V

Mintéo, poi Leango.

Mintéo - Non mi lusingo in vano;
Il cor d'Ulania è mio: ne intendo i moti
Che asconde il labbro, e che palesa il ciglio.

Leango - Mintéo, dov'è il mio figlio?
Come tu qui senza di lui?

Mintéo - Ne vado,
Signore, in traccia.

Leango - Ascoltami, rispondi,
E parlami sincero. Ami Siveno? (con gravità)

Mintéo - Ami Siveno! Ah, qual richiesta! (con istupore) Io l'amo
Eroe, compagno, amico;
Protettor nella reggia,
Difensor fra le schiere,
Per genio, per costume e per dovere.

Leango - Ti rammenti chi fosti? (con gravità)

Mintéo - Un mendico fanciullo, in man straniera,
De' suoi natali ignaro.

Leango - Ed or chi sei?

Mintéo - (turbato) Ed or, mercé l'amica
Tua benefica man, fra' sommi duci
Colmo d'onori e di ricchezze, io veggo
Delle forze cinesi una gran parte
Pender dal cenno mio.

Leango - (grave e serio) Sai qual tu debba
Gratitudine e fé...

Mintéo - (con trasporto di passione) Perché, signore,
Mi trafiggi così? Qual mio delitto
Meritò questo esame? Infido, ingrato
Dunque mi temi? Ah! tutti i doni tuoi
Ritoglimi, se vuoi; prendi il mio sangue;
Non parlerò; ma questo dubbio, oh Dio!
Non posso tollerar.

Leango - (sereno) Vieni al mio seno,
Caro Mintéo. La tua virtù conosco,
La sprono e non l'accuso. Avrò bisogno
Oggi forse di te.

Mintéo - Spiegati, imponi.

Leango - Va; non è tempo ancor.

Mintéo - Fin ch'io non possa
Darti un'illustre prova
Della mia fé, non avrò pace mai.

Leango - Va: Mintéo, ti consola, oggi il potrai.

Mintéo - Il padre mio tu sei,
Tutto son io tuo dono;
Se a te fedel non sono,
A chi sarò fedel?
D'affetti così rei
Se avessi il cor fecondo,
M'involerei dal mondo,
M'asconderei dal Ciel. (parte)



SCENA VI

Leango solo.

Leango - Ecco il dì che fin ora
Tanto sudor, tanti sospiri e tante
Cure mi costa. Il conservato erede.
Dell'impero cinese
Oggi farò palese; oggi al paterno
Vedovo trono il renderò. Mi veggo
Al fin vicino al porto, e non mi resta
Scoglio più da temer. Gli autori indegni
Del ribelle attentato il tempo estinse,
Dissipò la mia cura: a me fedeli
Sono i duci dell'armi; avrò d'elette
Tartare schiere al cenno mio fra poco
Lo straniero soccorso; è tempo, è tempo
Di compir la bell'opra. Ah voi, supreme
Menti regolatrici
Delle vicende umane,
Secondate il mio zel! Mi costa un figlio,
Voi lo sapete. Ah! questa sola imploro
Sospirata mercé di mia costanza:
Poi troncate i miei dì; vissi abbastanza.
Ma... qual tumulto...



SCENA VII

Leando, e Siveno con Manderini.

Leango - Onde sì lieto? e dove
T'affretti, o figlio?

Siveno - A' piedi tuoi. (s'inginocchia, e seco alcuni de' suoi seguaci)

Leango - Che fai?
Sorgi. E voi, che chiedete? (agli altri)

Siveno - Il nostro, o padre,
Monarca in te.

Leango - Figlio, ah che dici!

Siveno - Al fine...

Leango - Sorgete, o non v'ascolto. (si levano)

Siveno - Al fin corona
I tuoi meriti il Ciel. Di tanti regni,
Conservati da te, per te felici,
Pieni de' tuoi trofei,
Se fosti padre, imperadore or sei.

Leango - Come!

Siveno - I duci, il Senato,
I ministri del Ciel, gli Ordini tutti
Chiedon, signor, l'assenso tuo; l'esige
Il pubblico desio; del vuoto soglio
Lo dimanda il periglio;
Ed a nome d'ognun l'implora un figlio.

Leango - (Tu vorresti, o fortuna,
Di mia fé trionfar: no, la mia fede
Al tuo non cede insidioso dono,
E a farla vacillar non basta un trono).

Siveno - Tu pensi, o padre!

Leango - E ne stupisci? Ah! sai
Di che peso è un diadema, e quanto sia
Difficile dover dare a' soggetti
Leggi ed esempi? inspirar loro insieme
E rispetto ed amore? a un tempo istesso
Esser giudice e padre,
Cittadino e guerrier? Sai d'un regnante
Quanti nemici ha la virtù? Sai come
All'ozio, agli agi, alla ferocia alletta
La somma podestà? come seduce
La lusinga e la frode,
Che ogni fallo d'un re trasforma in lode?

Siveno - Il so. Tu mi spiegasti
Di questo mare immenso
Tutti i perigli.

Leango - Ed hai stupor s'io penso?

Siveno - Quando esperto è il nocchiero...

Leango - Andate, amici.
(a' Manderini che, ricevuto l'ordine, partono)
Si raccolga il Senato: ivi i miei grati
Sensi udirete. E tu frattanto al tempio
Sieguimi, o figlio. Ivi il gran nume adora,
E fausto il Cielo a' miei disegni implora. (misterioso)

Nel cammin di nostra vita,
Senza i rai del Ciel cortese
Si smarrisce ogni alma ardita,
Trema il cor, vacilla il piè.
A compir le belle imprese
L'arte giova, il senno ha parte;
Ma vaneggia il senno e l'arte
Quando amico il Ciel non è. (parte)



SCENA VIII

Siveno e Lisinga.

Lisinga - Siveno, ascolta. (allegri sommamente)

Siveno - Ah, mia speranza!

Lisinga - È vero
Che il padre tuo...

Siveno - Sì, tutto è ver.

Lisinga - L'erede
Dunque or tu sei di questo trono?

Siveno - Addio.
Di te degno a momenti,
Cara, ritornerò.

Lisinga - Senti. Ma donde
Così strane vicende...

Siveno - Sappi... Ah non posso: il genitor m'attende. (parte)



SCENA IX

Lisinga sola.

Lisinga - E non sogno? ed è vero?
Sì, del cinese impero
Ecco il mio ben diventa erede. È chiaro
L'arcano ch'io temea. Sponde felici, (trasportata)
Dove appresi ad amar, dunque io non deggio
Abbandonarvi più? Dunque, o Siveno,
Sempre teco vivrò? Dunque... Ah! con tanto
Impeto... affetti miei...
Al cor non vi affollate: io... ne morrei.

Agitata per troppo contento
Gelo, avvampo, confonder mi sento
Fra i deliri d'un dolce pensier.
Ah! qual sorte di nuovo tormento
È l'assalto di tanto piacer! (parte)



ATTO SECONDO

SCENA I

Logge terrene, dalle quali si scopre gran parte della real città di Singana e del fiume che la bagna. Le torri, i tetti, le pagode, le navi, gli alberi stessi e tutto ciò che si vede, ostenta la diversità con la quale producono in clima così diverso non men la natura che l'arte.

Siveno e Mintéo.

Siveno - Lasciami, caro amico; (disperato)
Lasciami in pace; il mio dolor non soffre
Compagnia, né consigli.

Mintéo - Ah no, sì presto
Non disperar.

Siveno - Tu mi trafiggi. Il padre
Non ricusò l'impero? Il vero erede
Oggi a scoprir non si obbligò? Che vuoi
Dunque ch'io speri più? Qual più m'avanza
Conforto a' mali miei?

Mintéo - La tua costanza.
Mostrati, allor che il perdi,
Ch'eri degno del trono.

Siveno - E creder puoi
Che il trono io pianga? Il meritarlo è stato,
Non l'ottenerlo, il voto mio. Si perda:
Poca virtù bisogna
Tal perdita a soffrir. Ma tu, che a parte
Sei d'ogni mio pensier, tu, che col trono
Vedi involarmi, oh Dio!
Il bell'idolo mio, la mia speranza,
Tu, come hai cor di consigliar costanza?

Mintéo - Sei degno, lo confesso,
Sei degno di pietà; ma pure...

Siveno - Addio.

Mintéo - Dove?

Siveno - Quindi lontan. No, non potrei
Pace qui più sperar. Di mie passate
Felicità ritroverei per tutto
Qualche traccia crudel. Mi sovverrebbe
Là, quando pria mi piacque;
Qua, come accolse i voti miei; le dolci
Querele in questa parte; in quella i cari
Nuovi pegni d'amore; ogni momento
Penserei quante volte e in quante guise
Di morir mi promise
Prima d'abbandonarmi; e intanto in braccio
D'un felice rival su gli occhi miei...
Ah! lasciami...

Mintéo - Ove vai? (trattenendolo)



SCENA II

Ulania e detti.

Siveno - Da queste sponde
Ah! lasciami fuggir. M'eran sì care; (vuol fuggir di mano a Mintéo)
Orribili or mi sono. Ah! principessa, (s'incontra in Ulania)
Conosci fra' mortali
Uno al par di Siveno
Sfortunato mortal? Dov'è Lisinga?
Seppe il caso infelice?
Come sta? Che ne dice?

Ulania - Al colpo acerbo
Istupidì.

Siveno - Tutto è finito. Un sogno
Fur le speranze mie. Quel cor, quel volto,
Quella man che mi diede,
Oh Dio! d'altri sarà.

Ulania - Nol credo.

Siveno - E come?

Ulania - A costo d'un impero ella è capace
D'esser fedel. So come t'ama; ed io
Ben conosco il suo cor.

Siveno - Ma ignori il mio.
Soffrir che, nata al soglio, ella discenda
Fra i sudditi per me! D'un ben sì grande
Fraudar la patria mia! Torre all'impero
Chi può farlo felice! Ah, non sia vero!
Io non sono a tal segno
E vile amante e cittadino indegno.

Ulania - E qual altro riparo?

Siveno - Fuggir.

Mintéo - Ma dove?

Ulania - E a che?

Siveno - Dove non abbia
Ritegni il mio martìre;
A lagnarmi, a languire,
A piangere, a morir.

Mintéo - Senti. E Lisinga
Lasci così?

Ulania - Pria di partir l'ascolta.

Mintéo - Vedila almeno.

Siveno - Ah, che mi dite! Ah, troppo,
Troppo il suo affanno accrescerebbe il mio!
Su gli occhi io le morrei nel dirle addio.

Il mio dolor vedete;
Ditele il mio dolore.
Ditele... Ah! no, tacete,
Non lo potrà soffrir.
Del tenero suo core
Deh! rispettate il duolo,
Voglio morir, ma solo
Lasciatemi morir. (parte)



SCENA III

Ulania e Mintéo.

Mintéo - Ulania, ah! tu del volto
So che non hai men bello il cor; t'incresca
Del povero Siveno. Ah! del suo stato
Lisinga informa e il genitor. Prendete
Tutti cura di lui. Chi sa fin dove
Trasportar lo potrebbe
L'eccessivo dolore.

Ulania - E tu frattanto
Perché nol siegui?

Mintéo - Oh Dio! non posso. Io volo
Fuor della reggia: un popolar tumulto
Colà mi chiama.

Ulania - E chi lo desta?

Mintéo - Ignoro
La cagione e l'autor.

Ulania - Dunque ad esporti
Perché corri così?

Mintéo - M'obbliga un cenno
Del vecchio Alsingo.

Ulania - E chi è costui?

Mintéo - L'istesso
Che infante abbandonato
Mi trovò, mi raccolse,
M'educò, mi nutrì. Non diemmi, è vero,
Ma serbommi la vita. Un'opra io sono
Di sua pietà, se non son io suo figlio:
È dovuto il mio sangue al suo periglio.

Ulania - (Che grato, che sincero,
Che nobil cor!)

Mintéo - Rimanti in pace.

Ulania - Ascolta.

Mintéo - Che imponi?

Ulania - È ver ch'io posso
Dispor di te?

Mintéo - Pommi al cimento.

Ulania - (con tenerezza) Io fido
Te stesso a te. Ricordati che déi
Renderne a me ragion. Con troppo ardire
Non arrischiarti: una sì bella vita
Merta che si risparmi.

Mintéo - Ah mio tesoro!
Ah bell'idolo mio! tu m'ami.

Ulania - Io! Quando
Dissi d'amarti?

Mintéo - Il tuo timor, le care
Premure tue, quel rimirar pietoso,
Quel modesto arrossir mel dice assai.

Ulania - Ah, Mintéo, che ti giova or che lo sai?

Mintéo - Oh quanto mai son belle
Le prime in due pupille
Amabili scintille
D'amore e di pietà!
Tutta s'appaga in quelle
Un'innocente brama;
Non v'è per chi ben ama
Maggior felicità. (parte)



SCENA IV

Ulania, poi Lisinga.

Ulania - Debole Ulania! i tuoi ritegni ha vinto
Al fine amor. Ma sì gran colpa è dunque
Render giustizia alla virtù? Celarmi
Doveva almeno. E di celar l'amore
L'arte dov'è? Fra i più felici ingegni,
Se alcun l'ha ritrovata, ah, me l'insegni!

Lisinga - Ulania, e in questo stato (affannata)
La germana abbandoni? Io mai non ebbi
D'aiuto e di consiglio
Maggior bisogno. Ah tu non ami! Avresti
Maggior pietà quando languir mi vedi.

Ulania - Mi fai torto; ho pietà più che non credi.

Lisinga - Dunque m'assisti: io non son più capace
Di consigliar me stessa. In un istante
Bramo, ardisco, pavento,
Penso, scelgo, mi pento; e, mentre in mille
Dubbi così m'involvo,
Mi confondo, mi stanco e non risolvo.

Ulania - Odimi. Io nel tuo caso
Tutto in un foglio al padre
Il mio cor scoprirei.
Ei t'ama, e tu non déi
Temer che de' tuoi giorni il corso intiero
Voglia render funesto.

Lisinga - È vero, è vero. (pensa e poi risoluta)
Sì, tu fa che a me venga
Il tartaro messaggio; ed io frattanto
Volo il foglio a vergar. (s'incammina)

Ulania - (fa lo stesso) Vado.

Lisinga - (si ferma irresoluta) Ah t'arresta!
Pria che torni il messaggio
Chi mi difenderà? Vorrà Leango
Obbligarmi a compir...

Ulania - Va dunque a lui;
Parlagli: a tua richiesta
Gl'imenei differisca.

Lisinga - Andiamo... E quale (va e s'arresta irresoluta)
Della richiesta mia
Cagione ho da produr? Scoprirmi amante?
È duro il passo. Ah, se un motivo almeno!...
Ma dove è mai Siveno? (impaziente)
Perché non vien?

Ulania - Di comparirti innanzi
Non ha più cor.

Lisinga - Dunque il vedesti?

Ulania - Il vidi.

Lisinga - Che ti disse? che pensa?

Ulania - Pensa a partir.

Lisinga - Stelle! E perché?

Ulania - Paventa
Il suo dolore e il tuo; né vuol più mai
Esporsi...

Lisinga - E già partì? (con ansietà)

Ulania - Nol so.

Lisinga - (con sdegno) Nol sai?
E questo... Olà! Che tradimento! e questo,
Barbara, mi nascondi! Olà! Siveno (compariscono due Tartari)
Si cerchi, si raggiunga,
Si riconduca a me. (partono i Tartari)

Ulania - Deh! ti consola;
Forse...

Lisinga - Lasciami sola: (con sdegno)
Involati al mio sguardo.

Ulania - Oh Dio! Germana...

Lisinga - Germana! Ah! questo nome
Non profanar: nemica mia tu sei
La più crudele. A quel tuo cor di sasso
La natura non diede
Senso d'amor, d'umanità, di fede.

Ulania - M'insulti a torto. In tante angustie anch'io
Mi perdo, mi confondo, e rea non sono,
Se tu nol sei. Barbara a me! Per lei
Di me stessa mi scordo; e questa è poi
La mercé che mi dona!
Resta, resta pur sola. (in atto di partire)

Lisinga - Ah! no; perdona,
Perdona, Ulania amata;
Mi fece vaneggiar la mia sventura.
Va, m'assisti, procura
Che non parta Siveno. Ah! va; ti muova
Il mio stato, il mio pianto.

Ulania - Vado; ma tu non avvilirti intanto.

Quando il mar biancheggia e freme,
Quando il ciel lampeggia e tuona,
Il nocchier che s'abbandona
Va sicuro a naufragar.
Tutte l'onde son funeste
A chi manca ardire e speme;
E si vincon le tempeste
Col saperle tollerar. (parte)



SCENA V

Leango e Lisinga.

Lisinga - Se perdo il mio Siveno,
Numi, che fia di me! Grave a me stessa...

Leango - Al fine, o principessa,
Posso offrirti palesi
Gli omaggi ch'io ti resi
Fin or con l'alma. Oggi la mia sovrana,
Oggi sarà di questo ciel Lisinga
La più lucida stella: oggi raccolta
Nel talamo real...

Lisinga - Leango, ascolta.
Se dispor degl'imperi
Fu dal destino a tua virtù concesso,
Dispor del core altrui non è l'istesso.
Il cor leggi non soffre. A mio talento
Ho disposto del mio.
A questo ciel cerca altra stella. Addio.

Se fra catene il core
Ho da sentirmi in sen,
Scegliere io voglio almen
Le mie catene.
Se perdesi in amore
Pur questa libertà,
Qual gioia resterà
Fra tante pene? (parte)



SCENA VI

Leango, poi Siveno.

Leango - Disingannarla io pur vorrei. No, prima
Che i Tartari sian giunti,
È rischio avventurar. Che rechi? Un foglio? (a un paggio che giunge)
Porgilo e parti. (il paggio dà la lettera e parte)

Siveno - A lei vuol ch'io ritorni (dubbioso, senza veder Leango)
La mia bella Lisinga: io sudo, io tremo
Nell'appressarmi a lei. No... Ma poss'io
Trasgredire un suo cenno?

Leango - Astri benigni,
Eccomi in porto: il tartaro soccorso
Pur giunto è al fin. (rilegge)

Siveno - Lisinga il vuol, si vada...
(Il genitor! No, sì confuso almeno
Non vogl'io ch'ei mi vegga). (vuol partire)

Leango - Odi, Siveno,
Fermati. (Il Ciel l'invia). (Siveno s'arresta)

Siveno - (Che dirgli mai!
Quali scuse...) (s'arresta da lontano)

Leango - Ah signor! (vuole inginocchiarsi)

Siveno - (sollevandolo) Padre! che fai?

Leango - Non son più padre tuo.

Siveno - Perché? Tu piangi!
Misero me! Dell'improvviso pianto
Che tu versi dal ciglio,
Ah, forse il figlio è reo?

Leango - Non ho più figlio.

Siveno - Intendo, intendo; un temerario amore
Tu disapprovi in me. Perdona, è vero:
Lisinga è l'idol mio: la colpa è grande,
Ma la scusa è maggior. Dov'è chi possa
Vederla e non amarla?

Leango - Amala; è giusto
Che la tua sposa adori.

Siveno - Ah padre, ah questo
Scherzo crudel troppo il mio fallo eccede!
Lo so, lo so; tu del cinese impero
Hai destinato a lei
Lo sconosciuto erede.

Leango - E quel tu sei.

Siveno - Che!

Leango - Tu sei quello. Io ti serbai bambino
Fra la strage de' tuoi; ressi fin ora
Quest'impero per te; sempre quel giorno,
In cui render sicuro
Te potessi al tuo soglio, io sospirai;
Quel giorno è giunto: ora ho vissuto assai.

Siveno - Io... Non m'inganni?

Leango - No; tu sei Svenvango,
Del gran Livanio ultimo figlio.

Siveno - E il trono...

Leango - E il trono è tuo retaggio.

Siveno - E Lisinga...

Leango - È tua sposa.

Siveno - Oh sposa! oh giorno!
Oh me felice! Ah, sappia
L'idolo mio!... (vuol partire)

Leango - Dove t'affretti?

Siveno - A lei.

Leango - Ferma; e, se m'ami, in questo stato altrui
Non ti mostrar. Ti ricomponi, e pensa...

Siveno - Oh Dio, piange Lisinga!

Leango - A consolarla io stesso
Con tal novella andrò. Nel maggior tempio
Mentre il Senato, i sacerdoti, i duci
S'aduneran, tu solitario attendi
Me ne' tuoi tetti; e al nuovo peso intanto
L'alma incomincia a preparar. Rifletti
Quanti popoli in te, Svenvango, avranno
Oggi un padre o un tiranno; a quanti regni
Tu la miseria or procurar potrai,
Tu la felicità; che a tutto il mondo
T'esponi in vista, e sarà il mondo intero
Giudice tuo; che i buoni esempi o rei,
Ammirati sul trono,
Son delle altrui virtù prime sorgenti:
Che non v'è fra' viventi,
Ma v'è nel Ciel chi d'un commesso impero
Può dimandar ragion; chi, come innalza
Quei che reggere in terra
San le sue veci a benefizio altrui,
Preme così chi non somiglia a lui.

Siveno - Sì, caro padre mio, sarò... Vedrai...
Ah troppo vorrei dir! Lisinga... Il trono...
I benefizi tuoi...

Leango - Non affannarti;
Tutto intendo, o signor.

Siveno - Signor mi chiami!
Ah no, chiamami figlio. Ah, questo nome
È il mio pregio più grande! Io, che sarei
Senza di te? Tu solo
Padre, benefattor, maestro, amico,
Tutto fosti per me; tutta io ti deggio
La mia riconoscenza, il mio rispetto,
L'amor mio, la mia fede...

Leango - Figlio, ah! non più: la tenerezza eccede. (lo abbraccia con tenerezza, poi si ritira con rispetto)

Perdona l'affetto
Che l'alma mi preme,
Mia gloria, mia speme,
Mio figlio, mio re.
Di stringerti al petto
Mi ottengano il vanto
Quel sangue, quel pianto
Ch'io sparsi per te. (parte)



SCENA VII

Siveno, poi Mintéo in fretta.

Siveno - Oh sorpresa! oh contento! Ah, quando il sappia,
Ah, che dirà la mia Lisinga!

Mintéo - (affannato) Amico,
È teco alcun?

Siveno - Son solo.

Mintéo - Oh ignote, oh strane
Vie del destin!

Siveno - Che mai t'avvenne;

Mintéo - Al fine
Dell'impero cinese
È il successor palese.

Siveno - Onde sì presto
Giunse a te la novella?

Mintéo - E a te chi mai
Sì presto la recò?

Siveno - Leango.

Mintéo - Avresti
Potuto immaginar che il tuo Mintéo
Fosse un monarca?

Siveno - Che!

Mintéo - Che fossi il figlio
Io di Livanio?

Siveno - Tu!

Mintéo - Sì. D'un evento
Strano così per informarti io corsi,
E il primo esser credei; ma, già che il sai,
Non trattenermi: è necessaria altrove
La mia presenza.

Siveno - Odimi. (Oh Ciel!) Chi disse
A te che sei Svenvango?

Mintéo - Il vecchio Alsingo.

Siveno - Quei che ignoto bambin...

Mintéo - Bambino ignoto
Per salvarmi mi finse. I miei natali,
Le indubitate prove, il nome mio
Poc'anzi sol mi fe' palese. Addio.

Siveno - Sentimi. (Dove son!) Ma come Alsingo
Tacque fin or?

Mintéo - Fin or fu vuoto il trono,
Ed Alsingo attendea
Tempo a parlar senza mio rischio.

Siveno - Ed oggi
Perché parlò?

Mintéo - Perché fu il trono offerto
Oggi a Leango. Oh, se vedessi come
Il popolo n'esulta, e qual... Ma troppo
L'amistà mi seduce, e può tumulti
Produr la mia dimora. Addio, Siveno;
Vieni al mio seno, ed in qualunque stato
Sappi ch'io serbo a te l'affetto antico.

Siveno - Ferma un istante ancor.

Mintéo - Non posso, amico. (parte in fretta)



SCENA VIII

Siveno, poi Lisinga.

Siveno - Giusto Ciel, che m'avvenne!
Son Svenvango o Siveno?
Dove son? Chi son io? M'inganna il padre?
Mi tradisce l'amico?

Lisinga - (allegrissima) Ah, mio tesoro!
Ah, mio sposo! ah, mio re! posso una volta
Chiamarti mio?

Siveno - (Misero me! che dirle?
La trafiggo, se parlo). (confuso)

Lisinga - Oggi co' numi
La mia felicità non cambierei.
Oggi... Ma tu non sei
Lieto, ben mio?

Siveno - (Questo è martìr!)

Lisinga - Che avvenne?
Forse non m'ami più?

Siveno - T'amo, t'adoro,
Sei tu l'anima mia. (come sopra)

Lisinga - Parlasti al padre?

Siveno - Gli parlai.

Lisinga - Non ti disse
Che Svenvango tu sei?

Siveno - Mel disse.

Lisinga - E ch'io
Son la tua sposa?

Siveno - Il disse ancor.

Lisinga - Ma dunque
Di che t'affliggi in sì felice stato?
Parla.

Siveno - Ah, mia vita, a sospirar son nato!

Lisinga - Perché, se re tu sei,
Perché, se tua son io,
Perché, bell'idol mio,
Sei nato a sospirar?

Siveno - Non so se mia tu sei:
Non so se re son io:
Parmi, bell'idol mio,
Parmi di delirar.

Lisinga - Spiegati.

Siveno - Io... sappi... addio.

Lisinga - Così mi lasci, ingrato?

A due - Ah non è stanco il fato
Di farmi palpitar!



ATTO TERZO

SCENA I

Luogo solitario ed ombroso ne' giardini imperiali.

Lisinga, poi Siveno con guardie cinesi.

Lisinga - Fra quante vicende
Di sorte, d'amore,
Mio povero core,
Ti sento tremar!
Ogni astro che splende
Minaccia di nuovo...

Siveno - Lisinga? Ah! lode al Ciel, pur ti ritrovo. (affannato)

Lisinga - Qual fretta? Onde l'affanno?
Perché tant'armi?

Siveno - (alle guardie) Al valor vostro, amici,
Ed alla vostra fé questa io consegno
Cara parte di me. Là nel recinto
Della torre maggior, che il fiume adombra,
Scorgetela, e vegliate
Attenti in sua difesa. I passi loro
Siegui, Lisinga. In sì munito loco
Sicura attendi; io tornerò fra poco.

Lisinga - Siveno, oh dèi, qual nuovo
Periglio or mi sovrasta?
Tu dove corri?

Siveno - Il popolo in tumulto
Tutto inonda le vie: vuol nella reggia
Introdurre un suo re; gl'impeti insani
Io corro a raffrenar.

Lisinga - Senti. O t'arresta,
O con te mi conduci; io voglio almeno
Perirti accanto.

Siveno - Ah, che il tuo rischio, o cara,
Farebbe il mio! Mi tremerebbe il core
Al lampo d'ogni acciar. Resta tranquilla:
Torno a momenti.

Lisinga - Oh dèi, tranquilla! E intanto
Tu d'un popolo armato
Vai l'ire ad affrontar?

Siveno - No. Della reggia
Verso il maggiore ingresso il volgo insano
S'affolla, e freme: io per l'opposta uscita,
Che mena al fiume, inaspettato al fianco
Co' miei l'assalirò. Fugar gl'imbelli
Di pochi istanti opra sarà... Che? Piangi!
Ah, non temer, mia vita!

Lisinga - E a ciglio asciutto
Vuoi ch'io ti vegga a tale impresa accinto?

Siveno - Amati rai, se non piangete, ho vinto.

Frena le belle lagrime,
Idolo del mio cor:
No, per vederti piangere,
Cara, non ho valor.
Ah! non destarmi almeno
Nuovi tumulti in seno:
Bastano i dolci palpiti
Che vi cagiona amor. (parte)



SCENA II

Lisinga, poi Leango con guardie.

Lisinga - Assistetelo, o dèi. (volendo partire)

Leango - Dove, o Lisinga,
Così turbata?

Lisinga - E tu, signor, che fai
Così tranquillo? È la città sossopra:
Minacciata è la reggia;
Un altro re...

Leango - Ti rassicura; a tutto,
Bella Lisinga, io già provvidi.

Lisinga - E come?

Leango - A mia richiesta un numeroso stuolo
Di tartari guerrieri il tuo gran padre
Sai che inviò. Giunse poc'anzi, e verso
La città già s'avanza.

Lisinga - E se frattanto
Il volgo contumace
La reggia inonda? Avrem dal tardo aiuto
Vendetta, e non difesa.

Leango - Elette schiere
Custodiscon la reggia;
Mintéo n'è il duce; e riposar possiamo
Di Mintéo su la fé.

Lisinga - Dunque ad esporsi
Perché corre Siveno?

Leango - Esporsi! E come?

Lisinga - Ei per la via del fiume
Va i sollevati ad assalir.

Leango - (a' custodi, senza spavento) Correte,
Custodi, a trattenerlo.

Lisinga - Ah, sì. (a' medesimi)

Leango - Che pena
È il moderar quei giovanili in lui
Impeti di valor! Tua quindi innanzi
Sia questa cura, o principessa. Io spero
Che un'amabile sposa
Sarà di me miglior maestra.

Lisinga - Ah, voglia
Il Cielo al fin!...

Leango - Mai più sereno il cielo
Non si mostrò per noi. D'ogni procella
La minaccia è svanita.
Siam tutti in porto.

Lisinga - Ah tu mi torni in vita!

In mezzo a tanti affanni
Cangia per te sembianza
La timida speranza
Che mi languiva in sen.
Forse sarà fallace,
Ma giova intanto e piace;
E, ancor che poi m'inganni,
Or mi consola almen. (parte)



SCENA III

Leango, poi Ulania.

Leango - Olà, se ancor nel tempio
Son tutti uniti, alcun m'avverta. Or parmi
Un secolo ogn'istante...

Ulania - (spaventata) Ove... Ah, Leango!...
Ov'è la mia germana? Ah! me l'addita;
Difendici... Fuggiam.

Leango - Non hai rossore
Di questo, o principessa,
Spavento femminil?

Ulania - Sì, la tua pace
Degna in vero è di lode, or che agl'insulti
D'un popol reo...

Leango - Ma nella chiusa reggia
Che mai, che puoi temer?

Ulania - Chiusa la reggia!
Dèi, qual letargo! Io n'ho veduto, io stessa,
L'ingresso aperto.

Leango - Ed i custodi? (comincia a turbarsi)

Ulania - Un solo
Non s'oppon, non resiste; un brando, un'asta
Non si muove per noi.

Leango - Stelle! ma intanto
Che fa, dov'è Mintéo?

Ulania - Mintéo fra poco
Il trono usurperà.

Leango - Mintéo? Che dici?
Il mio fido Mintéo?

Ulania - Come? e non sai
Ch'ei del popol ribelle
È capo e condottier?

Leango - Che ascolto!

Ulania - Or credi
A quel dolce sembiante,
A quel molle parlar. Numi! ei s'appressa;
Fuggiam dal suo furore.
Eccolo: siam perduti.



SCENA IV

Mintéo e detti.

Leango - Ah, traditore! (snudando la spada e andandogli incontro)

Mintéo - Perché quel nudo acciaro? (con modestia)

Leango - Empio! ribelle!
Perfido! ingrato!

Mintéo - (come sopra) A me, signor!

Leango - Son questi
Delle mie cure i frutti? A' doni miei
Corrispondi così? De' tuoi monarchi
Ardisti, o scellerato,
Fino al trono aspirar! No, vive ancora,
Vive Leango, anima rea. Sul trono
No, non si va senza vuotar le vene
Del tuo benefattor. Fin che del giorno
Saran queste mie ciglia aperte a' rai,
Io lo difenderò, tu non l'avrai.

Mintéo - Ma per pietà m'ascolta.

Ulania - (con compassione) Ah, si permetta
Ch'ei parli almeno!

Leango - E che può dir?

Mintéo - Si vuole,
Signor, ch'io sia Svenvango: il volgo il crede;
Ed io se a quei tumulti...

Leango - E tu, spergiuro,
Suo condottier ti fai?

Ulania - Ma se non lasci
Ch'ei possa dir. (come sopra, ma con impeto)

Mintéo - Se a quei tumulti io debba
Oppormi o secondarli, a chieder vengo
L'oracolo da te.

Leango - Sì, ma conduci
Tutto un popolo armato; apri una reggia
Commessa alla tua fé.

Mintéo - La reggia è chiusa,
Signor; nessun mi siegue; io vengo solo
A presentarmi a te.

Leango - Ma Ulania...

Ulania - Io vidi
Su le porte i ribelli,
Le vidi aprir, vidi Mintéo fra loro:
Che più attender dovea?

Leango - (sorpreso) Dunque...

Mintéo - Tu sei
Della mia sorte e del cinese impero
L'arbitro ognor.

Ulania - (Né deggio amarlo?)

Mintéo - Ascolta.
Esamina, disponi
E del regno e di me. Fin che non sia
Da te, signor, deciso a chi si debba
L'imperial retaggio,
Del pubblico riposo eccomi ostaggio. (depone la spada)

Ulania - (Che adorabile eroe!)

Leango - Figlio, a gran torto
Io t'insultai; ma l'inudito eccesso
Di tua virtù mi scusa: è grande a segno
Che superò le mie speranze. (rimette la spada)

Ulania - Or dimmi
Ch'ei re non sia.

Leango - No, principessa. Al tempio,
Caro Mintéo, mi siegui; in faccia al nume
Il re ti scoprirò. Di quest'impero
Tu il sostegno e l'onor, tu di mie cure,
Tu de' sudori miei
Sei la dolce mercé, ma il re non sei.

Re non sei, ma senza regno
Già sei grande al par d'un re.
Quando è bella a questo segno,
Tutto trova un'alma in sé. (parte)



SCENA V

Ulania e Mintéo.

Mintéo - Mi lusingai che mi rendesse un trono
Degno di te, ma...

Ulania - Senza il trono, è degno
Ch'io l'adori Mintéo. Non ha bisogno
De' doni della sorte
Chi tanto ha in sé. Con quel del mondo intero
Io del tuo cor non cangerei l'impero.

Mintéo - Chi provò fra' mortali
Maggior felicità? Mio ben, mio nume,
Amor mio, mia speranza...

Ulania - Andiamo al tempio;
Leango attenderà.

Mintéo - Sì, mi precedi:
Con Siveno a momenti
Io ti raggiungerò. (in atto di partire)

Ulania - Ferma; Siveno
Or non è nella reggia. Il Ciel sa quando
Ritornerà. Donde la bagna il fiume,
Ne uscì poc'anzi armato
Per opporsi a' ribelli.

Mintéo - Ah, sconsigliato!
Io con tanto sudor del volgo insano
Gl'impeti affreno; a presentarmi io stesso
Vengo pegno di pace; ei va di nuovo
Ad irritarlo, ad arrischiarsi! Ah, soffri
Che a soccorrerlo io vada.

Ulania - E per Siveno
Così lasciar mi déi?

Mintéo - Egli è in rischio, mia vita, e tu nol sei.

Ulania - Ah, Mintéo, non è questa
Prova di poco amore?

Mintéo - Anzi è gran prova
Dell'amor mio costante:
Un freddo amico è mal sicuro amante.

Avran le serpi, o cara,
Con le colombe il nido,
Quando un amico infido
Fido amator sarà.
Nell'anime innocenti
Varie non son fra loro
Le limpide sorgenti
D'amore e d'amistà. (parte)



SCENA VI

Ulania sola.

Ulania - Chi vuol che di follia sia segno espresso
Il confidar se stesso
Al dubbio mar degli amorosi affanni,
Vegga prima Mintéo, poi mi condanni.

Se per tutti ordisce Amore
Così amabili catene,
È ben misero quel core
Che non vive in servitù.
Son diletto ancor le pene
D'un felice prigioniero,
Quando uniscono l'impero
La bellezza e la virtù. (parte)



SCENA VII

Parte interna ed illuminata della maggiore imperial Pagoda. Così la struttura come gli ornamenti del magnifico edifizio esprimono il genio ed il culto della nazione.

Bonzi, Manderini d'armi e di lettere, grandi e custodi. All'aprirsi della scena si vede Leango in atto di ascoltar con isdegno alcune delle guardie.
Poi giunge Lisinga
.

Leango - E voi, stupidi, e voi del suo periglio
Venite adesso ad avvertirmi? Andiamo;
Seguitemi, codardi, (incamminandosi)
A difender Siveno.

Lisinga - (piangendo) È tardi, è tardi.

Leango - Che?

Lisinga - Più non vive.

Leango - Ah! no? Chi l'assicura?

Lisinga - Questi occhi... oh Dio! questi occhi. Io dalla cima
Della torre maggiore... aimè... lo vidi
Affrettarsi... assalir... Sperò... volea...
Ah, non posso parlar!

Leango - Gelo!

Lisinga - Ei nel fianco
Del popol folto urtò co' suoi. Lo assalse
Quello, assalito, e il circondò. Gli amici
Tutti l'abbandonaro. Ei su la sponda
Balza d'un picciol legno, e solo a tanti
(Che valor!) s'opponea. La turba al fine
Supera, inonda il legno. Ei d'ogni parte
Ripercosso, trafitto, urtato e spinto
Pende sul fiume, e vi trabocca estinto.

Leango - A sì barbaro colpo
Cede la mia costanza. Abbiam perduto,
Voi, Cinesi, il re vostro, io di tant'anni
I palpiti, i sudori. Astri inclementi,
Di qual colpa è castigo
La mia vecchiezza? Han meritato in Cielo
Dunque il martìr di così lunga vita
L'onor mio, la mia fede? Ah, d'un vassallo
Così fedel, che ti giovò, Svenvango,
La tenera pietà? Ricuso un regno,
Ricompro i giorni tuoi
Con quelli, oh Dio, d'un proprio figlio; e poi?

Ah! sia de' giorni miei
Questo l'estremo dì.
Per chi, per chi vivrei,
Se il mio signor morì?
Per chi...



SCENA VIII

Ulania e detti.

Ulania - Leango, ah quale,
Qual novella io ti porto!

Leango - Troppo, ah! troppo lo so: Siveno è morto.

Ulania - Vive, vive Siveno.

Leango - Oh Ciel!

Lisinga - Qual nume
Potea salvarlo?

Ulania - Il suo Mintéo.

Leango - Che dici?

Lisinga - È vero?

Ulania - È vero. Ei giunse
Opportuno a sottrarlo e all'onde e all'ire
Del popol folle.

Leango - A rintuzzarlo, amici,
Corrasi.

Ulania - È vano. Ha i Tartari alle spalle
La reggia a fronte; e, da Mintéo sedato,
Non è più quel di pria:
Sol dimanda il suo re, qualunque ei sia.

Leango - Ma Siveno dov'è?

Ulania - Vedilo.



SCENA ULTIMA

Siveno, Mintéo, séguito di Cinesi, due de' quali portano sopra bacili
le fanciullesche vesti reali, e detti
.

Leango - Ah, vieni
Dell'età mia cadente
Delizia, onor, sostegno,
Vieni, mio re!

Siveno - Sono il tuo figlio. Il trono,
Signor non dessi a me: l'usurperei
Al mio liberatore. Il vero erede
Ecco in Mintéo; son troppo
Grandi le prove sue: dubbio non resta.

Leango - Leggi; e di' se v'è prova eguale a questa. (gli dà un foglio)

Siveno - Chi vergò questo foglio?

Leango - Livanio, il tuo gran padre.

Mintéo - (Or chi son io?)

Siveno - (legge) “Popoli, il figlio mio
Vive in Siveno. Io dell'eroica fede
Che l'ha salvato, il testimonio io fui;
È Leango l'eroe: credete a lui.
Livanio.”

Leango - E ben?

Siveno - Son fuor di me. Ma dimmi...
(Appressatevi a noi). (a' Cinesi che portano i bacili, che s'appressano) Dimmi: ravvisi
Queste, tinte di sangue,
Regie spoglie infantili?

Leango - (inorridisce) Aimè, che miro!
Donde in tua man?

Siveno - Tutto saprai. Non era
Svenvango in queste avvolto, allorché il ferro
De' ribelli il trafisse?

Leango - Oh Dio! non v'era. (con impeto di passione)

Siveno - Come!

Leango - V'era il mio figlio.

Siveno - Il tuo! Chi mai,
Chi vel ravvolse?

Leango - Io stesso; ed io lo vidi
In tua vece spirar. Questo è l'inganno
Che ha serbato all'impero il vero erede.

Siveno - Oh, virtù senza esempio!

Lisinga - Oh, eroica fede!

Siveno - E ti costa...

Leango - Ah, non più! Perché con queste
Rimembranze funeste un dì sì lieto
Avvelenar? Di queste spoglie a vista,
A vista di quel sangue, ah, non resiste
D'un padre il cor! Di riveder mi sembra
Fra gli empi il figlio mio; parmi che ancora,
Quasi chiedendo aita,
In vece di parlar, la pargoletta
Trafitta man mi stenda: i colpi atroci
Nella tenera gola
Rivedo, oh Dio! cader; tutte ho sul ciglio...

Mintéo - Padre mio, caro padre, ecco il tuo figlio. (gli bacia la mano con impeto di gioia e di tenerezza)

Leango - Che! (sorpreso)

Mintéo - Tuo figlio son io. L'antico Alsingo
Mi salvò moribondo, e in quelle spoglie
Credé salvato il re. Parlano queste
Cicatrici abbastanza. Osserva. Il caro
Mio genitor tu sei. (mostrando le cicatrici della mano e della gola)

Leango - Sostenetemi... Io manco... (le guarda, s'appoggia ma non isviene)

Ulania - Oh stelle!

Lisinga - Oh dèi!

Siveno - Ah, tu m'involi, amico, (a Mintéo)
Il caro padre mio!

Mintéo - Ma rendo al trono
Un monarca sì degno. (accennando Siveno)

Siveno - Lascia, ah, lasciami il padre e prendi il regno! (stringendosi al petto la mano di Leango)

Leango - Figli miei, cari figli, (abbracciando or l'uno or l'altro)
Tacete per pietà. Non ho vigore
Per sì teneri assalti. Astri clementi,
Disponete or di me. Rinvenni il figlio,
Difesi il mio sovrano;
Posso or morir: non ho vissuto in vano.


CORO
Sarà chiara in ogni età,
Dell'eroe di questo impero
L'inudita fedeltà.






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