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ilmetastasio testo integrale brano completo citazione delle fonti commedie opere storiche opere teatrali in prosa
e in versi
Rappresentato, con musica del Caldara, la prima volta in Vienna nell'interno gran cesarea corte, alla presenza de' regnanti, il dì 4 novembre 1733, per festeggiare il nome dell'imperator Carlo sesto, d'ordine dell'Imperatrice Elisabetta.
ARGOMENTO
Regnando Demoofonte nella Chersoneso di Tracia, consultò l'oracolo d'Apollo per intendere quando dovesse aver fine il crudel rito, già dall'oracolo istesso prescritto, di sacrificare ogni anno una vergine innanzi al di lui simulacro; e n'ebbe in risposta:
Con voi del Ciel si placherà lo sdegno,
Quando noto a se stesso
Fia l'innocente usurpator d'un regno.
Non potè il re comprenderne l'oscuro senso, ed aspettando che il tempo lo rendesse più chiaro, si dispose a compire intanto l'annuo sagrifizio, facendo estrarre a sorte dall'urna il nome della sventurata vergine che doveva essere la vittima. Matusio, uno de' grandi del regno, pretese che Dircea, di cui credevasi padre, non corresse la sorte delle altre, producendo per ragione l'esempio del re medesimo, che, per non esporre le proprie figlie, le teneva lontane di Tracia. Irritato Demofoonte dalla temerarietà di Matusio, ordina barbaramente che, senz'attendere il voto della fortuna, sia tratta al sagrifizio l'innocente Dircea.
Era questa già moglie di Timante, creduto figlio ed erede di Demofoonte; ma occultavano con gran cura i consorti il loro pericoloso imeneo, per un'antica legge di quel regno, che condannava a morire qualunque suddita divenisse sposa del real successore. Demofoonte, a cui erano affatto ignote le segrete nozze di Timante con Dircea, avea destinato a lui per isposa la principessa Creusa, impegnando solennemente la propria fede col re di Frigia, padre di lei. Ed in esecuzione di sue promesse inviò il giovane Cherinto, altro suo figliuolo, a prendere e condurre in Tracia la sposa, richiamando intanto dal campo Timante, che, di nulla informato volò sollecitamente alla reggia. Giuntovi, e compreso il pericoloso stato di sé e della sua Dircea, volle scusarsi e difenderla: ma le scuse appunto, le preghiere, le smanie e le violenze alle quali trascorse, scopersero al sagace re il loro nascosto imeneo. Timante, come colpevole di aver disubbidito il comando paterno nel ricusar le nozze di Creusa e d'essersi opposto con l'armi a' decreti reali; Dircea, come rea di aver contravvenuto alla legge del regno nello sposarsi a Timante, son condannati a morire. Sul punto d'eseguirsi l'inumana sentenza, risentì il feroce Demofoonte i moti della paterna pietà, che, secondata dalle preghiere di molti, gli svelsero dalle labbra il perdono. Fu avvertito Timante di così felice cambiamento; ma, in mezzo a' trasporti della sua improvvisa allegrezza, è sorpreso da chi gli scopre con indubitate prove che Dircea è figlia di Demofoonte. Ed ecco che l'infelice, sollevato appena dall'oppressione delle passate avversità, precipita più miseramente che mai in un abisso di confusione e d'orrore, considerandosi marito della propria germana. Pareva ormai inevitabile la sua disperazione, quando, per inaspettata via, meglio informato della sua condizione, ritrova non esser egli il successore della corona, né il figlio di Demofoonte, ma bensì di Matusio. Tutto cambia d'aspetto. Libero Timante dal concepito orrore, abbraccia la sua consorte: trovando Demofoonte in Cherinto il vero suo erede, adempie le sue promesse destinandolo, sposo alla principessa Creusa; e, scoperto in Timante quell'innocente usurpatore, di cui l'oracolo oscuramente parlava, resta disciolto anche il regno dall'obbligo funesto dell'annuo crudel sagrifizio.
(HYGIN., ex Philarch., lib. II.)
INTERLOCUTORI
Demofoonte re di Tracia.
Dircea segreta moglie di Timante.
Creusa principessa di Frigia, destinata sposa di Timante.
Timante creduto principe ereditario e figlio di Demofoonte.
Cherinto figlio di Demofoonte, amante di Creusa.
Matusio creduto padre di Dircea.
Adrasto capitano delle guardie reali.
Olinto fanciullo, figlio di Timante.ù
Il luogo della scena è la reggia di Demofoonte nella Cheroneso di Tracia.
ATTO PRIMO
SCENA I
Orti pensili, corrispondenti a vari appartamenti della reggia di Demofoonte.
Dircea e Matusio.
Dircea - Credimi, o padre: il tuo soverchio affetto
Un mal dubbioso ancora
Rende sicuro. A domandar che solo
Il mio nome non vegga
L'urna fatale, altra ragion non hai
Che il regio esempio.
Matusio - E ti par poco? Io forse,
Perché suddito nacqui,
Son men padre del re? D'Apollo il cenno
D'una vergine illustre
Vuol che su l'are sue si sparga il sangue
Ogni anno in questo dì; ma non esclude
Le vergini reali. Ei, che si mostra
Delle leggi divine
Sì rigido custode, agli altri insegni
Con l'esempio costanza. A sé richiami
Le allontanate ad arte
Sue regie figlie. I nomi loro esponga
Anch'egli al caso. All'agitar dell'urna,
Provi egli ancor d'un infelice padre
Come palpita il cor; come si trema
Quando al temuto vaso
La mano accosta il sacerdote, e quando
In sembianza funesta
L'estratto nome a pronunciar s'appresta;
E arrossisca una volta
Ch'abbia a toccar sempre la parte a lui
Di spettator nelle miserie altrui.
Dircea - Ma sai pur che a' sovrani
È suddita la legge.
Matusio - Le umane sì, non le divine.
Dircea - E queste
A lor s'aspetta interpretar.
Matusio - Non quando
Parlan chiaro gli dèi.
Dircea - Mai chiari a segno...
Matusio - Non più, Dircea; son risoluto.
Dircea - Ah! meglio
Pensaci, o genitor. L'ira ne' grandi
Sollecita s'accende,
Tarda s'estingue. È temeraria impresa
L'irritare uno sdegno
Che ha congiunto il poter. Già il re pur troppo
Bieco ti guarda. Ah! che sarà, se aggiunge
Ire novelle all'odio antico?
Matusio - In vano
L'odio di lui tu mi rammenti e l'ira:
La ragion mi difende, il Ciel m'inspira.
O più tremar non voglio
Fra tanti affanni e tanti;
O ancor chi preme il soglio
Ha da tremar con me.
Ambo siam padri amanti,
Ed il paterno affetto
Parla egualmente in petto
Del suddito e del re. (parte)
SCENA II
Dircea e poi Timante.
Dircea - Se il mio principe almeno
Quindi lungi non fosse... Oh Ciel, che miro!
Ei viene a me!
Timante - Dolce consorte...
Dircea - Ah! taci:
Potrebbe udirti alcun. Rammenta, o caro,
Che qui non resta in vita
Suddita sposa a regio figlio unita.
Timante - Non temer, mia speranza. Alcun non ode.
Io ti difendo.
Dircea - E quale amico nume
Ti rende a me?
Timante - Del genitore un cenno
Mi richiama dal campo,
Né la cagion ne so. Ma tu, mia vita,
M'ami ancor? ti ritrovo
Qual ti lasciai? Pensasti a me?
Dircea - Ma come
Chieder lo puoi? Puoi dubitarne?
Timante - Oh Dio!
Non dubito, ben mio: lo so che m'ami,
Ma da quel dolce labbro
Troppo (soffrilo in pace)
Sentirlo replicar, troppo mi piace.
Ed il picciolo Olinto, il caro pegno
De' nostri casti amori,
Che fa? cresce in bellezza?
A qual di noi somiglia?
Dircea - Egli incomincia
Già col tenero piede
Orme incerte a segnar. Tutta ha nel volto
Quella dolce fierezza,
Che tanto in te mi piacque. Allor che ride,
Par l'immagine tua. Lui rimirando,
Te rimirar mi sembra. Oh, quante volte,
Credula troppo al dolce error del ciglio,
Mi strinsi al petto il genitor nel figlio!
Timante - Ah! dov'è? Sposa amata,
Guidami a lui; fa ch'io lo vegga.
Dircea - Affrena,
Signor, per ora il violento affetto.
In custodita parte
Egli vive celato; e andarne a lui
Non è sempre sicuro. Oh quanta pena
Costa il nostro segreto!
Timante - Ormai son stanco
Di finger più, di tremar sempre: io voglio
Cercare oggi una via
D'uscir di tante angustie.
Dircea - Oggi sovrasta
Altra angustia maggiore. Il giorno è questo
Dell'annuo sagrifizio. Il nome mio
Sarà esposto alla sorte. Il re lo vuole;
Si oppone il padre; e della lor contesa
Temo più che del resto.
Timante - È noto forse
Al padre tuo che sei mia sposa?
Dircea - Il Cielo
Nol voglia mai. Più non vivrei.
Timante - M'ascolta.
Proporrò che di nuovo
Si consulti l'oracolo. Acquistiamo
Tempo a pensar.
Dircea - Questo è già fatto.
Timante - E come
Rispose?
Dircea - Oscuro e breve.
Con voi del Ciel si placherà lo sdegno,
Quando noto a se stesso
Fia l'innocente usurpator d'un regno.'
Timante - Che tenebre son queste!
Dircea - E se dall'urna
Esce il mio nome, io che farò? La morte
Mio spavento non è: Dircea saprebbe
Per la patria morir. Ma Febo chiede
D'una vergine il sangue. Io, moglie e madre,
Come accostarmi all'ara? O parli o taccia,
Colpevole mi rendo:
Il Ciel, se taccio, il re, se parlo, offendo.
Timante - Sposa, ne' gran perigli
Gran coraggio bisogna. Al re conviene
Scoprir l'arcano.
Dircea - E la funesta legge
Che a morir mi condanna?
Timante - Un re la scrisse:
Può rivocarla un re. Benché severo,
Demofoonte è padre, ed io son figlio.
Qual forza han questi nomi,
Io lo so, tu lo sai. Non torno al fine
Senza merito a lui. La Scizia oppressa,
Il soggiogato Fasi
Son mie conquiste; e qualche cosa il padre
Può fare anche per me. Se ciò non basta,
Saprò dinanzi a lui
Piangere, supplicar, piegarmi al suolo,
Abbracciargli le piante,
Domandargli pietà.
Dircea - Dubito... Oh Dio!
Timante - Non dubitar, Dircea: lascia la cura
A me del tuo destin. Va! Per tua pace
Ti stia nell'alma impresso
Che a te penso, cor mio, più che a me stesso.
Dircea - In te spero, o sposo amato;
Fido a te la sorte mia:
E per te, qualunque sia,
Sempre cara a me sarà.
Pur che a me nel morir mio
Il piacer non sia negato
Di vantar che tua son io,
Il morir mi piacerà. (parte)
SCENA III
Timante e Demofoonte con séguito; indi Adrasto.
Timante - Sei pur cieca, o Fortuna! Alla mia sposa
Generosa concedi
Beltà, virtù quasi divina, e poi
La fai nascer vassalla. Error sì grande
Correggerò ben io. Meco sul trono
La Tracia un dì l'adorerà. Ma viene
Il real genitor. Più non s'asconda
Il mio segreto a lui.
Demofoonte - Principe, figlio.
Timante - Padre, signor. (s'inginocchia e gli bacia la mano)
Demofoonte - Sorgi.
Timante - I reali imperi
Eccomi ad eseguir.
Demofoonte - So che non piace
Al tuo genio guerriero
La pacifica reggia; e il cenno mio,
Che ti svelle dall'armi,
Forse t'incresce. I tuoi trionfi, o prence,
E perché mie conquiste e perché tuoi,
Sempre cari mi son; ma tu di loro
Mi sei più caro. I tuoi sudori ormai
Di riposo han bisogno. È del riposo
Figlio il valor. Sempre vibrato, al fine
Inabile a ferir l'arco si rende.
Il meritar son le tue parti, e sono
Il premiarti le mie. Se il prence, il figlio
Degnamente le sue compì fin ora,
Il padre, il re le sue compisca ancora.
Timante - (Opportuno è il momento: ardir!) Conosco
Tanto il bel cor del mio
Tenero genitor, che...
Demofoonte - No, non puoi
Conoscerlo abbastanza. Io penso, o figlio,
A te più che non credi;
Io ti leggo nell'alma, e quel che taci,
Intendo ancor. Con la tua sposa al fianco
Vorresti ormai che ti vedesse il regno.
Di': non è ver?
Timante - (Certo ei scoperse il nodo
Che mi stringe a Dircea).
Demofoonte - Parlar non osi;
E a compiacerti appunto
Il tuo mi persuade
Rispettoso silenzio. Io, lo confesso,
Dubitai su la scelta; anzi mi spiacque.
L'acconsentire al nodo
Mi pareva viltà. Gli odi del padre
Abborria nella figlia. Al fin prevalse
Il desio di vederti
Felice, o prence.
Timante - (Il dubitarne è vano).
Demofoonte - A paragon di questo,
È lieve ogni riguardo.
Timante - Amato padre,
Nuova vita or mi dài. Volo alla sposa,
Per condurla al tuo piè.
Demofoonte - Ferma! Cherinto,
Il tuo minor germano,
La condurrà.
Timante - Che inaspettata è questa
Felicità!
Demofoonte - V'è per mio cenno al porto
Chi ne attende l'arrivo.
Timante - Al porto!
Demofoonte - E, quando
Vegga apparir la sospirata nave,
Avvertiti sarem.
Timante - Qual nave?
Demofoonte - Quella
Che la real Creusa
Conduce alle tue nozze.
Timante - (Oh dèi!)
Demofoonte - Ti sembra
Strano, lo so. Gli ereditari sdegni
De' suoi, degli avi nostri, un simil nodo
Non facevan sperar; ma in dote al fine
Ella ti porta un regno. Unica prole
È del cadente re.
Timante - Signor... Credei...
(Oh error funesto!)
Demofoonte - Una consorte altrove,
Che suddita non sia, per te non trovo.
Timante - O suddita o sovrana,
Che importa, o padre?
Demofoonte - Ah! no: troppo degli avi
Ne arrossirebbon l'ombre. È lor la legge
Che condanna a morir sposa vassalla
Unita al real germe; e, fin ch'io viva,
Saronne il più severo
Rigido esecutor.
Timante - Ma questa legge...
Adrasto - Signor, giungono in porto
Le frigie navi.
Demofoonte - Ad incontrar la sposa
Vola, o Timante. (Adrasto si ritira)
Timante - Io?
Demofoonte - Sì. Con te verrei,
Ma un funesto dover mi chiama al tempio.
Timante - Ferma! Senti, signor.
Demofoonte - Parla: che brami?
Timante - Confessarti... (Che fo?) Chiederti... (Oh Dio,
Che angustia è questa!) Il sacrifizio, o padre...
La legge... La consorte...
(Oh legge! oh sposa! Oh sacrifizio! oh sorte!)
Demofoonte - Prence, ormai non ci resta
Più luogo a pentimento. È stretto il nodo:
Io l'ho promesso. Il conservar la fede
Obbligo necessario è di chi regna;
E la necessità gran cose insegna.
Per lei fra l'armi dorme il guerriero;
Per lei fra l'onde canta il nocchiero;
Per lei la morte terror non ha.
Fin le più timide belve fugaci
Valor dimostrano, si fanno audaci,
Quand'è il combattere necessità. (parte)
SCENA IV
Timante solo.
Timante - Ma che vi fece, o stelle,
La povera Dircea, che tante unite
Sventure contro lei? Voi, che inspiraste
I casti affetti alle nostr'alme; voi,
Che al pudico imeneo foste presenti,
Difendetelo, o numi: io mi confondo.
M'oppresse il colpo a segno,
Che il cor mancommi, e si smarrì l'ingegno.
Sperai vicino il lido,
Credei calmato il vento;
Ma trasportar mi sento
Fra le tempeste ancor;
E da uno scoglio infido
Mentre salvar mi voglio,
Urto in un altro scoglio
Del primo assai peggior. (parte)
SCENA V
Porto di mare, festivamente adornato per l'arrivo della principessa di Frigia. Vista di molte navi, dalla più magnifica delle quali, al suono di vari stromenti barbari, preceduti da numeroso corteggio, sbarcano a terra.
Creusa e Cherinto.
Creusa - Ma che t'affanna, o prence?
Perché mesto così? Pensi, sospiri,
Taci, mi guardi, e, se a parlar t'astringo,
Con rimproveri amici,
Molto a dir ti prepari, e nulla dici.
Dove andò quel sereno
Allegro tuo sembiante? ove i festivi
Detti ingegnosi? In Tracia tu non sei
Qual eri in Frigia. Al talamo le spose
In sì lugubre aspetto
S'accompagnan fra voi? Per le mie nozze
Qual augurio è mai questo?
Cherinto - Se nulla di funesto
Presagisce il mio duol, tutto si sfoghi,
O bella principessa,
Tutto sopra di me. Poco i miei mali
Accresceran le stelle. Io de' viventi
Già sono il più infelice.
Creusa - E questo arcano
Non può svelarsi a me? Vaglion sì poco
Il mio soccorso, i miei consigli?
Cherinto - E vuoi
Ch'io parli? Ubbidirò. Dal primo istante...
Quel giorno... Oh Dio! No, non ho cor! Perdona;
Meglio è tacer: meriterei, parlando,
Forse lo sdegno tuo.
Creusa - Lo merta assai
Già la tua diffidenza. È ver che al fine
Io son donna; e sarebbe
Mal sicuro il segreto. Andiamo, andiamo.
Taci pur: n'hai ragion.
Cherinto - Fermati! Oh numi!
Parlerò: non sdegnarti. Io non ho pace;
Tu me la togli: il tuo bel volto adoro;
So che l'adoro in vano,
E mi sento morir. Questo è l'arcano.
Creusa - Come? Che ardir!
Cherinto - Nol dissi
Che sdegnar ti farei?
Creusa - Sperai, Cherinto,
Più rispetto da te.
Cherinto - Colpa d'amore.
Creusa - Taci, taci: non più. (volendo partire)
Cherinto - Ma, già che a forza
Tu volesti, o Creusa,
Il delitto ascoltar, senti la scusa.
Creusa - Che dir potrai?
Cherinto - Che di pietà son degno,
Se ardo per te; che se l'amarti è colpa,
Demofoonte è il reo. Doveva il padre,
Per condurti a Timante,
Altri sceglier che me. Se l'esca avvampa,
Stupir non dee chi l'avvicina al fuoco.
Tu bella sei; cieco io non son. Ti vidi,
T'ammirai, mi piacesti. A te vicino
Ogni dì mi trovai. Comodo e scusa
Il nome di congiunto
Mi diè per vagheggiarti; e me quel nome,
Non che gli altri, ingannò. L'amor, che sempre
Sospirar mi facea d'esserti accanto,
Mi pareva dovere; e mille volte
A te spiegar credei
Gli affetti del german, spiegando i miei.
Creusa - (Ah! me n'avvidi). Un tale ardir mi giunge
Nuovo così, che istupidisco.
Cherinto - E pure
Talor mi lusingai che l'alme nostre
S'intendesser fra loro
Senza parlar. Certi sospiri intesi;
Un non so che di languido osservai
Spesso negli occhi tuoi, che mi parea
Molto più che amicizia.
Creusa - Orsù! Cherinto,
Della mia tolleranza
Cominci ad abusar. Mai più d'amore
Guarda di non parlarmi.
Cherinto - Io non comprendo...
Creusa - Mi spiegherò. Se in avvenir più saggio
Non sei di quel che fosti infino ad ora,
Non comparirmi innanzi. Intendi ancora?
Cherinto - T'intendo, ingrata!
Vuoi ch'io mi uccida:
Sarai contenta,
M'ucciderò.
Ma ti rammenta
Che a un'alma fida
L'averti amata
Troppo costò. (vuol partire)
Creusa - Dove? Ferma!
Cherinto - No, no! troppo t'offende
La mia presenza. (in atto di partire)
Creusa - Odi, Cherinto.
Cherinto - Eh! troppo
Abuserei, restando,
Della tua tolleranza. (come sopra)
Creusa - E chi fin ora
T'impose di partir?
Cherinto - Comprendo assai
Anche quel che non dici.
Creusa - Ah, prence! Ah, quanto
Mal mi conosci! Io da quel punto... (Oh numi!)
Cherinto - Termina i detti tuoi.
Creusa - Da quel punto... (Ah, che fo!) Parti, se vuoi.
Cherinto - Barbara! partirò; ma forse... Oh stelle!
Ecco il german.
SCENA VI
Timante frettoloso, e detti.
Timante - Dimmi, Cherinto: è questa
La frigia principessa?
Cherinto - Appunto.
Timante - Io deggio
Seco parlar. Per un momento solo
Da noi ti scosta.
Cherinto - Ubbidirò. (Che pena!)
Creusa - Sposo, signor.
Timante - Donna real, noi siamo
In gran periglio entrambi. Il tuo decoro,
La vita mia tu sola
Puoi difender, se vuoi.
Creusa - Che avvenne?
Timante - I nostri
Genitori fra noi strinsero un nodo,
Che forse a te dispiace,
Ch'io non richiesi. I pregi tuoi reali
Sarian degni d'un nume,
Non che di me; ma il mio destin non vuole
Ch'io possa esserti sposo. Un vi si oppone
Invincibil riparo. Il padre mio
Nol sa, né posso dirlo. A te conviene
Prevenire un rifiuto. In vece mia,
Va, rifiutami tu. Di' ch'io ti spiaccio;
Aggrava, io tel perdono,
I demeriti miei; sprezzami, e salva
Per questa via, che il mio dover t'addìta,
L'onor tuo, la mia pace e la mia vita.
Creusa - Come!
Timante - Teco io non posso
Trattenermi di più. Prence, alla reggia
Sia tua cura il condurla. (a Cherinto partendo)
Creusa - Ah! dimmi almeno...
Timante - Dissi tutto il cor mio,
Né più dirti saprei: pensaci. Addio! (parte)
SCENA VII
Creusa e Cherinto.
Creusa - Numi! a Creusa, alla reale erede
Dello scettro di Frigia un tale oltraggio!
Cherinto, hai cor?
Cherinto - L'avrei
Se tu non mel toglievi.
Creusa - Ah! l'onor mio
Vendica tu, se m'ami. Il cor, la mano,
Il talamo, lo scettro,
Quanto possiedo, è tuo: limite alcuno
Non pongo al premio.
Cherinto - E che vorresti?
Creusa - Il sangue
Dell'audace Timante.
Cherinto - Del mio german?
Creusa - Che! impallidisci? Ah vile!
Va! troverò chi voglia
Meritar l'amor mio.
Cherinto - Ma, principessa...
Creusa - Non più! Lo so, siete d'accordo entrambi,
Scellerati, a tradirmi.
Cherinto - Io! Come! E credi
Così, dunque, il mio amor poco sincero?
Creusa - Del tuo amor mi vergogno, o falso o vero.
Non curo l'affetto
D'un timido amante,
Che serba nel petto
Sì poco valor.
Che trema, se deve
Far uso del brando,
Ch'è audace sol quando
Si parla d'amor. (parte)
SCENA VIII
Cherinto solo.
Cherinto - Oh dèi! perché tanto furor? che mai
Le avrà detto il german? Voler ch'io stesso
Nelle fraterne vene... Ah! che in pensarlo
Gelo d'orror. Ma con qual fasto il disse!
Con qual fierezza! E pur, quel fasto e quella
Sua fierezza m'alletta: in essa io trovo
Un non so che di grande,
Che, in mezzo al suo furore,
Stupir mi fa, mi fa languir d'amore.
Il suo leggiadro viso
Non perde mai beltà:
Bello nella pietà,
Bello è nell'ira.
Quand'apre i labbri al riso,
Parmi la dea del mar;
E Pallade mi par,
Quando s'adira. (parte)
SCENA IX
Matusio esce furioso con Dircea per mano.
Dircea - Dove, dove, o signor?
Matusio - Nel più deserto
Sen della Libia, alle foreste ircane,
Fra le scitiche rupi, o in qualche ignota,
Se alcuna il mar ne serra,
Separata dal mondo ultima terra.
Dircea - (Aimè!)
Matusio - Sudate, o padri,
Nella cura de' figli. Ecco il rispetto,
Che il dritto di natura,
Che prometter si può la vostra cura.
Dircea - (Ah! scoprì l'imeneo. Son morta). Oh Dio!
Signor, pietà!
Matusio - Non v'è pietà, né fede:
Tutto è perduto!
Dircea - Ecco al tuo piè...
Matusio - Che fai?
Dircea - Io voglio pianger tanto...
Matusio - Il tuo caso domanda altro che pianto.
Dircea - Sappi...
Matusio - Attendimi. Un legno
Volo a cercar, che ne trasporti altrove. (parte)
SCENA X
Dircea, poi Timante.
Dircea - Dove, misera! Ah! dove
Vuol condurmi a morir? Figlio innocente,
Adorato consorte, oh dèi, che pena
Partir senza vedervi!
Timante - Al fin ti trovo,
Dircea, mia vita.
Dircea - Ah! caro sposo, addio,
E addio per sempre. Al tuo paterno amore
Raccomando il mio figlio:
Abbraccialo per me, bacialo, e tutta
Narragli, quando sia
Capace di pietà, la sorte mia.
Timante - Sposa, che dici? Ah! nelle vene il sangue
Gelar mi fai.
Dircea - Certo scoperse il padre
Il nostro arcano. Ebbro è di sdegno, e vuole
Quindi lungi condurmi. Io lo conosco:
Per me non v'è più speme.
Timante - Eh! rassicura
Lo smarrito tuo cor, sposa diletta;
Al mio fianco tu sei.
SCENA XI
Matusio torna frettoloso, e detti.
Matusio - Dircea, t'affretta!
Timante - Dircea non partirà.
Matusio - Chi l'impedisce?
Timante - Io.
Matusio - Come!
Dircea - Aimè!
Matusio - Difenderò col ferro
La paterna ragion. (snuda la spada)
Timante - (fa lo stesso)
Col ferro anch'io
La mia difenderò.
Dircea - (si frappone)
Prence, che fai?
Fermati, o genitore!
Matusio - Empio! impedirmi
Che al crudel sacrifizio una innocente
Vergine io tolga?
Dircea - (Oh dèi!)
Timante - Ma dunque...
Dircea - (piano a Timante, fingendo trattenerlo)
(Ah taci.
Nulla sa: m'ingannai).
Matusio - Volerla oppressa!
Dircea - (Io quasi per timor tradii me stessa).
Timante - Signor, perdona: ecco l'error. Ti vidi
Verso lei, che piangea, correr sdegnato;
Tempo a pensar non ebbi; opra pietosa
Il salvarla credei dal tuo furore.
Matusio - Dunque la nostra fuga
Non impedir. La vittima, se resta,
Oggi sarà Dircea.
Dircea - Stelle!
Timante - Dall'urna
Forse il suo nome uscì?
Matusio - No; ma l'ingiusto
Tuo padre vuol quell'innocente uccisa
Senza il voto del caso.
Timante - E perché tanto
Sdegno con lei?
Matusio - Per punir me, che volli
Impedir che alla sorte
Fosse esposta Dircea; perché produssi
L'esempio suo; perché l'amor paterno
Mi fe' scordar d'esser vassallo.
Dircea - (Oh Dio!
Ogni cosa congiura a danno mio).
Timante - Matusio, non temer: barbaro tanto
Il re non è. Negl'impeti improvvisi
Tutti abbaglia il furor; ma la ragione
Poi ne emenda i trascorsi.
SCENA XII
Adrasto con guardie, e detti.
Adrasto - Olà! ministri,
Custodite Dircea. (le guardie la circondano)
Matusio - Nol dissi, o prence?
Timante - Come?
Dircea - Misera me!
Timante - Per qual cagione
È Dircea prigioniera?
Adrasto - Il re l'impone.
(a Dircea) Vieni!
Dircea - Ah! dove?
Adrasto - Fra poco,
Sventurata! il saprai.
Dircea - Principe, padre,
Soccorretemi voi;
Movetevi a pietà.
Timante - No, non fia vero... (in atto d'assalire)
Matusio - Non soffrirò...
Adrasto - Se v'appressate, in seno
Questo ferro le immergo. (impugnando uno stile)
Timante
- Empio!
(si fermano)
Matusio - Inumano!
Adrasto - Il comando sovrano
Mi giustifica assai.
Dircea - Dunque...
Adrasto - T'affretta:
Sono vane, o Dircea, le tue querele.
Dircea - Vengo. (incamminandosi)
Timante e Matusio - Ah! barbaro! (in atto di assalire)
Adrasto - Olà! (in atto di ferire)
Timante e Matusio - (arrestandosi)
Ferma, crudele!
Dircea - Padre, perdona... Oh pene!
Prence, rammenta... Oh Dio!
(Già che morir degg'io,
Potessi almen parlar!)
Misera! in che peccai?
Come son giunta mai
De' numi a questo segno
Lo sdegno a meritar? (parte con Adrasto)
SCENA XIII
Timante e Matusio.
Timante - Consigliatemi, o dèi.
Matusio - Né s'apre il suolo!
Né un fulmine punisce
Tanta empietà, tanta ingiustizia! E poi
Mi si dirà che Giove
Abbia cura di noi!
Timante - Facciamo, amico,
Miglior uso del tempo. Appresso a lei
Tu vanne, e vedi ov'è condotta. Il padre
Io volo intanto a raddolcir.
Matusio - Non spero...
Timante - Oh Dio! Va: troverassi
Altra via di salvarla, ove non ceda
Del genitor lo sdegno.
Matusio - Oh di padre miglior figlio ben degno! (l'abbraccia e parte)
Timante - Se ardire e speranza
Dal Ciel non mi viene,
Mi manca costanza
Per tanto dolor.
La dolce compagna
Vedersi rapire,
Udir che si lagna,
Condotta a morire,
Son smanie, son pene
Che opprimono un cor. (parte)
ATTO SECONDO
SCENA I
Gabinetti.
Demofoonte e Creusa.
Demofoonte - Chiedi pure, o Creusa. In questo giorno
Tutto farò per te; ma non parlarmi
A favor di Dircea. Voglio che il padre
Morir la vegga. Il temerario offese
Troppo il real decoro. In faccia mia
Sediziose voci
Sparger nel volgo! A' miei decreti opporsi!
Paragonarsi a me! Regnar non voglio,
Se tal vergogna ho da soffrir nel soglio.
Creusa - Io non vengo per altri
A pregarti, signor. Conosco assai
Quel che potrei sperar. Le mie preghiere
Son per me stessa.
Demofoonte - E che vorresti?
Creusa - In Frigia
Subito ritornar. Manca il tuo cenno
Perché possan dal porto
Le navi uscir. Questo io domando; e credo
Che negarlo non puoi, se pur qui, dove
Venni a parte del trono,
(Non è strano il timor) schiava io non sono.
Demofoonte - Che dici, o principessa! Ah, quai sospetti!
Che pungente parlar! Partir da noi!
E lo sposo? E le nozze?
Creusa - Eh! per Timante
Creusa è poco. Una beltà mortale
Non lo speri ottener. Per lui... Ma questa
La mia cura non è. Partir vogl'io:
Posso, o signor?
Demofoonte - Tu sei
L'arbitra di te stessa. In Tracia a forza
Ritenerti io non vuo'. Ma non sperai
Tale ingiuria da te.
Creusa - Non so di noi
Chi ha ragion di lagnarsi: e il prence... Al fine
Bramo partir.
Demofoonte - Ma lo vedesti?
Creusa - Il vidi.
Demofoonte - Ti parlò?
Creusa - Così meco
Parlato non avesse!
Demofoonte - E che ti disse?
Creusa - Signor, basta così.
Demofoonte - Creusa, intendo.
Ruvido troppo, alle parole, agli atti,
Ti parve il prence. Ei freddamente forse
T'accolse, ti parlò. Scuso il tuo sdegno:
A te, che sei di Frigia
A' molli avvezza e teneri costumi,
Aspra rassembra e dura
L'aria d'un Trace. E, se Timante è tale,
Meraviglia non è: nacque fra l'armi,
Fra l'armi s'educò. Teneri affetti
Per lui son nomi ignoti. A te si serba
La gloria d'erudirlo
Ne' misteri d'Amor. Poco, o Creusa,
Ti costerà. Che non insegna un volto
Sì pien di grazie, e due vivaci lumi,
Che parlan come i tuoi? S'apprende in breve
Sotto la disciplina
Di sì dotti maestri ogni dottrina.
Creusa - Al rossor d'un rifiuto una mia pari
Non s'espone però.
Demofoonte - Rifiuto! E come
Lo potresti temer?
Creusa - Chi sa?
Demofoonte - La mano,
Pur che tu non la sdegni, in questo giorno
Il figlio a te darà: la mia ne impegno
Fede reale. E se l'audace ardisse
Di repugnar, da mille furie invaso,
Saprei... Ma no! troppo è lontano il caso.
Creusa - (Sì, sì! Timante all'imeneo s'astringa,
Per poter rifiutarlo). E bene, accetto,
Signor, la tua promessa. Or fia tua cura
Che poi...
Demofoonte - Basta così. Vivi sicura.
Creusa - Tu sai chi son; tu sai
Quel che al mio onor conviene:
Pensaci; e, s'altro avviene,
Non ti lagnar di me.
Tu re, tu padre sei,
Ed obbliar non déi
Come comanda un padre,
Come punisce un re. (parte)
SCENA II
Demofoonte e poi Timante.
Demofoonte - Che alterezza ha costei! Quasi... Ma tutto
Al grado, al sesso ed all'età si doni.
Pur convien che Timante
Troppo mal l'abbia accolta. È forza ch'io
Lo avverta, lo riprenda, acciò, più saggio
Le ripugnanze sue vinca in appresso.
Timante a me... (alle guardie)
Ma vien Timante istesso.
Timante - Mio re, mio genitor, grazia, perdono,
Pietà!
Demofoonte - Per chi?
Timante - Per l'infelice figlia
Dell'afflitto Matusio.
Demofoonte - Ho già deciso
Del suo destin. Non si rivoca un cenno
Che uscì da regio labbro. È d'un errore
Conseguenza il pentirsi; e il re non erra.
Timante - Se si adorano in terra, è perché sono
Placabili gli dèi. D'ogni altro è il Fato
Nume il più grande; e, sol perché non muta
Un decreto giammai, non trovi esempio
Di chi voglia innalzargli un'ara, un tempio.
Demofoonte - Tu non sai che del trono
È custode il timor.
Timante - Poco sicuro.
Demofoonte - Di lui figlio è il rispetto.
Timante - E porta seco
Tutti i dubbi del padre.
Demofoonte - A poco a poco
Diventa amor.
Timante - Ma simulato.
Demofoonte - Il tempo
T'insegnerà quel ch'or non sai. Per ora
D'altro abbiamo a parlar. Dimmi: a Creusa
Che mai facesti? In questo dì tua sposa
Esser deve, e l'irrìti?
Timante - Ho tal per lei
Repugnanza nel cor, che non mi sento
Valor di superarla.
Demofoonte - E pur conviene...
Timante - Ne parleremo. Or per Dircea, signore,
Sono al tuo piè. Quell'innocente vita
Dona a' prieghi d'un figlio.
Demofoonte - E pur di lei
Torni a parlar. Se l'amor mio t'è caro,
Questa impresa abbandona.
Timante - Ah! padre amato,
Non ti posso ubbidir. Deh! se giammai
Il tuo paterno affetto
Son giunto a meritar; se, adorno il seno
D'onorate ferite, alle tue braccia
Ritornai vincitor; se i miei trionfi,
Del tuo sublime esempio
Non tardi frutti, han mai saputo alcuna
Esprimerti dal ciglio
Lagrima di piacer; libera, assolvi
La povera Dircea. Misera! Io solo
Parlo per lei; l'abbandonò ciascuno;
Non ha speme che in me. Sarebbe, oh Dio!
Troppa inumanità, senza delitto,
Nel fior degli anni suoi, su l'are atroci
Vederla agonizzar; vederle a rivi
Sgorgar tiepido il sangue
Dal molle sen; del moribondo labbro
Udir gli ultimi accenti; i moti estremi
Degli occhi suoi... Ma tu mi guardi, o padre!
Tu impallidisci! Ah! lo conosco: è questo
Un moto di pietà. (s'inginocchia) Deh! non pentirti:
Secondalo, o signor. No, finché il cenno
Onde viva Dircea, padre, non dài,
Io dal tuo piè non partirò giammai.
Demofoonte - Principe (oh sommi dèi), sorgi. E che deggio
Creder di te? Quel nominar con tanta
Tenerezza Dircea, queste eccessive
Violenti premure
Che voglion dir? L'ami tu forse?
Timante - In vano
Farei studio a celarlo.
Demofoonte - Ah! questa è dunque
Delle freddezze tue verso Creusa
La nascosta sorgente. E che pretendi
Da questo amor? che per tua sposa forse
Una vassalla io ti conceda? o pensi
Che un imeneo nascosto... Ah! se potessi
Immaginarmi sol...
Timante - Qual dubbio mai
Ti cade in mente! A tutti i numi il giuro,
Non sposerò Dircea; nol bramo: io chiedo
Che viva solo. E se pur vuoi che mora,
Morrà, non lusingarti, il figlio ancora.
Demofoonte - (Per vincerlo, si ceda). E ben, tu 'l vuoi:
Vivrà la tua diletta;
La dono a te.
Timante - Mio caro padre...
(vuol baciargli la mano)
Demofoonte - Aspetta.
Merita la paterna
Condescendenza una mercé.
Timante - La vita,
Il sangue mio...
Demofoonte - No, caro figlio: io bramo
Meno da te. Nella real Creusa
Rispetta la mia scelta. A queste nozze
Non ti mostrar sì avverso.
Timante - Oh Dio!
Demofoonte - Lo veggo,
Ti costan pena: or questa pena accresca
Merito all'ubbidienza. Ebb'io pietade
Della tua debolezza: abbi tu cura
Dell'onor mio. Che si diria, Timante,
Del padre tuo, se per tua colpa astretto
Le promesse a tradir... Ma tanto ingrato
So che non sei. Vieni alla sposa. Al tempio
Conduciamola adesso; adesso in faccia
Agl'invocati dèi
Adempi, o figlio, i tuoi doveri e i miei.
Timante - Signor... non posso.
Demofoonte - Io fin ad ora, o prence,
Da padre ti parlai: non obbligarmi
A parlarti da re.
Timante - Del re, del padre
Venerabili i cenni
Egualmente mi son; ma, tu lo sai,
Amor forza non soffre.
Demofoonte - Amor governa
Le nozze de' privati. Hanno i tuoi pari
Nume maggior che li congiunge: e questo
Sempre è il pubblico ben.
Timante - Se il bene altrui
Tal prezzo ha da costar...
Demofoonte - Prence, son stanco
Di garrir teco. Altra ragion non rendo.
Io così voglio.
Timante - Ed io non posso.
Demofoonte - Audace!
Non sai...
Timante - Lo so: vorrai punirmi.
Demofoonte - E voglio
Che in Dircea s'incominci il tuo castigo.
Timante - Ah, no!
Demofoonte - Parti.
Timante - Ma senti.
Demofoonte - Intesi assai.
Dircea voglio che mora.
Timante - E morendo Dircea...
Demofoonte - Né parti ancora?
Timante - Sì, partirò; ma poi (turbato)
Non ti lagnar...
Demofoonte - Che? temerario! (oh dèi!)
Minacci!
Timante - Io non distinguo
Se priego o se minaccio. A poco a poco
La ragion m'abbandona. A un passo estremo
Non costringermi, o padre. Io mi protesto:
Farei... chi sa...
Demofoonte - Di'; che faresti, ingrato?
Timante - Tutto quel che farebbe un disperato.
Prudente mi chiedi?
Mi brami innocente?
Lo senti, lo vedi,
Dipende da te.
Di lei, per cui peno,
Se penso al periglio,
Tal smania ho nel seno,
Tal benda ho sul ciglio,
Che l'alma di freno
Capace non è. (parte)
SCENA III
Demofoonte solo.
Demofoonte - Dunque m'insulta ognun? L'ardita nuora,
Il suddito superbo, il figlio audace,
Tutti scuotono il freno? Ah! non è tempo
Di soffrir più. Custodi, olà! Dircea
Si tragga al sagrifizio
Senz'altro indugio. Ella è cagion de' falli
Del padre suo, del figlio mio. Né, quando
Fosse innocente ancora,
Viver dovrebbe. È necessario al regno
L'imeneo con Creusa; e mai Timante
Nol compirà, fin che Dircea non muore.
Quando al pubblico giova,
È consiglio prudente
La perdita d'un solo, anche innocente.
Se tronca un ramo, un fiore
L'agricoltor così,
Vuol che la pianta un dì
Cresca più bella.
Tutta sarebbe errore
Lasciarla inaridir,
Per troppo custodir
Parte di quella. (parte)
SCENA IV
Portici.
Matusio e Timante.
Matusio - È l'unica speranza...
Timante - Sì, caro amico, è nella fuga. In vece
Di placarsi a' miei prieghi,
Il re più s'irritò. Fuggir conviene,
E fuggire a momenti. Un agil legno
Sollecito provvedi; in quello aduna
Quanto potrai di prezioso e caro;
E dove fra gli scogli
Alla destra del porto il mar s'interna,
M'attendi ascoso: io con Dircea fra poco
A te verrò.
Matusio - Ma de' custodi suoi...
Timante - Deluderò la cura. Ignota via
V'è chi m'apre all'albergo, ov'ella è chiusa.
Va, ché il tempo è infedele a chi ne abusa.
Matusio - È soccorso d'incognita mano
Quella brama, che l'alma t'accende:
Qualche nume pietoso ti fa.
Dall'esempio d'un padre inumano
Non s'apprende sì bella pietà. (parte)
SCENA V
Timante e poi Dircea, in bianca veste e coronata di
fiori tra le guardie ed i ministri del tempio.
Timante - Gran passo è la mia fuga. Ella mi rende
E povero e privato. Il regno e tutte
Le paterne ricchezze
Io perderò. Ma la consorte e il figlio
Voglion di più. Proprio valor non hanno
Gli altri beni in se stessi, e li fa grandi
La nostra opinion. Ma i dolci affetti
E di padre e di sposo hanno i lor fonti
Nell'ordine del tutto. Essi non sono
Originati in noi
Dalla forza dell'uso o dalle prime
Idee, di cui bambini altri ci pasce:
Già ne ha i semi nell'alma ognun che nasce.
Fuggasi pur!... Ma chi s'appressa? È forse
Il re: veggo i custodi. Ah! no; vi sono
Ancor sacri ministri, e in bianche spoglie
Fra lor... misero me! la sposa. Oh Dio!
Fermatevi! Dircea, che avvenne?
Dircea - Al fine
Ecco l'ora fatale, ecco l'estremo
Istante ch'io ti veggo. Ah, prence! ah, questo
È pur l'amaro passo!
Timante - E come! il padre...
Dircea - Mi vuol morta a momenti.
Timante - (volendo snudar la spada)
Infin ch'io vivo...
Dircea - Signor, che fai? Sol, contro tanti, in vano
Difendi me: perdi te stesso.
Timante - È vero.
Miglior via prenderò. (volendo partire)
Dircea - Dove?
Timante - A raccorre
Quanti amici potrò. Va pure. al tempio
Sarò prima di te. (come sopra)
Dircea - No. Pensa... Oh Dio!
Timante - Non v'è più che pensar. La mia pietade
Già diventa furor. Tremi qualunque
Oppormisi vorrà: se fosse il padre,
Non risparmio delitti. Il ferro, il fuoco
Vuo' che abbatta, consumi
La reggia, il tempio, i sacerdoti, i numi. (parte)
SCENA VI
Dircea, poi Creusa.
Dircea - Fermati! Ah! non m'ascolta. Eterni dèi,
Custoditelo voi. S'ei pur si perde,
Chi avrà cura del figlio? In questo stato
Mi mancava il tormento
Di tremar per lo sposo. Avessi almeno
A chi chieder soccorso... Ah, principessa!
Ah, Creusa, pietà! Non puoi negarla;
La chiede al tuo bel core
Nell'ultime miserie una che muore.
Creusa - Chi sei? che brami?
Dircea - Il caso mio già noto
Pur troppo ti sarà. Dircea son io;
Vado a morir; non ho delitto. Imploro
Pietà, ma non per me. Salva, proteggi
Il povero Timante. Egli si perde
Per desio di salvarmi. In te ritrovi,
Se i prieghi di chi muor vani non sono,
Disperato, assistenza, e, reo, perdono.
Creusa - E tu, a morir vicina,
Come puoi pensar tanto al suo riposo?
Dircea - Oh Dio! più non cercar. Sarà tuo sposo.
Se tutti i mali miei
Io ti potessi dir,
Divider ti farei
Per tenerezza il cor.
In questo amaro pasto
Sì giusto è il mio martìr,
Che, se tu fossi un sasso,
Ne piangeresti ancor.
(parte fra le guardie ed i ministri, che la guidano al tempio)
SCENA VII
Creusa e poi Cherinto.
Creusa - Che incanto è la beltà! Se tale effetto
Fa costei nel mio cor, degno di scusa
È Timante, che l'ama. Appena il pianto
Io potei trattener. Questi infelici
S'aman da vero. E la cagion son io
Di sì fiera tragedia? Ah no: si trovi
Qualche via d'evitarla. Appunto ho d'uopo
Di te, Cherinto.
Cherinto - Il mio germano esangue
Domandar mi vorrai.
Creusa - No: quella brama
Con l'ira nacque e s'ammorzò con l'ira.
Or desio di salvarlo. Al sagrifizio
Già Dircea s'incammina;
Timante è disperato: i suoi furori
Tu corri a regolar; grazia per lei
Ad implorare io vado.
Cherinto - Oh degna cura
D'un'anima reale! E chi potrebbe
Non amarti, o Creusa? Ah! se non fossi
Sì tiranna con me...
Creusa - Ma donde il sai
Ch'io son tiranna? E questo cor diverso
Da quel che tu credesti.
Anch'io... Ma va. Troppo saper vorresti.
Cherinto - No, non chiedo, amate stelle,
Se nemiche ancor mi siete:
Non è poco, o luci belle,
Ch'io ne possa dubitar.
Chi non ebbe ore mai liete,
Chi agli affanni ha l'alma avvezza,
Crede acquisto una dubbiezza,
Ch'è principio allo sperar. (parte)
SCENA VIII
Creusa sola.
Creusa - Se immaginar potessi,
Cherinto, idolo mio, quanto mi costa
Questo finto rigor, che sì t'affanna,
Ah! forse allor non ti parrei tiranna.
È ver che di Timante
Ancor sposa non son: facile è il cambio;
Può dipender da me. Ma, destinata
Al regio erede, ho da servir vassalla
Dove venni a regnar? No, non consente
Che sì debole io sia
Il fasto, la virtù, la gloria mia.
Felice età dell'oro,
Bella innocenza antica,
Quando al piacer nemica
Non era la virtù!
Dal fasto e dal decoro
Noi ci troviamo oppressi,
E ci formiam noi stessi
La nostra servitù. (parte)
SCENA IX
Atrio del tempio d'Apollo. Magnifica, ma breve scala, per cui si ascende al tempio medesimo, la parte interna del quale è tutta scoperta agli spettatori, se non quanto ne interrompono la vista le colonne che sostengono la gran tribuna. Veggonsi l'are cadute, il fuoco estinto, i sacri vasi rovesciati, i fiori, le bende, le scuri e gli altri stromenti del sagrifizio sparsi per le scale e sul piano; i sacerdoti in fuga, i custodi reali inseguiti dagli amici di Timante; e per tutto confusione e tumulto.
Timante, che, incalzando disperatamente per la scala alcune guardie, si perde fra le scene. Dircea, che, dalla cima della scala medesima, spaventata lo richiama. Siegue breve mischia, col vantaggio degli amici di Timante; e, dileguati i combattenti, Dircea, che rivede Timante, corre a trattenerlo, scendendo dal tempio.
Dircea - Santi numi del cielo,
Difendetelo voi! Timante, ascolta;
Timante! ah! per pietà...
Timante - (tornando affannato con ispada alla mano)
Vieni, mia vita,
Vieni: sei salva!
Dircea - Ah, che facesti!
Timante - Io feci
Quel che dovea.
Dircea - Misera me! Consorte,
Oh Dio! tu sei ferito. Oh Dio! tu sei
Tutto asperso di sangue.
Timante - Eh! no, Dircea,
Non ti smarrir. Dalle mie vene uscito
Questo sangue non è: dal seno altrui
Lo trasse il mio furor.
Dircea - Ma guarda...
Timante - Ah! sposa,
Non più dubbi: fuggiamo. (la prende per mano)
Dircea - E Olinto? e il figlio?
Dove resta? senz'esso
Vogliam partir?
Timante - Ritornerò per lui
Quando in salvo sarai. (partendo alla sinistra)
Dircea - Fermati! Io veggo
Tornar per questa parte
I custodi reali.
Timante - È ver; fuggiamo (verso la destra)
Dunque per l'altra via. Ma quindi ancora
Stuol d'armati s'avanza.
Dircea - Aimè!
Timante - (guardando intorno)
Gli amici
Tutti m'abbandonar.
Dircea - Miseri noi!
Or che farem?
Timante - Col ferro
Una via t'aprirò. Sieguimi!
(lascia Dircea, e, colla spada alla mano, s'incammina alla sinistra)
SCENA X
Demofoonte, dal destro lato, con ispada alla mano; guardie per tutte le parti; e detti.
Demofoonte - Indegno!
Non fuggirmi! t'arresta!
Timante - Ah! padre, ah! dove
Vieni ancor tu?
Demofoonte - Perfido figlio!
Timante - (vede crescere il numero della guardie, e si pone innanzi alla sposa)
Alcuno
Non s'appressi a Dircea!
Dircea - Principe, ah! cedi:
Pensa a te.
Demofoonte - No, custodi,
Non si stringa il ribelle: al suo furore
Si lasci il fren. Vediamo
Fin dove giungerà. Via! su! compisci
L'opera illustre. In questo petto immergi
Quel ferro, o traditor! Tremar non debbe
Nel trafiggere un padre
Chi fin dentro a' lor tempii insulta i numi.
Timante - Oh Dio!
Demofoonte - Chi ti trattien? Forse il vedermi
La destra armata? Ecco l'acciaro a terra.
Brami di più? Senza difesa io t'offro
Il tuo maggior nemico. Or l'odio ascoso
Puoi soddisfar: puniscimi d'averti
Prodotto al mondo. A meritar fra gli empi
Il primo onor poco ti manca: ormai
Il più facesti. Altro a compir non resta
Che, del paterno sangue
Fumante ancor, la scellerata mano
Porgere alla tua bella.
Timante - Ah! basta; ah! padre,
Taci, non più! Con quei crudeli accenti
L'anima mi trafiggi. Il figlio reo,
Il colpevole acciaro (s'inginocchia)
Ecco al tuo piè. Quest'infelice vita
Riprenditi, se vuoi; ma non parlarmi
Mai più così. So ch'io trascorsi, e sento
Che ardir non ho per domandar mercede;
Ma un tal castigo ogni delitto eccede.
Dircea - (In che stato è per me!)
Demofoonte - (S'io non avessi
Della perfidia sua prove sì grandi,
Mi sedurrebbe. Eh! non s'ascolti). A' lacci
Quella destra ribelle
Porgi, o fellon.
Timante - Custodi,
(s'alza e va egli stesso a farsi incatenare)
Dove son le catene?
Ecco la man: non le ricusa il figlio,
Del giusto padre al venerato impero.
Dircea - (Pur troppo il mio timor predisse il vero!)
Demofoonte - All'oltraggiato nume
La vittima si renda, e, me presente,
Si sveni, o sacerdoti.
Timante - Ah! ch'io non posso
Difenderti, ben mio!
Dircea - Quante volte in un dì morir degg'io!
Timante - Mio re, mio genitor...
Demofoonte - Lasciami in pace.
Timante - Pietà!
Demofoonte - La chiedi in van.
Timante - Ma ch'io mi vegga
Svenar Dircea su gli occhi,
Non sarà ver. Si differisca almeno
Il suo morir. Sacri ministri, udite:
Sentimi, o padre. Esser non può Dircea
La vittima richiesta. Il sacrifizio
Sacrilego saria.
Demofoonte - Per qual ragione?
Timante - Di': che domanda il nume?
Demofoonte - D'una vergine il sangue.
Timante - E ben Dircea
Non può condursi a morte:
Ella è moglie, ella è madre, è mia consorte.
Demofoonte - Come!
Dircea - (Io tremo per lui!)
Demofoonte - Numi possenti,
Che ascolto mai! L'incominciato rito
Sospendete, o ministri. Ostia novella
Sceglier convien. Perfido figlio! e queste
Son le belle speranze
Ch'io nutrivo di te? Così rispetti
Le umane leggi e le divine? In questa
Guisa tu sei della vecchiezza mia
Il felice sostegno? Ah!
Dircea - Non sdegnarti,
Signor, con lui: son io la rea; son queste
Infelici sembianze. Io fui, che troppo
Mi studiai di piacergli; io lo sedussi
Con lusinghe ad amarmi; io lo sforzai
Al vietato imeneo con le frequenti
Lagrime insidiose.
Timante - Ah! non è vero:
Non crederle, signor. Diversa affatto
È l'istoria dolente. È colpa mia
La sua condescendenza. Ogni opra, ogni arte
Ho posta in uso. Ella da sé lontano
Mi scacciò mille volte; e mille volte
Feci ritorno a lei. Pregai, promisi,
Costrinsi, minacciai. Ridotto al fine
Mi vide al caso estremo: in faccia a lei
Questa man disperata il ferro strinse,
Volli ferirmi; e la pietà la vinse.
Dircea - E pur...
Demofoonte - Tacete! (Un non so che mi serpe
Di tenero nel cor, che in mezzo all'ira,
Vorrebbe indebolirmi. Ah! troppo grandi
Sono i lor falli; e debitor son io
D'un grand'esempio al mondo
Di virtù, di giustizia). Olà! costoro
In carcere distinto
Si serbino al castigo.
Timante - Almen congiunti...
Dircea - Congiunti almen nelle sventure estreme...
Demofoonte - Sarete, anime ree, sarete insieme.
Perfidi! già che in vita
V'accompagnò la sorte,
Perfidi! no, la morte
Non vi scompagnerà.
Unito fu l'errore;
Sarà la pena unita:
Il giusto mio rigore
Non vi distinguerà. (parte)
SCENA XI
Dircea e Timante.
Dircea - Sposo!
Timante - Consorte!
Dircea - E tu per me ti perdi?
Timante - E tu mori per me?
Dircea - Chi avrà più cura
Del nostro Olinto?
Timante - Ah, qual momento!
Dircea - Ah quale...
Ma che! Vogliamo, o prence,
Così vilmente indebolirci? Eh! sia
Di noi degno il dolor. Un colpo solo
Questo nodo crudel divida e franga.
Separiamci da forti, e non si pianga.
Timante - Sì, generosa! approvo
L'intrepido pensier. Più non si sparga
Un sospiro fra noi.
Dircea - Disposta io sono.
Timante - Risoluto son io.
Dircea - Coraggio!
Timante - Addio, Dircea!
Dircea - Principe, addio! (si dividono con intrepidezza; ma, giunti alla scena, tornano a riguardarsi)
Timante - Sposa!
Dircea - Timante!
A due - Oh dèi!
Dircea - Perché non parti?
Timante - Perché torni a mirarmi?
Dircea - Io volli solo
Veder come resisti a' tuoi martìri.
Timante - Ma tu piangi frattanto!
Dircea - E tu sospiri!
Timante - Oh Dio! quanto è diverso
L'immaginar dall'eseguire!
Dircea - Oh, quanto
Più forte mi credei! S'asconda almeno
Questa mia debolezza agli occhi tuoi.
Timante - Ah! fermati, ben mio. Senti!
Dircea - Che vuoi?
Timante - La destra ti chiedo,
Mio dolce sostegno,
Per ultimo pegno
D'amore e di fé.
Dircea - Ah! questo fu il segno
Del nostro contento;
Ma sento che adesso
L'istesso non è.
Timante - Mia vita, ben mio!
Dircea - Addio, sposo amato.
A due - Che barbaro addio!
Che fato crudel!
Che attendono i rei
Dagli astri funesti,
Se i premi son questi
D'un'alma fedel?
(partono, condotti separatamente dalle guardie in carceri distinte)
ATTO TERZO
SCENA I
Cortile interno del carcere, in cui è custodito Timante.
Timante e Adrasto.
Timante - Taci! E speri ch'io voglia,
Quando muore Dircea, serbarmi in vita,
Stringendo un'altra sposa? E con qual fronte
Sì vil consiglio osi propor?
Adrasto - L'istessa
Tua Dircea lo propone. Ella ti parla
Così per bocca mia. Dice che è questo
L'ultimo don che ti domanda.
Timante - Appunto
Perch'ella il vuol, non deggio farlo.
Adrasto - E pure...
Timante - Basta così!
Adrasto - Pensa, signor...
Timante - Non voglio,
Adrasto, altri consigli.
Adrasto - Io per salvarti
Pietoso m'affatico...
Timante - Chi di viver mi parla, è mio nemico.
Adrasto - Non odi consiglio?
Soccorso non vuoi?
È giusto se poi
Non trovi pietà.
Chi vede il periglio,
Né cerca salvarsi,
Ragion di lagnarsi
Del fato non ha. (parte)
SCENA II
Timante e poi Cherinto.
Timante - Perché bramar la vita? e quale in lei
Piacer si trova? Ogni fortuna è pena;
È miseria ogni età. Tremiam, fanciulli,
D'un guardo al minacciar; siam giuoco, adulti,
Di Fortuna e d'Amor; gemiam, canuti,
Sotto il peso degli anni. Or ne tormenta
La brama d'ottenere; or ne trafigge
Di perdere il timor. Eterna guerra
Hanno i rei con se stessi; i giusti l'hanno
Con l'invidia e la frode. Ombre, deliri,
Sogni, follie son nostre cure; e quando
Il vergognoso errore
A scoprir s'incomincia, allor si muore.
Ah! si mora una volta...
Cherinto - Amato prence,
Vieni al mio sen. (l'abbraccia)
Timante - Così sereno in volto
Mi dài gli estremi amplessi? E queste sono
Le lagrime fraterne
Dovute al mio morir?
Cherinto - Che amplessi estremi?
Che lagrime? che morte? Il più felice
Tu sei d'ogni mortal. Placato il padre
È già con te; tutto obbliò. Ti rende
La tenerezza sua, la sposa, il figlio,
La libertà, la vita.
Timante - A poco a poco,
Cherinto, per pietà! Troppe son queste,
Troppe gioie in un punto. Io verrei meno
Già di piacer, se ti credessi appieno.
Cherinto - Non dubitar, Timante.
Timante - E come il padre
Cambiò pensier? Quando partì dal tempio,
Me con Dircea voleva estinto.
Cherinto - Il disse
E l'eseguia; che inutilmente ognuno
S'affannò per placarlo. Io cominciavo,
Principe, a disperar, quando comparve
Creusa in tuo soccorso.
Timante - In mio soccorso
Creusa, che oltraggiai?
Cherinto - Creusa. Ah! tutti
Di quell'anima bella
Tu non conosci i pregi. E che non disse,
Che non fe' per salvarti? I merti tuoi
Come ingrandì! Come scemò l'orrore
Del fallo tuo! Per quante strade e quante
Il cor gli ricercò! Parlar per voi
Fece l'utile, il giusto,
La gloria, la pietà. Se stessa offesa
Gli propose in esempio,
E lo fece arrossir. Quand'io m'avvidi
Che il genitor già vacillava, allora
Volo (il Ciel m'inspirò), cerco Dircea:
Con Olinto la trovo. Entrambi appresso
Frettoloso mi traggo; e al regio ciglio
Presento in quello stato e madre e figlio.
Questo tenero assalto
Terminò la vittoria. O sia che l'ira
Per soverchio avvampar fosse già stanca,
O che allor tutte in lui
Le sue ragioni esercitasse il sangue,
Il re cedé, si raddolcì, dal suolo
La nuora sollevò, si strinse al petto
L'innocente bambin, gli sdegni suoi
Calmò, s'intenerì, pianse con noi.
Timante - Oh mio dolce germano!
Oh caro padre mio! Cherinto, andiamo,
Andiamo a lui!
Cherinto - No: il fortunato avviso
Recarti ei vuol. Si sdegnerà, se vede
Ch'io lo prevenni.
Timante - E tanto amore, e tanta
Tenerezza ha per me, che fino ad ora
La meritai sì poco? Oh, come chiari
La sua bontà rende i miei falli! Adesso
Li veggo, e n'ho rossor. Potessi almeno
Di lui col re di Frigia
Disimpegnar la fé. Cherinto, ah! salva
L'onor suo, tu che puoi. La man di sposo
Offri a Creusa in vece mia. Difendi
Da una pena infinita
Gli ultimi dì della paterna vita.
Cherinto - Che mi proponi, o prence! Ah! per Creusa,
Sappilo al fin, non ho riposo; io l'amo
Quanto amar si può mai. Ma...
Timante - Che?
Cherinto - Non spero
Ch'ella m'accetti. Al successor reale
Sai che fu destinata: io non son tale.
Timante - Altro inciampo non v'è?
Cherinto - Grande abbastanza
Questo mi par.
Timante - Va; la paterna fede
Disimpegna, o german: tu sei l'erede.
Cherinto - Io?
Timante - Sì. Già lo saresti,
S'io non vivea per te. Ti rendo, o prence,
Parte sol del tuo dono,
Quando ti cedo ogni ragione al trono.
Cherinto - E il genitore...
Timante - E il genitore almeno
Non vedremo arrossir. Povero padre!
Posso far men per lui? Che cosa è un regno
A paragon di tanti
Beni ch'egli mi rende?
Cherinto - Ah! perde assai
Chi lascia una corona.
Timante - Sempre è più quel che resta a chi la dona.
Cherinto - Nel tuo dono io veggo assai
Che del don maggior tu sei:
Nessun trono invidierei
Come invidio il tuo gran cor.
Mille moti in un momento
Tu mi fai svegliar nel petto,
Di vergogna, di rispetto,
Di contento e di stupor. (parte)
SCENA III
Timante e poi Matusio con un foglio in mano.
Timante - Oh figlio! oh sposa! oh care
Parti dell'alma mia! dunque fra poco
V'abbraccerò sicuro? È dunque vero
Che fino all'ore estreme,
Senza più palpitar, vivremo insieme?
Numi, che gioia è questa! A prova io sento
Che ha più forza un piacer d'ogni tormento.
Matusio - Prence! signor!
Timante - Sei tu, Matusio? Ah! scusa
Se in vano al mar tu m'attendesti.
Matusio - Assai
Ti scusa il luogo in cui ti trovo.
Timante - E come
Potesti mai qui penetrar?
Matusio - Cherinto
M'agevolò l'ingresso.
Timante - Ei t'avrà dette
Le mie felicità.
Matusio - No: frettoloso
Non so dove correa.
Timante - Gran cose, amico,
Gran cose ti dirò.
Matusio - Forse più grandi
Da me ne ascolterai.
Timante - Sappi che in terra
Il più lieto or son io.
Matusio - Sappi che or ora
Scopersi un gran segreto.
Timante - E quale?
Matusio - Ascolta
Se la novella è strana.
Dircea non è mia figlia: è tua germana.
Timante - Mia germana Dircea! (turbato)
Eh! tu scherzi con me.
Matusio - Non scherzo, o prence.
La cuna, il sangue, il genitor, la madre
Hai comuni con lei.
Timante - Taci! Che dici?
(Ah, nol permetta il Ciel!)
Matusio - Fede sicura
Questo foglio ne fa.
Timante - (con impazienza)
Che foglio è quello?
Porgilo a me.
Matusio - Sentimi pria. Morendo,
Chiuso mel diè la mia consorte; e volle
Giuramento da me che, tolto il caso
Che a Dircea sovrastasse alcun periglio,
Aperto non l'avrei.
Timante - Quand'ella adunque
Oggi dal re fu destinata a morte,
Perché non lo facesti?
Matusio - Eran tant'anni
Scorsi di già, ch'io l'obbliai.
Timante - Ma come
Or ti sovvien?
Matusio - Quando a fuggir m'accinsi,
Fra le cose più care
Il ritrovai, che trassi meco al mare.
Timante - Lascia al fin ch'io lo vegga. (con impazienza)
Matusio - Aspetta.
Timante - Oh stelle!
Matusio - Rammenti già che alla real tua madre
Fu amica sì fedel la mia consorte,
Che in vita l'adorò, seguilla in morte?
Timante - Lo so.
Matusio - Questo ravvisi
Reale impronto?
Timante - Sì.
Matusio - Vedi ch'è il foglio
Di propria man della regina impresso?
Timante - Sì; non straziarmi più. (con impazienza)
Matusio - (gli porge il foglio)
Leggilo adesso.
Timante - (Mi trema il cor). (legge) Non di Matusio è figlia,
Ma del tronco reale
Germe è Dircea. Demofoonte è il padre;
Nacque da me. Come cambiò fortuna
Altro foglio dirà. Quello si cerchi
Nel domestico tempio, a piè del nume,
Là dove altri non osa
Accostarsi che il re. Prova sicura
Eccone intanto: una regina il giura.
Argia.'
Matusio - Tu tremi, o prence!
Questo è più che stupor. Perché ti copri
Di pallor sì funesto?
Timante - (Onnipotenti dèi, che colpo è questo!)
Matusio - Narrami adesso almeno
Le tue felicità.
Timante - Matusio, ah! parti.
Matusio - Ma che t'affligge! Una germana acquisti,
Ed è questa per te cagion di duolo?
Timante - Lasciami, per pietà! lasciami solo! (si getta a sedere)
Matusio - Quanto le menti umane
Son mai varie fra lor! Lo stesso evento
A chi reca diletto, a chi tormento.
Ahche né mal verace,
Né vero ben si dà:
Prendono qualità
Da' nostri affetti.
Secondo in guerra o in pace
Trovano il nostro cor,
Cambiano di color
Tutti gli oggetti. (parte)
SCENA IV
Timante solo.
Timante - Misero me! Qual gelido torrente
Mi ruina sul cor! Qual nero aspetto
Prende la sorte mia! Tante sventure
Comprendo al fin. Perseguitava il Cielo
Un vietato imeneo. Le chiome in fronte
Mi sento sollevar. Suocero e padre
M'è dunque il re? figlio e nipote Olinto?
Dircea moglie e germana? Ah, qual funesta
Confusion d'opposti nomi è questa!
Fuggi, fuggi, Timante! agli occhi altrui
Non esporti mai più. Ciascuno a dito
Ti mostrerà. Del genitor cadente
Tu sarai la vergogna; e quanto, oh Dio,
Si parlerà di te! Tracia infelice,
Ecco l'Edipo tuo. D'Argo e di Tebe
Le Furie in me tu rinnovar vedrai.
Ah, non t'avessi mai
Conosciuta, Dircea! Moti del sangue
Eran quei ch'io credevo
Violenze d'amor. Che infausto giorno
Fu quel che pria ti vidi! I nostri affetti
Che orribili memorie
Saran per noi! Che mostruoso oggetto
A me stesso io divengo! Odio la luce;
Ogni aura mi spaventa; al piè tremante
Parmi che manchi il suol; strider mi sento
Cento folgori intorno; e leggo, oh Dio!
Scolpito in ogni sasso il fallo mio.
SCENA V
Creusa, Demofonte, Adrasto con Olinto per mano, e Dircea,
l'un dopo l'altro, da parti opposte, e detto.
Creusa - Timante!
Timante - Ah! principessa; ah! perché mai
Morir non mi lasciasti?
Demofoonte - Amato figlio!
Timante - Ah! no, con questo nome
Non chiamarmi mai più.
Creusa - Forse non sai...
Timante - Troppo, troppo ho saputo!
Demofoonte - Un caro amplesso,
Pegno del mio perdon... Come! t'involi
Dalle paterne braccia?
Timante - Ardir non ho di rimirarti in faccia.
Creusa - Ma perché?
Demofoonte - Ma che avvenne?
Adrasto - Ecco il tuo figlio:
Consolati, signor.
Timante - Dagli occhi, Adrasto,
Toglimi quel bambin.
Dircea - Sposo adorato!
Timante - Parti, parti, Dircea!
Dircea - Da te mi scacci
In dì così giocondo?
Timante - Dove, misero me! dove m'ascondo?
Dircea - Ferma!
Demofoonte - Senti!
Creusa - T'arresta!
Timante - Ah! voi credete
Consolarmi, crudeli, e m'uccidete.
Demofoonte - Ma da chi fuggi?
Timante - Io fuggo
Dagli uomini, dai numi,
Da voi tutti e da me.
Dircea - Ma dove andrai?
Timante - Ove non splenda il sole,
Ove non sian viventi, ove sepolta
La memoria di me sempre rimanga.
Demofoonte - E il padre?
Adrasto - E il figlio?
Dircea - E la tua sposa?
Timante - Oh Dio!
Non parlate così. Padre, consorte,
Figlio, german son dolci nomi agli altri;
Ma per me sono orrori.
Creusa - E la cagione?
Timante - Non curate saperla:
Scordatevi di me.
Dircea - Deh! per quei primi
Fortunati momenti in cui ti piacqui...
Timante - Taci, Dircea.
Dircea - Per que' soavi nodi...
Timante - Ma taci, per pietà! Tu mi trafiggi
L'anima, e non lo sai.
Dircea - Già che si poco
Curi la sposa, almen ti muova il figlio.
Guardalo: è quell'istesso
Che altre volte ti mosse;
Guardalo: è sangue tuo.
Timante - Così nol fosse!
Dircea - Ma in che peccò? perché lo sdegni? a lui
Perché nieghi uno sguardo? Osserva, osserva
Le pargolette palme
Come solleva a te: quanto vuol dirti
Con quel riso innocente!
Timante - Ah! se sapessi,
Infelice bambin, quel che saprai
Per tua vergogna un giorno,
Lieto così non mi verresti intorno.
Misero pargoletto,
Il tuo destin non sai.
Ah! non gli dite mai
Qual era il genitor.
Come in un punto, oh Dio,
Tutto cambiò d'aspetto!
Voi foste il mio diletto,
Voi siete il mio terror. (parte)
SCENA VI
Demofoonte, Dircea, Creusa, Adrasto, e Olinto.
Demofoonte - Sieguilo, Adrasto.
(Adrasto parte, dopo aver consegnato Olinto ad un servo, che lo conduce fuori di scena)
Ah! chi di voi mi spiega
Se il mio Timante è disperato o stolto?
Ma voi smarrite in volto:
Mi guardate e tacete! Almen sapessi
Qual ruina sovrasta,
Qual riparo apprestar. Numi del Cielo,
Datemi voi consiglio;
Fate almen ch'io conosca il mio periglio.
Odo il suono de' queruli accenti,
Veggo il fumo che intorbida il giorno,
Strider sento le fiamme d'intorno,
Né comprendo l'incendio dov'è.
La mia tema fa il dubbio maggiore,
Nel mio dubbio s'accresce il timore,
Tal ch'io perdo per troppo spavento
Qualche scampo che v'era per me. (parte)
SCENA VII
Dircea e Creusa.
Creusa - E tu, Dircea, che fai? Di te si tratta;
Si tratta del tuo sposo. Appresso a lui
Corri, cerca saper... Ma tu non m'odi?
Tu le attonite luci
Non sollevi dal suol? Dal tuo letargo
Svegliati al fin. Sempre il peggior consiglio
È il non prenderne alcun. Se altro non sai
Sfoga il duol che nascondi;
Piangi, lagnati almen, parla, rispondi!
Dircea - Che mai risponderti,
Che dir potrei?
Vorrei difendermi,
Fuggir vorrei;
Né so qual fulmine
Mi fa tremar.
Divenni stupida
Nel colpo atroce;
Non ho più lagrime,
Non ho più voce;
Non posso piangere,
Non so parlar. (parte)
SCENA VIII
Creusa sola.
Creusa - Qual terra è questa! Io perché venni a parte
Delle miserie altrui? Quante in un giorno,
Quante il caso ne aduna! Ire crudeli
Tra figlio e genitor, vittime umane,
Contaminati tempii,
Infelici imenei. Mancava solo
Che tremar si dovesse
Senza saper perché. Ma troppo, o sorte,
È violento il tuo furor: conviene
Che passi o scemi. In così rea fortuna
Parte è di speme il non averne alcuna.
Non dura una sventura
Quando a tal segno avanza:
Principio è di speranza
L'eccesso del timor.
Tutto si muta in breve;
E il nostro stato è tale,
Che, se mutar si deve,
Sempre sarà miglior. (parte)
SCENA IX
Luogo magnifico nella reggia, festivamente adornato per le nozze di Creusa.
Timante e Cherinto.
Timante - Dove, crudel! dove mi guidi? Ah! queste
Liete pompe festive
Son pene a un disperato.
Cherinto - Io non conosco
Più il mio german. Che debolezza è questa
Troppo indegna di te? Senza saperlo,
Errasti al fin. Sei sventurato, è vero,
Ma non sei reo. Qualunque male è lieve,
Dove colpa non è.
Timante - Dall'opre il mondo
Regola i suoi giudizi; e la ragione,
Quando l'opra condanna, indarno assolve.
Son reo pur troppo; e se fin or nol fui,
Lo divengo vivendo. Io non mi posso
Dimenticar Dircea. Sento che l'amo;
So che non deggio. In così brevi istanti
Come franger quel nodo,
Che un vero amor, che un imeneo, che un figlio
Strinser così? che le sventure istesse
Resero più tenace? e tanta fede?
E sì dolci memorie?
E sì lungo costume? Oh Dio! Cherinto,
Lasciami per pietà! Lascia ch'io mora,
Finché sono innocente.
SCENA X
Adrasto e poi Matusio, indi Dircea con Olinto; e detti.
Adrasto - Il re per tutto
Ti ricerca, o Timante. Or con Matusio
Dal domestico tempio uscir lo vidi.
Ambo son lieti in volto,
Né chiedon che di te.
Timante - Fuggasi: io temo
Troppo l'incontro del paterno ciglio.
Matusio - Figlio mio! caro figlio! (abbracciandolo)
Timante - A me tal nome!
Come? perché?
Matusio - Perché mio figlio sei,
Perché son padre tuo.
Timante - Tu sogni... Oh stelle!
Torna Dircea!
Dircea - No, non fuggirmi, o sposo;
Tua germana io non son.
Timante - Voi m'ingannate
Per rimettere in calma il mio pensiero.
SCENA XI
Demofoonte con séguito, e detti.
Demofoonte - Non t'ingannan, Timante: è vero, è vero.
Timante - Se mi tradiste adesso,
Sarebbe crudeltà.
Demofoonte - Ti rassicura;
No, mio figlio non sei. Tu con Dircea
Fosti cambiato in fasce. Ella è mia prole,
Tu di Matusio. Alla di lui consorte
La mia ti chiese in dono. Utile al regno
Il cambio allor credé; ma, quando poi
Nacque Cherinto, al proprio figlio il trono
D'aver tolto s'avvide, e a me l'arcano
Non ardì palesar, che troppo amante
Già di te mi conobbe. All'ore estreme
Ridotta al fin, tutto in due fogli il caso
Scritto lasciò. L'un diè all'amica, e quello
Matusio ti mostrò: l'altro nascose,
Ed è questo che vedi.
Timante - E perché tutto
Nel primo non spiegò?
Demofoonte - Solo a Dircea
Lasciò in quello una prova
Del regio suo natal. Bastò per questo
Giurar ch'era sua figlia. Il gran segreto
Della vera tua sorte era un arcano
Da non fidar che a me, perch'io potessi,
A seconda de' casi,
Palesarlo o tacerlo. A tale oggetto
Celò quest'altro foglio in parte solo
Accessibile a me.
Timante - Sì strani eventi
Mi fanno dubitar.
Demofoonte - Troppo son certe
Le prove, i segni. Eccoti il foglio, in cui
Di quanto ti narrai la serie è accolta.
Timante - Non deludermi, o sorte, un'altra volta. (prende il foglio e legge fra sé)
SCENA ULTIMA
Creusa e detti.
Creusa - Signor, veraci sono
Le felici novelle, onde la reggia
Tutta si riempì?
Demofoonte - Sì, principessa,
Ecco lo sposo tuo. L'erede, il figlio
Io ti promisi; ed in Cherinto io t'offro
Ed il figlio e l'erede.
Cherinto - Il cambio forse
Spiace a Creusa.
Creusa - A quel che il Ciel destina
In van farei riparo.
Cherinto - Ancora non vuoi dir ch'io ti son caro?
Creusa - L'opra stessa il dirà.
Timante - Dunque son io
Quell'innocente usurpator di cui
L'oracolo parlò?
Demofoonte - Sì. Vedi come
Ogni nube sparì. Libero è il regno
Dall'annuo sagrificio. Al vero erede
La corona ritorna. Io le promesse
Mantengo al re di Frigia,
Senza usar crudeltà. Cherinto acquista
La sua Creusa; ella uno scettro. Abbracci
Sicuro tu la tua Dircea. Non resta
Una cagion di duolo;
E scioglie tanti nodi un foglio solo.
Timante - Oh caro foglio! oh me felice! Oh numi!
Da qual orrido peso
Mi sento alleggerir! Figlio, consorte,
Tornate a questo sen: posso abbracciarvi
Senza tremar.
Dircea - Che fortunato istante!
Creusa - Che teneri trasporti!
Timante - (s'inginocchia)
A' piedi tuoi
Eccomi un'altra volta,
Mio giustissimo re. Scusa gli eccessi
D'un disperato amor. Sarò, lo giuro,
Sarò miglior vassallo
Che figlio non ti fui.
Demofoonte - Sorgi. Tu sei
Mio figlio ancor. Chiamami padre: io voglio
Esserlo fin che vivo. Era fin ora
Obbligo il nostro amor; ma quindi innanzi
Elezion sarà: nodo più forte,
Fabbricato da noi, non dalla sorte.
Coro - Par maggiore ogni diletto,
Se in un'anima si spande
Quand'oppressa è dal timor.
Qual piacer sarà perfetto,
Se convien, per esser grande,
Che cominci dal dolor?
LICENZA
Che le sventure, i falli,
Le crudeltà, le violenze altrui
Servano in dì sì grande
Di spettacol festivo agli occhi tui,
Non è strano, o signor. Gli opposti oggetti
Rende più chiari il paragon. Distingue
Meglio ciascun di noi
Nel mal, che gli altri oppresse, il ben ch'ei gode:
E il ben, che noi godiam, tutto è tua lode.
A morte una innocente
Mandi il Trace inumano; ognun ripensa
Alla giustizia tua. Frema e s'irrìti
De' miseri al pregar; rammenta ognuno
La tua pietà. Barbaro sia col figlio;
Ciascun qual sei conosce
Tenero padre a noi. Qualunque eccesso
Rappresentin le scene, in te ne scopre
La contraria virtù. L'ombra in tal guisa
Ingegnoso pennello al chiaro alterna:
Così artefice industre,
Qualor lucida gemma in oro accoglie,
Fosco color le sottopone; e quella,
Presso al contrario suo, splende più bella.
Aspira a facil vanto
Chi l'ombre, onde maggior
Si renda il tuo splendor,
Trovar desia.
Luce l'antica età
Chiara così non ha,
Che alla tua luce accanto,
Ombra non sia.
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