Paola Sartori Ruggenini

 

Sulla soglia. La collocazione dello Spazio Ascolto sul limite dell’esperienza tra interno e esterno.
 

Giorgia, una bambina di sei anni, alle prese con il suo inserimento in prima elementare, mentre mi raccontava dei suoi compagni, delle maestre e così via, con fare serio aveva aggiunto: “A scuola ci sono degli asini”. “Già….?”. “La maestra ci ha fatto vedere che fuori dalla finestra della classe c’è un prato, ci sono anche due asini,  poi vedremo anche gli asinelli che nasceranno, perché l’asina è incinta…Forse una volta potremo andare a trovarli con le carote…”. Parto da questo episodio per le brevi riflessioni che proseguono sulla scia di quanto ha già detto la professoressa De Carolis su ciò che intendiamo per “Spazio ascolto” e si soffermano sul limite dell’esperienza tra interno ed esterno. Le finestre della classe guardano un giardino, un fuori delimitato,  la maestra di Giorgia, che lavora in classe, sembra avere presente la soglia in cui si trova ad operare. Ciò che accade fuori raffigura lo sfondo esperienziale, ciò di cui si è ignoranti appunto, le forme di vita da risignificare agli allievi attraverso l’educazione emotiva e gli apprendimenti. In questa soglia di un ascolto e di uno sguardo duplici si alternano in forma elastica e a seconda delle situazioni restringimenti di campo e realizzazioni di senso più estesi. Ai bambini che guardano dalla finestra è consentita l’esperienza contemporanea di un dentro (la classe) e di un fuori delimitato (il giardino) che rimanda a sua volta a uno più esteso, che lo sguardo non coglie ancora (oltre il giardino, o gli asinelli che nasceranno). Sono queste tensioni: qua- là, vicino- lontano, al di qua- al di là, che fondano lo spazio della presenza e della relazione.  La Scuola  può  configurarsi allora come luogo di  transizione  tra casa e mondo esterno, lo sportello d’ascolto come il tempo e il luogo in cui gli studenti in compagnia adulta possono fare un’escursione nel mondo delle proprie emozioni.

Credo che il Progetto della Rete di Treviso proceda secondo questa modalità di restringimento e ampliamento di campo in cui, a partire dalla classe e dai colloqui, attraverso tappe intermedie viene coinvolta tutta l’organizzazione scolastica per poi tornare alla classe, e all’interno di questi tragitti, viene favorita attraverso l’attitudine all’ascolto e all’osservazione una visione complessa che consente pause, differimenti e riformulazioni lungo il percorso. Il mio intervento farà breve riferimento al tipo di formazione offerta all’interno del Progetto di Rete, rivolto agli insegnanti nel loro operare in classe e negli sportelli d’ascolto, nell’ottica della contiguità possibile tra pedagogia e psicoanalisi che si sono affiancate e incontrate. Il punto di vista condiviso sulla soglia tra  formazione e  progetto deriva dalla consapevolezza che la possibilità di ascoltare e osservare le dinamiche relazionali che si instaurano con gli alunni, tra gli alunni,  tra colleghi, con i genitori  e così via rappresenti un’ulteriore  opportunità per chi, come gli insegnanti, negozia quotidianamente con gli altri i diversi aspetti di se stesso e per le formatrici del Centro di consultazione per Genitori, Bambini e Adolescenti di Venezia una preziosa esperienza del mondo della Scuola visto così da vicino. La formazione  non è la voce portante del Progetto ma ne fa intrinsecamente parte, per questo sono grata agli organizzatori del Convegno di averne consentito la presenza attraverso la mia partecipazione come rappresentante del Centro. Desidero inoltre esprimere tutta la mia ammirazione ai protagonisti di questo convegno, agli insegnanti della Rete dello Spazio - Ascolto di Treviso che hanno realizzato nel tempo  una proposta educativa  importante, i cui risultati oggi  vengono presentati perché altri possano conoscerli come occasione di condivisione critica. Un apprezzamento particolare va al dirigente scolastico della Scuola capofila Professor Mauro Marconato e a Donella, la coordinatrice del Progetto di Rete di Tv, che chiamo per nome per amicizia.

 

 

METODOLOGIA

 Gli insegnanti sono stati avviati a un’osservazione partecipe( su applicazione del metodo dell’osservazione diretta del bambino secondo il modello Tavistock Clinic di Londra) per aiutarli a cogliere il significato del proprio modo di porsi di fronte agli alunni e orientarli a un’attenzione privilegiata che si apre ad accogliere riflessivamente ciò che emerge dall’impatto relazionale.

 

1.     Osservare,  ricordare, trascrivere

L’osservazione è lasciata libera alla spontaneità dell’osservatore non per noncuranza o poco rigore, ma perché ognuno ha un  modo proprio di osservare che deve poter sperimentare.

 Osservare implica

·        la focalizzazione del vertice dell’osservazione. (In relazione a un singolo allievo, al gruppo classe, dentro o fuori dall’aula, rispetto agli apprendimenti, rispetto al comportamento…all’interno dello Sportello di Ascolto)

·        il ricordo di ciò che è stato scambiato nella relazione. (Parole degli uni e degli altri, gesti, inflessioni della voce, mimiche, posture, il clima emotivo percepito, lo sfondo…)

·        la trascrizione. Il protocollo dell’osservazione, che viene stilato successivamente, si affida alla memoria e a brevi appunti presi immediatamente dopo l’osservazione. La stesura dell’osservazione presuppone una scrittura rivolta a se stessi, perché aiuta a ripercorrere ciò che è stato colto durante l’osservazione, a ritrovarne il timbro emotivo, ma contemporaneamente non può dimenticare il gruppo a cui verrà consegnata. Più l’osservazione sarà ricca di dettagli, di dialoghi che fanno cogliere sfumature emotive, più il gruppo potrà partecipare emotivamente dell’esperienza  del collega, arricchirla con ulteriori punti di vista e  ipotesi ricambiando così la fatica della stesura. 

1.     Il gruppo:  raccontare e immaginare

Ogni gruppo è composto da un massimo di 15 partecipanti e viene guidato da due conduttori che lo incontrano mensilmente per tre ore. Oltre alle letture teoriche presentate a turno dai partecipanti e discusse in gruppo, cui viene dedicata circa un’ora e mezza, l’osservazione di un singolo docente diventa  oggetto di riflessione e di discussione  da parte del gruppo. L’assenza di  consigli, rimproveri o commenti,    consente di sviluppare una comprensione a più voci del ruolo delle identificazioni, del modo in cui gli allievi fanno capire le loro esigenze e paure, del tipo di relazione che intrattengono con i diversi insegnanti, delle collusioni o dei rifiuti che si possono ingenerare. In gruppo gradualmente gli insegnanti possono meglio distinguere livelli di comunicazione che sottendono comportamenti e espressioni emotive, la cui lettura non è immediatamente riconoscibile né rispetto agli alunni, né rispetto a se stessi. Possono altresì sostenere un’esperienza emozionale che sospende l’azione e  sopporta l’incertezza del dubbio e degli scacchi, in cui si può incorrere nella ricerca di risposte  non precostituite. L’acquisizione di queste capacità, il riconoscimento delle emozioni che si mettono in campo nell’incontro con i propri alunni,  può offrire agli insegnanti l’opportunità di affidarsi alla propria comprensione empatica e a non spaventarsi della risonanza emotiva  dell’incontro con sentimenti incrociati - quelli  degli alunni e i propri - che devono essere identificati e nominati per poter essere contenuti. Questo necessario restringimento di campo, che focalizza l’attenzione sul mondo delle emozioni, non dimentica il motivo di tale esperienza formativa che resta sempre rivolto a un’interazione con gli alunni che incida sull’apprendimento e sui comportamenti. La formazione proposta ci ha fatto incontrare insegnanti che  già includono nelle proprie competenze professionali l’osservazione e la comprensione delle emozioni che si instaurano vicendevolmente nella loro relazione con gli alunni, e sanno che rientra nel  loro compito  educativo cercare di modularle e gestirle. Ciò nonostante inizialmente non è stata immediatamente recepita la proposta di un’osservazione che richieda  “solo” di ascoltare ed ascoltarsi, non è risultata neppure scontata la richiesta della trascrizione sistematica di osservazioni che si affidano al ricordo del clima emotivo percepito, piuttosto che a una registrazione di “fatti obiettivi”. Ciò che però ha continuato a impegnare gli insegnanti è stato il richiamo forte dei formatori nel ricondurre l’attenzione al qui ed ora della relazione educativa che rimanda sempre alla domanda: “Come posso restare, io insegnante,  adesso con te/con voi malgrado la preoccupazione di avere scarse conoscenze socio- ambientali e senza richiamare le responsabilità d’altri che mie? “ Ci è sembrato comunque che la possibilità da parte dei docenti di condividere con il gruppo una formazione di questo tipo abbia ricompensato l’impegno che ha comportato, perché ha consentito pause di riflessione condivise all’interno di un’esperienza contenitiva non giudicante.

 Uno sportello di ascolto

Cercare di riflettere sulle motivazioni che hanno indotto le otto scuole della Rete di Treviso a disporre di uno “ Sportello di ascolto” condotto da insegnanti ci ha costrette come formatrici a fare i conti con questioni delicate e nuove. Comunque ciò su cui ci siamo  trovate concordi col Progetto di rete è stato riscontrare che l’apertura di uno” Spazio Ascolto” per soli alunni, per alunni e genitori,  ha senso se  si inserisce  in una Programmazione di Istituto e ne chiarisce gli intenti, se fornisce ai docenti un’adeguata formazione che include la supervisione e soprattutto se non presume di essere un luogo di terapia. Lo “Sportello d’ascolto per tutti gli alunni” all’interno della Scuola può rappresentare una preziosa opportunità educativa nel senso dell’offerta di un ascolto recettivo , di un tempo riservato agli studenti per l’incontro con un adulto che sa aiutarli a  mettere a fuoco prospettive e problemi relativi alla loro formazione personale sia sul piano degli apprendimenti, sia sul piano emotivo e relazionale della loro vita scolastica e contemporaneamente orienta e risignifica le domande degli alunni con  risposte che  dischiudono nuove aperture di senso e di risorse personali sostenendo le loro capacità di ricerca e di scoperta di sè. L’esercizio dell’ascolto incoraggia a convogliare le emozioni in linguaggio e, come dice Winnicott, “la capacità dell’individuo di entrare con l’immaginazione, in modo però cauto e delicato, nei pensieri, nei sentimenti, nelle speranze e nei timori di un’altra persona e anche di permettere  all’altro di fare lo stesso nei propri confronti”

Resta comunque da considerare che quando c’è aspettativa per un’esperienza che si ritiene significativa, vengono  mobilitati  stati d’animo, sia in chi ascolta che in chi pone domande, molto  intensi e complessi e che anche la propensione ad agire, piuttosto che a riflettere, si può fare più pressante e insidiosa. Gli insegnanti che fanno esperienza diretta di uno “Sportello” si trovano a fare i conti con l’impatto emotivo in modo più diretto di quanto non avvenga in classe e sono meno sostenuti dalla mediazione della propria specificità docente, che non è più così in primo piano neppure quando apparentemente il colloquio si svolge in relazione     all’orientamento scolastico o al metodo di studio.

Queste considerazioni, che hanno pesato sul piano delle preoccupazioni delle formatrici, hanno giustificato l’appello alla prudenza, al ricorso a una formazione adeguata, alla supervisione, pur trattandosi di spazi d’ascolto non psicoterapeutici. Il lavoro sul campo e   momenti di verifica hanno consentito aggiustamenti di percorso.

Ciò che ci ha piacevolmente sorpreso ad esempio è stato l’apprezzamento degli insegnanti dello spazio ascolto come un’opportunità inattesa e arricchente, che fa recuperare un incontro tra ragazzi e adulti “tutti interi” piuttosto che sottolineare quello abituale di alunni e insegnanti. Questo particolare scambio relazionale ha consentito poi un’ulteriore possibilità, quella di incontrare un alunno o al più due o tre alla volta. Poter constatare in una situazione privilegiata il gioco delle emozioni in campo, poter riconoscere un po’ alla volta cosa può averle suscitate, è risultato un buon esercizio e in questo senso ha rappresentato una possibilità di maturazione personale oltre che un servizio per gli alunni. Questa esperienza  ha aiutato a considerare e riconoscere con maggiore consapevolezza anche le problematiche emotive nel rapporto con la classe.

Il Setting dei colloqui

Come entrare nel merito dei colloqui ha rappresentato forse la questione più ardua di questo percorso di affiancamento tra docenti e formatori, sia perché trattandosi di un campo sperimentale mancano riferimenti bibliografici di supporto sul versante della Scuola, sia perché la letteratura specialistica riporta esperienze e riflessioni preziose ma non rivolte agli insegnanti. Questo è stato l’aspetto pionieristico del lavoro comune. Anche in questo caso la discussione in gruppo delle letture proposte in formazione ha aiutato a individuare con pazienza zone limitrofe, ad accogliere ciò che accomuna e a scartare ciò che diventa troppo specifico e quindi poco consono alle finalità dello sportello d’ascolto condotto dagli insegnanti. Imprescindibile è stata la disponibilità di sperimentare e far proprie indicazioni la cui validità è stata assunta, riformulata o scartata strada facendo.

Riferisco brevemente a titolo esemplificativo solo una questione relativa al setting, l’approfondimento delle altre avverrà nel lavoro di gruppo del pomeriggio.

Perché un insegnante diverso dall’insegnante di classe.

L’incontro Rappresenta:

Sottolinea:

 Riconduce:

Dischiude e favorisce:

Tutela da: