Ecofragile: la rubrica dell'ambiente

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RISCHI DA OZONO ACCENTUATI ALL’ANTARTIDE

 

Tempo fa in televisione scorsi una strana trasmissione, in cui gente che abitava le lande all’estremo sud del continente americano, gente vicinissima al polo sud, rischiava ogni giorno ustioni gravissime in ogni parte del corpo esposta al sole. gente costretta al coprifuoco nelle ore più calde del giorno, costretta ad indossare sempre occhiali protettivi e spessi indumenti per evitare le ustioni. Tutti hanno sentito parlare di buco nell’ozono, dei famigerati clorofluorocarburi, ma fino a quel giorno quei temi per me erano solo astratti studi sulle dinamiche ambientali, senza alcuni tangibile,immediata, conseguenza per gli uomini. Mi sbagliavo, il problema esiste ed ha le sue urgenze. I cfc sono composti di cloro sprigionati dalle macchine refrigeranti industriali e domestiche (frigoriferi), i quali disgregano lo strato di ozono(O3)nella stratosfera soprattutto in aree dai repentini cambiamenti climatici quali l’Antartide appunto. In realtà il problema è stato rilevato già da molti anni e da anni esistono dei sostituti dei cfc innocui per l’ambiente, ma la cosa più importante è che i sostituti costano molto più dei cfc, quindi si stenta ad utilizzarli. lo stesso
problema dei costi finisce per imporre la logica del rinvio in materia di emissioni di anidride carbonica: quanto costerebbe in termini di diminuzione dello sfruttamento della capacità produttiva, in termini di riconversione del sistema produttivo all’utilizzo eventuale di fonti energetiche "pulite" l’obbligo di diminuire la quantità di fumi nocivi prodotti dall’industria? È proprio, però, quando l’economia e le sue leggi sembrano imporre la logica dell’ineluttabilità, che si avverte la necessità che la politica riprenda il sopravvento, che abbia il coraggio di imporre la propria volontà di lungo periodo sulla miope necessità dei bisogni economici. In particolare a livello internazionale vi è bisogno di un maggiore sforzo di collaborazione interstatale in senso ecologista.

                                                                                                                                         Mario 

 

E L’UOMO TRAMUTÒ IL PARADISO IN INFERNO

 

In base alle ultime dichiarazioni fornite dall'asi, associazione internazionale contro la schiavitù, gli schiavi nel mondo ammonterebbero a circa trenta milioni. Schiavi va inteso nel senso "classico" del
termine: uomini che lavorano in condizioni bestiali senza alcuna retribuzione. Parte di essi è costretta in stato di sfruttamento in Brasile, nella foresta amazzonica. Lavorano nelle grosse carbonerie del Mato Grosso, sotto il perenne pericolo di ustioni gravi o morte per soffocamento nei grossi forni di mattoni che trasformano il legno della foresta in carbone (è da notare che, per le loro caratteristiche fisiche, i bambini sono preferiti agli adulti in questo tipo di "lavoro"). Lì in Amazzonia si sta consumando uno dei più grandi drammi dell'industrialismo moderno. Quella che però potrebbe sembrare solo una sciagura umana è anche purtroppo un disastro ecologico. A parte
il fatto che per il fumo immesso nell'atmosfera dalle grandi fornaci non esiste alcun filtro depuratore (sarebbe difficile aspettarsi una coscienza ecologista in degli schiavisti), ma il fatto più grave è, dopo quello schiavile, il disboscamento. La distruzione della foresta determina un maggior inquinamento dell'aria, che di norma viene filtrata dal processo di fotosintesi delle piante, con una maggiore concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera e l'accentuarsi dell'effetto serra, ovvero del surriscaldamento dell'atmosfera stessa. Il processo termina con lo scioglimento della calotta polare artica, l'innalzamento del livello dei mari con sommersione delle città costiere, avanzamento della desertificazione con diminuzione delle aree coltivabili, siccità diffusa e sbalzi climatici. A livello locale, poi, la distruzione della foresta amazzonica provocherà un ulteriore
impoverimento del suolo e la distruzione dell' habitat naturale e delle specie in esso viventi, in particolare le specie endemiche, ovvero quelle che esistono solo in quello specifico ecosistema. Di maggiore rilievo e purtroppo sembrerebbe inarrestabile è stato ed è il noncurante annientamento delle popolazioni locali indios, passati da svariati milioni a poche centinaia di migliaia di unità attuali, conseguenza naturale della innaturale devastazione dei luoghi in cui da millenni avevano posto la loro dimora. Sembra che per l'Amazzonia non resti altro che la speranza...la speranza che il tempo passi in fretta e porti via con se la generazione dalla ferrea volontà di dominio e sopraffazione cui noi apparteniamo, pur lasciando qualcosa da salvare. È la speranza di un uomo che sappia usare meglio la sua coscienza.

 

Mario

 

IL PROBLEMA ENERGETICO

 

Secondo l’autorevole voce di Rubbia (premio nobel per la fisica) la risoluzione del problema energetico è innanzitutto una questione di civiltà prima che di economia. La tutela dell’ambiente non può attendere oltre. Il problema è vastissimo e noi, quindi, ci limiteremo solo ad alcuni accenni sugli ultimi sviluppi negli ambiti principali. Per il risparmio energetico c’è da rilevare la recentissima utilizzazione di alcuni metalli puri o anche di particolari materiali plastici, che fungono da superconduttori elettrici. Essi vengono raffreddati con idrogeno liquido a temperature bassissime, in modo da annullare le vibrazioni delle particelle che li compongono. L’assenza di vibrazioni permette una più efficiente conducibilità elettrica ( gli elettroni non trovano ostacoli nell’attraversamento del conduttore), quindi uno spreco quasi nullo di energia. Col tempo si studieranno tecniche in grado di permettere di non abbassare eccessivamente la temperatura dei superconduttori, ma soprattutto in grado di dar loro maggior resistenza ai campi magnetici, responsabili di annullare l’efficacia di conduzione elettrica. Nel campo delle fonti di energia alternative ai combustibili fossili (carbone e petrolio), tenendo anche conto dell’imminente esaurimento delle scorte di tali combustibili, c’è da annoverare la potenziale utilizzazione di un recente progetto giapponese per lo sfruttamento dell’energia solare. Si tratta di un enorme satellite a pannelli di silicio (metallo leggerissimo e poco costoso) , che è in grado di assorbire in modo pressoché continuativo energia solare per inviarla a terra sottoforma di microonde. Le onde, poi, trasformate in energia elettrica costituiranno una fonte economica e pulita di energia.  Importantissima è anche l’utilizzazione dell’idrogeno quale fonte alternativa. Esso si ricava dall’acqua attraverso il processo dell’elettrolisi, la separazione dell’idrogeno dall’ossigeno grazie all’intervento dell’energia solare al posto di quella elettrica ( più inquinante e antieconomica). Il tutto avviene in celle a combustibile in cui l’idrogeno si trasforma in energia elettrica. L’applicazione di tale sistema si è già realizzata con ottimi risultati in Germania, ove è stata già brevettata e prodotta in serie la prima macchina con motore elettrico ad idrogeno, avente quasi le stesse prestazioni in rapporto alle automobili “normali”. Il prodotto di scarto non è fumo tossico ma semplice acqua. Tra qualche anno la commercializzazione di tali autovetture sarà di spera globale, dopo la risoluzione degli ultimi problemi di sicurezza legati alla cella e la nascita di una capillare rete di distribuzione dell’idrogeno. Un ultimo cenno infine riguardo l’energia nucleare. Sono stati negli ultimi anni sperimentati nuovi strumenti per la fusione nucleare, molto più economici e sicuri dei precedenti. Abbandonati i vecchi reattori in cui il combustibile metallico veniva compresso in enormi quantità e ad altissime temperature per permettere la fusione, sistema eccessivamente costoso, oggi vengono utilizzati reattori che permettono la fusione di piccole quantità di combustibile a densità elevatissima, ma a temperature più basse. La reazione nucleare viene innescata da scariche elettriche e cosa importante si autoalimenta, il processo di combustione non ha cioè bisogno di ulteriore energia per progredire fino all’esaurimento del combustibile. Uno dei prototipi migliori è proprio un reattore italiano, progettato all’ENEA ( ente nazionale per l’energia atomica) da un fisico italiano. L’Enea è all’avanguardia anche per ciò che riguarda gli studi sulla fusione nucleare fredda, che avviene tramite assorbimento di idrogeno in una barra di metallo (palladio). L’idrogeno è prodotto tramite elettrolisi e nelle barre si innesca la reazione tramite scarica elettrica. Fra pochi anni si vedranno i risultati degli esperimenti. L’energia nucleare prodotta in stato di massima sicurezza potrebbe essere una fonte insostituibile di energia vitale. In sintesi non ci resta che attendere!

                                                                                                                             Mario