Pietro Metastasio - Opera Omnia >>  Ciro riconosciuto




 

ilmetastasio testo integrale brano completo citazione delle fonti commedie opere storiche opere teatrali in prosa e in versi


ARGOMENTO

Il crudelissimo Astiage, ultimo re de' Medi, in occasione del parto della sua figliuola Mandane, dimandò spiegazione agl'indovini sopra alcun suo sogno, e gli fu da loro predetto che il nato nipote dovea privarlo del regno: ond'egli, per prevenir questo rischio, ordinò ad Arpago che uccidesse il picciolo Ciro (ché tal era il nome del nato infante), e divise Mandane dal consorte Cambise, rilegando questo in Persia e ritenendo l'altra appresso di sé, affinché non nascesser da loro, insieme con altri figli, nuove cagioni a' suoi timori. Arpago, non avendo coraggio di eseguir di propria mano così barbaro comando, recò nascostamente il bambino a Mitridate, pastore degli armenti reali, perché l'esponesse in un bosco. Trovò che la consorte di Mitridate avea, in quel giorno appunto, partorito un fanciullo, ma senza vita; onde la natural pietà, secondata dal comodo cambio, persuase ad entrambi che Mitridate esponesse il proprio figliuolo già morto, ed il picciol Ciro, sotto il nome d'Alceo, in abito di pastore, in luogo di quello, educasse. Scorsi da questo tempo presso a tre lustri, destossi una voce che Ciro, ritrovato in una foresta bambino, fosse stato dalla pietà d'alcuno conservato e che fra gli Sciti vivesse. Vi fu impostore così ardito, che, approfittandosi di questa favola o avendola forse a bello studio inventata, assunse il nome di Ciro. Turbato Astiage a tal novella, fece a sé venire Arpago, e dimandollo di nuovo se avesse egli veramente ucciso il picciolo Ciro, quando gli fu imposto da lui. Arpago, che dagli esterni segni avea ragione di sperare che fosse pentito il re, stimò questa un'opportuna occasione di tentar l'animo suo; e rispose di non avere avuto coraggio d'ucciderlo, ma d'averlo esposto in un bosco: preparato a scoprir tutto il vero, quando il re si compiacesse della sua pietosa disubbidienza, e sicuro frattanto che, quando se ne sdegnasse, non potean cadere i suoi furori che sul finto Ciro, di cui con questa dimezzata confessione accreditava l'impostura. Sdegnossi Astiage, ed in pena del trasgredito comando privò Arpago d'un figlio, e con sì barbare circostanze, che, non essendo necessarie all'azione che si rappresenta, trascuriamo volentieri di rammentarle. Sentì trafiggersi il cuore l'infelice Arpago nella perdita del figlio; ma pure, avido di vendetta, non lasciò di libertà alle smanie paterne se non quanta ne bisognava perché la soverchia tranquillità non iscemasse credenza alla sua simulata rassegnazione. Fece credere al re che nelle lagrime sue avesse parte maggiore il pentimento del fallo che il dolor del castigo; e rassicurollo a segno che, se non gli rese interamente la confidenza primiera, almeno non si guardava da lui. Incominciarono quindi Arpago a meditar le sue vendette, ed Astiage le vie d'assicurarsi il trono con l'oppressione del creduto nipote. Il primo si applicò a sedurre, ad irritare i grandi contro del re e ad eccitare il principe Cambise fino in Persia, dove viveva in esilio; il secondo a simular pentimento della sua crudeltà usata contro di Ciro, tenerezza per lui, desiderio di rivederlo e risoluzione di riconoscerlo per suo successore. Ed all'uno ed all'altro riuscì così felicemente il disegno, che non mancava ormai che lo stabilimento del giorno e del luogo, ad Arpago per opprimere il tiranno con l'acclamazione del vero Ciro, ad Astiage per aver nelle sue forze il troppo credulo impostore col mezzo d'un fraudolento invito. Era costume de' re di Media il celebrare ogni anno su' confini del regno (dov'erano appunto le capanne di Mitridate) un solenne sagrifizio a Diana. Il giorno ed il luogo di tal sagrifizio (che saran quelli dell'azione che si rappresenta) parvero ad entrambi opportuni all'esecuzione de' loro disegni. Ivi per vari accidenti ucciso il finto Ciro, scoperto ed acclamato il vero, si vide Astiage assai vicino a perdere il regno e la vita; ma, difeso dal generoso nipote, pieno di rimorso e di tenerezza, depone su la fronte di lui il diadema reale, e lo conforta sul proprio esempio a non abusarne, com'egli ne avea abusato.
(ERODOTO, Clio, lib. I; GIUSTINO, lib. I; CTESIA, Hist. Excerpt.; VALERIO MASSIMO, lib. I, cap. 7, ecc.).



INTERLOCUTORI

Astiage re de' Medi, padre di Mandane.
Mandane moglie di Cambise, madre di Ciro.
Ciro sotto nome d'Alceo, in abito di pastore, creduto figlio di Mitridate.
Arpago confidente d'Astiage, padre d'Arpalice.
Arpalice confidente di Mandane.
Mitridate pastore degli armenti reali.
Cambise principe persiano, consorte di Mandane e padre di Ciro, in abito pastorale.


L'azione si rappresenta in una campagna su' confini della Media.


ATTO PRIMO

SCENA I

Campagna su' confini della Media, sparsa di pochi alberi, ma tutta ingombrata di numerose tende per comodo d'Astiage e della sua corte. Da un lato gran padiglione aperto, dall'altro steccati per le guardie reali.

Mandane seduta e Arpalice.

Mandane - Ma di': non è quel bosco (con impazienza)
Della Media il confine?

Arpalice - È quello.

Mandane - Il loco
Questo non è, dove alla dea triforme
Ogni anno Astiage ad immolar ritorna
Le vittime votive?

Arpalice - Appunto.

Mandane - E scelto
Questo dì, questo loco
Non fu dal genitore al primo incontro
Del ritrovato Ciro?

Arpalice - E ben, per questo
Che mi vuoi dir?

Mandane - Che voglio dirti? E dove
Questo Ciro s'asconde?
Che fa? perché non viene?

Arpalice - Eh! principessa,
L'ore corron più lente
Che il materno desio. Sai che prescritta
Del tuo Ciro all'arrivo è l'ora istessa
Del sacrifizio. Alla notturna dea
Immolar non si vuole
Pria che il sol non tramonti; e or nasce il sole.

Mandane - È ver; ma non dovrebbe
Il figlio impaziente?... Ah! ch'io pavento...
Arpalice...

Arpalice - E di che, se Astiage istesso,
Che lo voleva estinto, oggi il suo Ciro
Chiama, attende, sospira?

Mandane - E non potrebbe
Finger così?

Arpalice - Finger! Che dici? E vuoi
Che di tanti spergiuri
Si faccia reo? che ad ingannarlo il tempo
Scelga d'un sacrifizio, e far pretenda
Del tradimento suo complici i numi?
No: col Cielo in tal guisa
Non si scherza, o Mandane.

Mandane - E pur, se fede
Prestar si dee... Ma chi s'appressa? Ah! corri..
Forse Ciro...

Arpalice - È una ninfa.

Mandane - È ver. Che pena!

Arpalice - (Tutto Ciro le sembra). E ben?

Mandane - Se fede
Meritan pur le immagini notturne,
Odi quel fiero sogno...

Arpalice - Ah! non parlarmi
Di sogni, o principessa: è di te indegna
Sì pueril credulità. Tu déi
Più d'ognun detestarla. Un sogno, il sai,
Fu cagion de' tuoi mali. In sogno il padre
Vide nascer da te l'arbor che tutta
L'Asia copria: n'ebbe timor; ne volle
Interpreti que' saggi, il cui sapere
Sta nel nostro ignorar. Questi, ogni fallo
Usi a lodar ne' grandi, il suo timore
Chiamar prudenza, ed affermar che un figlio
Nascerebbe da te, che il trono a lui
Dovea rapir. Nasce il tuo Ciro, e a morte
(O barbara follia!)
Su la fede d'un sogno il re l'invia.
Né gli bastò. Perché mai più non fosse
Il talamo fecondo
A te di prole e di timori a lui,
Esule il tuo consorte
Scaccia lungi da te. Vedi a qual segno
Può acciecar questa insana
Vergognosa credenza.

Mandane - Eh! non è sogno
Che ormai l'ottava messe
Due volte germogliò, da che perdei,
Nato appena, il mio Ciro. Oggi l'attendo,
E mi speri tranquilla?

Arpalice - In te credei
Più moderato almeno
Questo materno amor. Perdesti il figlio
Nel partorirlo, ed il terz'anno appena
Compievi allora oltre il secondo lustro:
In quella età s'imprime
Leggiermente ogni affetto.

Mandane - Ah! non sei madre;
Perciò... Ma non è quello
Arpago, il padre tuo? Sì. Forse ei viene...
Arpago...



SCENA II

Arpago e dette.

Arpago - Principessa,
È giunto il figlio tuo.

Mandane - (s'alza)
Dov'è?

Arpago - Non osa
Passar del regno oltre il confin, sin tanto
Che il re non vien. Questa è la legge.

Mandane - Andiamo,
Andiamo a lui. (incamminandosi)

Arpago - Ferma, Mandane: il padre
Vuol esser teco al grande incontro.

Mandane - E il padre
Quando verrà?

Arpago - Già incamminossi.

Mandane - Almeno,
Arpago, va! ritrova Ciro...

Arpago - Io deggio
Qui rimaner fin che il re venga.

Mandane - Amica
Arpalice, se m'ami,
Va tu! (Felice me!) Presso a quel bosco
Egli sarà.

Arpalice - Volo a servirti. (volendo partire)

Mandane - Ascolta.
Esattamente osserva
L'aria, la voce, i moti suoi; se in volto
Ha più la madre o il genitor. Va, corri,
E a me torna di volo... Odimi: i suoi
Casi domanda, i miei gli narra, e digli
Ch'egli è... ch'io sono... Oh dèi!
Digli quel che non dico e dir vorrei.

Arpalice - Basta così, intendo:
Già ti spiegasti appieno,
E mi diresti meno,
Se mi dicessi più.
Meglio parlar tacendo:
Dir molto in pochi detti
De' violenti affetti
È solita virtù. (parte)



SCENA III

Mandane e Arpago.

Mandane - Ed Astiage non viene! Arpago, io vado
Ad affrettarlo. Ah, fosse
Il mio sposo presente! Oh Dio, qual pena
Sarà per lui, nel doloroso esiglio,
Saper trovato il figlio,
Non poterlo veder! Tutte figuro
Le smanie sue; gli sto nel cor.

Arpago - Mandane,
Odi: taci il segreto e ti consola.
Cambise oggi vedrai.

Mandane - Cambise! E come?

Arpago - Di più non posso dirti.

Mandane - Ah! mi lusinghi,
Arpago.

Arpago - No: sulla mia fé riposa:
Tel giuro, oggi il vedrai.

Mandane - Vedrò lo sposo?
L'unico, il primo oggetto
Del tenero amor mio, che già tre lustri
Piansi in vano e chiamai?

Arpago - Sì.

Mandane - Numi eterni,
Che impetuoso è questo
Torrente di contenti! Oh figlio! oh sposo!
Oh me felice! Arpago, amico, io sono
Fuor di me stessa; e nel contento estremo
Per soverchio piacer lagrimo e tremo

Par che di giubilo
L'alma deliri,
Par che mi manchino
Quasi i respiri,
Che fuor del petto
Mi balzi il cor.
Quanto è più facile
Che un gran diletto
Giunga ad uccidere
Che un gran dolor! (parte)



SCENA IV

Arpago solo.

Arpago - Sicuro è il colpo. Oggi farò palese
Il vero occulto Ciro; oggi il tiranno
Del sacrifizio atteso
La vittima sarà. Con tanta cura
Lo sdegno mio dissimulai, che il folle
Non diffida di me. Sedotti sono,
Fuor che pochi custodi,
Tutti i suoi più fedeli: infin Cambise
Del disegno avvertii. Potete al fine,
Ire mie, scintillar: fuggite ormai
Dal carcere del cor; soffriste assai.

Già l'idea del giusto scempio
Mi rapisce, mi diletta;
Già, pensando alla vendetta,
Mi comincio a vendicar.
Già quel barbaro, quell'empio
Fa di sangue il suol vermiglio;
Ed il sangue del mio figlio
Già si sente rinfacciar. (parte)



SCENA V

Parte interna della capanna abitata da Mitridate con porta in faccia, che unicamente v'introduce.

Ciro e Mitridate.

Ciro - Come! io son Ciro? e quanti
Ciri vi son? Già sul confin del regno
Sai pur che un Ciro è giunto. Il re non venne
Per incontrarlo?

Mitridate - Il re s'inganna. È quello
Un finto Ciro: il ver tu sei.

Ciro - L'arcano
Meglio mi spiega; io non l'intendo.

Mitridate - Ascolta.
Sognò Astiage una volta...

Ciro - Io so di lui
Il sogno ed il timor; de' saggi suoi
So il barbaro consiglio; il nato Ciro
So che ad Arpago diessi; e so...

Mitridate - Non darti
Sì gran fretta, o signor. Quindi incomincia
Quel che appunto non sai: sentilo. Il fiero
Cenno non ebbe core
Arpago d'eseguir. Fra gli ostri involto,
Timido a me ti reca...

Ciro - E tu nel bosco...

Mitridate - No; lascia ch'io finisca. (Oh impaziente
Giovane età!) La mia consorte avea
Un bambin senza vita
Partorito in quel dì. Proposi il cambio:
Piacque. Te per mio figlio
Sotto nome d'Alceo serbo, ed espongo
L'estinto in vece tua.

Ciro - Dunque...

Mitridate - Non vuoi
Ch'io siegua? Addio.

Ciro - Sì, sì, perdona.

Mitridate - Il cenno
Credé compiuto il re. Pensovvi, e, sciolto
Dal suo timor, vide il suo fallo, intese
Del sangue i moti, e fra i rimorsi suoi
Pace più non avea. Quasi tre lustri
Arpago tacque. Al fin stimò costante
D'Astiage il pentimento; e te gli parve
Tempo di palesar. Pur, come saggio,
Prima il guado tentò. Desta una voce
S'era in que' dì che Ciro
Fra gli Sciti vivea; ch'altri in un bosco
Lo raccolse bambino. O sparso fosse
Dall'impostor quel grido, o che dal grido
Nascesse l'impostor, vi fu l'audace
Che il tuo nome usurpò.

Ciro - Sarà quel Ciro
Che vien...

Mitridate - Quello. T'accheta. Al re la fola
Arpago accreditò, dentro al suo core
Ragionando in tal guisa: ‘O il re ne gode,
Ed io potrò sicuro
Il suo Ciro scoprirgli; o il re si sdegna,
E i suoi sdegni cadranno
Sopra dell'impostor.

Ciro - Ma, già che tanto
Tenero Astiage è del nipote e vuole
Oggi stringerlo al sen, perché si tace
Il vero a lui?

Mitridate - Dell'animo reale
Arpago non si fida. Il re gli fece
Svenare un figlio in pena
Del trasgredito cenno; e mal s'accorda
Tanto affetto per Ciro e tanto sdegno
Per chi lo conservò. Prima fu d'uopo
Contro di lui munirti. Al fin l'impresa
Oggi è matura. Al tramontar del sole
Sarai palese al mondo; abbraccerai
La madre, il genitor. Questi fra poco
Verrà: l'altra già venne.

Ciro - È forse quella
Che mi parve sì bella or or, che quindi
Frettolosa passò?

Mitridate - No: fu la figlia
D'Arpago.

Ciro - Addio. (vuol partire)

Mitridate - Dove?

Ciro - A cercar la madre. (in atto di partire)

Mitridate - Fermati! ascolta. Ella, Cambise e ognuno
Crede fin ora al finto Ciro, e giova
L'inganno lor; che se Mandane...

Ciro - A lei
Mai per qualunque incontro
Non spiegherò chi sono,
Fin che tu nol permetta. Addio. Diffidi
Della promessa mia? Tutti ne chiamo
In testimonio i numi. (partendo)

Mitridate - Ah! senti. E quando
Comincerai cotesti
Impeti giovanili
A frenare una volta? In quel che brami
Tutto t'immergi, e a quel che déi non pensi.
Sai qual giorno sia questo
Per la Media e per te? sai ch'ogni impresa
S'incomincia dal Ciel? Va prima al tempio;
L'assistenza de' numi
Devoto implora; e in avvenir, più saggio,
Regola i moti... Ah, come parlo! All'uso
Di tant'anni, o signor, questa perdona
Paterna libertà. So che favella
Cambiar teco degg'io. Rigido padre,
No, non riprendo un figlio:
Servo fedele, il mio signor consiglio.

Ciro - Padre mio, caro padre, è vero, è vero;
Conosco i troppo ardenti
Impeti miei: gli emenderò. Cominci
L'emenda mia dall'ubbidirti. Ah! mai,
Mai più non dir che il figlio tuo non sono:
È troppo caro a questo prezzo il trono.

Ognor tu fosti il mio
Tenero padre amante:
Essere il tuo vogl'io
Tenero figlio ognor.
E in faccia al mondo intero
Rispetterò, regnante,
Quel venerato impero,
Che rispettai pastor. (parte)



SCENA VI

Mitridate e poi Cambise in abito di pastore.

Mitridate - Chi potrebbe a que' detti
Temperarsi dal pianto?

Cambise - (guardando intorno)
Il Ciel ti sia
Fausto, o pastor.

Mitridate - Te pur secondi. (Oh dèi!
Non è nuovo quel volto agli occhi miei).

Cambise - Se gli ospitali numi
Si veneran fra voi, mostrami, amico,
Del sacrifizio il loco. Anch'io straniero
Vengo la pompa ad ammirarne.

Mitridate - Io stesso
Colà ti scorgerò. (No, non m'inganno:
Egli è Cambise). (guardandolo attentamente)

Cambise - (Ed Arpago non trovo!)

Mitridate - (Scoprasi a lui...) Ma chi vien mai?

Cambise - Son quelli
I reali custodi?

Mitridate - Anzi il re stesso.

Cambise - Astiage? (sorpreso)

Mitridate - Sì.

Cambise - Lascia ch'io parta.

Mitridate - È troppo
Già presso. Fra que' rami
Colà raccolti in fascio
Celati.

Cambise - Oh fiero incontro! (si nasconde)



SCENA VII

Astiage, Mitridate e Cambise celato.

Astiage - (chiudendo la porta)
Alcun non osi
Qui penetrar, custodi.

Mitridate - (A che vien l'inumano?
O già vide Cambise, o sa l'arcano).

Astiage - Chi è teco? (guardando sospettosamente intorno)

Mitridate - Alcun non v'è. (Tremo).

Astiage - Ricerca
Con più cura ogni parte. (va a sedere)

Mitridate - (Il vostro aiuto,
Santi numi, io vi chiedo). (fingendo cercare)

Cambise - (Io son perduto).

Mitridate - Siam soli. (tornando al re)

Astiage - Or di': serbi memoria ancora
De' benefizi miei?

Mitridate - Tutto rammento.
Di cento doni e cento
Io ti fui debitor, quando m'accolse
La tua corte real. Quest'ozio istesso
Dell'umil vita, in cui felice io sono,
È, lo confesso, è di tua destra un dono.

Astiage - Se da te dipendesse
La mia tranquillità, se quel ch'io voglio
Fosse nel tuo poter, dimmi: potrei
Sperarti grato?

Mitridate - (Ah! Ciro ei vuol).

Astiage - Rispondi.

Mitridate - E che poss'io?

Astiage - Questa corona in fronte
Sostenermi tu puoi. Sta quel, ch'io cerco,
Nelle tue mani. Ad onta mia serbato
Ciro, tu il sai...

Mitridate - (Misero me!)

Astiage - Nel viso
Tu cambi di color! La mia richiesta
Prevedi forse e ti spaventi?

Mitridate - Io veggo...
Signor... pietà! (s'inginocchia)

Astiage - No, non smarrirti: è il colpo
Facil più che non credi. Al falso invito
Ciro credé. Già sul confin del regno
Con pochi Sciti è giunto, e l'ora attende
Al venir stabilita.

Mitridate - (Parla del finto Ciro: io torno in vita).

Astiage - Sorgi. (Mitridate si alza) Tu sai del bosco
Ogni confin: può facilmente Ciro
Esser da te con qualche insidia oppresso.

Mitridate - (Ah! quasi per timor tradii me stesso).

Cambise - (Barbaro!)

Astiage - E ben?

Mitridate - (Per affrettar che parta,
Tutto a lui si prometta). Ad ubbidirti,
Mio re, son pronto. (risoluto)

Cambise - (Ah, scellerato!)

Astiage - All'opra
Solo non basterai: sceglier conviene
Cauto i compagni.

Mitridate - Oltre il mio figlio Alceo,
Uopo d'altri non ho.

Astiage - Questo tuo figlio
Bramo veder.

Mitridate - (Nuovo spavento. Almeno
Si liberi Cambise). Alle reali
Tende signor, tel condurrò.

Astiage - No: voglio
Qui parlar seco. A me lo guida.

Mitridate - Altrove
Meglio...

Astiage - (sostenuto) Non più: vanne, ubbidisci.

Mitridate - (Oh Dio!
In qual rischio è Cambise e Ciro ed io!) (parte)



SCENA VIII

Astiage e Cambise celato.

Astiage - E pur dagl'inquieti
Miei seguaci timori
Parmi di respirar. Non so s'io deggia
Alla speme del colpo o alla stanchezza
Delle vegliate notti
Quel soave languor, che per le vene
Dolcemente mi serpe. Ah! forse a questo
Umil tetto lo deggio, in cui non sanno
Entrar le abitatrici
D'ogni soglio real cure infelici.

Sciolto dal suo timor,
Par che non senta il cor
L'usato affanno.
Languidi gli occhi miei... (s'addormenta)

Cambise - Che veggo, amici dèi! Dorme il tiranno! (esce)
Barbaro re, con tante furie in petto,
Come puoi riposar? Vindici numi,
Quel sonno è un'opra vostra. Il sangue indegno
Da me volete: io v'ubbidisco. Ah, mori! (snudando la spada)

Astiage - Perfido! (sognando)

Cambise - (trattenendosi) Aimè! si desta.
AST. (sognando)
Aita!

Cambise - Ei vide
L'acciaro balenar. (vuol celarsi, poi si ferma, accorgendosi che Astiage sogna)
AST. (sognando)
Ciro m'uccide.

Cambise - Ciro! Parlò sognando. Eh! cada ormai:
Cada il crudele. (in atto di ferire)



SCENA IX

Mandane e detti.

Mandane - Ah! traditor, che fai?

Cambise - Mandane. (con voce bassa)

Mandane - Olà! (alle guardie verso la porta)

Cambise - T'accheta. (a voce bassa, come sopra)

Mandane - Olà! custodi.

Cambise - Taci.

Mandane - Padre! (verso Astiage)

Cambise - (seguendola) Idol mio.

Mandane - (scuotendolo)
Destati, o padre.

Cambise - Non mi ravvisi? (Mandane nol guarda mai)

Astiage - (destandosi)
Oh dèi!
Dove son? Chi mi desta? E tu chi sei?

Cambise - Io son... Venni...

Mandane - L'iniquo
Con quel ferro volea...

Cambise - Ma, principessa,
Meglio guardami in volto.

Mandane - Ah! scellerato... (guardandolo)
Misera me! (lo riconosce)

Astiage - Perché divien la figlia
Così pallida e smorta?

Mandane - (Cambise! aimè! lo sposo mio! Son morta!)

Astiage - Ah! traditor, ti riconosco. In queste
Menzognere divise
Non sei tu...

Cambise - Sì, tiranno, io son Cambise.

Mandane - (Sconsigliata, ah, che feci!)

Astiage - (a Cambise)
Anima rea,
Tu contro il mio divieto
In Media entrare ardisti? e in finte spoglie?
E insidiator della mia vita? Ah! tale
Scempio farò di te...

Cambise - Le tue minacce
Atterrir non mi sanno.
Uccidimi, tiranno: al tuo destino
Non fuggirai però. Già l'ora estrema
Hai vicina e nol sai. Sappilo e trema.

Mandane - (Tacesse almen).
AST. (frettoloso)
Come! che dici? oh stelle!
Dove? quando? in qual guisa?
Chi m'insidia? perché? Parla!

Cambise - Ch'io parli?
Non aver tal speranza:
Già, per farti gelar, dissi abbastanza.

Astiage - Custodi, olà! della città vicina
Nel carcere più orrendo
Strascinate l'infido:
Là parlerai.

Cambise - Del tuo furor mi rido.

Mandane - Numi, che far degg'io?
Ah! padre... ah! sposo...

Cambise - Addio, Mandane, addio!

Non piangete, amati rai;
Nol richiede il morir mio:
Lo sapete, io sol bramai
Rivedervi e poi morir.
E tu resta ognor dubbioso,
Crudo re, senza riposo
Le tue furie alimentando,
Fabbricando il tuo martìr. (parte fra' custodi)



SCENA X

Mandane ed Astiage.

Mandane - Signor... (piangendo)

Astiage - (pieno di timore) Quelle minacce,
Mandane, udisti? Ah! s'io sapessi almeno...
Il sapresti tu mai? Parla. O congiuri
Tu ancor co' miei nemici?

Mandane - Io! come! e puoi
Temere, oh dèi! ch'io pur ti brami oppresso?

Astiage - Chi sa? Temo d'ognun; temo me stesso.

Fra mille furori
Che calma non hanno,
Fra mille timori
Che intorno mi stanno,
Accender mi sento,
Mi sento gelar.
In quei che lusingo,
Mi fingo i rubelli;
E tremo di quelli
Che faccio tremar. (parte)



SCENA XI

Mandane, e poi Ciro, fuggendo.

Mandane - Oh padre! oh sposo! oh me dolente! e come...

Ciro - Bella ninfa... pietà. (guardandosi indietro)

Mandane - Lasciami in pace,
Pastor: la cerco anch'io.

Ciro - Deh!...

Mandane - Parti.

Ciro - Ah! senti.
O ninfa, o dea, qualunque sei; ché al volto
Non mi sembri mortal.

Mandane - Che vuoi?

Ciro - Difesa
All'innocenza mia. Fuggo dall'ira
De' custodi reali.

Mandane - E il tuo delitto
Qual è?

Ciro - Mentre poc'anzi
Solo al tempio n'andava... Ecco i custodi:
Difendimi.

Mandane - Nessuno
S'avanza ancor. (Qual mai tumulto in petto
Quel pastorel mi desta!)

Ciro - (Qual mai per me cara sembianza è questa!)

Mandane - Siegui.

Ciro - Mentre poc'anzi
Solo al tempio n'andava, udii la selva
Di strida femminili
Dal più folto sonar. Mi volsi e vidi
Due, non so ben s'io dica
Masnadieri o soldati,
Stranieri al certo, una leggiadra ninfa
Presa rapir. L'atto villano, il volto
Non ignoto al mio cor, destommi in seno
Sdegno e pietà. Corro gridando, e il dardo
Vibro contro i rapaci. Al colpo, al grido,
Un ferito di lor, timidi entrambi,
Lascian la preda. Ella sen fugge, ed io
Seguitarla volea; quando, importuno,
Uom di giovane età, d'atroce aspetto,
Cinto di ricche spoglie,
M'attraversa il cammino, e vuol ragione
Del ferito compagno. Io non l'ascolto,
Per seguir lei che fugge. Offeso il fiero
Dal mio tacer, snuda l'acciaro e corre
Superbo ad assalirmi: io, disarmato,
Non aspetto l'incontro; a lui m'involo.
Ei m'incalza, io m'affretto. Eccoci in parte
Dove manca ogni via. Mi volgo intorno;
Non veggo scampo: ho da una parte il monte,
Dall'altra il fiume e l'inimico a fronte.

Mandane - E allor?

Ciro - Dall'alta ripa
Penso allor di lanciarmi; e, mentre il salto
Ne misuro con gli occhi, armi più pronte
M'offre il timor. Due gravi sassi in fretta
Colgo, m'arretro, e incontro a lui, che viene,
Scaglio il primiero. Egli la fronte abbassa;
Gli striscia il crin l'inutil colpo, e passa.
Emendo il fallo, e violento in guisa
Spingo il secondo sasso,
Che previen la difesa; e a lui, pur come
Senno avesse e consiglio,
Frange una tempia in sul confin del ciglio.

Mandane - Gran sorte!

Ciro - Alla percossa
Scolorisce il feroce. Un caldo fiume
Gl'inonda il volto; apre le braccia; al suolo
Abbandona l'acciar; rotando in giro,
Dalla pendente riva
Già di cadere accenna; a un verde ramo
Pur si ritien: ma quello
Cede al peso e lo siegue. Ei, rovinando
Per la scoscesa sponda,
Balzò nel fiume e si perdé nell'onda.

Mandane - Ed è questo il delitto...

Ciro - Ecco la ninfa
Cui di seguir mi frastornò quel fiero.



SCENA XII

Arpalice e detti.

Mandane - Arpalice, ed è vero?...

Arpalice - Ah! dunque udisti,
Mandane, il caso atroce?

Mandane - Or l'ascoltai.

Ciro - (Numi! alla madre mia fin or parlai).

Arpalice - Io non ho, principessa,
Fibra nel sen che non mi tremi al solo
Pensier del tuo dolore.

Mandane - E donde mai
Così presto il sapesti?

Arpalice - Ah! le sventure
Van su l'ale de' venti. Ammiro anch'io
Come in tempo sì corto
Sia già noto ad ognun che Ciro è morto.

Mandane - Ciro!

Ciro - (Il rival forse svenai!)

Mandane - (ad Arpalice)
Che dici?

Arpalice - Che, se per man d'Alceo
Perder dovevi il figlio, era assai meglio
Non averlo trovato.

Mandane - Come! Ciro è l'ucciso! Ah, scellerato! (volgendosi a Ciro)

Arpalice - (Nol sapea: m'ingannai).

Ciro - (Dicasi... Ah! no, ché di tacer giurai).

Mandane - Perfido! E vieni, oh stelle!
A chiedermi difesa? In questa guisa
D'una madre infelice
Si deride il dolor?

Ciro - Non seppi...

Mandane - Ah! taci,
Taci, fellon: tutto sapesti; è tutto
Menzogna il tuo racconto. O figlio, o cara
Parte del sangue mio, dunque di nuovo,
Misera! t'ho perduto? e quando? e come?
Oh perdita! oh tormento!

Ciro - (Resister non si può: morir mi sento).

Mandane - Arpalice, or che dici?
Era presago il mio timor? Ma tanto,
No, non temei. Perder un figlio è pena;
Ma che un vil... ma che un empio... Ah, traditore!
Con queste mani io voglio
Aprirti il sen, svellerti il core.

Ciro - Oh Dio!
Tu ti distruggi in pianto:
Svellimi il cor, ma non affligger tanto.

Mandane - Ch'io non m'affligga? E l'uccisor del figlio
Così parla alla madre?

Ciro - Eh! tu non sei...
Son io... Quello non fu... (Che pena, oh dèi!)

Mandane - Ministri, al re traete
Quel carnefice reo. (i custodi, disposti ad eseguire il cenno, vegliano sopra Ciro)
Poca vendetta
È il sangue tuo, ma pur lo voglio.

Arpalice - Affrena
Gli sdegni tuoi. Necessitato e senza
Saperlo, egli offese. Imìta, imìta
La clemenza de' numi.

Mandane - I numi sono
Per me tiranni: in cielo
Non v'è pietà, non v'è giustizia...

Arpalice - Ah! taci:
Il dolor ti seduce. Almen gli dèi
Non irritiam.

Mandane - Ridotta a questo segno,
Non temo il loro sdegno,
Non bramo il loro aiuto:
Il mio figlio perdei, tutto ho perduto.

Rendimi il figlio mio:
Ah! mi si spezza il cor.
Non son più madre, oh Dio!
Non ho più figlio.
Qual barbaro sarà,
Che, a tanto mio dolor,
Non bagni per pietà
Di pianto il ciglio? (parte)



SCENA XIII

Arpalice e Ciro.

Ciro - Arpalice, consola
Quella madre dolente.

Arpalice - Ho troppo io stessa
Di conforto bisogno e di consiglio.

Ciro - E che mai sì t'affligge?

Arpalice - Il tuo periglio.

Ciro - Ah, bastasse a destarti
Alcun per me tenero affetto al core!

Arpalice - Perché, Alceo, perché mai nascer pastore!

Ciro - Ma, se pastor non fossi,
Nutrir potrei questa speranza audace?

Arpalice - Se non fossi pastor... Lasciami in pace.

Ciro - Sappi, che al nascer mio..

Arpalice - Siegui.

Ciro - (Giurai tacer).

Arpalice - Sappi che bramo anch'io...

Ciro - Parla.

Arpalice - Crudel dover!)

Ciro - Perché t'arresti ancora?

Arpalice - Perché cominci e cessi?

A due - Ah, se parlar potessi,
Quanto direi di più!

Ciro - Finger con chi s'adora...

Arpalice - Celar quel che si brama...

A due - È troppo, a chi ben ama,
Incomoda virtù.



ATTO SECONDO

SCENA I

Vasta pianura ingombrata di ruine d'antica città, già per lungo tempo inselvatichite.

Mandane e Mitridate.

Mandane - Ah, Mitridate! ah, che mi dici! Alceo
Dunque è il mio Ciro?

Mitridate - Oh Dio!
Più sommessa favella. (guardando con timore all'intorno)

Mandane - Alcun non ode.

Mitridate - Potrebbe udir. Sotto un crudele impero
Troppo mai non si tace. Un sogno, un'ombra
Passa per fallo, e si punisce. È incerta
D'ogni amico la fé: le strade, i tempii,
Le mense istesse, i talami non sono
Dall'insidie sicuri. Ovunque vassi,
V'è ragion di tremar: parlano i sassi.

Mandane - Ma rassicura almeno
I dubbi miei.

Mitridate - Rassicurar ti vuoi?
Dimandane il tuo cor. Qual più sincero
Testimonio ha una madre?

Mandane - È vero, è vero.
Or mi sovvien: quando mi venne innanzi
La prima volta Alceo, tutto m'intesi,
Tutto il sangue in tumulto. Ah! perché tanto
Celarmi il ver?

Mitridate - Così geloso arcano
Mal si fida a' trasporti
Del materno piacer. Se il tuo dolore
Pietà non mi facea, se del tuo sdegno
Contro Alceo non temevo, ignoto ancora
Ti sarebbe il tuo figlio.

Mandane - A parte a parte
Tutto mi spiega.

Mitridate - Io veggo
Da lungi il re.

Mandane - Col fortunato avviso
Corriamo a lui.

Mitridate - Ferma! (Nol dissi?) Ah, taci,
Se vuoi salvo il tuo Ciro.

Mandane - Eterni dèi!
Perché?

Mitridate - Parti.

Mandane - Ma il padre...

Mitridate - Or di più non cercar.

Mandane - Sai che il mio figlio
Prigioniero è per me.

Mitridate - Se parti e taci,
Libero tel prometto.

Mandane - E per qual via?

Mitridate - (Che pena!) A me ne lascia
Tutto il pensier: va.

Mandane - Come vuoi. Ma posso
Crederti, Mitridate,
Fidarmi a te?

Mitridate - Se puoi fidarti? oh stelle!
Se puoi credermi? oh dèi! Bella mercede
Dalla grata Mandane ha la mia fede!

Mandane - Non sdegnarti, a te mi fido:
Credo a te: non sono ingrata;
Ma son madre e sfortunata:
Compatisci il mio timor.
Va: se in te pietade ha nido
A salvarmi il figlio attendi;
La più tenera difendi
Cara parte del mio cor. (parte)



SCENA II

Mitridate, poi Atigage.

Mitridate - Oh de' provvidi numi
Infinito saper, per qual di Ciro
Mirabile cammin guidi la sorte!
Lo manda Astiage a morte;
La mia pietà lo serba; e a me, perch'io
Non possa esser convinto,
Nasce opportuno al cambio un figlio estinto.
Si sa che Ciro è in vita;
Il re lo cerca; e, affinch'ei sia deluso,
Ecco, né si sa come,

Usurpa un impostor di Ciro il nome.
Vien lusingato il falso erede; e il vero
Nol conosce e l'uccide; e il colpo appunto
In tal tempo succede,
Che il tiranno lo crede
Esecuzion d'un suo comando. E pure
Trovasi ancor chi, per sottrarsi a' numi,
Forma un nume del caso, e vuol che il mondo
Da una mente immortal retto non sia.
Cecità temeraria! empia follia!

Astiage - Mitridate.

Mitridate - Signor, fosti ubbidito.
Ciro non vive più.

Astiage - Lo so. Ti deggio,
Amico, il mio riposo. E qual poss'io
Render degna mercede a' merti tui?
Vieni, vieni al mio seno. (Odio costui).

Mitridate - Altro premio io non vuo'...

Astiage - Non trattenerti,
Mitridate, con me: potrebbe alcuno
Dubitar del segreto.

Mitridate - Il figlio Alceo...

Astiage - So che vuoi dirmi: è prigioniero. Io penso
A salvarlo, a premiarti.
Tutto farò per voi: fidati e parti.

Mitridate - Vado, mio re.

Astiage - (Più non tornasse almeno!)

Mitridate - (Qual tempesta i tiranni han sempre in seno!) (parte)



SCENA III

Astiage e poi Arpago.

Astiage - Che oggetto tormentoso agli occhi miei
Costui divenne! Ei sa il mio fallo: a tutti
Palesarlo potrà. Servo mi resi
Del più reo de' miei servi. Ah! Mitridate
Mora dunque, ed Alceo. L'estinto Ciro
Il pretesto sarà... No. S'io gli espongo
A un pubblico giudizio, il mio segreto
Paleseran costoro
Per imprudenza o per vendetta. È meglio
Assolverli per ora: un colpo ascoso

Indi gli opprima. E in qual funesta entrai
Necessità d'esser malvagio! A quanti
Delitti obbliga un solo! E come, oh Dio,
Un estremo mi porta all'altro estremo!
Son crudel perché temo; e temo appunto
Perché son sì crudel. Congiunta in guisa
È al mio timor la crudeltà, che l'una
Nell'altro si trasforma, e l'un dell'altra
È cagione ed effetto; onde un'eterna
Rinnovazion d'affanni
Mi propaga nell'alma i miei tiranni.

Arpago - Ah! signor... (affettando affanno)

Astiage - (con ispavento) Giusti dèi! che fu?

Arpago - Sicuro.
Non è il sangue real.

Astiage - Che! si cospira
Contro di me?

Arpago - No; ma il tuo Ciro estinto
Chiede vendetta.

Astiage - (Altro temei).

Arpago - (Di tutto
Il misero paventa).

Astiage - Udisti, amico,
Dunque la mia sventura? Il sol perdei
Conforto mio.

Arpago - (Falso dolor! Con l'arte
L'arte deluderò).

Astiage - Né mi è permesso
Punire alcun senza ingiustizia: è stato
Involontario il colpo.

Arpago - Alceo lo dice:
Ma chi sa?

Astiage - Non mi resta
Luogo a sospetti. Ho indubitate prove
Dell'innocenza sua. Punir nol deggio
D'una colpa del caso. Alceo si ponga,
Arpago, in libertà; ma fa che mai
A me non si presenti,
Né le perdite mie più mi rammenti.

Arpago - Ubbidito sarai.



SCENA IV

Arpalice e detti.

Arpalice - Gran re, perdono!
Pietà!

Astiage - Di che?

Arpalice - Del più crudel delitto
Che una suddita rea...

Astiage - (con timore) Come! tu ancora...
Parla. Che fu?

Arpago - (Torna a tremar).

Arpalice - Son io
La misera cagion che Ciro è morto:
Alceo colpa non ha. Le sue catene
Sciogli pietoso, or che al tuo piè sen viene.

Astiage - Dov'è?

Arpalice - Vedilo.



SCENA V

Ciro fra le guardie e detti.

Astiage - È quello
Di Mitridate il figlio? (Ad Arpago a parte)

Arpago - Appunto.

Astiage - Oh dèi,
Che nobil volto! Il portamento altero
Poco s'accorda alla natia capanna.
Che dici? (ad Arpago)

Arpago - È ver; ma l'apparenza inganna.

Ciro - Dimmi, Arpalice: è quello
Il nostro re? (ad Arpalice a parte)

Arpalice - Sì.

Ciro - (Pur mi desta in petto
Sensi di tenerezza e di rispetto). (da sé)

Astiage - (Parlar seco è imprudenza:
Partasi). (s'incammina e poi si ferma)

Arpago - (Lode al Cielo!)

Astiage - (ad Arpago a parte) Arpago, e pure
In quel sembiante un non so che ritrovo,
Che non distinguo e non mi giunge nuovo.

Arpago - (Aimè!)

Ciro - Pria che mi lasci, (appressandosi al re)
Eccelso re...

Arpago - Taci, pastor: commessa
È a me la sorte tua: parlando, aggravi
Il suo dolor.

Ciro - Più non favello. (ritirandosi)

Arpago - E ancora,
Signor, non vai? Qual maraviglia è questa?
Perché cambi color? Che mai t'arresta?

Astiage - Non so: con dolce moto
Il cor mi trema in petto;
Sento un affetto ignoto,
Che intenerir mi fa.
Come si chiama, oh Dio!
Questo soave affetto?
(Ah! se non fosse mio,
Lo crederei pietà). (parte)



SCENA VI

Ciro, Arpago ed Arpalice.

Arpago - (Partì: respiro). Arpalice, col reo
Lasciami solo.

Arpalice - Ah! genitor, tu m'ami,
Sai che Alceo mi difese, e reo lo chiami?

Arpago - Sparse il sangue real.

Arpalice - Senza saperlo,
Assalito...

Arpago - Non più: va.

Arpalice - Se nol salvi,
L'umanitade offendi.
Ah! della figlia il difensor difendi.

Arpago - E se il tuo difensore
Un traditor poi fosse?

Arpalice - Un traditore!

Guardalo in volto, e poi,
Se tanto core avrai,
Chiamalo traditor.
Come negli occhi suoi,
Bella chi vide mai
L'immagine di un cor? (parte)



SCENA VII

Arpago e Ciro.

Arpago - Quel pastor sia disciolto; (alle guardie)
E parta ognun. (partono le guardie)

Ciro - (Quanto la figlia è grata,
È cauto il genitor).

Arpago - Posso una volta
Parlarti in libertà. Permetti ormai
Che umile a' piedi tuoi... (inginicchiandosi)

Ciro - Sorgi: che fai?

Arpago - Il primo bacio imprimo
Su la destra reale, onor dovuto
Pur troppo alla mia fé. Ciro, perdona
Se di pianto mi vedi umido il ciglio:
Questo bacio, o signor, mi costa un figlio.

Ciro - Sorgi, vieni, o mio caro
Liberator, vieni al mio sen. Di quanto
Debitor ti son io, già Mitridate
Pienamente m'istrusse.

Arpago - Ancor compita
L'opra non è. Sul tramontar del sole
Vedrai... Ma vien da lungi
Mandane a noi: cerca evitarla.

Ciro - Intendo:
Temi ch'io parli. Eh! non temer: giurai
Di non spiegarmi a lei, fin che permesso
Non sia da Mitridate; e fedelmente
Il giuramento osserverò.

Arpago - T'esponi,
Signor...

Ciro - Va: non è nuovo
Il cimento per me.

Arpago - Deh! non perdiamo
Di tant'anni il sudor. Sul fin dell'opra
Tremar convien. L'esser vicini al lido
Molti fa naufragar. Scema la cura,
Quando cresce la speme;
E ogni rischio è maggior per chi nol teme.

Cauto guerrier pugnando
Già vincitor si vede;
Ma non depone il brando,
Ma non si fida ancor:
Ché, le nemiche prede
Se spensierato aduna,
Cambia talor fortuna
Col vinto il vincitor. (parte)



SCENA VIII

Ciro e poi Mandane.

Ciro - O madre mia, se immaginar potessi
Che il tuo figlio son io!

Mandane - Mio caro figlio!
Mio Ciro! mio conforto!

Ciro - Io! come? (Oh stelle!
Già mi conosce).

Mandane - Alle materne braccia
Torna, torna una volta... Ah! perché schivi
Gli amplessi miei?

Ciro - Temo... Potresti... (Oh numi!
Non so che dir).

Mandane - Non dubitar; son io
La madre tua: non te lo dice il core?
Vieni...

Ciro - Sentimi pria. (Numi, consiglio:
Parlar deggio o tacer?)

Mandane - M'evita il figlio!

Ciro - (Perché tacer? Già mi conosce). È tempo...
Poiché tant'oltre... (Ah! no. Dal giuramento
Sciolto ancor non son io. Dee Mitridate
Consentir ch'io mi spieghi).

Mandane - E ben, t'ascolto:
Che dir mi vuoi?

Ciro - (Sarò crudel tacendo:
Ma spergiuro e imprudente
Favellando sarei).

Mandane - Né m'ode!

Ciro - (Al fine
Col tacer differisco
Solamente un piacer; ma forse il frutto
Dell'altrui cure e de' perigli immensi
Arrischio col parlar).

Mandane - Che fai? che pensi?
Che ragioni fra te? Quei passi incerti,
Quelle nel profferir voci interrotte
Che voglion dir? Che la tua madre io sono,
Sai fin ora o non sai? Se già t'è noto,
Perché t'infingi? e, se t'è ignoto ancora,
Perché freddo così? Parla!

Ciro - (Che pena!
Sento il sangue in tumulto in ogni vena).

Mandane - Trovar dopo tre lustri
Una madre...

Ciro - (E qual madre!)

Mandane - E accoglierla in tal guisa?
E fuggir le sue braccia?

Ciro - (Ah! Mitridate, e come vuoi ch'io taccia?)

Mandane - Questi son dunque i teneri trasporti,
Le lagrime amorose, i cari amplessi
E le frapposte a' baci
Affollate domande? ‘Ah! madre...' ‘Ah! figlio...'
‘Udisti i casi miei? Narrami i tui...'
‘Quanto errai!...' ‘Quanto piansi!...' ‘Io dissi...' ‘Io fui...'
No, questo è troppo: o il figlio mio non sei,
O per nuova sventura
Tutti gli ordini suoi cambiò natura.

Ciro - (Si voli a Mitridate: egli alla madre
Di spiegarmi permetta).

Mandane - Né vuoi parlar?

Ciro - Sì: pochi istanti aspetta:
A momenti ritorno. (s'incammina frettoloso)

Mandane - Ah! prima... ah! senti;
Di': sei Ciro o non sei?

Ciro - Torno a momenti.

Parlerò; non è permesso
Che fin or mi spieghi appieno.
Tornerò; sospendi almeno,
Fin che torno, il tuo dolor.
Se trovarmi ancor non sai
Tutto in volto il core espresso,
Tutto or or mi troverai
Su le labbra espresso il cor. (parte)



SCENA IX

Mandane e poi Cambise.

Mandane - Onnipotenti numi,
Questo che vorrà dir? Sarebbe mai
La mia speme un inganno?

Cambise - Amata sposa,
Mio ben.

Mandane - Sogno o son desta?
Cambise! idolo mio! tu qui! tu sciolto!
Qual man liberatrice...

Cambise - Arpago... oh quanto
Dobbiamo alla sua fede! Arpago è quello
Che mi salvò. Me prigionier raggiunse
Per cammino un suo messo; a' miei custodi
Parlò: fui sciolto. ‘In libertà,' mi disse
‘Signor, tu sei. Va: con più cura evìta
Qualche incontro funesto:
Arpago, che m'invia, diratti il resto.'

Mandane - Oh vero, oh fido amico!

Cambise - E pure il figlio
Serbarci non poté. Sapesti?... Oh Dio,
Che barbaro accidente!

Mandane - Il più crudele
Saria che mai s'udisse,
Se fosse ver.

Cambise - Se fosse vero? Ah! dunque
Ne possiam dubitar? Parla, Mandane;
Consola il tuo Cambise.

Mandane - E come posso
Te consolar, se non distinguo io stessa
Quel che creder mi debba?

Cambise - Almen qual hai
Ragion di dubitar?

Mandane - Si vuol che sia
L'ucciso un impostore, e il nostro figlio
Quel pastor che l'uccise.

Cambise - Oh dèi pietosi,
Avverate la speme. E tu vedesti
Questo pastore?

Mandane - Or da me parte.

Cambise - È dunque?...

Mandane - Quei che meco or parlava.

Cambise - Un giovanetto,
Generoso all'aspetto,
Di biondo crin, di brune ciglia, a cui,
Forse proprio trofeo, gli omeri adorna
Spoglia d'uccisa tigre?

Mandane - Appunto.

Cambise - Il vidi,
E m'arrestai fin che da te partisse;
Ma su gli occhi mi sta. Pur, che ti disse?

Mandane - Nulla.

Cambise - Un contento estremo
Fa spesso istupidir. Ma qual ti parve?

Mandane - Confuso.

Cambise - A' boschi avvezzo,
Il dovea te presente. E chi l'arcano
Ti svelò?

Mandane - Mitridate.

Cambise - (si turba)Aimè!

Mandane - Da lui
Fu, se pur non mentisce,
Sotto nome d'Alceo, come suo figlio,
Ciro nutrito.

Cambise - E Alceo si chiama?

Mandane - Alceo.

Cambise - Oh nera frode! oh scellerati! oh troppo
Credula principessa!

Mandane - Onde, o Cambise,
Queste smanie improvvise?

Cambise - Alceo di Ciro
È il carnefice indegno. Il colpo è stato
Del tuo padre un comando.

Mandane - Ah! taci.

Cambise - Io stesso
Celato mi trovai
Dove Astiage l'impose: io l'ascoltai.

Mandane - Quando? a chi?

Cambise - Non rammenti
Che là nella capanna
Di Mitridate a frastornar giungesti
Le furie mie?

Mandane - Sì.

Cambise - Colà dentro ascoso
Vidi che il re venne a proporre il colpo
A Mitridate. Ei col suo figlio Alceo
Ciro uccider promise;
E appunto il figlio Alceo fu che l'uccise.

Mandane - Misera me!

Cambise - Dubiti ancor? Non vedi
Che teme Mitridate
La tua vendetta, e, per salvare il figlio,
Questa favola inventa? Arpago, a cui
Tanto incresce di noi, parti che avrebbe
Taciuto infino ad ora?

Mandane - Oh dèi!

Cambise - Non vedi...

Mandane - Ah! tutto vedo, ah! tutto accorda: è vero,
È il carnefice Alceo. Perciò poc'anzi
Tremava innanzi a me; gli amplessi miei
Perciò fuggia. Ben de' materni affetti
Volle abusar, ma s'avvilì nell'opra:
Sentì quel traditore
Repugnar la natura a tanto orrore.

Cambise - Ma tu creder sì presto...

Mandane - Oh Dio! consorte,
Tu non udisti come
Mitridate parlò. Parea che avesse
Il cor su i labbri. Anche un tumulto interno,
Che Alceo mi cagionò, gli accrebbe fede:
E poi, quel che si vuol, presto si crede.

Cambise - Oh dèi, ridurci a tal miseria, e poi
Deriderci di più!

Mandane - Trarre una madre
Fino ad offrire amplessi
D'un figlio all'omicida! Ah! sposo, il mio
Non è dolor, smania divenne, insana
Avidità di sangue.

Cambise - Io stesso, io voglio
Soddisfarti, o Mandane. Addio. (partendo)

Mandane - Ma dove?

Cambise - A ritrovare Alceo,
A trafiggergli il cor: sia pur nascosto
In grembo a Giove. (partendo)

Mandane - Odi: se lui non giungi
In solitaria parte, avrà l'indegno
Troppe difese. Ove s'avvalla il bosco,
Fra que' monti colà, di Trivia il fonte
Scorre ombroso e romito:
Atto all'insidie è il sito. Ivi l'attendi:
Passerà: quel sentiero
Porta alla sua capanna; e in uso ogni arte
Io porrò perch'ei venga.

Cambise - (sempre in atto di partire) Intesi.

Mandane - Ascolta.
Ravvisarlo saprai?

Cambise - Sì, l'ho presente:
Parmi vederlo.

Mandane - Ah! sposo,
Non averne pietà; passagli il core:
Rinfacciagli il delitto;
Fa che senta il morir...

Cambise - Non più, Mandane:
Il mio furor m'avanza:
Non inspirarmi il tuo; fremo abbastanza.

Men bramosa di stragi funeste,
Va scorrendo l'armene foreste
Fiera tigre che i figli perdé.
Ardo d'ira, di rabbia deliro;
Smanio, fremo; non odo, non miro
Che le furie che porto con me. (parte)



SCENA X

Mandane e poi Ciro.

Mandane - Se tornasse il fellone... Eccolo! Oh, come
Tremo in vederlo! Una mentita calma
Mi rassereni il ciglio.

Ciro - Madre mia, cara madre, ecco il tuo figlio!

Mandane - (Che traditor!)

Ciro - Pur Mitridate al fine
Consente che al tuo sen...

Mandane - Ferma! (Chi mai
Sì reo lo crederia!)

Ciro - Numi, quel volto
Come trovo cambiato! Intendo: è questa
Una vendetta. Il mio tacer t'offese:
Mi punisci così. Perdono, o madre;
Bella madre, perdon.

Mandane - Taci.

Ciro - Ch'io taccia?

Mandane - (Con quel nome di madre il cor mi straccia!)

Ciro - Basta, basta, non più: del fallo ormai
È maggiore il castigo.

Mandane - Odi. (Un istante
Tollerate, ire mie). Madre non vive
Più tenera di me. Questo ritegno
È timor, non è sdegno. Alcun travidi
Fra quelle piante ascoso. Il loco è pieno
Tutto d'insidie. (Anima rea!) Bisogna
In più secreta parte
Sciorre il freno agli affetti, ed esser certi
Che il re nulla traspiri. Oh quali arcani,
Oh quai disegni apprenderai! Palese
Vedrai tutto il mio cor.

Ciro - Vengo, son pronto:
Guidami dove vuoi.

Mandane - (Già corre all'esca
L'ingannator). Meco venir sarebbe
Di sospetti cagion. Tu mi precedi:
Ti seguirò fra poco.

Ciro - Ma dove andrem?

Mandane - Scegli tu stesso il loco.

Ciro - Nella capanna mia?

Mandane - Sì.. Ma potrebbe
Sopraggiungere alcun.

Ciro - Di Pale all'antro?

Mandane - Mai non seppi ove sia.

Ciro - Di Trivia al fonte?

Mandane - Di Trivia... È forse quello
Che bagna il vicin bosco, ov'è più folto?

Ciro - Sì.

Mandane - Va: mi è noto. (Ah! traditor, sei colto).

Ciro - Deh! non tardar.
MAND. (con ira)
Parti una volta.

Ciro - Oh Dio!
Perché quel fiero sguardo?

Mandane - Io fingo, il sai:
Temo che alcun ne osservi.

Ciro - È ver; ma come
Puoi trasformarti a questo segno?

Mandane - Oh, quanta
Violenza io mi fo! Se tu potessi
Vedermi il cor... Sento morirmi; avvampo
D'insoffribil desio; vorrei mirarti...
Vorrei di già... (Non so frenarmi). Ah! parti.

Ciro - Parto; non ti sdegnar.
Sì, madre mia, da te
Gli affetti a moderar
Quest'alma impara.
Gran colpa al fin non è,
Se mal frenar si può
Un figlio che perdé,
Un figlio che trovò
Madre sì cara. (parte)



SCENA XI

Mandane, poi Arpalice.

Mandane - Che dolcezza fallace!
Che voci insidiose! A poco a poco
Cominciava a sedurmi. Un inquieto
Senso, partendo, ei mi lasciò nell'alma,
Che non è tutto sdegno. Affatto priva
Non sono al fin d'umanità. Mi mosse
Quel sembiante gentil, que' molli accenti,
Quella tenera età. Povera madre!
Se madre ha pur, quando saprà che il figlio
Lacero il sen da mille colpi... Oh, folle
Ch'io son! gli altri compiango
E mi scordo di me. Mora l'indegno!
Se ne affligga chi vuole. Il figlio mio
Vendicato esser dee. Son madre anch'io.

Arpalice - Principessa, ah! perdona
L'impazienze mie. D'Alceo che avvenne?
È assoluto? è punito? è giusto? è reo?

Mandane - Deh! per pietà, non mi parlar d'Alceo.

Quel nome se ascolto,
Mi palpita il core:
Se penso a quel volto,
Mi sento gelar.
Non so ricordarmi
Di quel traditore,
Né senza sdegnarmi,
Né senza tremar. (parte)



SCENA XII

Arpalice sola.

Arpalice - Ah! chi saprebbe mai
D'Alceo darmi novella? Io non ho pace
Se il suo destin non so. Ma tanto affanno
Troppo i doveri eccede
D'un grato cor. Che? D'un pastore amante
Arpalice sarebbe! Eterni dèi,
Da tal viltà mi difendete. Io dunque,
Germe di tanti eroi... No, no; rammento
Quel che debbo a me stessa. E pur quel volto
Mi sta sempre su gli occhi. Ah! chi mi toglie,
Chi, la mia pace antica?
È Amore? Io nol distinguo: alcun mel dica.

So che presto ognun s'avvede
In qual petto annidi Amore;
So che tardi ognor lo vede
Chi ricetto in sen gli dà.
Son d'Amor sì l'arti infide,
Che ben spesso altrui deride
Chi già porta in mezzo al core
La ferita e non lo sa.



ATTO TERZO

SCENA I

Montuosa.

Mandane e Mitridate.

Mandane - Lo veggo, Mitridate: un vivo esempio
Tu sei di fedeltà. Non istancarti
L'istoria a raccontarmi: a pro di Ciro
Io so già quanto oprasti,
E Cambise lo sa. Pensiamo entrambi
Le tue cure a premiar. (Perfido!) È vero
Che del merito tuo sempre minore
La mercede sarà; pur quel che feci
Sembrerà, lo vedrai,
Poco a Mandane, a Mitridate assai.

Mitridate - Questo tanto parlarmi
Di premio e di mercé troppo m'offende.
Che? Mandane mi crede
Mercenario così? S'inganna. Io fui
Già premiato abbastanza,
Compiendo il dover mio. Le rozze spoglie
Non trasformano un'alma. In me, lo sai,
L'esser pastore è scelta,
Non è sventura. Io volontario elessi
Questa semplice vita; e forse appunto
Per serbarmi qual sono, e qual mi credi
Per mai non divenir.

Mandane - (Numi, a qual segno
Può simular l'indegno!)

Mitridate - Un tal pensiero
Tanto oltraggio mi fa...

Mandane - Perdona: è vero.
Il desio d'esser grata
Mi trasportò. Dovea pensar che il solo
Premio dell'alme grandi
Son l'opre lor. Chi giunse,
E tu ben vi giungesti, al grado estremo
D'un'eroica virtù, tutto ritrova,
Tutto dentro di sé: pieno si sente
D'un sincero piacer, d'una sicura
Tranquillità, che rappresenta in parte
Lo stato degli dèi. Di', tu lo provi,
Non è così?

Mitridate - Sì; né di questa in vece
Torrei di mille imperi...

Mandane - Anima vile!
Traditor! scellerato!

Mitridate - Io! principessa,
Io!

Mandane - Sì. Credevi, o stolto,
Le tue frodi occultar? Speravi, iniquo,
Che in vece del mio figlio il tuo dovessi
Stringermi al sen? No, perfido! io non sono
Tanto in odio agli dèi. Ciro ho perduto;
Ma so perché; so chi l'uccise, e voglio
E posso vendicarmi.

Mitridate - In quale inganno,
In qual misero error?...

Mandane - Taci: m'ascolta,
E comincia a tremar. Sappi che in questo
Momento, in cui ti parlo,
Sta spirando il tuo figlio.

Mitridate - Ah! come?

Mandane - Ed io,
Sentimi, traditore; io fui che l'empio
A trovar chi l'uccida
Ingannato mandai.

Mitridate - Tu stessa!

Mandane - Aita
Vedi se può sperar: solingo è il loco,
Chi l'attende è Cambise.

Mitridate - Ah, che facesti,
Sconsigliata Mandane! Ah! corri, ah! Dimmi
Qual luogo almeno...

Mandane - Oh! questo no: potresti
Forse giugnere in tempo. Il loco ancora
Saprai, ma non sì presto.

Mitridate - Ah, principessa,
Pietà di te! Quel che tu credi Alceo,
È il tuo Ciro, è il tuo figlio.

Mandane - Eh! questa volta
Non sperar ch'io ti creda.

Mitridate - Il suol m'inghiotta,
Un fulmine m'opprima,
Se mentii, se mentisco.

Mandane - Empia favella,
Familiare a' malvagi.

Mitridate - Odimi. Io voglio
Qui fra' lacci restar: tu corri intanto
La tragedia a impedir. Se poi t'inganno,
Torna allora a punirmi,
Squarciami allora il sen.

Mandane - Scaltra è l'offerta,
Ma non ti giova: in quest'angustia, il colpo
Ti basta differir. Sai ch'io non posso
D'alcun fidarmi, e ti prometti intanto
Il soccorso del re.

Mitridate - Che far degg'io,
Santi numi del ciel? Povero prence!
Infelici mie cure! Io mi protesto
Di bel nuovo, o Mandane: il finto Alceo
È Ciro, è il figlio tuo: salvalo! corri!
Credimi per pietà! Se non mi credi,
Diventi, o principessa,
L'orror, l'odio del mondo e di te stessa.

Mandane - Fremi pure a tua voglia,
Non m'inganni però.

Mitridate - Ma questo, oh Dio!
Questo canuto crine
Merta sì poca fé? Vaglion sì poco
Le lagrime ch'io spargo?

Mandane - In quelle appunto
Conosco il padre. In tale stato anch'io,
Barbaro! son per te. Provalo: impara
Che sia perdere un figlio.

Mitridate - (Oh nostra folle,
Misera umanità! Come trionfa
Delle miserie sue!) Parla, Mandane:
Ciro dov'è? Vorrai parlar, ma quando
Tardi sarà.

Mandane - Va, traditor! ch'io dica
Di più, non aspettar.

Mitridate - Sogno? son desto?
Dove corro? che fo? Che giorno è questo!

Dimmi, crudel, dov'è:
Ah! non tacer così.
Barbaro Ciel, perché
Insino a questo dì
Serbarmi in vita?
Corrasi... E dove? Oh dèi!
Chi guida i passi miei?
Chi almen, chi per mercé

La via m'addita? (parte)



SCENA II

Mandane, poi Arpago.

Mandane - A quale eccesso arriva
L'arte di simular! Prestansi il nome
Oggi fra lor gli affetti; onde i sinceri
Impeti di natura
Chi nasconder non sa, gli applica almeno
A straniera cagion. Pietà d'amico,
Zelo di servo il suo paterno affanno
Volea costui che mi paresse; e quasi
Mi pose in dubbio. Ah! la sventura mia
Dubbia non è: qual più sicura prova
Che d'Arpago il silenzio? Un tale amico,
Che il suo perdé per il mio figlio, a cui
Noto è il mio duol, della cui fé non posso
Dubitar senza colpa, a che m'avrebbe
Taciuto il ver? No, Mitridate infido,
Con le menzogne tue, della vendetta
Non mi turbi il piacer. Così tornasse
Cambise ad avvertirmi
Che Alceo spirò!

Arpago - (frettoloso) Né qui lo veggo. Ah! dove,
Dove mai si nasconde?

Mandane - Arpago amato,
Che cerchi?

Arpago - Alceo. Se nol ritrovo, io perdo
D'ogni mia cura il frutto.

Mandane - Altro non brami?
Non agitarti: io so dov'è.

Arpago - Respiro,
Lode agli dèi! Deh! me l'addita: è tempo
Che al popolo si mostri. Altro non manca
Che presentarlo.

Mandane - O generoso amico,
Veggo il tuo zel. Con pubblica vendetta
T'affanni a soddisfarmi: io ti son grata.
Ma giungi tardi a vendicarmi io stessa
Già pensai.

Arpago - Contro chi?

Mandane - Contro l'infame
Uccisor del mio Ciro.

Arpago - Intendi Alceo?

Mandane - Sì.

Arpago - Guardati, Mandane,
Di non tentar nulla a tuo danno: Alceo
È il figlio tuo.

Mandane - Che!

Arpago - Tel celai, temendo
Che i materni trasporti il gran segreto
Potessero tradir.

Mandane - Come! Ed è vero...

Arpago - Non dubitar. Tu sai
Se ingannarti poss'io. Ciro è in Alceo;
L'educò Mitridate; io gliel recai;
L'ucciso è un impostor. Serena il volto:
La tua doglia è finita.

Mandane - Santi numi del ciel, soccorso! aita! (vuol partire)

Arpago - Dove? Ascolta...

Mandane - Ah! corriam... Son morta! Io sento
Stringermi il cor. (si appoggia ad un tronco; poi siede)

Arpago - Tu scolorisci in volto!
Sudi! tremi! vacilli!

Mandane - Arpago... Ah! vanne;
Vola di Trivia al fonte; il figlio mio
Salva, difendi: ei forse spira adesso.

Arpago - Come!

Mandane - Ah! va, ché l'uccide il padre istesso!

Arpago - Possenti numi! (parte in fretta)



SCENA III

Mandane sola.

Mandane - Oh me infelice! Oh troppo
Verace Mitridate! Avessi, oh Dio,
Creduto a' detti tuoi! Potessi almeno
Lusingarmi un momento! E come? Ah! troppo
Sdegnato era Cambise;
Troppo tempo è già scorso, e troppo nero
È il tenor del mio fato. Ebbi il mio figlio,
Stupida! innanzi agli occhi; udii da lui
Chiamarmi madre; i violenti intesi
Moti del sangue; e nol conobbi, e volli
Ostinarmi a mio danno! Ancor lo sento
Parlar; lo veggo ancor. Povero figlio!
Non voleva lasciarmi: il suo destino
Parea che prevedesse. Ed io, tiranna!...
Ed io... Che orror! che crudeltà! Non posso
Tollerar più me stessa. (s'alza) Il mondo, il Cielo
Sento che mi detesta; odo il consorte
Che a rinfacciar mi viene
Il parricidio suo; veggo di Ciro
L'ombra squallida e mesta,
Che stillante di sangue... Ah! dove fuggo?
Dove m'ascondo? Un precipizio, un ferro,
Un fulmine dov'è? Mora, perisca
Questa barbara madre; e non si trovi
Chi le ceneri sue... Ma... come!... È dunque
Perduta ogni speranza? E non potrebbe
Giungere Arpago in tempo? Ah! sì, clementi
Numi del ciel, pietosi numi, al figlio
Perdonate i miei falli. È questo nome
Forse la colpa sua; colpa ch'ei trasse
Dalle viscere mie. No, voi non siete
Tanto crudeli. Io la giustizia vostra,
Dubitandone, offendo. È vivo il figlio:
Corrasi ad abbracciarlo... Ah, folle! lo vado
A perder questo ancora
Languido di speranza ultimo raggio.
Andiam: chi sa... Ma quello,
Che a me corre affannato,
Non è Cambise? Aimè! son morta. È fatto
L'orrido colpo: ha nella destra ancora
Nudo l'acciar... Chi mi soccorre? Ah! stilla
Ancor del vivo sangue... Ah! fuggi... ah! parti...



SCENA IV

Cambise con ispada nuda nella destra stillante di sangue, e detta.

Cambise - Vedi del mio furor...

Mandane - Fuggi: quel sangue
Togli al materno ciglio.

Cambise - Questo sangue che vedi...

Mandane - (svenendo) Oh sangue!... oh... figlio!...

Cambise - Sposa! Mandane! Oh me perduto! Ascolta,
Principessa, idol mio. Non ode. Ha chiuse
Le languide pupille, e alterna appena
Qualche lento respiro. Almen sapessi
Come agli usati uffizi
Quell'alma richiamar.



SCENA V

Cambise, Mandane e Ciro.

Ciro - (senza veder gli altri) Dove la madre,
Dove mai troverò? Di Trivia al fonte
Fin or l'attesi, e mai non venne. (cercando per la scena)

Cambise - All'onda
Corriam del vicin rio. Ma sola intanto
Qui lasciarla così... Se alcun vedessi...
Ah! sì. Pastor... senti. (vedendo Ciro)

Ciro - (rivolgendosi)
Quai grida?

Cambise - (Oh numi!
Non è del figlio mio
L'omicida costui?)

Ciro - (Stelle! non veggo
La madre mia colà?)

Cambise - Chi sei?

Ciro - Che avvenne?

Cambise - Non t'inoltrar: dimmi il tuo nome.

Ciro - Eh! lascia...

Cambise - Di': non ti chiami Alceo?

Ciro - (Questo importuno
A gran pena sopporto).
Sì, Alceo mi chiamo.

Cambise - (in atto di ferire)
Ah, traditor! sei morto.

Ciro - Come! Non appressarti, o ch'io t'immergo
Questo dardo nel cor. (in atto di difesa)

Cambise - Dal furor mio
Né tutto il Ciel potrà salvarti.

Mandane - (comincia a risentirsi)
Oh Dio!

Cambise - Ah! sposa, apri le luci, àprile, e vedi
Per man del tuo Cambise
La bramata vendetta.

Ciro - Odimi, oh dèi!
E Cambise tu sei?

Cambise - Sì, scellerato!
Son io: sappilo e mori. (in atto di ferire)

Ciro - (getta il dardo)
Ah! padre amato,
Ferma; già sono inerme; il colpo affrena:
Riconoscimi prima, e poi mi svena.

Mandane - Perché ritorno in vita?

Cambise - (Il so, m'inganna;
E pur m'intenerisce).

Mandane - Eterni dèi!
Non è quegli il mio Ciro? Ove son mai?
Fra l'ombre o fra' viventi?

Cambise - (Io dunque, oh folle!
Credo a que' detti infidi?)
No, cadi!... (in atto di ferire)

Mandane - Ah, sposo! ah, che il tuo figlio uccidi! (s'alza)

Cambise - Uccido il figlio! (resta immobile)

Mandane - (abbracciandolo) Oh caro figlio! oh cara
Parte dell'alma mia!

Cambise - Stelle! o deliro,
O delira Mandane. E questi è Ciro?

Mandane - Sì. Chi mai lo difese
Dal paterno furor? qual sangue mai
Il tuo ferro macchiò? Di Trivia al fonte
Tu l'attendevi pur.

Cambise - No, non vi giunsi;
Ché partendo da te, per via m'avvenni
Ne' reali custodi. Essi di nuovo
Mi volean prigionier: di loro alcuni
Io trafissi, e fuggii. Perciò con questo
Ferro tinto di sangue…

Mandane - Intendo il resto.



SCENA VI

Astiage in disparte con séguito, e detti.

Astiage - (Qui Cambise, e disciolto!)

Cambise - Ma Ciro non morì? (a Mandane)

Mandane - No.

Astiage - (Ciel, che ascolto!)

Mandane - N'ebber cura gli dèi.

Cambise - Spiegati, o sposa.

Mandane - Odi.

Astiage - (Sentiam).

Mandane - Quel finto
Ciro che cadde estinto...

Ciro - Il re s'appressa.

Cambise - Ecco un nuovo periglio.

Mandane - Ecco le nostre
Contentezze impedite.

Astiage - Seguite pur, seguite; io non disturbo
Le gioie altrui: ma che ne venga a parte
Parmi ragion. Via! chi di voi mi dice
Dell'istoria felice
L'ordin qual sia? Chi liberò costui? (accennando Cambise)
Chi Ciro conservò? dove s'asconde?

Ciro - (Aimè!)

Astiage - Nessun risponde? Anche la figlia
M'invidia un tal contento! Olà, s'annodi
Ad un tronco Cambise...

Mandane - Ah! no.

Astiage - Lode agli dèi,
A parlar cominciasti.



SCENA VII

Arpago in disparte e detti.

Arpago - (Ecco il tiranno:
Per trarlo al tempio il cerco appunto).

Astiage - (a Mandane)
Or dimmi:
Qual è Ciro, e dov'è? Nulla tacermi,
O sotto agli occhi tuoi, segno a più strali,
Cadrà Cambise...

Arpago - (Ei sa che Ciro è in vita
Dunque, ma non ch'è Alceo).

Mandane - Barbare stelle!

Cambise - Empio destino!

Ciro - (E tacito in disparte
Sto del padre al periglio!)

Arpago - (Arpago, all'arte!)

Astiage - Né parli ancor? Dunque il tuo sposo estinto
Brami veder? T'appagherò. Custodi!...

Mandane - Ferma!...

Ciro - Senti!...

Mandane - Io già parlo.

Ciro - Il falso Ciro...

Mandane - Il mio Ciro smarrito...

Arpago - Astiage, ah! sei tradito. Ah! corri: opprimi
Il tumulto ribelle
Che si destò. La tua presenza è il solo
Necessario riparo.

Astiage - Aimè! che avvenne?

Arpago - Confusamente il so. S'affretta a gara
Verso il tempio ciascun. Colà si dice
Che Ciro sia. Tutti a vederlo, tutti
Vanno a giurargli fede; e il volgo insano
Grida a voce sonora:
‘Ciro è il re, Ciro viva; Astiage mora!'

Astiage - Ah! traditori, ecco il segreto: entrambi
Con questo acciar... (in atto di snudar la spada, minacciando Cambise e Mandane)

Arpago - Mio re, che fai? Se Ciro
È ver che viva, in tuo poter conserva
La madre e il genitor: con questi pegni,
Lo faremo tremar.

Astiage - (dopo aver pensato) Sì; custodite
Dunque la coppia rea, sol perché sia
La mia difesa o la vendetta mia.

Perfidi! non godete
Se altrove il passo affretto:
A trapassarvi il petto,
Perfidi! tornerò.
Cadrò, se vuole il fato,
Cadrò, trafitto il seno;
Ma invendicato almeno,
Ma solo non cadrò. (parte)



SCENA VIII

Ciro, Mandane, Cambise, Arpago e guardie.

Arpago - Partì: l'empio è nel laccio. Ei corre al tempio,
E là trarlo io volea. Guerrieri amici,
Finger più non bisogna; andiam! Qui resti
Ciro intanto e Mandane. E tu, Cambise,
Sollecito mi siegui. (vuol partire)

Cambise - Odi. E in Alceo
Com'esser può che Ciro...

Arpago - (con impazienza)
Oh Dio! ti basti
Saper che è il figlio tuo. Tutto il successo
Ti spiegherò; ma non è tempo adesso. (parte)



SCENA IX

Ciro, Mandane e Cambise.

Cambise - Addio! (a Mandane e a Ciro)

Ciro - Padre!

Mandane - Consorte!

Ciro - E ci abbandoni
Così con un addio?

Cambise - Nulla vi dico,
Perché troppo direi; né questo è il loco.
So ben tacer, ma non saprei dir poco.

Dammi, o sposa, un solo amplesso;
Dammi, o figlio, un bacio solo.
Ah! non più: da voi m'involo;
Ah! lasciatemi partir.
Sento già che son men forte;
Sento già fra' dolci affetti
E di padre e di consorte
Tutta l'alma intenerir. (parte)



SCENA X

Mandane e Ciro.

Mandane - Ciro, attendimi: io temo
Qualche nuova sventura; il mio consorte
Voglio seguir. Te d'Arpago l'avviso
Ritrovi in questo loco.

Ciro - Or che paventi?

Mandane - Figlio mio, nol so dir: tremo, per uso
Avvezzata a tremar. Sempre vicino
Qualche insulto mi par del mio destino.

Benché l'augel s'asconda
Dal serpe insidiator,
Trema fra l'ombre ancor
Del nido amico;
Ché il muover d'ogni fronda,
D'ogni aura il susurrar
Il sibilo gli par
Del suo nemico. (parte)



SCENA XI

Ciro e poi Arpalice.

Ciro - Ah! tramonti una volta
Questo torbido giorno, e sia più chiaro
L'altro almen che verrà.

Arpalice - Mio caro Alceo,
Tu salvo! Oh me felice! Ah! vieni a parte
De' pubblici contenti. Il nostro Ciro
Vive; si ritrovò. Quel, che uccidesti,
Era un vile impostor.

Ciro - Sì? donde il sai?

Arpalice - Certo il fatto esser dee: queste campagne
Non risuonan che Ciro. Oh, se vedessi
In quai teneri eccessi
D'insolito piacer prorompe ogni alma!
Chi batte palma a palma,
Chi sparge fior, chi se ne adorna, i numi
Chi ringrazia piangendo. Altri il compagno
Corre a sveller dall'opra; altri l'amico
Va dal sonno a destar. Riman l'aratro
Qui nel solco imperfetto; ivi l'armento
Resta senza pastor. Le madri ascolti,
Di gioia insane, a' pargoletti ignari
Narrar di Ciro i casi. I tardi vecchi
Vedi, ad onta degli anni,
Se stessi invigorir. Sino i fanciulli,
I fanciulli innocenti,
Non san perché, ma, sul comune esempio,
Van festivi esclamando: ‘Al tempio! al tempio!'

Ciro - E tu Ciro vedesti?

Arpalice - Ancor nol vidi.
Corriam...

Ciro - Ferma! Il vedrai
Pria d'ognun, tel prometto.

Arpalice - E Ciro...

Ciro - Ah! ingrata!
Tu non pensi che a Ciro: il tuo pastore
Già del tutto obliasti. E pur sperai...

Arpalice - Non tormentarmi, Alceo. Se tu sapessi
Come sta questo cor...

Ciro - Siegui.

Arpalice - Né vuoi
Lasciarmi in pace?

Ciro - Ah! tu non m'ami.

Arpalice - Almeno
Veggo che non dovrei: ma...

Ciro - Che?

Arpalice - Ma parmi
Debil ritegno il naturale orgoglio.
Parlar di te non voglio, e fra le labbra
Ho sempre il nome tuo; vuo' dal pensiero
Cancellar quel sembiante, e in ogni oggetto
Col pensier lo dipingo. Agghiaccio in seno,
Se in periglio ti miro; avvampo in volto,
Se nominar ti sento. Ove non sei,
Tutto m'annoia e mi rincresce; e tutto
Quel, che un tempo bramavo, or più non bramo.
Dimmi: tu che ne credi? amo o non amo?

Ciro - Sì, mio ben; sì, mia speme...



SCENA XII

Mitridate con guardie e detti.

Mitridate - Al tempio! al tempio!
Mio principe, mio re. Questi guerrieri
Arpago invia per tua custodia. Ah! vieni
A consolar le impazienze altrui.

Arpalice - (Con chi parla costui?)

Ciro - Dunque è palese
Di già la sorte mia?

Mitridate - Nessuno ignora,

Signor, che tu sei Ciro. Arpago il disse:
Indubitate prove
A' popoli ne dié; sparger le fece
Per cento bocche in mille luoghi; e tutti
Voglion giurarti fé.

Arpalice - Scherza o da senno
Mitridate parlò?

Ciro - Ciro son io.
Non bramasti vederlo? eccolo.

Arpalice - Oh Dio!

Ciro - Sospiri! Io non ti piaccio
Pastor, né re?

Arpalice - Né tanto umìl, né tanto
Sublime io ti volea: ch'arda al mio foco,
Se troppo è per Alceo, per Ciro è poco.

Ciro - Mal mi conosci. Arpalice fin ora
Me amò, non la mia sorte; ed io non amo
La sua sorte, ma lei. La vita e il trono
Arpago diemmi; e, se ad offrirti entrambi
Il genio mi consiglia,
Quel che il padre mi dié rendo alla figlia.
Oh che dolce esser grato, ove s'accordi
Il debito e l'amore,
La ragione, il desio, la mente e il core!

Arpalice - Dunque...

Mitridate - Ah! Ciro, affretta.

Ciro - Andiam. Mia vita,
Mia sposa, addio.

Arpalice - Deh! non ti cambi il regno.

Ciro - Ecco la destra mia: prendila in pegno.

No, non vedrete mai
Cambiar gli affetti miei,
Bei lumi, onde imparai
A sospirar d'amor.
Quel cor che vi donai,
Più chieder non potrei;
Né chieder lo vorrei,
Se lo potessi ancor. (parte)



SCENA XIII

Arpalice sola.

Arpalice - Io son fuor di me stessa. A un vil pastore,
Cieca d'amor, mi scuopro amante; e sposa
Mi ritrovo d'un re! Gl'istessi affetti
Insuperbir mi fanno, onde poc'anzi
Arrossirmi dovea! Certo quest'alma
Era presaga, e travedea nel volto
Del finto Alceo... Che traveder? che giova
Cercar pretesti all'imprudenza? Ad altri
Favelliamo così; ma più sinceri
Ragioniamo fra noi. Diciam più tosto
Che d'amor non s'intende
Chi prudenza ed amore unir pretende.

Chi a ritrovare aspira
Prudenza in core amante,
Domandi a chi delira
Quel senso che perdé.
Chi riscaldar si sente
A' rai d'un bel sembiante,
O più non è prudente,
O amante ancor non è. (parte)



SCENA ULTIMA

Aspetto esteriore di magnifico tempio dedicato a Diana, fabbricato sull'eminenza d'un colle.

Astiage con la spada alla mano, poi Cambise, indi Arpago, ciascuno con séguito; alfine tutti, l'un dopo l'altro.

Coro - Le tue selve in abbandono
Lascia, o Ciro, e vieni al trono;
Vieni al trono, o nostro amor.

Astiage - Ah, rubelli! ah, spergiuri! ov'è la fede
Dovuta al vostro re? Nessun m'ascolta?
M'abbandona ciascun? No, non saranno
Tutti altrove sì rei. (vuol partire)

Cambise - (arrestandolo)
Ferma, tiranno!

Astiage - Ah, traditor! (in atto di difesa)

Cambise - (al suo séguito) Voi custodite il passo;
E tu ragion mi rendi... (ad Astiage)

Astiage - Arpago, ah! vieni; il tuo signor difendi.

Arpago - Circondatelo, amici. (dall'altro lato con seguaci) Al fin pur sei,
Empio! ne' lacci miei.

Astiage - Tu ancora!

Arpago - Io solo,
Barbaro! io sol t'uccido: a questo passo,
Sappilo, io ti riduco.

Astiage - E tanta fede?
E tanto zelo?

Arpago - A chi svenasti un figlio
Non dovevi fidarti. I torti oblia
L'offensor, non l'offeso.

Astiage - Ah, indegno!

Arpago - È questa
La pena tua.

Cambise - La mia vendetta è questa.

Arpago - Cadi! (in atto di ferire)

Cambise - Mori, crudel! (come sopra)

Ciro - Ferma! (trattenendo Arpago)

Mandane - T'arresta. (trattenendo Cambise)

Arpalice - (Che avvenne?)

Mitridate - (Che sarà?)

Mandane - Rifletti, o sposo...

Ciro - Arpago, pensa...

Cambise - (a Mandane)
È un barbaro.

Mandane - È mio padre.

Arpago - È un tiranno. (a Ciro)

Ciro - È il tuo re.

Cambise - Punirlo io voglio.

Arpago - Vendicarmi desio.

Mandane - Non fia ver.

Ciro - Non sperarlo.

Astiage - Ove son io!

Arpago - Popoli, ardir! L'esempio mio seguite:
Si opprima l'oppressor.

Ciro - Popoli, udite!
Qual impeto ribelle,
Qual furor vi trasporta? Ove s'intese
Che divenga il vassallo
Giudice del suo re? Giudizio indegno,
In cui molto del reo
Il giudice è peggiore. Odiate in lui
Un parricidio, e l'imitate. Ei forse
Tentollo sol, voi l'eseguite. Un dritto,
Che avea sul sangue mio,
Forse Astiage abusò; voi, quel che han solo
Gli dèi sopra i regnanti,
Pretendete usurpar. M'offrite un trono,
Calpestandone prima
La maestà. Questo è l'amor? son questi
Gli auspizi del mio regno? Ah! ritornate,
Ritornate innocenti. A terra, a terra
L'armi sediziose. Io vi prometto
Placato il vostro re. Foste sedotti,
Lo so; vi spiace; a mille segni espressi
Già intendo il vostro cor; già in ogni destra
Veggo l'aste tremar; leggo il sincero
Pentimento del fallo in ogni fronte.
Perdonalo, signor. (ad Astiage) Per bocca mia,
Piangendo ognun tel chiede: ognun ti giura
Eterna fé. Se a cancellar l'orrore
D'attentato sì rio
V'è bisogno di sangue, eccoti il mio. (inginocchiandosi)

Astiage - Oh prodigio!

Mandane - Oh stupore!

Arpago - Oh virtù che disarma il mio furore! (Arpago getta la spada, e tutti i congiurati le armi)

Astiage - Figlio, mio caro figlio,
Sorgi, vieni al mio sen. Così punisci,
Generoso! i tuoi torti e l'odio mio?
Ed io, misero! ed io
D'un'anima sì grande
Tentai fraudar la terra? Ah! vegga il mondo
Il mio rimorso almeno. Eccovi in Ciro,
Medi, il re vostro. A lui
Cedo il serto real: rendigli, o figlio,
Lo splendor ch'io gli tolsi. I miei deliri
Non imitar. Quel, che fec'io, t'insegna
Quel che far non dovrai. De' numi amici
Al favor corrispondi,
E il mio rossor nelle tue glorie ascondi.

Coro - Le tue selve in abbandono
Lascia, o Ciro, e vieni al trono;
Vieni al trono, o nostro amor.
Cambia in soglio il rozzo ovile,
In real la verga umìle;
Darai legge ad altro gregge;
Anche re, sarai pastor.


LICENZA
Della Mente immortal provvida cura
È il natal degli eroi. Prendono il nome
I secoli da questi. Ognun di loro
Un tratto ne rischiara; e veggon poi,
Al favor di quel lume,
I posteri remoti
Gli altri eventi confusi e i casi ignoti.
Tal, fra gli astri, i più chiari
Segna l'occhio sagace; e poi, fidato
Alla scorta sicura,
Gli ampi spazi del ciel scorre e misura.
Superbe età passate,
I vostri or non vantate
Natali illustri: ha più ragion la nostra
D'insuperbir, se i pregi suoi ravvisa:
L'astro che lei rischiara è quel d'Elisa.

Astro felice, ah! splendi
Sempre benigno a noi:
Rendan gl'influssi tuoi
Lieta la terra e il mar.
Ma di sì bella stella
Nube non copra i rai;
Mai non s'ecclissi, e mai
Non giunga a tramontar.






eXTReMe Tracker
        Pietro Metastasio - Opera Omnia  -  a cura de ilVignettificio  -  Privacy & cookie  -  SITI AMICI : Altene Solutions