Quando si inizia a lavorare ad un altro disco si torna a meditare sul
passato, a fare dei bilanci, si torna a dialogare con se stessi; ci si ferma insomma, o
meglio si torna a casa. Così abbiamo pensato a come e quanto questi anni (quasi dieci)
passati su e giù per l'Italia ci avevano cambiati e quanto e cosa avevamo imparato da
questa entusiasmante esperienza. Alla fine ci siamo resi conto che quello che ci era
rimasto erano tante storie. Questo era il vero tesoro che ci eravamo portati a casa. Così
è nato questo disco ed è via via cresciuto con l'intenzione di farci cantori di
quello che questo paese ci aveva raccontato.
Storie orali e storie scritte, storie comunque nostre. È un disco che,
più degli altri, tiene conto degli uomini e delle donne che abbiamo incontrato e
ascoltato senza l'arroganza di chi oggi ascolta solo i nuovi soggetti emergenti'. Tiene
conto di coloro che in questi anni ci hanno aiutato a capire ciò che stava accadendo e
che ci hanno regalato quell'energia necessaria per continuare a svolgere, nel modo
migliore, un ruolo e una funzione più organica possibile rispetto ad una realtà sociale
e politica che ha subito profonde trasformazioni, lacerazioni, scissioni, forti traumi ma
che, nonostante tutto, cerca disperatamente di ricordate, di resistere, per inventate ed
attaccare nuovamente; che cerca di mantenete in vita, rinnovandola, la propria natura,
quella popolare. A loro è dedicato questo disco con la speranza che possa servire come a
noi sono serviti questi anni, questi incontri, queste storie per trovate 'la strada di
casa' nonostante il cambiamento dei percorsi e degli orizzonti. Ora che il disco è finito
possiamo nuovamente ripartite. Storie d'Italia è la seconda puntata di Le
radici e le ali nel senso che ripropone, o meglio partecipa a quel dibattito in corso
circa il rapporto con la storia, la memoria, l'identità, con ciò che resta della cultura
popolare, tutte questioni oggi vitali per la ricostruzione di un nuovo protagonismo
antagonista.
"Non hai niente se non hai le storie" afferma Leslie Silko, scrittrice indiana
d'America.
Le storie sono una protezione ma anche uno strumento per cambiare il mondo. Le storie
contengono una verità che non si contrappone alla storia ma fa un altro tipo di storia.
Scrive Alessandro Portelli "La storia, ci avevano insegnato, sono i
fatti nella loro materiale oggettività di accadimenti reali; le storie sono i racconti,
le persone che li raccontano, le parole di cui sono fatti, l'intreccio di memoria e
l'immaginazione che carica i fatti di significato culturale. Le storie, insomma, sono
la storia nel suo rapporto con le persone'. Le storie quindi per ricordare o meglio
per arrivare la memoria. La memoria che non è un archivio per conservare dati e
significati ma un processore che sputa fuori dati e significati sempre nuovi che si
portano dentro quelli vecchi, per contraddirli o per liberarsene. La memoria che non deve
essere intesa come una condanna. A volte occorre 'dimenticate per ricordare,' occorre (per
essere più chiari) farsi contenitori della memoria che è rievocazione di immagini. di
sensazioni. di singoli ricordi tanti semi che fioriscono nella logica di un dizionario
non ancora scritto. Per questo fatto consideriamo Bandito senza tempo e Kowalsky,
i due migliori esempi, per ciò che ci riguarda, circa un modo nuovo per ricordare e
raccontare: due canzoni 'autobiografiche ed epocali'.
Quello che è certo è che la cultura popolare ha imparato da tempo a convivere con
l'orizzonte della scomparsa. Per sopravvivere usa un anima propria della cultura popolare
di sempre: il sincretismo: dalla frammentazione delle identità e del significato
rimette insieme i pezzi e crea una cosa nuova, utile anche se provvisoria. Portelli
individua nel 'quiet' la coperta patchwork (prodotto della cultura rurale femminile degli
indiani d'America) l'oggetto simbolico del la cultura popolare. Occorre precisare che la
cultura popolare vive la frammentazione delle identità più come una violenza che non
come una liberazione a differenza dell'immaginario post-moderno che la considera come
rottura delle costrizioni di una ragione autoritaria. Allora ricomporre cultura di massa e
frammenti di cultura popolare in una qualche forma di unità non significa tornare
indietro per restaurare il passato ma andare avanti per inventare il futuro.
Anche se senza la memoria dello sfruttamento, dell'espulsione, della violenza subita non
riusciremo ad inventare niente, ma saremo solo il veicolo inconsapevole delle invenzioni
altrui.
Detto questo appare chiaro il fatto che noi ci sentiamo, anche in questo disco, molto più
vicini ai generi sincretici e ibridi della tradizione come 'l'ottava rima', la canzone
politica e sociale e la parodia.
Dellottava rima' non riprendiamo la forma ma l'atteggiamento culturale verso la
cultura 'alta' o letteraria. Lottava rima è per noi il luogo in cui gli
illetterati mettendo le mani sui libri ma li trasformano, li 'impolverano', ne fanno
tutt'uno con la loro immaginazione.L'ottava rima è la poesia cantata,
una forma diffusa nella tradizione orale delle popolazioni rurali dell'Italia centrale, ma
praticata solo da alcuni cantori, alcuni dei quali, in particolare i pastori, riutilizzano
forme letterarie tratte da La' Gerusalemme liberata di Tasso o L 'Orlando
furioso di Ariosto. "La poesia - dice Francesco Lalli, poeta popolare e cantore -
non si canta in dialetto, la poesia, il canto è sempre in italiano. Non e erano parole in
dialetto, in dialetto si raccontavano le barzellette". Il fatto politico centrale
del disco, questa volta non è dato da messaggi espliciti di rivoluzione o alternativa.
Tutto il lavoro si basa sulla convinzione che non si dà rivoluzione, alternativa e
neanche democrazia, senza il processo e la capacità di ricordare, di dire, di inventare.
Abbiamo raccontato e ci siamo raccontati così come siamo ora e sempre stati (non parliamo
solo dei Gang) con le nostre strategie multiple e senza soggetti canonici. Quello che ne
viene fuori è uno specchio della nostra cultura come terreno dello scontro di classe
senza classe monolitica e identità assicurata e in questa nuova progettualità
riconosciamo un centro: quello dellimmaginario, del desiderio, delsogno. Un centro
comune alle culture popolari di gran parte del mondo. Storie dItalia è un disco
che si ostina ad affermare, a dimostrare che la cultura popolare e le canzoni popolari non
sono finite, anzi, oggi più che mai, sono uno strumento di liberazione personale e
collettiva. Woody Guthrie disse a suo tempo "Ho sentito parecchi cervelli fini dire
che le canzoni popolari stanno per sparire. (Che la musica popolare come la conosciamo si
avvia ad uscire dal vecchio portale della storia... Io dico che la musica popolare, le
canzoni le ballate popolari solo adesso cominciano a mettersi in piedi come Joe Louis dopo
un paio di brutti Ko." Ed era circa il 1930 in USA.
La maggior parte delle canzoni sono dei viaggi, viaggi piccoli, grandi, a volte interiori.
Abbiamo scelto ancora il viaggio come metafora dellidentità.
Da sempre quando un popolo una comunità, un individuo ha dovuto fare i conti con il
rapporto con l'esterno, col diverso si è messo in viaggio.
Da Omero a Jack Kerouac, da Uccellacci uccellini a Mediterraneo, si tratta sempre
di viaggi parabolici. Lidentità non è mai identica a se stessa. Ma varia in
continuazione. Alla fine del viaggio si riparte. Storie dItalia arricchisce
quellaffresco contemporaneo fatto di piccoli grandi viaggiatori. Johnny lo zingaro,
il bandito senza tempo, il vecchio comunista, insieme ora alla Banda bassotti, a Pio La
Torre ;Itab Hassan Mustaphà, Luigino di sesto San Giovanni. Un affresco su laltra
Italia capace di ricordare le strade percorse e di inventare nuovi itinerari.
Ed ecco alcuni cenni sulle canzoni.....
Kowalsky
Lidea di questa canzone è nata leggendo la sceneggiatura di Kowalsky, uno
spettacolo teatrale ideato e scritto da Paolo Rossi, Davide Riondino e Gino e Michele con
la regia di Salvatores. Così è nato Kowalsky numero due. Kowalsky impersona il Sogno, il
nomadismo originario e la canzone racconta il suo viaggio, la sua odissea in questo paese.
L'arco di tempo va dalla fine degli anni '70 ad oggi, un periodo in cui l'Italia ha
rinunciato al sogno e a sognare...
Le 'stazioni' di questo viaggio sono molte, da quella di Bologna, allo Zen di Palermo, dal
Leoncavallo alla Mirafiori, dalla Domiziana al Ferrante Apporti.
Kowalsky è il nuovo 'soggetto' vagante, usa strategie multiple, 'armi'- linguaggi
diversi, li contamina per riuscire a sopravvivere. La canzone è divisa in tre parti:
inizia alla stazione di Bologna, dove Kowalsky - il Sogno è crocefisso e con lui ci sono
i due 'ladroni': Don Chisciotte e Pierrot che simboleggiano l'idealismo. Sempre in quella
stazione altre strade di liberazione finiscono lungo un binario morto, da quella cristiana
di Cristo la tigre (di Cristo venuto per essere mangiato, spartito, bevuto, per dirla con
Eliot) a quella della 'strada', del 'viaggio' di (Uccellacci uccellini di Pasolini,
con Totò e Ninetto Davoli. Siamo alla fine degli anni '70 e il Sogno per sopravvivere e
scendere dalla croce non ascolta il canto delle sirene che lo invitano nel mondo delle
meraviglie, ma sceglie di seguire Caronte verso il dubbio, il vuoto, la confusione,
l'inferno. La seconda parte vede Kowalslky negli anni '80.Gli anni '80 sono stati
caratterizzati da un obiettivo comune a tutte le lotte: quello dello spazio; l'esigenza di
conquistare una riserva, dove 'preservare la specie'. Kowalsky non è più convinto di
continuare a tirare frecce che simboleggiano una forma di lotta 'preistorica' destinata
alla sconfitta anche se romantica ed eroica, né di seguire i Robin Hood, l'avanguardia di
estrazione aristocratica, universitaria', e riparte alla conquista del tempo. Arriva ai
cancelli di Mirafiori dove il tempo è un ostaggio e usa armi che provengono dalla
tradizione del movimento operaio ma diventano carte da gioco (si affida all'immaginario,
al desiderio, al sogno per sfuggire alla camicia di forza dell'ideologia) e vince il
sindacato riformista. La terza parte lo vede negli anni '90, sulla Domiziana dove Fatima
(la ragazza di colore che ha partorito un bambino per strada) diventa la nuova Madonna. È
l'incontro con l'altro, col Sud del Mondo che Kowalsky annuncia come nuova strada da
seguire. Non ci sono più frecce, né carte da gioco, ma le matite di Andrea Pazienza.
Finisce (la canzone, ma la storia continua altrove) in carcere con Paolo Rossi e arrivano
di nuovo ancora altre chitarre di cartone (per indicare la subcultura) e un nuova stagione
del rock. È la canzone più carica ma anche la più riuscita secondo noi rispetto alle
intenzioni. Sincretismo, incrocio, multiculturalità, viaggio - identità, memoria come
'scatola magica'... e incontro tra rock e tradizioni folk italiane.
Duecento giorni a Palermo
Pio La Torre era tornato a Palermo, nella sua città, dopo una lunga militanza a Botteghe
Oscure, con due obiettivi: combattere la mafia rilanciando la lotta tra la gente e
liberare il Pci da accordi compromettenti con la Dc di Lima e Ciancimino.
Dai suoi duecento giorni a Palermo ne viene fuori la figura di un uomo
in cui si combinarono i quattro elementi che in Sicilia equivalgono sempre alla condanna a
morte: l'intransigenza morale, il ruolo di potere, la capacità di leggere le cose
siciliane attraverso il filtro della conoscenza delle logiche mafiose e infine l'essere
solo, amato dai compagni senza potete ma circondato negli apparati del suo partito da
pochi amici, molti spettatori, da alcuni nemici come Russo e Sanfilippo. Per la
ricostruzione dei duecento giorni a Palermo di Pio La Torre e delle sue 'scoperte' ci
siamo valsi della rivista Avvenimenti, in particolare degli articoli di Michele
Gambino.
Itab Hassan Mustapha
È stato un libro, La tana della iena, edito da Sensibili alle foglie, a farci
conoscere la storia di Hassan Abu Omar. Heb Hassan è il nome di battaglia e Mustaphà il
nome che suo nonno aveva voluto per questo ragazzo nato a Chatila.La sua famiglia di
Gerusalemme, viveva in un campo profughi dal 1948 quando gli israeliani li cacciarono
dalla loro terra. A nove anni Hassan era pronto per entrare nella scuola militare e
diventare Figlio del Leone. Nel 1982 israeliani e cristiano maroniti si resero
responsabili di un'orrenda strage nei campi di Sabra e Chatila. Furono uccisi: sua madre,
sua sorella e due suoi fratelli, Fadi quattordicenne e Ahmed di appena un anno e mezzo.
Poco dopo, suo padre morì in un'imboscata. Nell'Europa dei grandi, Mustaphà ci arriva
quindicenne per compiere un attentato ad un ufficio delle linee aeree britanniche a Roma.
Subito dopo viene arrestato. Della storia di Mustaphà ci ha colpito l'incontro tra due
culture, due tradizioni di valori, due religioni, un incontro difficile avvenuto prima a
Casa di Marmo nel carcere minorile e poi a Rebibbia.
Il paradiso non ha confini .......
Questa storia ci è stata raccontata dalla Banda Bassotti, un gruppo di compagni che
si sono conosciuti nei cantieri edili della periferia sud di Roma. Li abbiamo incontrati
molte volte sulla strada dell'internazionalismo e della solidarietà. Il loro disco Figli
della stessa rabbia lo consideriamo come la miglior produzione italiana uscita di
recente. Nel 1988 alcuni di loro, manovali della cooperativa edile XXV Aprile sono stati
in Nicaragua per costruire una scuola a Muy Muy. Nella canzone abbiamo sottolineato
laspetto della festa come incontro e quello della storia d'amore tra Paolo e Klellya
una ragazza nicaraguense. Si sono sposati da poco e hanno avuto una bambina. La
rivoluzione si fa anche in questo modo. La canzone vive anche in tanti altri racconti di
compagni italiani che sono andati in Nicaragua per la costruzione 'accelerata' del
'paradiso sulla terra' tra i quali quelli di Loris o di Nando. Peppe, Nicla, Maurizio di
Reggio Calabria autori del libro Il Nicaragua è un dolce che aspetta
lautobus
Sesto San Giovanni
Sono ormai diversi anni che conosciamo un gruppo di compagni di Colere (Bg). Una delle
realtà più belle, più generose che abbiamo incontrato. Siamo orgogliosi di averli come
amici. Anche loro ci hanno raccontato molte storie, abbiamo scelto quella di luigino
operaio alla Falk di Sesto San Giovanni. Anche il suo è un viaggio come quello di Pio La
Torre, della Banda Bassotti, di Mustaphà e di Kowalsky, un viaggio che compie ogni
lunedì notte da Colere a Sesto San Giovanni dove va a lavorare. In questi ultimi dieci
anni ci hanno voluto far credere che gli operai e le fabbriche erano scomparsi ma noi
abbiamo sempre conosciuto da vicino una realtà diversa, quella dello sfruttamento,
dellalienazione, della crisi didentità, del tradimento del sindacato. La
canzone vuol essere anche un omaggio a Sesto San Giovanni per quello che fu alla fine
degli anni 60 quando da lì inizia lautunno caldo.
Dove scendono le strade.
È una storia tra tante, di sogni finiti male, nella disperazione, storie di periferia,
storie di fughe solitarie. Il testo è di Massimo Bubola.
Eurialo e Niso
La melodia è quella di un canto tradizionale di questua, un canto religioso: la passione
dove si narra il calvario di Cristo stazione per stazione. Si è cercato di legare
lesperienza della lotta partigiana ad una vicenda letteraria classica. Il testo è
di Bubola. È una canzone epica ricostruita usando materiali della tradizione popolare e
della cultura "alta".
Cambia il vento.
È il brano che fa da cornice al disco come Buonanotte ai viaggiatori. Un canzone
che esorta a mantenerci lucidi e svegli, a restare positivi e a cogliere loccasione
ora che i tempi stanno cambiando. Testo di Bubola.
Buonanotte ai viaggiatori.
È una ninna nanna dedicata alle grandi passioni, ai viaggiatori di sempre : agli amanti,
guerrieri suonatori. Con la speranza di incontrarci presto sotto i ponti di un Sogno dove
a darci la luce sarà un Arcobaleno. Alla fine della tempesta.
Il partito trasversale.
È una canzone di Massimo Bubola, labbiamo messa nel disco per salutare li anni
80 e con essi Craxi e la sua banda. Abbiamo pensato che lo sberleffo, la risata e la
presa per il culo fossero più adatti per festeggiare la fine di questo triste capitolo
della storia dItalia. Ci teniamo a precisare che il dopo Craxi non annuncia niente e
che il partito trasversale è molto più pericoloso del quadripartito per la democrazia.
Perché? Perché pretende di cancellare (come tentò di fare il Psi )la stessa idea di
conflitto sociale. Cerca di staccare dal conflitto stesso la crisi del sistema politico
alla quale trova rimedio con leggi elettorali truffa fino al sistema uninominale. È la
riforma di Martelli o meglio (ora che lui si è fatto da parte) dei suoi nipotini in cerca
di redenzione dopo un passato al fianco di Craxi 'il cattivo'; di La Malfa espressione
diretta degli ambienti confindustriali, di Segni il conservatore. E Occhetto lo
'smemorato' si fa prendere di nuovo allamo. L'operazione trasversale è chiara e
mira a liquidare il conflitto per oscurare ogni idea di nuova sinistra e per promuovere un
progetto che riduce le condizioni democratiche e consegna il paese alle lobbies e ai
grandi gruppi di interessi. È la completa americanizzazione del sistema politico
italiano.
Via italia
Lambientazione è teatrale, il linguaggio è fortemente simbolico. Una notte
qualsiasi in 'via Italia' con tutti i suoi attori e comparse c'è l'Àngelo, la speranza
caduto a terra ucciso... c'è la storia, una prostituta, ci sono Giulio e Francesco che
brindano con Bruto e Caino come nelle migliori fanta-tragedie, c'è una sconfitta che
dorme sorvegliata dalle tre scimmie dell'indifferenza, del cinismo, dell'apatia che
legittiminano il 'balcone', l'autoritarismo, la reazione. È un viaggio metaforico nel
paese deviato dei misteri dove la democrazia e stata uccisa a colpi di stragi di stato, di
delitti politici eccellenti. Ogni risposta è tenuta prigioniera dalla Tela del Ragno
fatta con i fili con cui questi burattini dell'orrore (i governanti, i custodi del
Palazzo) sono stati azionati. Il burattinaio è comunque fuori dalla Politica... E un
viaggio nella storia di questo paese alla ricerca di quel che resta dei valori della
democrazia e della libertà per poter costruire dalle macerie. La canzone si chiamava
prima Via Fani, poi abbiamo pensato che era sicuramente più utile allargare la
prospettiva e avere una visuale più ampia che comprendesse vent'anni e più di stragi che
hanno caratterizzato la gestione del potere in questo paese. Resta soltanto una parte del
testo che riguarda più da vicino Via Pani e i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro.
Questo perché pensiamo che anche questa vicenda non sia stata chiarita, resti tutt'oggi
'oscura'. Quanto alle BR e alla lotta armata praticata in Italia in un determinato periodo
storico torniamo sull'argomento con una breve precisazione. La nostra posizione è quella
del "non condannare per criticare". Non condannare per tutta una serie di
motivi: perché la condanna nega le ragioni e le radici sociali del fenomeno e finisce per
istigare, come afferma Scalzone. Perché le forme di 'lotta armata' praticate in Italia
negli anni '70 sono nate nel contesto eccezionale di una situazione sociale caratterizzata
da un dualismo di poteri. Partendo dall'idea che potere contro potere vince la forza"
molti pensarono di agire sul piano della violenza sociale e politica per 'prolungare
l'offensiva', altri pensarono all'autodifesa del movimento dopo le stragi di stato, il
golpe in Cile...Noi siamo e siamo sempre stati per il superamento dell'alternativa tra
politica riformista e politica rivoluzionaria, entrambi hanno una concezione statalista
della trasformazione sociale e in entrambi rimane inalterato il concetto di rappresentanza
ed entrambi vivono nell'universo borghese dove è centrale il binomio Guerra/Politica
(guerra come continuazione della politica con mezzi diversi e anche politica come forma
temporanea di regolazione dello stato di guerra latente). Modelli trovati negli armadi
delle ideologie storiche dei movimenti europei dall'anarchismo al bolscevismo.La
rivoluzione, il comunismo è per noi non un fine, né un arrivo ma processo, un movimento,
una dinamica. La rivoluzione è un processo attuale, immanente, su scala mondiale senza lo
schema degli stadi di passaggio né quello della presa del Palazzo d'Inverno.
"Contestare costruire Rivendicare' queste sono le fasi essenziali in questo
momento...
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Vorremmo approfittare di questo spazio per dire la nostra su una
questione di scottante drammatica attua1ità: la guerra in Iugoslavia. Una cosa è certa,
non saranno le grandi potenze a salvare milioni di persone. Non saranno gli stessi (i
fautori dell'Europa Unita) che hanno creato questo nuovo Libano. La speranza è nel
movimento pacifista, nel suo intervento politico affìnché la guerra finisca. La pace con
le armi stritola i problemi , non li risolve.
Questo è mostruoso pacifismo affidato ai militari ma noi sappiamo bene che non ci sono
guerre a fin di bene. Don Tonino Belli scriveva "Pensavo che dopo il massacro di due
anni fa la sola ipotesi una nuova tempesta nel deserto" avrebbe suscitato disgusti
invece no. Povera Sarajevo, povero Libano, poveri palestinesi".
I responsabili ci sono, Con la caduta dell'impero sovietico si sono scatenate le rivalità
tra Usa, Germania e Giappone. Posta del conflitto è la conquista del
monopolio dei mercati dell'Est. Zone calde: Balcani (dove sono forti Germania e Giappone)
e Mediterraneo (dove premono gli Usa). La Germania approfittando del conflitto jugoslavo
si è appropriata del mercato della Slovenia e ora punta a quello della Croazia e a quello
della Serbia. In questa politica trova alleato il Giappone. La Germania ha fornito armi a
Slovenia e Croazia pagando le forniture provenienti da Ungheria e Cecoslovacchia. Il
Giappone ha aperto una linea dì credito in favore di Slovenia e Croazia a Singapore...
Oggi al movimento pacifista si rimprovera l'incapacità a individuare il nemico' della
Serbia. Ma il nemico è altrove, è nel potentissimo groviglio di interessi statali di
affari, politici e religiosi. La follia che ha provocato tutto questo è stata la linea
dei riconoscimenti a catena' delle repubbliche nate su base etnica quando occorreva
imporre condizioni per questi riconoscimento come quelle dei diritti umani e di garanzie
per le minoranze. E il ministro Andò che protegge' i trafficanti di armi italiani e
croati...
E chi ritroviamo in questo traffico? Friedrich Schaudinn condannato per la strage del
Natale '84 sulla Firenze - Bologna del rapido 904. Schaudinn che fuggì naturalmente in
attesa di appello dagli arresti domiciliari.
Vecchie conoscienze ma ci vorrebbero altre pagine.Anche altre volte abbiamo raccontato una
parabola - comunicativa; questa volta vi raccontiamo quella della Terza Riva.
Abbiamo navigato per molti anni lungo le acque del fiume - storia di questo paese. Come
naufraghi. O meglio come profughi di un sogno perduto perché sconfitto.
Lo abbiamo fatto sopra una zattera che non potrebbe resistere alle rapide che precedono la
grande cascata. È giunto il momento di scendere a terra e approdare alla riva. Non
possiamo però sbarcare sulla riva destra del fiume, là dove abitano i sanguinosi
nazionalismi e i volgari localismi; né su quella sinistra dove regna il sacrificio e lo
stato sociale visto che noi abbiamo sempre cercato il Paradiso sulla terra per tornare a
seminare. E se apparentemente ogni fiume ha due sponde, due rive, noi diciamo che ne
esiste una terza.O meglio una non riva, che cè, che esiste nella nostra
immaginazione, nei nostri sogni, nei nostri desideri: lunica terra dove potremo
approdare. Ecco perché la nuova sinistra, quel partito che non cè, non può
chiamarsi La terza via.
Marino e Sandro Severini.