Le
Opere di
Valeria D'Arbela
Gioia in città, 1972 chine colorate su
carta collezione privata
Pelago, 1977 chine colorate su carta,
cm 98x68
collezione privata
Sogno inafferrabile, 1980 chine colorate su carta,
cm 69x49 collezione privata
Venezia onirica, 1980 chine colorate su carta,
cm 70x50 collezione privata
VALERIA E GIROVAGARTE
di Dante Ferrante
Nel 1996 con le prime due esposizioni di VALERIA
D'ARBELA a Berlino ho cominciato ad organizzare mostre per lei in Italia e all'estero.
Dal 1999 si è formato un gruppo eterogeneo di persone amanti dell'arte che ho chiamato
GIROVAGARTE. Il gruppo, attivo fino al 2002, anno in cui è scomparsa la D'ARBELA, era composto da collaboratori sparsi tra Roma, Parigi, Madrid, Berlino, Mosca, Tokio. Tra il 1999 e il 2002 sono state organizzate tre mostre in Germania, due in Francia e in
Ispagna, una a Roma, sia di carattere antologico che propositivo degli ultimi lavori. GIROVAGARTE fu inteso da me e Valeria in primis e poi dagli altri componenti come una catena di contatti e organizzatori di eventi artistici a tutto tondo e senza confini.
"L'arte girovaga" aveva come assunto iconografico l'immagine di un carrozzone di zingari.
"Zingari" col passaporto di cittadini del mondo, festanti e sicuri del loro valore artistico serio ed esperto, capace di risvegliare entusiasmi e vitalità passando tra le vie del mondo. Un diffondere l'arte come un eterno pellegrinare in una visione senza frontiere né barriere burocratiche. L'intenzione di GIROVAGARTE era di unire in questo progetto realtà intellettuali ed artistiche tra le più diverse. Il comune desiderio di girare il mondo e farlo girare diffondendo il "virus" della diversità culturale ed artistica integrante e che si integra. Il tutto legato anche ad una filosofia artistica deontologica ove professionalità e progettualità si fondono in un universalismo ludico del mondo.
In tal senso il Carrozzone è andato gonfiandosi via via, tanto che alla scomparsa di Valeria e alla temporanea sospensione delle attività di GIROVAGARTE erano già pronti per l'attuazione diversi progetti espositivi, tra cui tre in Russia (a Mosca e
Saransk), uno in Ispagna, uno a New York in una ex-fabbrica del quartiere di Chelsea (dedicata ai tempi delle fabbriche di Porto
Marghera/Venezia, dipinte da Valeria negli anni 50), uno a Tokio, una performance a Berlino con una sfilata di moda ispirata alle sue opere. E ancora nuove mostre a Berlino in strutture alternative molto interessanti.
Parallelamente alle mostre della D'Arbela, GIROVAGARTE ha promosso altre mostre ed iniziative culturali. Così pur essendo in partenza una creatura "familiare" ebbe modo di diffondersi, di farsi eterogenea con nuovi soggetti in una felice reazione a catena.
NOTA Hanno partecipato al CARROZZONE: Valeria
D'Arbela, pittrice; Dante Ferrante, amatore d'arte; Simonetta Ferrante, poetessa; Helène Franchi, interprete parigina; il prof. Roberto Giacone direttore della Maison
d'Italie; il dr. Battaglia direttore della Banca parigina; G. Lipkau, fotografo tedesco; Pierre e Melanie Omedes di Gragnague
(Toulouse, France), animatori della Galleria Empreinte D'Art; Patrick Tort, darwinista parigino; Anna Vasseur
Stachova, giornalista parigina di ART 11; il Direttore del Teatro Chapeau di Berlino; il direttore della Galleria
Kuckucksnes, di
Berlino; Luciano Zoppo pittore.
ORA HO CAPITO...
Quel giorno a Roma non avevamo soldi per trasportare le tele di ARAN fino al Velabro club per la mostra romana. Quel giorno di dicembre del 99 io e Valeria decidemmo di portarle a mano...Così dal corniciaio di via Capo d'Africa, le trasferimmo in più viaggi fino a via del Velabro passando dal Colosseo e dai Fori. C'era vento ed eravamo in sua balia come due windsurfers e ci superavamo sospinti in un andirivieni che ci faceva incrociare come due palloncini al vento. Come due aquiloni nel cielo o atterranti tra le folate...Ci vide Giustina dall'autobus, vide due tele che volavano, ci riconobbe. Ce lo disse in seguito. Fu strano ripensarci...ma tutto in noi era inusuale nostro malgrado. Che marasma quel periodo: dipingere, incorniciare, scrivere, telefonare, parlare, organizzare mostre, il tutto senza mezzi. Noi due, i
"girovagarte" innamorati dell'arte, sospinti dal vento della vita, nella vita... Oggi Valeria non c'è più, è morta il 5 maggio 2002 a Nepi vicino a Viterbo in una clinica per malati di cancro...Il 4 maggio mi aveva detto: "Dante, dal tuo sguardo ho capito che vorresti che io dipingessi, che disegnassi, vero? Dammi l'album con le matite! Anzi, un Eros da ritoccare a mano.."
E iniziò per qualche minuto. Il vento soffiava ancora. Non era finita, non è finita. L'arte di Valeria veleggia verso l'eternità! Ma io tapino, sopravvissuto, pensavo "E ora? Che senso ha la vita se si rimane senza il proprio amore, quello più grande? Sì, l'amore, il sesso, un giorno una moglie, perfino dei figli, ma chi mi ridarà Valeria che era tutto per me?" Volevo morire anch'io...
Sono passati tre anni e ho trasportato una grande tela di ARAN di Valeria dagli zii Serena e Primo, un dono per i loro 50 anni di matrimonio... Ed eccolo il vento, immancabile qui a Roma. Mi faceva volare col telone.
Ho temuto di decollare, mamma! Giungere fino a te, nel Paradiso di Aran "Non sono ancora pronto - mi sono detto... Poi sono atterrato dagli zii e ho capito. Cara, cara
VALERIA... ora ho capito LE VELE ERAVAMO NOI! SIAMO NOI!
Grazie a te e alla tua arte il Paradiso e la terra non sono poi così lontani!
DANTE FERRANTE
POUR
VALERIE
Il mio desiderio di un
porto... ti troverà sdraiata sulle scale del tempio e ti amerà pensando al calmo dondolio delle navi all'ancora entro insolite
baie
Patrick
Tort Maison
d'Italie Parigi
2001
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Biografia
d'arte
VALERIA
D'ARBELA ha iniziato a dipingere dal 1945. La sua è una presenza artistica solitaria ma radicata in cinquanta anni del nostro secolo, di cui ha condiviso ed espresso umori e contraddizioni, atmosfere e dialettiche partecipando alla vita culturale delle città di Venezia, Milano e Roma. Nata a Firenze nel 1930, trasferita a Venezia nel 1937 seguendo gli spostamenti del padre medico primario d'ospedale, si è interessata fin da giovanissima alla pittura, stimolata da una famiglia colta e amante dell'arte che incoraggiava le più varie occasioni di arricchimento spirituale. Visite ai musei, alle gallerie, letture di libri, concerti, teatri, incontri con personalità di valore. Insieme alla gemella, frequenta fin dal 1943 le gallerie veneziane a partire da
Campigli,
De Chirico,
Sassu,
Sironi,
Carrà,
Morandi. Affascinata dalle riproduzioni degli Impressionisti, da Renoir a
Degas, è colpita soprattutto da Van Gogh, Toulouse Lautrec, Gauguin, e poi dai Fauves e dai Cubisti. Nello stesso tempo esplora con la sorella la città, le viuzze metà sogno metà casbah, osserva i grigi e i bianchi e neri dei palazzi, la Venezia invernale coi suoi silenzi nebbiosi e quella azzurrina primaverile, cerca segreti in spazi sempre diversi. Sono gli anni della guerra, la tristezza e la paura pesano sulla città abolendone il colore, e l'oscuramento notturno crea fantomatiche apparizioni. Anche per sfuggire a questa atmosfera, i genitori portano le gemelle nei fine settimana a
Burano, isoletta di pescatori dalle case luminose dipinte in modo naif e Valeria entra in contatto con i
pittori della scuola di Semeghini,
Vellani Marchi,
Dalla Zorza,
Disertori ed altri.
Un mondo nuovo, e un incontro risolutivo per la sua 'attività artistica. Valeria già dal 43 aveva cominciato a creare sul serio. Personaggi e figure a tempera, nate dalla fantasia, dall'istinto e da suggestioni letterarie (i grandi romanzi dell'800 russo e francese, soprattutto
Tolstoj, Dostoyevskij, Stendhal) che agivano come filtri della realtà circostante. Dai pittori fu incoraggiata a continuare. Da
De Pisis, da
Carena, da
Favai, dallo
storico dell'arte Pallucchini e da altre figure importanti della scena artistica dell'epoca. L'impulso maggiore però le viene dopo la Liberazione, nel 45, dal gruppo dell'ARCO, giovane formazione culturale che rivoluzionava il panorama cittadino promuovendo
happenings, ricerche, discussioni, suscitando entusiasmi e rispondendo alla sete di conoscenza delle giovani generazioni appena uscite dalle strettoie della censura fascista. E' del 1945 la sua prima esposizione personale al Palazzo delle Prigioni presentata da Luigi Ferrante, giovane critico e studioso d'arte. Le sue tempere colorate su carta, di ispirazione espressionista con soggetti
baudelairiani, figure di apaches, di mondane, vecchine, preti e vagabondi e il leit motif delle inferriate suscitano scalpore. Operavano all'ARCO
Armando Pizzinato,
Emilio Vedova,
Giuseppe Santomaso e molti
artisti, letterati e critici noti del dopoguerra. Valeria continua con le personali e collettive, scopre nuovi materiali, il legno e la tela e indaga sempre più a fondo nell'ambiente sociale ed umano del suo tempo. Sente l'esigenza di affinare ed irrobustire la sua tecnica istintiva e spontanea e segue un corso di chiaroscuro e di disegno plastico presso un architetto veneziano. Poi frequenta la scuola libera del nudo diretta da Armando Pizzinato presso l'Accademia. Nel frattempo ha terminato il
Liceo,
s'iscrive all'Università e poi l'abbandona per il suo unico interesse, la
pittura. Prende il Diploma
di Maestra e
và ad insegnare a Pellestrina, isola di pescatori, per rispondere anche ad un'intima esigenza di solidarietà sociale. Vuole dare un suo contributo personale al mondo degli umili,
coerentemente ai suoi nuovi ideali marxisti. In quegli anni disegna barche e pescatori e la Venezia misteriosa dei canali. Bianchi e neri a china, visioni drammatiche sempre di matrice espressionista. La città, la non-cartolina. Si orienta verso l'area del realismo senza però abbandonare il proprio nucleo fantastico.
Si ispira a soggetti di argomento sociale, fabbriche, scioperi, lotte di braccianti, l'alluvione nel Delta padano. Il
critico Giuseppe Marchiori segue la sua attività e la presenta in occasione della Personale alla
Galleria delle Ore di Milano nel 59. Era proprio Marchiori, fra le tante personalità di valore che frequentarono l'appartamento dei genitori sul Canal Grande di fronte al Palazzo
Grimani, che Valeria ricordava sempre con particolare affetto proprio per la sua intelligente lungimiranza e per la comprensione della sua fatica pittorica, anche in anni successivi.
Nel 52 il suo matrimonio con Luigi Ferrante. Nel 54 nasce la prima figlia, Marina. Negli anni 50 e 60 espone in varie personali a Venezia Padova, Milano, partecipa a collettive e premi nazionali e internazionali. Il periodo del realismo sociale, ingenuo ma vibrante era anche un modo di approfondire il mondo. Si tramuta poi nella ricerca degli spazi psicologici dell'individuo. Valeria raffina l'uso della china. La sua figurazione in bianco e nero e colore, soprattutto sul tema della città, è in chiave onirica ma insieme crudelmente reale. Prima il soggetto era Venezia, luogo enigmatico e kafkiano che trascende il tempo, ora è Milano, la metropoli, dove lei si trasferisce dal 63. L'impatto con la città lombarda, dopo la suggestiva quiete veneziana è anche sul piano personale conflittuale e conturbante. Valeria insegna in una scuola elementare di periferia, percorre la geografia della povertà urbana, osserva e disegna immagini di solitudine. Il suo orologio batte in modo autonomo e originale rispetto alle correnti e ai gruppi contemporanei senza che ciò le impedisca l'immersione nel tessuto storico dell'arte e dei fenomeni del tempo. Il periodo milanese è ricco di esperienze interessanti come la frequentazione dell'ambiente del
Piccolo Teatro
di Paolo Grassi e Giorgio Strehler, della cui Scuola Ferrante era poi divenuto
direttore. Dopo il ciclo di chine acquarellate sulla Città e sulla Donna, come bersaglio di violenza, Valeria negli anni 70 affronta temi metaforici e surreali ispirati ai conflitti della contestazione. Raffigura questa dialettica sociale con simboli (i cavatappi, le tenaglie, i cavallini) rappresentanti lo scontro tra vecchio e nuovo, repressione e protesta giovanile. Le ansie che movimentavano le onde della società prendevano forma nel suo segno inquieto e allegorico.
Dopo la perdita del marito e del padre nello stesso anno (1974) decide di trasferirsi coi figli Dante e Simonetta a Roma dove giungerà nel 1976. Nello studio di via Miani organizza mostre e performances d'arte, poesia, musica e affronta temi sociali, recependo i messaggi drammatici del tempo. Degli anni 80 è un suo ciclo di grafiche sul Carnevale ispirato a immagini brasiliane di gioia e di festa con esplosioni cromatiche, sfarfallio di maschere. Continua ad esporre a Roma, Milano ed altre città. Nell' 84 partecipa alla Rassegna Trasformazione del Gruppo Donna Arte e scopre nuovi spazi fantastici e onirici nel dialogo con la musica di
Debussy. Il ciclo successivo del LUNAPARK, inteso come metafora del gioco e dell'infanzia, è una favola di forme e colori. Il ciclo successivo, sulla natura, i giardini e gli alberi si ricollega ai tratti in bianco e nero scavati e severi degli orti veneziani. Dedica a queste ispirazioni una figurazione immaginaria di verde, di uccelli, di cancelli, farfalle, tessitura di memoria, di sogno. Un altro ciclo, quello dei Castelli di carta, a cavallo degli anni 90 esprime il turbamento seguito al crollo dei regimi dell'est europeo. Lo sfascio ideale di generazioni impegnate e credenti viene rappresentato come un gioco enigmatico. L'individuo è trascinato come una formica da meccanismi incontrollabili. La Storia è composta da folle, dominate da Mani gigantesche di direttori d'orchestra e la morte attende all'angolo con la guerra. Proprio quest'ultima ispira all'artista narrazioni astratte del conflitto del Golfo, quasi graffiti da piramidi, testimoni di antiche e nuove stragi. Il ciclo parallelo delle Scale è l'espressione visiva di un relativismo esterno all'uomo, freddo ed obbiettivo che sembra condizionarlo. Poi vengono I Mostri, fantasmi e incubi partoriti dalla paura, dalle incertezze del mondo contemporaneo, proposti in forma fiabesca quasi nel tentativo di esorcizzarli. In seguito Valeria si ricollega alla memoria con visioni del passato, come tessere di un caleidoscopio. Torna al paesaggio, alla natura sognata dall'infanzia senza tempo. I mari e i giardini colgono la fantasia della natura e le sue incognite. Il tema dei Mari romantico e allegorico sfociante nella mostra L'UOMO di ARAN rappresenta un nuovo momento di interesse per l'olio, la tela e il grande formato. Il nuovo slancio creativo è testimoniato dalle esposizioni di Berlino, Parigi, Madrid, organizzate dal figlio Dante con grande entusiasmo.
La malattia interrompe questa fase felice ma non il rapporto di Valeria con la pittura. Nascono nuove tele veneziane, vedute ricche di una forte carica psicologica. Tutte le sue opere sono state segnate dal continuo ravvivarsi e scorrere di cicli, di approfondimenti di motivi ricorrenti, la vita, la morte, la società, l'inquietudine perenne, il mistero del mondo. Non smetterà mai di disegnare, neppure durante la grave malattia che la condurrà alla morte. Perché il suo cammino coerente d'artista è come un fiume inarrestabile.
James Harold
HANNO
SCRITTO... Una suggestione di vita
animata delle cose che noi prestiamo alle cose è il fondamento della maggior parte delle composizioni di
Valeria - Anna Pallucchini, 1959, Galleria del Pozzetto, Padova
Fin da bambina Valeria aveva manifestato una vocazione grafica originale...Ritrovarla oggi con la stessa volontà di critica e con la stessa capacità di espressione non è una sorpresa per me che ho avuto sempre fiducia in lei e nel suo talento di
artista - Giuseppe Marchiori, 1963, Galleria del Mulino, Milano
Valeria....Che tu tratti il tema della città sconvolta o gli assassini che tormentano l'umanità, è sempre "l'albero della vita" che trionfa. È il dono della poesia che per un attimo restituisce gli uomini
all'infanzia - Ernesto Treccani, 1976, Centro Iniziative Culturali, Avezzano
ECCOMI,
VALERIA di
Romolo Liberale
<<
Eccomi, Valeria. E per tornare a te con virtù di cuore, e per rifarti nel mio pensiero quel che fosti, ho cavalcato i tuoi cavallucci sbrigliati, ho sfidato le insidie delle tue forbici, ho resistito alle lusinghe dei tuoi cavatappi, ho rotto la tenuta delle tue tenaglie, ho vagato "prigione" nelle tue città prigioniere, sono salito e ridisceso cento e cento volte dalla gran giostra della commedia umana dei tuoi
lunapark, ho scardinato la mortale chiusa dei tuoi cancelli, ho contato ad una ad una le tue scale, ho respirato infine l'aria mirifica dei tuoi giardini. E mi sono saziato, per volontà e affetto, di quel che mai si dissecca in quanti ti conobbero. Certo, lo dico per me. Ma sono certo che altri sono con me a richiamarti nella luce dei ricordi perché, come nel canto di
Shirin, nessuno può toglierci quel che ci dette il tuo soffio di vita. E ti ripeto, Valeria. Eccomi.
Eccomi ad interrogare ancora i tuoi "mille aghi colorati" che mi rimandano sogni e disperazioni degli anni difficili nei quali, finiti i fragori e le innumeri atrocità della guerra, si leva liberatoria la musica delle balere; eccomi a ripercorrere con te aneliti e amarezze di quell'inquieto "sessantotto" nel corso del quale fu alto il tam-tam dei tamburi del riscatto; eccomi a rivivere con te la fiaba del girotondo nello sfavillìo inebriante delle psichedeliche; eccomi a meditare ancora la demarcazione dei tuoi muri e la loro amara metafora che già il saggio Asadi volle definire "grave di sonno nero"; eccomi a salire ancora con te le altitudini dello spirito perché, scala dopo scala, si facesse sempre più chiara in noi la percezione di quanta nequizia regna tra gli uomini quando - ce lo ha detto Stephan Hermlin - "all'albero dei venti viene issata/ la cenere dei giusti non vendicati"; eccomi, infine, a quel tuo voler ostinatamente trepidare entro quel magico rapporto tra vita e arte, dove il tuo cammino tra i crucci, le tragedie e le speranze del turbolento Novecento che abbiamo alle spalle, approda ai prati di una placidezza - protervia del destino! - nella quale ti vidi, e lo dissi, come fugace meteora il cui sonno si fa tempo senza tempo tra tutto ciò che è fisso e
immoto. >> (articolo, breve
estratto)
Su Valeria, sulla sua opera, sulla sua arte e
sul suo pensiero...
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