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IL POLIZEIREGIMENT "BOZEN"

Storia del reggimento di polizia sudtirolese che rimase coinvolto nell'attentato a via Rasella del 23 marzo 1944.

   

Il generale Castellano stringe la mano a Eisenhower il giorno della stipula dell'Armistizio

 

Militari italiani rastrellati a Bolzano dopo l'Armistizio dell'otto settembre 1943

 

Il Gauleiter (Governatore) Franz Hofer

 

Il "Bozen" nella sua caserma di Bolzano

 

Il distintivo da braccio delle unità "Polizei"

 

Addestramento di un reparto "Polizei" alla lotta ant-partigiana

 

Militari del "Bozen" durante un'operazione

 

Elementi del "Bozen durante un trasferimento in zona di operazioni

 

Le unità dei Polizeiregimenter sudtirolesi avevano a disposizione un misto di armamenti tedeschi e italiani. In questa foto, una blindo AB.41

 

Anche le uniformi variavano notevolmente all'interno della stessa unità, con ampio utilizzo di capi fuori ordinanza, spesso in tessuto mimetico italiano di preda bellica

 

 

Sopra e sotto: soldati del "Bozen" durante un rastrellamento

 

 

Il Tenente Wolgasth che comandava l'11ª Compagnia colpita a via Rasella. Morì l'ultimo giorno di guerra, l'otto maggio del 1945, in circostanze non chiarite

 

 

 

Eccezionale sequenza di foto scattate a Roma. Alcuni uomini del III Battaglione vengono decorati, probabilmente all'interno del Palazzo del Viminale.

 

Via Rasella nel periodo bellico

 

I caduti tedeschi vengono ordinati sul marciapiede

 

Ancora oggi, sui muri circostanti, sono visibili i segni della sparatoria che seguì lo scoppio della bomba

 

Il generale Von Mackensen, comandante della XIV Armata competente per territorio, presenzia alle esequie dei caduti del Bozen a via Rasella

 

 

Sopra e sotto: uomini del Bozen ripresi al nord, dopo la ritirata da Roma

 

 

 

 

 

 

 

Alcuni superstiti del "Bozen" in una riunione degli anni '70

 

 

PER

SAPERNE

DI PIU':

 

Lorenzo Baratter

DALL'ALPENVORLAND

A VIA RASELLA

Ed. Publilux

 

 

 

Si ringraziano: Lorenzo Baratter, Akira Takiguchi, David Gregory, A. Zoller, A. von Zarneck

 

PREMESSA

Il 10 settembre 1943, due giorni dopo l’armistizio, il Terzo Reich disponeva l’istituzione della zona d’operazioni delle Prealpi (Operationzone Alpenvorland), al cui vertice era posto il Commissario Superiore Franz Hofer.

La regione dell’Alpenvorland comprendeva le attuali province di Trento, Belluno e Bolzano; Contemporaneamente veniva creata , al comando del Gauleiter della Corinzia Rainer, la “Operationzone Adriatisches Kustenland” (Province di Trieste, Gorizia, Fiume, Pola, Udine e Lubiana).

Tali operazioni furono preparate sin dall’agosto del 1943 dai due uffici politici di Innsbruck e Klagenfurt, quindi prima dell’Armistizio del settembre successivo.

Con la creazione dell’Alpenvorland, una delle prime necessità rilevanti per la zona occupata fu quella di creare unità militari in condizioni di gestire il controllo dell’ordine pubblico della zona.

A questo scopo fu creata a Bolzano una Commissione mista: L’Ufficio Centrale di Reclutamento, composto da membri dell’amministrazione civile, delle SS e della Wehrmacht. Compito di questa struttura era quella di valutare la disponibilità della popolazione locale a servire sotto l’uniforme del Terzo Reich. Inizialmente tale studio comprese solo quegli elementi che avevano scelto precedentemente la cittadinanza tedesca, ma siccome l’incitamento ad arruolarsi passò quasi sotto silenzio, la struttura decise di emanare in gran fretta delle specifiche direttive.

Pertanto, il 6 novembre 1943, il Bollettino Ufficiale del Commissario Supremo per la zona d’Operazioni delle Prealpi emise la Direttiva N°30, in cui venivano definite le coordinate generali per l’assolvimento del servizio di guerra nell’Alpenvorland.

Secondo questa direttiva, tutti gli appartenenti alle classi 1924 e 1925 venivano obbligati ad assolvere il servizio di guerra nella TODT, nel SOD (Servizio di Sicurezza e Ordine della Provincia di Bolzano), nel CST (Corpo di Sicurezza Trentino), nei Polizeiregimenter, nei corpi delle SS, nella Wehrmacht, oppure in corpi legati alle unità militari della costituenda RSI (quest’ultima opzione fu tuttavia ostacolata in tutti i modi dalle autorità tedesche)..

Più tardi, dal 7 gennaio 1944, la chiamata al servizio di guerra fu estesa, con ulteriore decreto del Commissario Supremo, a tutti i “cittadini italiani maschi delle classi 1894 – 1926 aventi dimora nell’Alpenvorland senza riguardo dell’appartenenza etnica”.

Quest’ultima direttiva comportò che nei Polizeiregimenter andarono a finire anche cittadini che avevano già prestato servizio nel Regio Esercito Italiano, come ad esempio Josef Prader: “Sono stato per diversi anni soldato italiano, nell’84° Reggimento di Fanteria a Bolzano, a Firenze e a Tripoli nel 1923 e 1924. E poi, per altri tre mesi ancora, nel 1939 a Chieti”.

Arthur Atz invece ricorda: “Eravamo stati arruolati a forza tre mesi prima senza volerlo”.

 

STRUTTURA DEI REGGIMENTI

DI POLIZIA SUDTIROLESE

Complessivamente militarono nei Polizeiregimenter Sud-Tirolesi circa diecimila uomini, raggruppati con gli arruolamenti partiti nel settembre del 1943.

Il numero elevato di questi appartenenti può essere giustificato dal fatto che molti speravano, arruolandosi in questi corpi, di rimanere vicino casa (ed in effetti, fatta eccezione per parte del Reggimento "Bozen" e per il "Brixen", così avvenne).

Per quanto concerne la composizione e l’armamento dei reggimenti di polizia Sud-Tirolesi, essi erano strutturati in tre battaglioni, ognuno composto da quattro compagnie numerate progressivamente (I Battaglione, compagnie da 1 a 4; II Battaglione, compagnie da 5 a 8; III Battaglione, compagnie da 9 a 12). All’interno delle unità, per la truppa erano previsti sette gradi di carriera (i soldati caduti nell’attentato di via Rasella erano tutto Unterwachtmeister Pol., il grado più basso) e così anche per gli ufficiali (da Sottotenente a Generale). Le armi erano in parte tedesche, in parte italiane, accumulate in gran quantità dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943.

I reggimenti formati furono quattro: "Bozen", "Brixen", "Alpenvorland" e "Schlanders". Essi rispondevano all’SS Obergruppenfuhrer Karl Wollf anche se non furono mai posti agli ordini operativi diretti delle SS, ma rimasero sotto la giurisdizione dell’Ordnungspolizei.  

Nonostante che dal febbraio del 1943 Heinrich Himmler, Capo delle SS, avesse emanato una specifica nella quale i Polizeiregimenter dovevano essere rinominati “SS- Polizeiregimenter”, per le unità Sud-Tirolesi ciò avvenne con molto ritardo. Ad esempio, il Polizeiregiment “Alpenvorland” ricevette il suffisso “SS” solo il 29 gennaio 1945, mentre il "Bozen" lo ebbe 16 aprile 1944, quindi dopo i fatti di via Rasella. I Reggimenti “Brixen” e "Schlanders" nacquero invece direttamente come SS Polizeiregimenter.

L’addestramento delle reclute durava tre mesi, durante i quali veniva loro insegnato a lanciare granate, fucili, mitra e mitragliatrici (molte di preda bellica). Particolare importanza fu data alla mimetizzazione, alla sicurezza, al combattimento in piccoli gruppi e la controguerriglia.

Dei quattro reggimenti, risulta che solo allo “Schlanders” siano state tenute lezioni di ideologia nazista e sul cosiddetto “Judensystem”, il “sistema ebraico”.

In ultimo, la paga per il soldato semplice era di 12,5 lire al giorno (pari a 3,33 euro odierni), 2,5 lire in più rispetto all’esercito.

 

IL POLIZEIREGIMENT “BOZEN”

Per quanto riguarda la formazione di questo reggimento di polizia, si può menzionare che già nell’ottobre del 1943, sotto le direttive del colonnello Menschick, era stato formato un primo nucleo di 250 uomini e altre squadre militari, per un totale di circa quattro battaglioni.

Inizialmente il reggimento era denominato Polizeiregiment Sudtirol.

Nel novembre dello stesso anno la denominazione fu cambiata in Polizeiregiment Bozen. Le sue sedi iniziali furono Bolzano, Silandro e Colle Isarco.

La maggior parte delle truppe era stanziata nella caserma di Gries, sulla vecchia strada che va da Bolzano a Merano. Come altre sedi militari distaccate venivano usate caserme e immobili sottratti alle Forze Armate italiane dopo l’8 settembre 1943.

Gli istruttori di questo reggimento furono, prima del giuramento, 19 dei 26 appartenenti alla polizia sudtirolese che avevano ricevuto a loro volta l’addestramento nella caserma della Scuola di Polizia di Dresda-Hellerau nel giugno 1943. Tali istruttori avevano facoltà di avanzare fino al grado di Maresciallo (Wachtmeister).

Secondo i reduci del Bozen, questo reggimento ricevette un addestramento al combattimento più int6ensivo e più specifico rispetto agli altri tre e questo, almeno in parte, spiegherebbe le minori perdite subite in azioni di guerra rispetto, ad esempio, a quelle che ebbe a subire il Polizeiregiment Alpenvorland.

Complessivamente il Polizeiregiment Bozen ebbe nel suo organico circa duemila uomini ed era suddiviso in quattro battaglioni, divenuti poi solo tre. Di questi battaglioni, solo il III coprì il proprio servizio fuori dall’Alpenvorland ed era quello composto per la maggior parte da “optanti” per la nazionalità tedesca. Tale osservazione si scontra però con quanto affermato dallo storico austriaco Gatterer, secondo il quale invece il battaglione era composto nella maggior parte da optanti per l’Italia, ovvero da quei filo-austriaci ai quali il Prefetto italiano Mastromattei aveva attribuito sentimenti di “ostilità pregiudiziale e irriducibile contro il nazismo”. Nella storia di questo reggimento non mancano tuttavia episodi di indiscriminata violenza commessi nella provincia di di Belluno ed in Istria.

Il reparto giurò il 28 gennaio 1944 presso la sua caserma di Gries.

I soldati del Bozen non erano volontari, spiega il ricercatore storico Lorenzo Baratter citando le ordinanze emesse da Hofer, commissario supremo dell’Alpenvorland (la Zona di operazioni delle Prealpi che dopo l’8 settembre incluse le province di Trento, Bolzano e Belluno, considerate all’interno dei confini germanici). Dal gennaio ’44 tutti i maschi delle classi dal 1894 al 1926 furono obbligati al servizio di guerra.
Si trattò, racconta Baratter, di un vero e proprio rastrellamento di sudtirolesi: per chi si fosse sottratto alla chiamata, la pena era la condanna a morte, commutata in carcere duro fino a dieci anni. La pena dell’arresto era comminata anche ai «complici»: mogli, genitori, figli, fratelli e sorelle.

 

IL PRIMO BATTAGLIONE

Il Primo Battaglione fu inviato nel marzo del 1944 in Istria ed impiegato in ampie operazioni di guerra anti-partigiana, accerchiamento e rastrellamento al fianco di unità tedesche. Nello stesso tempo esso doveva anche vigilare le linee ferroviarie e le vie di trasporto e garantire la sicurezza dei rifornimenti.

I rastrellamenti contro i partigiani avvenivano accerchiando ogni possibile nascondiglio della guerriglia: fu però spesso la popolazione civile che ebbe a subirne le più tragiche conseguenze, trovandosi tra due fuochi.

Con l’arretramento del fronte balcanico il battaglione fu trasferito dall’istria a Gorz, con le medesime funzioni operative. La ritirata portò l’unità fino al Passo di Predil, da dove avrebbe dovuto contribuire a contenere l’avanzata dell’VIII Armata britannica, ma nella successiva ritirata il battaglione fu sorpreso a Torl-Maglern e dovette arrendersi.

Fatti prigionieri, i Sud-Tirolesi furono inviati in un Campo di Raccolta a Kotschach-Mauthern. Alcuni di essi però riuscirono a fuggire da questo campo e a giungere nel Sud Tirolo attraverso la Valle del Gail.

I prigionieri furono condotti a Udine e quindi a Rimini-Bellaria, dove la sorveglianza da parte dei neozelandesi e dei polacchi era più ferrea. Tutti coloro che in qualche modo erano riusciti ad eludere la sorveglianza e a tornare nelle proprie case senza passare per gli Alleati (ovvero senza foglio di congedo regolare) dovevano presentarsi presso la Caserma “Vittorio Veneto” di Bolzano. Chi si presentava veniva immediatamente considerato Prigioniero di Guerra, cosicché l’edificio si riempì quasi subito di ex appartenenti ai corpi di polizia sud-tirolesi. La sorveglianza era a quanto pare molto leggera, la notte si riusciva ad evadere alquanto facilmente, mentre i meno fortunati dovettero attendere un mese per avere il proprio foglio di congedo. Inaspettatamente, tuttavia, la maggior parte di questi prigionieri furono invece trasferiti presso il campo di Rimini e poi a Taranto: poterono tornare in Sud-Tirolo solo nel settembre 1946.

 

IL SECONDO BATTAGLIONE

Il Secondo Battaglione del Bozen giunse a Belluno (sede militare del reparto) nel febbraio del 1944 ed ebbe ad effettuare ben 85 interventi di repressione anti-partigiana tra il marzo ed il dicembre dello stesso anno.

Il 20 ed il 21 agosto del 1944 avvenne uno degli episodi più tragici di violenza commesso ai danni della popolazione civile da parte delle truppe tedesche e collaborazioniste nelle Dolomiti.

Nel cosiddetto massacro della Valle del Bois, accanto ai combattenti partigiani, caddero numerosi cittadini della vallata sita nel territorio del Cadore. A questo eccidio parteciparono anche numerosi appartenenti Sud-Tirolesi del Polizeiregiment Bozen.

Alcuni di questi responsabili dell’eccidio, una volta fatti prigionieri furono riconosciuti dai partigiani nel Campo di Cencenighe (nella Val Cordevole, in Provincia di Belluno) e in tale occasione furono immediatamente giustiziati.

Inoltre, nel marzo del 1945, unità di questo battaglione furono coinvolte nell’impiccagione di 14 persone in una piazza centrale di Belluno, dopo che i partigiani avevano nel corso di un attacco ucciso tre membri della polizia Sud-Tirolese.

La fine della guerra colse la maggior parte dei suoi appartenenti il 2 maggio del 1945 ad Agordo, dove furono catturati dai partigiani e in seguito internati nel campo di Rimini. Alcuni tentarono di fuggire attraverso la Valle d’Agordo, ma furono fatti prigionieri dai partigiani e finirono nel Campo di Cencenighe; dall’autunno del 1946 cominciò il ritorno a casa dei primi prigionieri del Primo e del Secondo Battaglione.

 

IL TERZO BATTAGLIONE

Il III Battaglione del Polizeiregiment Bozen venne impiegato in azione, dopo l’addestramento, a Belluno e a Colle Isarco (nei pressi di Vipiteno), a poca distanza dal passo del Brennero.

A partire dal 12 febbraio del 1944 fu trasferito nella città di Roma, ove sarebbe stato impiegato in attività di sorveglianza di “Punti caldi” della città. Il trasferimento avvenne con gli autobus della SAD (Società Automobilistica Dolomiti) la quale gestiva (e ancora oggi gestisce) le linee pubbliche dell’Alto Adige.

Il dislocamento fu terminato il giorno 19. le tre compagnie furono dislocate nelle soffitte del Palazzo del Viminale, allora come oggi sede del Ministero degli Interni. I servizi erano: per la 9ª Compagnia la sorveglianza di prigionieri che allestivano a sud di Roma apprestamenti difensivi. La 10ª invece era impegnata nel centro della Capitale nella sorveglianza di Uffici ed Edifici tedeschi e della RSI. L’11ª era in riserva.

Ricorda un reduce del l’11ª Compagnia, Peter Putzer: “Secondo me eravamo troppi e così mentre la 9ª e la 10ª erano utilizzate per i turni di guardia e la sorveglianza, noi dell’11ª eravamo di riserva”. In effetti la Compagnia dilaniata nell’attentato di Via Rasella non era stata impiegata in alcun turno di servizio per il quale era stata addestrata. Pertanto il cambio tra la 10ª e l’11ª doveva avvenire, in base al processo di rotazione delle unità, il 24 marzo 1944 e da quel momento la 10ª sarebbe passata in riserva.

Il 23 marzo del 1944 caddero 33 suoi soldati dell’11ª Compagnia nell’azione di guerra partigiana effettuata dai resistenti romani in via Rasella.

Ad organizzare l’attentato furono i GAP (Gruppi di Azione Patriottica) costituiti per iniziativa del Comando Generale delle Brigate Garibaldi verso la fine del settembre 1943 per la lotta urbana. C’è da dire che i partigiani romani non erano in alcun modo a diretta conoscenza della natura del Polizeiregiment Bozen, il quale, agli ordini di ufficiali delle SS e in perfetto assetto di guerra, rappresentava per la Resistenza romana un obiettivo simbolico in una data simbolica per la lotta contro l’invasore.

In seguito all’attentato, come tutti sanno, fu messa in atto una rappresaglia che vide la morte di 335 cittadini inermi presso le Fosse Ardeatine a Roma.

Nessuno dei sopravvissuti Sud-Tirolesi accettò di prendere parte alla rappresaglia per vendicare la sorte dei compagni caduti. La vicenda del rifiuto degli appartenenti al Bozen di partecipare alla strage delle Ardeatine è stata messa in risalto dallo storico Claus Gatterer nel volume “In Kampf genen Rom” (Vienna, 1968). Qui si osserva che “secondo un’usanza in vigore nelle Forze Armate germaniche, l’esecuzione degli ostaggi sarebbe dovuta avvenire da parte dell’unità colpita”, ma lo stesso Kesselring riferì (in occasione del processo che lo vide coinvolto dopo la guerra) che il comandante del Battaglione si era rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine di ubbidire all’ordine di rappresaglia “perché i suoi uomini erano cattolici e per di più delle classi più anziane”.

Le altre compagnie del III Battaglione erano state nel frattempo usate sia all’interno della città che nella zona dei Castelli Romani. Esse provvedevano tra l’altro alla sorveglianza degli edifici dell’EIAR, nonché di varie strutture sia tedesche che italiane.

Nelle settimane successive a quelle tragiche settimane di marzo, l’unità continuò ad essere utilizzata a Roma. Con il crollo dei fronti di Cassino e di Anzio e l’avvicinamento della linea di combattimento alla Capitale, fu dato ordine alla polizia Sud-Tirolese di ritirarsi fino a Firenze, dove le sue file vennero riformate una quindicina di giorni dopo la partenza da Roma.

Una trentina di uomini tornarono direttamente (e di propria iniziativa) a casa nel Sud-Tirolo, ma furono ben presto denunciati dai vicini e costretti a presentarsi presso la caserma di Gries, dove furono considerati disertori e inviati per punizione sul fronte orientale, da dove tornarono in pochissimi.

Da questo episodio fu dato ordine di sparare a vista contro tutti i militari che fuggivano dalla truppa.

Dopo Firenze, il battaglione passò quindi a Lecco, prima di arrivare in Piemonte per essere utilizzata contro i partigiani.

Un testimone Sud-Tirolese del III Battaglione racconta che “in un villaggio di cui non è dato modo di ricordare il nome, i partigiani presero in ostaggio alcuni altoatesini. Nel contrattacco fu distrutto il paese e la popolazione fu presa in ostaggio. I Sud-Tirolesi furono liberati, ma gli uomini dell’SD (Sicherheit Dienst, indipendenti dal Bozen) portarono gli abitanti in un luogo sconosciuto e di loro se ne ignorò la sorte”.

Nel settembre del 1944 il Battaglione cominciò a far rientrare le sue unità nell’Alpenvorland e si hanno tracce del suo passaggio nelle zone di Roncegno, in Valsugana e nel Cadore.

L’inverno tra il 1944 e il 1945 fu trascorso da tutti i suoi componenti in quest’ultima zona. Il 2 maggio del 1945 fu dato l’ordine della ritirata attraverso la linea Livinallongo-Falzarego-Schulderbach. Dopo pochi chilometri i Sud-Tirolesi si trovarono di fronte ai posti di blocco allestiti dai partigiani, i quali tuttavia acconsentirono di lì a poco a questi uomini di rientrare nella loro provincia attraverso la Val Pusteria fino a Brunico.

 

L’ESPLOSIONE DI VIA RASELLA VISTA DAGLI UOMINI DEL BOZEN

L’11ª Compagnia era formata da 156 uomini divisi in quattro plotoni. Il 23 marzo del 1944 marciava da Porta del Popolo lungo via del Babuino e Piazza di Spagna, passavano per via Due Macelli, attraversavano via del Tritone e da via del Traforo imboccavano via Rasella. Poi avrebbero dovuto girare a destra, su via Quattro Fontane e raggiungere Palazzo del Viminale.

Gli uomini terminarono il loro addestramento al tiro presso il poligono di Tor di Quinto alle ore 15 anziché alle 13, come era sempre avvenuto.

Ma veniamo alle dichiarazioni rilasciate da alcuni superstiti dopo la guerra. Peter Putzer: “Quel giorno avevano raddoppiato la guardia dappertutto, sembrava fosse giunta una segnalazione anonima su qualcosa che sarebbe dovuta accadere” … Josef Prader: “La mattina del 23 io e altri sette – otto uomini fummo distaccati di guardia. Non era mai accaduto prima. Per raggiungere la Compagnia ci diedero delle biciclette verso mezzogiorno. Fu così che io, che ero del secondo plotone, mi ritrovai in fondo al quarto quando scoppiò la bomba” …Konrad Sigumund: “Dovevano essere stati avvertiti perché c’erano troppi segni in giro. Perché, ad esempio, proprio quel giorno rientrammo con due ore di ritardo al Viminale?” … Franz Cassar: “Poco prima dell’esplosione i nostri sottufficiali, che erano gli unici tedeschi della Compagnia, furono chiamati a rapporto in cima allo schieramento in marcia e così si salvarono tutti. Non era mai accaduto prima che fossero convocati a rapporto nel bel mezzo di una marcia di trasferimento”.

Appena il drappello ebbe imboccata via Rasella, il Maggiore Dobbrick comandò: “Ein Lied!” (Una canzone!…Cantate una canzone!).

I superstiti ricordano di quel giorno: “Io ero nel terzo plotone – racconta Peter Putzer – e fui investito da una raffica di schegge. Non ebbi il tempo di pensare a cosa era successo, sanguinavo dappertutto. Avevo un’arteria troncata di netto, perdevo molto sangue. Un certo Dietrich mi fasciò alla bell’e meglio . Un blocchetto di appunti che tenevo nel taschino aveva deviato una scheggia nelle costole che, altrimenti, mi avrebbe preso dritta al cuore”.

E ancora, Konrad Sigmund ricorda: “L’esplosione non fu una sola, ce ne furono tante. Avevamo tutti cinque o sei bombe a mano attaccate alla cintola e ne esplosero parecchie, colpite dalle schegge, altre per il calore derivante dallo scoppio. Per questo morirono in tanti. Johann Fischnaller ad esempio fu identificato solo perché aveva i capelli ispidi e biondi”.

Josef Praxmarer trasportava quel giorno una cassetta di munizioni che gli era stata affidata per punizione: “Se una scheggia fosse entrata là dentro, addio. So di essere stato scaraventato all’indietro e non capivo più niente. Ricordo il Maggiore Dobbrick che correva su e giù urlando di correre avanti. Ma c’era poco da correre; io avevo le gambe piene di schegge e tutto intorno si continuava a sparare. Eravamo lì, a pezzi, molti già morti. Mi portarono in un ospedale italiano e fu una fortuna perché ci trattarono bene. Nel letto accanto al mio c’era Hermann Tschigg. Gli chiesi come stava, lui mi rispose che si sentiva bene…dopo cinque minuti era morto”.

Franz Cassar di Tarmeno così ricorda l’esplosione: “Ardengasser di Caldano che camminava davanti a me ebbe la testa mozzata, Oberlechner morì dissanguato perché lo scoppio gli tagliò entrambe le braccia. Io mi ritrovai aggrappato ad un’inferriata divelta di un negozio e ricordo due cose: non avevo più le scarpe e Johann Kaufmann rantolava davanti ai miei pedi nudi e sanguinanti. Li per li non svenni, lo feci solo quando un proiettile mi penetrò alla radice del naso e mi uscì dalla gola. Non so proprio chi fu a spararlo. Rinvenni solo quando tenente Wolgasth mi sollevò per caricarmi su un’ambulanza. Poi venne a trovarci anche in ospedale. Era un fetente, non sorrideva mai. Non sapeva cosa fare per noi e così ci regalò delle sue fotografie con dedica”.

Josef Prader, che nel frattempo era rientrato in bicicletta in fondo alla Compagnia e ricorda che la sua bici gli fu letteralmente strappata dalle mani a causa dello spostamento d’aria causato dall’esplosione: “Mi nascosi nell’androne di una casa, pensando si trattasse di un bombardamento”.

Franz Bertagnoli di Caldano e Josef Roeggler di Cortaccia anche si rifugiarono in una casa: “Sentivamo sparare e gente che scendeva le scale precipitosamente. Pensammo che fossero i partigiani…e invece era solo un vecchietto e alcune donne, feriti anche loro dalle schegge dei vetri rotti. Poi venne il tenente Wolgasth e lo aiutammo a soccorrere i feriti. Era uno spettacolo orribile…cadaveri dappertutto”.

Arthur Atz, in una intervista concessa nel 1997 dichiarò: “Le autorità diedero disposizioni perché le fucilazioni di rappresaglia venissero eseguite dal Bozen per vendicare i camerati uccisi. Ma noi ci siamo rifiutati. Noi non siamo capaci di uccidere, abbiamo detto. Noi non possiamo uccidere. Anche se i partigiani avevano ammazzato i nostri compagni, e dentro di noi c'era tanta rabbia, non ci sentivamo di uccidere altre persone”.

 

La lista dei caduti a via Rasella

  1. Andergassen Karl n. 5/1/1914

  2. Bergmeister Franz n. 6/9/1906

  3. Dissertori Josef n. 5/6/1913

  4. Eichner Georg n. 21/4/1902

  5. Erlacher Jakob n. 12/7/1901

  6. Fischnaller Friedrich n. 19/11/1902

  7. Fischnaller Johann n. 17/11/1904

  8. Frotscher Eduard n. 19/12/1912

  9. Kaspareth Leonhard n. 28/1/1915

  10. Kaufmann Johann n. 19/10/1913

  11. Matscher Anton n. 12/6/1912

  12. Mittelberger Anton n. 15/11/1907

  13. Moser Michael n. 29/9/1904

  14. Niederstatter Franz n. 1/6/1917

  15. Oberlechner Eugen n. 30/4/1908

  16. Oberrauch Mathias n. 15/8/1910

  17. Palla Paulinus n. 31/12/1905

  18. Pescosta Augustin n. 9/5/1912

  19. Profanter Daniel n. 22/5/1915

  20. Raich Josef n. 14/12/1906

  21. Rauch Anton n. 5/8/1910

  22. Rungger Engelbert n. 21/12/1907

  23. Schweigl Johann n. 13/8/1908

  24. Seyer Johann n. 3/6/1904

  25. Spiess Ignatz n. 4/7/1911

  26. Spogler Eduard n. 11/7/1908

  27. Stecher Ignatz n. 11/5/1911

  28. Stedile Albert n. 26/6/1915

  29. Steger Josef n. 10/8/1908

  30. Tschigg Hermann n. 23/4/1911

  31. Turneretscher Fidelius n. 19/1/1914

  32. Wartbichter Josef n. 13/11/1907

  33. Vinzenz Haller (è il 33° soldato del Bozen morto nella notte susseguente l’attentato per le ferite riportate )

 

POLIZEIREGIMENT "BOZEN"

Comandante: Oberst der Schutzpolizei Alois Menschik

Aiutante: Hauptmann d. Sch. Ullbrich  

I/SS-Polizei Regiment Bozen ( ? )

II/SS-Polizei Regiment Bozen (Major Schroder)

III/SS-Polizei Regiment Bozen (Major Dobbrick)

Polizei Ersatz Bataillon Bozen ( ? )

 

 

 

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