PREMESSA
Il 10 settembre 1943, due giorni dopo l’armistizio, il Terzo Reich
disponeva l’istituzione della zona d’operazioni delle Prealpi
(Operationzone Alpenvorland), al cui vertice era posto il Commissario
Superiore Franz Hofer.
La regione dell’Alpenvorland comprendeva le attuali province di Trento,
Belluno e Bolzano; Contemporaneamente veniva creata , al comando del
Gauleiter della Corinzia Rainer, la “Operationzone Adriatisches
Kustenland” (Province di Trieste, Gorizia, Fiume, Pola, Udine e
Lubiana).
Tali operazioni furono preparate sin dall’agosto del 1943 dai due uffici
politici di Innsbruck e Klagenfurt, quindi prima dell’Armistizio del
settembre successivo.
Con la creazione dell’Alpenvorland, una delle prime necessità rilevanti
per la zona occupata fu quella di creare unità militari in condizioni di
gestire il controllo dell’ordine pubblico della zona.
A questo scopo fu creata a Bolzano una Commissione mista: L’Ufficio
Centrale di Reclutamento, composto da membri dell’amministrazione
civile, delle SS e della Wehrmacht. Compito di questa struttura era
quella di valutare la disponibilità della popolazione locale a servire
sotto l’uniforme del Terzo Reich. Inizialmente tale studio comprese solo
quegli elementi che avevano scelto precedentemente la cittadinanza
tedesca, ma siccome l’incitamento ad arruolarsi passò quasi sotto
silenzio, la struttura decise di emanare in gran fretta delle specifiche
direttive.
Pertanto, il 6 novembre 1943, il Bollettino Ufficiale del Commissario
Supremo per la zona d’Operazioni delle Prealpi emise la Direttiva N°30,
in cui venivano definite le coordinate generali per l’assolvimento del
servizio di guerra nell’Alpenvorland.
Secondo questa direttiva, tutti gli appartenenti alle classi 1924 e 1925
venivano obbligati ad assolvere il servizio di guerra nella TODT, nel
SOD (Servizio di Sicurezza e Ordine della Provincia di Bolzano), nel CST
(Corpo di Sicurezza Trentino), nei Polizeiregimenter, nei corpi delle
SS, nella Wehrmacht, oppure in corpi legati alle unità militari della
costituenda RSI (quest’ultima opzione fu tuttavia ostacolata in tutti i
modi dalle autorità tedesche)..
Più tardi, dal 7 gennaio 1944, la chiamata al servizio di guerra fu
estesa, con ulteriore decreto del Commissario Supremo, a tutti i “cittadini
italiani maschi delle classi 1894 – 1926 aventi dimora nell’Alpenvorland
senza riguardo dell’appartenenza etnica”.
Quest’ultima direttiva comportò che nei Polizeiregimenter andarono a
finire anche cittadini che avevano già prestato servizio nel Regio
Esercito Italiano, come ad esempio Josef Prader: “Sono stato per
diversi anni soldato italiano, nell’84° Reggimento di Fanteria a
Bolzano, a Firenze e a Tripoli nel 1923 e 1924. E poi, per altri tre
mesi ancora, nel 1939 a Chieti”.
Arthur Atz invece ricorda: “Eravamo stati arruolati a forza tre mesi
prima senza volerlo”.
STRUTTURA
DEI REGGIMENTI
DI POLIZIA SUDTIROLESE
Complessivamente militarono nei Polizeiregimenter Sud-Tirolesi circa
diecimila uomini, raggruppati con gli arruolamenti partiti nel settembre
del 1943.
Il numero elevato di questi appartenenti può essere giustificato dal
fatto che molti speravano, arruolandosi in questi corpi, di rimanere
vicino casa (ed in effetti, fatta eccezione per parte del Reggimento
"Bozen" e per il "Brixen", così avvenne).
Per quanto concerne la composizione e l’armamento dei reggimenti di
polizia Sud-Tirolesi, essi erano strutturati in tre battaglioni, ognuno
composto da quattro compagnie numerate progressivamente (I Battaglione,
compagnie da 1 a 4; II Battaglione, compagnie da 5 a 8; III Battaglione,
compagnie da 9 a 12). All’interno delle unità, per la truppa erano
previsti sette gradi di carriera (i soldati caduti nell’attentato di via
Rasella erano tutto Unterwachtmeister Pol., il grado più basso) e così
anche per gli ufficiali (da Sottotenente a Generale). Le armi erano in
parte tedesche, in parte italiane, accumulate in gran quantità dopo
l’armistizio dell’otto settembre 1943.
I reggimenti formati furono quattro: "Bozen", "Brixen", "Alpenvorland" e
"Schlanders". Essi rispondevano all’SS Obergruppenfuhrer Karl Wollf
anche se non furono mai posti agli ordini operativi diretti delle SS, ma
rimasero sotto la giurisdizione dell’Ordnungspolizei.
Nonostante che dal febbraio del 1943 Heinrich Himmler, Capo delle SS,
avesse emanato una specifica nella quale i Polizeiregimenter dovevano
essere rinominati “SS- Polizeiregimenter”, per le unità Sud-Tirolesi ciò
avvenne con molto ritardo. Ad esempio, il Polizeiregiment “Alpenvorland”
ricevette il suffisso “SS” solo il 29 gennaio 1945, mentre il "Bozen" lo
ebbe 16 aprile 1944, quindi dopo i fatti di via Rasella. I Reggimenti
“Brixen” e "Schlanders" nacquero invece direttamente come SS
Polizeiregimenter.
L’addestramento delle reclute durava tre mesi, durante i quali veniva
loro insegnato a lanciare granate, fucili, mitra e mitragliatrici (molte
di preda bellica). Particolare importanza fu data alla mimetizzazione,
alla sicurezza, al combattimento in piccoli gruppi e la
controguerriglia.
Dei quattro reggimenti, risulta che solo allo “Schlanders” siano state
tenute lezioni di ideologia nazista e sul cosiddetto “Judensystem”, il
“sistema ebraico”.
In ultimo, la paga per il soldato semplice era di 12,5 lire al giorno
(pari a 3,33 euro odierni), 2,5 lire in più rispetto all’esercito.
IL
POLIZEIREGIMENT “BOZEN”
Per quanto riguarda la formazione di questo reggimento di polizia, si
può menzionare che già nell’ottobre del 1943, sotto le direttive del
colonnello Menschick, era stato formato un primo nucleo di 250 uomini e
altre squadre militari, per un totale di circa quattro battaglioni.
Inizialmente il reggimento era denominato Polizeiregiment Sudtirol.
Nel novembre dello stesso anno la denominazione fu cambiata in
Polizeiregiment Bozen. Le sue sedi iniziali furono Bolzano, Silandro e
Colle Isarco.
La maggior parte delle truppe era stanziata nella caserma di Gries,
sulla vecchia strada che va da Bolzano a Merano. Come altre sedi
militari distaccate venivano usate caserme e immobili sottratti alle
Forze Armate italiane dopo l’8 settembre 1943.
Gli istruttori di questo reggimento furono, prima del giuramento, 19 dei
26 appartenenti alla polizia sudtirolese che avevano ricevuto a loro
volta l’addestramento nella caserma della Scuola di Polizia di
Dresda-Hellerau nel giugno 1943. Tali istruttori avevano facoltà di
avanzare fino al grado di Maresciallo (Wachtmeister).
Secondo i reduci del Bozen, questo reggimento ricevette un addestramento
al combattimento più int6ensivo e più specifico rispetto agli altri tre
e questo, almeno in parte, spiegherebbe le minori perdite subite in
azioni di guerra rispetto, ad esempio, a quelle che ebbe a subire il
Polizeiregiment Alpenvorland.
Complessivamente il Polizeiregiment Bozen ebbe nel suo organico circa
duemila uomini ed era suddiviso in quattro battaglioni, divenuti poi
solo tre. Di questi battaglioni, solo il III coprì il proprio servizio
fuori dall’Alpenvorland ed era quello composto per la maggior parte da
“optanti” per la nazionalità tedesca. Tale osservazione si scontra però
con quanto affermato dallo storico austriaco Gatterer, secondo il quale
invece il battaglione era composto nella maggior parte da optanti per
l’Italia, ovvero da quei filo-austriaci ai quali il Prefetto italiano
Mastromattei aveva attribuito sentimenti di “ostilità pregiudiziale e
irriducibile contro il nazismo”. Nella storia di questo reggimento non
mancano tuttavia episodi di indiscriminata violenza commessi nella
provincia di di Belluno ed in Istria.
Il reparto giurò il 28 gennaio 1944 presso la sua caserma di Gries.
I soldati del Bozen non erano volontari, spiega il ricercatore storico
Lorenzo Baratter citando le ordinanze emesse da Hofer, commissario
supremo dell’Alpenvorland (la Zona di operazioni delle Prealpi che dopo
l’8 settembre incluse le province di Trento, Bolzano e Belluno,
considerate all’interno dei confini germanici). Dal gennaio ’44 tutti i
maschi delle classi dal 1894 al 1926 furono obbligati al servizio di
guerra.
Si trattò, racconta Baratter, di un vero e proprio rastrellamento di
sudtirolesi: per chi si fosse sottratto alla chiamata, la pena era la
condanna a morte, commutata in carcere duro fino a dieci anni. La pena
dell’arresto era comminata anche ai «complici»: mogli, genitori, figli,
fratelli e sorelle.
IL
PRIMO BATTAGLIONE
Il Primo Battaglione fu inviato nel marzo del 1944 in Istria ed
impiegato in ampie operazioni di guerra anti-partigiana, accerchiamento
e rastrellamento al fianco di unità tedesche. Nello stesso tempo esso
doveva anche vigilare le linee ferroviarie e le vie di trasporto e
garantire la sicurezza dei rifornimenti.
I rastrellamenti contro i partigiani avvenivano accerchiando ogni
possibile nascondiglio della guerriglia: fu però spesso la popolazione
civile che ebbe a subirne le più tragiche conseguenze, trovandosi tra
due fuochi.
Con l’arretramento del fronte balcanico il battaglione fu trasferito
dall’istria a Gorz, con le medesime funzioni operative. La ritirata
portò l’unità fino al Passo di Predil, da dove avrebbe dovuto
contribuire a contenere l’avanzata dell’VIII Armata britannica, ma nella
successiva ritirata il battaglione fu sorpreso a Torl-Maglern e dovette
arrendersi.
Fatti prigionieri, i Sud-Tirolesi furono inviati in un Campo di Raccolta
a Kotschach-Mauthern. Alcuni di essi però riuscirono a fuggire da questo
campo e a giungere nel Sud Tirolo attraverso la Valle del Gail.
I prigionieri furono condotti a Udine e quindi a Rimini-Bellaria, dove
la sorveglianza da parte dei neozelandesi e dei polacchi era più ferrea.
Tutti coloro che in qualche modo erano riusciti ad eludere la
sorveglianza e a tornare nelle proprie case senza passare per gli
Alleati (ovvero senza foglio di congedo regolare) dovevano presentarsi
presso la Caserma “Vittorio Veneto” di Bolzano. Chi si presentava veniva
immediatamente considerato Prigioniero di Guerra, cosicché l’edificio si
riempì quasi subito di ex appartenenti ai corpi di polizia sud-tirolesi.
La sorveglianza era a quanto pare molto leggera, la notte si riusciva ad
evadere alquanto facilmente, mentre i meno fortunati dovettero attendere
un mese per avere il proprio foglio di congedo. Inaspettatamente,
tuttavia, la maggior parte di questi prigionieri furono invece
trasferiti presso il campo di Rimini e poi a Taranto: poterono tornare
in Sud-Tirolo solo nel settembre 1946.
IL
SECONDO BATTAGLIONE
Il Secondo Battaglione del Bozen giunse a Belluno (sede militare del
reparto) nel febbraio del 1944 ed ebbe ad effettuare ben 85 interventi
di repressione anti-partigiana tra il marzo ed il dicembre dello stesso
anno.
Il 20 ed il 21 agosto del 1944 avvenne uno degli episodi più tragici di
violenza commesso ai danni della popolazione civile da parte delle
truppe tedesche e collaborazioniste nelle Dolomiti.
Nel cosiddetto massacro della Valle del Bois, accanto ai combattenti
partigiani, caddero numerosi cittadini della vallata sita nel territorio
del Cadore. A questo eccidio parteciparono anche numerosi appartenenti
Sud-Tirolesi del Polizeiregiment Bozen.
Alcuni di questi responsabili dell’eccidio, una volta fatti prigionieri
furono riconosciuti dai partigiani nel Campo di Cencenighe (nella Val
Cordevole, in Provincia di Belluno) e in tale occasione furono
immediatamente giustiziati.
Inoltre, nel marzo del 1945, unità di questo battaglione furono
coinvolte nell’impiccagione di 14 persone in una piazza centrale di
Belluno, dopo che i partigiani avevano nel corso di un attacco ucciso
tre membri della polizia Sud-Tirolese.
La fine della guerra colse la maggior parte dei suoi appartenenti il 2
maggio del 1945 ad Agordo, dove furono catturati dai partigiani e in
seguito internati nel campo di Rimini. Alcuni tentarono di fuggire
attraverso la Valle d’Agordo, ma furono fatti prigionieri dai partigiani
e finirono nel Campo di Cencenighe; dall’autunno del 1946 cominciò il
ritorno a casa dei primi prigionieri del Primo e del Secondo
Battaglione.
IL
TERZO BATTAGLIONE
Il III Battaglione del Polizeiregiment Bozen venne impiegato in azione,
dopo l’addestramento, a Belluno e a Colle Isarco (nei pressi di
Vipiteno), a poca distanza dal passo del Brennero.
A partire dal 12 febbraio del 1944 fu trasferito nella città di Roma,
ove sarebbe stato impiegato in attività di sorveglianza di “Punti caldi”
della città. Il trasferimento avvenne con gli autobus della SAD (Società
Automobilistica Dolomiti)
la quale gestiva (e ancora oggi gestisce) le linee pubbliche dell’Alto
Adige.
Il dislocamento fu terminato il giorno 19. le tre compagnie furono
dislocate nelle soffitte del Palazzo del Viminale, allora come oggi sede
del Ministero degli Interni. I servizi erano: per la 9ª Compagnia la
sorveglianza di prigionieri che allestivano a sud di Roma apprestamenti
difensivi. La 10ª invece era impegnata nel centro della Capitale nella
sorveglianza di Uffici ed Edifici tedeschi e della RSI. L’11ª era in
riserva.
Ricorda un reduce del l’11ª Compagnia, Peter Putzer: “Secondo me
eravamo troppi e così mentre la 9ª e la 10ª erano utilizzate per i turni
di guardia e la sorveglianza, noi dell’11ª eravamo di riserva”. In
effetti la Compagnia dilaniata nell’attentato di Via Rasella non era
stata impiegata in alcun turno di servizio per il quale era stata
addestrata. Pertanto il cambio tra la 10ª e l’11ª doveva avvenire, in
base al processo di rotazione delle unità, il 24 marzo 1944 e da quel
momento la 10ª sarebbe passata in riserva.
Il 23 marzo del 1944 caddero 33 suoi soldati dell’11ª Compagnia
nell’azione di guerra partigiana effettuata dai resistenti romani in via
Rasella.
Ad organizzare l’attentato furono i GAP (Gruppi di Azione Patriottica)
costituiti per iniziativa del Comando Generale delle Brigate Garibaldi
verso la fine del settembre 1943 per la lotta urbana. C’è da dire che i
partigiani romani non erano in alcun modo a diretta conoscenza della
natura del Polizeiregiment Bozen, il quale, agli ordini di ufficiali
delle SS e in perfetto assetto di guerra, rappresentava per la
Resistenza romana un obiettivo simbolico in una data simbolica per la
lotta contro l’invasore.
In seguito all’attentato, come tutti sanno, fu messa in atto una
rappresaglia che vide la morte di 335 cittadini inermi presso le Fosse
Ardeatine a Roma.
Nessuno dei sopravvissuti Sud-Tirolesi accettò di prendere parte alla
rappresaglia per vendicare la sorte dei compagni caduti. La vicenda del
rifiuto degli appartenenti al Bozen di partecipare alla strage delle
Ardeatine è stata messa in risalto dallo storico Claus Gatterer nel
volume “In Kampf genen Rom” (Vienna, 1968). Qui si osserva che “secondo
un’usanza in vigore nelle Forze Armate germaniche, l’esecuzione degli
ostaggi sarebbe dovuta avvenire da parte dell’unità colpita”, ma lo
stesso Kesselring riferì (in occasione del processo che lo vide
coinvolto dopo la guerra) che il comandante del Battaglione si era
rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine di ubbidire all’ordine di
rappresaglia “perché i suoi uomini erano cattolici e per di più delle
classi più anziane”.
Le altre compagnie del III Battaglione erano state nel frattempo usate
sia all’interno della città che nella zona dei Castelli Romani. Esse
provvedevano tra l’altro alla sorveglianza degli edifici dell’EIAR,
nonché di varie strutture sia tedesche che italiane.
Nelle settimane successive a quelle tragiche settimane di marzo, l’unità
continuò ad essere utilizzata a Roma. Con il crollo dei fronti di
Cassino e di Anzio e l’avvicinamento della linea di combattimento alla
Capitale, fu dato ordine alla polizia Sud-Tirolese di ritirarsi fino a
Firenze, dove le sue file vennero riformate una quindicina di giorni
dopo la partenza da Roma.
Una trentina di uomini tornarono direttamente (e di propria iniziativa)
a casa nel Sud-Tirolo, ma furono ben presto denunciati dai vicini e
costretti a presentarsi presso la caserma di Gries, dove furono
considerati disertori e inviati per punizione sul fronte orientale, da
dove tornarono in pochissimi.
Da questo episodio fu dato ordine di sparare a vista contro tutti i
militari che fuggivano dalla truppa.
Dopo Firenze, il battaglione passò quindi a Lecco, prima di arrivare in
Piemonte per essere utilizzata contro i partigiani.
Un testimone Sud-Tirolese del III Battaglione racconta che “in un
villaggio di cui non è dato modo di ricordare il nome, i partigiani
presero in ostaggio alcuni altoatesini. Nel contrattacco fu distrutto il
paese e la popolazione fu presa in ostaggio. I Sud-Tirolesi furono
liberati, ma gli uomini dell’SD (Sicherheit Dienst, indipendenti dal
Bozen) portarono gli abitanti in un luogo sconosciuto e di loro se ne
ignorò la sorte”.
Nel settembre del 1944 il Battaglione cominciò a far rientrare le sue
unità nell’Alpenvorland e si hanno tracce del suo passaggio nelle zone
di Roncegno, in Valsugana e nel Cadore.
L’inverno tra il 1944 e il 1945 fu trascorso da tutti i suoi componenti
in quest’ultima zona. Il 2 maggio del 1945 fu dato l’ordine della
ritirata attraverso la linea Livinallongo-Falzarego-Schulderbach. Dopo
pochi chilometri i Sud-Tirolesi si trovarono di fronte ai posti di
blocco allestiti dai partigiani, i quali tuttavia acconsentirono di lì a
poco a questi uomini di rientrare nella loro provincia attraverso la Val
Pusteria fino a Brunico.
L’ESPLOSIONE
DI VIA RASELLA VISTA DAGLI UOMINI DEL BOZEN
L’11ª Compagnia era formata da 156 uomini divisi in quattro plotoni. Il
23 marzo del 1944 marciava da Porta del Popolo lungo via del Babuino e
Piazza di Spagna, passavano per via Due Macelli, attraversavano via del
Tritone e da via del Traforo imboccavano via Rasella. Poi avrebbero
dovuto girare a destra, su via Quattro Fontane e raggiungere Palazzo del
Viminale.
Gli uomini terminarono il loro addestramento al tiro presso il poligono
di Tor di Quinto alle ore 15 anziché alle 13, come era sempre avvenuto.
Ma veniamo alle dichiarazioni rilasciate da alcuni superstiti dopo la
guerra. Peter Putzer: “Quel giorno avevano raddoppiato la guardia
dappertutto, sembrava fosse giunta una segnalazione anonima su qualcosa
che sarebbe dovuta accadere” … Josef Prader: “La mattina del 23
io e altri sette – otto uomini fummo distaccati di guardia. Non era mai
accaduto prima. Per raggiungere la Compagnia ci diedero delle biciclette
verso mezzogiorno. Fu così che io, che ero del secondo plotone, mi
ritrovai in fondo al quarto quando scoppiò la bomba” …Konrad
Sigumund: “Dovevano essere stati avvertiti perché c’erano troppi
segni in giro. Perché, ad esempio, proprio quel giorno rientrammo con
due ore di ritardo al Viminale?” … Franz Cassar: “Poco prima
dell’esplosione i nostri sottufficiali, che erano gli unici tedeschi
della Compagnia, furono chiamati a rapporto in cima allo schieramento in
marcia e così si salvarono tutti. Non era mai accaduto prima che fossero
convocati a rapporto nel bel mezzo di una marcia di trasferimento”.
Appena il drappello ebbe imboccata via Rasella, il Maggiore Dobbrick
comandò: “Ein Lied!” (Una canzone!…Cantate una canzone!).
I superstiti ricordano di quel giorno: “Io ero nel terzo plotone
– racconta Peter Putzer – e fui investito da una raffica di schegge.
Non ebbi il tempo di pensare a cosa era successo, sanguinavo
dappertutto. Avevo un’arteria troncata di netto, perdevo molto sangue.
Un certo Dietrich mi fasciò alla bell’e meglio . Un blocchetto di
appunti che tenevo nel taschino aveva deviato una scheggia nelle costole
che, altrimenti, mi avrebbe preso dritta al cuore”.
E ancora, Konrad Sigmund ricorda: “L’esplosione non fu una sola, ce
ne furono tante. Avevamo tutti cinque o sei bombe a mano attaccate alla
cintola e ne esplosero parecchie, colpite dalle schegge, altre per il
calore derivante dallo scoppio. Per questo morirono in tanti. Johann
Fischnaller ad esempio fu identificato solo perché aveva i capelli
ispidi e biondi”.
Josef Praxmarer trasportava quel giorno una cassetta di munizioni che
gli era stata affidata per punizione: “Se una scheggia fosse entrata
là dentro, addio. So di essere stato scaraventato all’indietro e non
capivo più niente. Ricordo il Maggiore Dobbrick che correva su e giù
urlando di correre avanti. Ma c’era poco da correre; io avevo le gambe
piene di schegge e tutto intorno si continuava a sparare. Eravamo lì, a
pezzi, molti già morti. Mi portarono in un ospedale italiano e fu una
fortuna perché ci trattarono bene. Nel letto accanto al mio c’era
Hermann Tschigg. Gli chiesi come stava, lui mi rispose che si sentiva
bene…dopo cinque minuti era morto”.
Franz Cassar di Tarmeno così ricorda l’esplosione: “Ardengasser di
Caldano che camminava davanti a me ebbe la testa mozzata, Oberlechner
morì dissanguato perché lo scoppio gli tagliò entrambe le braccia. Io mi
ritrovai aggrappato ad un’inferriata divelta di un negozio e ricordo due
cose: non avevo più le scarpe e Johann Kaufmann rantolava davanti ai
miei pedi nudi e sanguinanti. Li per li non svenni, lo feci solo quando
un proiettile mi penetrò alla radice del naso e mi uscì dalla gola. Non
so proprio chi fu a spararlo. Rinvenni solo quando tenente Wolgasth mi
sollevò per caricarmi su un’ambulanza. Poi venne a trovarci anche in
ospedale. Era un fetente, non sorrideva mai. Non sapeva cosa fare per
noi e così ci regalò delle sue fotografie con dedica”.
Josef
Prader, che nel frattempo era rientrato in bicicletta in fondo alla
Compagnia e ricorda che la sua bici gli fu letteralmente strappata dalle
mani a causa dello spostamento d’aria causato dall’esplosione: “Mi
nascosi nell’androne di una casa, pensando si trattasse di un
bombardamento”.
Franz Bertagnoli di Caldano e Josef Roeggler di Cortaccia anche si
rifugiarono in una casa: “Sentivamo sparare e gente che scendeva le
scale precipitosamente. Pensammo che fossero i partigiani…e invece era
solo un vecchietto e alcune donne, feriti anche loro dalle schegge dei
vetri rotti. Poi venne il tenente Wolgasth e lo aiutammo a soccorrere i
feriti. Era uno spettacolo orribile…cadaveri dappertutto”.
Arthur Atz, in una intervista concessa nel 1997 dichiarò: “Le
autorità diedero disposizioni perché le fucilazioni di rappresaglia
venissero eseguite dal Bozen per vendicare i camerati uccisi. Ma noi ci
siamo rifiutati. Noi non siamo capaci di uccidere, abbiamo detto. Noi
non possiamo uccidere. Anche se i partigiani avevano ammazzato i nostri
compagni, e dentro di noi c'era tanta rabbia, non ci sentivamo di
uccidere altre persone”.
La lista dei caduti a via Rasella
-
Andergassen Karl n. 5/1/1914
-
Bergmeister Franz n. 6/9/1906
-
Dissertori Josef n. 5/6/1913
-
Eichner Georg n. 21/4/1902
-
Erlacher Jakob n. 12/7/1901
-
Fischnaller Friedrich n. 19/11/1902
-
Fischnaller Johann n. 17/11/1904
-
Frotscher Eduard n. 19/12/1912
-
Kaspareth Leonhard n. 28/1/1915
-
Kaufmann Johann n. 19/10/1913
-
Matscher
Anton n. 12/6/1912
-
Mittelberger Anton n. 15/11/1907
-
Moser
Michael n. 29/9/1904
-
Niederstatter Franz n. 1/6/1917
-
Oberlechner Eugen n. 30/4/1908
-
Oberrauch Mathias n. 15/8/1910
-
Palla
Paulinus n. 31/12/1905
-
Pescosta
Augustin n. 9/5/1912
-
Profanter Daniel n. 22/5/1915
-
Raich Josef n. 14/12/1906
-
Rauch Anton n. 5/8/1910
-
Rungger Engelbert n. 21/12/1907
-
Schweigl Johann n. 13/8/1908
-
Seyer Johann n. 3/6/1904
-
Spiess Ignatz n. 4/7/1911
-
Spogler Eduard n. 11/7/1908
-
Stecher Ignatz n. 11/5/1911
-
Stedile Albert n. 26/6/1915
-
Steger Josef n. 10/8/1908
-
Tschigg Hermann n. 23/4/1911
-
Turneretscher Fidelius n. 19/1/1914
-
Wartbichter Josef n. 13/11/1907
-
Vinzenz
Haller (è il 33° soldato del Bozen morto nella notte susseguente
l’attentato per le ferite riportate )
POLIZEIREGIMENT
"BOZEN"
Comandante: Oberst der Schutzpolizei Alois Menschik
Aiutante: Hauptmann d. Sch. Ullbrich
I/SS-Polizei Regiment Bozen ( ? )
II/SS-Polizei Regiment Bozen (Major Schroder)
III/SS-Polizei Regiment Bozen (Major Dobbrick)
Polizei Ersatz Bataillon Bozen ( ? ) |