"Il terzo continente"

In viaggio alla ricerca delle motivazioni, delle aspettative e dello stile di vita
dell' "Essere" Educatore professionale

di Barbara Martini   
educere@tin.it   


 


...Dedico questo "viaggio"
ad Alberto, mio fratello -detto Ciccio-,
per un milione di motivi diversi
che non posso descrivere tutti,
ma che si possono riassumere tutti invece,
nelle descrizioni e nelle intenzioni in queste parole:
"...a mio fratello Alberto"


 

"... e ricorda, quello che Sei risuona così forte
da coprire quello che dici e quello che fai ".
                (antico proverbio indiano)




IL GIORNO DEL RINGRAZIAMENTO

   I ringraziamenti e la ri-conoscenza non sono per me una formalità, ma sono invece una necessità.
   Credo che se una persona è capace di ringraziare e di ri-conoscere ciò e chi l'ha aiutata a crescere, può darsi l'opportunità di continuare a farlo perché è consapevole di ciò che ha ricevuto. Nella misura in cui si è capaci di ri-conoscere gli altri con ciò che rappresentano per noi, ri-conosciamo anche noi stessi, quello che abbiamo, le nostre appartenenze, i nostri legami con gli altri: la riconoscenza è legata a un Ri-Conoscere ciò che esiste, ciò che è ineluttabile e ha il sapore di una tenerezza, di una cura verso sé stessi.
   E' per questi motivi che tengo in particolare considerazione i miei ringraziamenti mettendoli in prima pagina: anche questi appartengono al mio "viaggio" di tesi.
   Questa è stata la prima esperienza di tesi, non avevo idea prima d'ora in che cosa consistesse un lavoro di ricerca così grosso. Per farlo mi sono cimentata per la prima volta al computer, ho reimparato l'uso dei capitoli, dei paragrafi, dei caratteri, ho riscoperto il gusto per la ricerca: ho acquisito insomma nuove competenze tecniche, ma all'inizio del lavoro non sapevo nulla di tutto questo e non potevo certo pensare di fare solo l'autodidatta. Poi, come sempre mi accade, le cose sono venute da sé un po' alla volta, man mano che mi si ponevano le difficoltà trovavo sempre qualcuno attorno a me disponibile e competente per darmi una mano.
   E allora è successo che di mani ne ho trovate molte (come dimostrano le tracce alla fine del lavoro), mani preziosissime che voglio qui ringraziare, perché senza di loro non sarei riuscita sicuramente a fare tutto questo lavoro. Ancora una volta devo ri-conoscere che gli altri sono fondamentali e che non si va da nessuna parte da soli. Questo lavoro quindi appartiene anche a tutte le persone che mi hanno aiutata, in un modo o nell'altro e che "ci hanno messo le mani dentro".
   Innanzitutto sono riconoscente a chi mi ha dato l'opportunità di partecipare a questo Corso di Riqualificazione per Educatori (la cooperativa per cui lavoro "Domus Coop", i colleghi che mi hanno sostituita durante l'orario del corso e l'Azienda USL di Forlì), ne riconosco la grande importanza sia per la mia formazione professionale che personale: sono nati tanti "viaggi", tanti stimoli dalla formazione.
   Ringrazio poi le mani di Funny, la mia insegnante, che in sintonia ha subito accolto con entusiasmo il mio argomento di tesi (è importante che qualcuno accolga con entusiasmo quello che fai), correggendomelo pazientemente nel breve tempo che le ho lasciato a disposizione.
   Poi ci sono in grande rilievo le mani di Elisabetta, che ha sopportato le letture delle mie elaborazioni, le telefonate, i dubbi tecnici di percorso, e che ringrazio soprattutto per la precisa competenza tesistica e linguistica che mi ha offerto.
   Ringrazio Diego - in arte Zorro - il mio personale "tecnico" di fiducia, che proprio come il suo omonimo supereroe, si è precipitato a "salvarmi" nei momenti critici al computer e ad erudirmi sui misteri dell'informatica: ha curato l'assistenza a "Gino" , il mio computer, per me ancora semisconosciuto; senza di lui avrei sicuramente cancellato o distrutto inconsapevolmente parte del lavoro.
   Ultima componente, ma non meno importante, di questo team d'assistenza straordinario è Beatrice - detta "la Rossa"- che ha sacrificato le sue tonsille malate per dettarmi al momento della battitura, e che, con la sua esperienza di "vita vissuta", ha rassicurato i miei dubbi sulla tesi.
   Altri ringraziamenti vanno a Caterina, per l'ispirazione, a Silvana per la vicinanza e per il libro regalatomi (fonte di tutto), a Mirella per il suo libro "in extremis", a tutti quelli che mi hanno rotto le scatole per crescere e a quelli che me le hanno rotte e basta.
   Ringraziamenti speciali a tutti gli educatori intervistati che mi hanno concesso gentilmente non solo parte del loro tempo, ma soprattutto la disponibilità emotiva a raccontarsi e a raccontare i propri vissuti personali e professionali: per me è stato il momento più ricco e bello di tutto il lavoro di tesi: fosse stato anche solo per le interviste ne sarebbe valsa la pena . Rimpiango solo di non essere riuscita per mancanza di tempo a farne un numero maggiore...

   Infine ringrazio tutte le persone che ho "conosciuto" attraverso i libri letti per questo lavoro (molte mi hanno emozionato): conoscere il loro pensiero, le loro azioni è stato un po' come incontrarle virtualmente, e ogni incontro -anche se virtuale- porta sempre qualcosa di nuovo, qualcosa in più...

 

 

 

PREFAZIONE

Questa tesi è nata dalla curiosità, dall'interesse e dal piacere che sento nell'incontrare gli altri (mondi diversi), e in questo caso particolare, ho sentito il bisogno, per confrontarmi, di incontrare nei testi e nella realtà chi svolge come me la professione di educatore.

Infatti, non a caso la tesi porta il nome di un continente ed ha come sottotitolo le parole "ricerca" e "viaggio"; perché fondamentalmente è un viaggio alla ricerca - come suggerisce la favola nel prologo - del continente Essere, della parte autentica dell'uomo. Non ho la presunzione di pensare di aver trovato chissà quali significati o risposte bibliche e assolute, mi sono presa la libertà di aprire "una finestra", finora chiusa per me, su una delle tante "piazze" di questo continente e di affacciarmici.

La ricerca del continente Essere per me, si realizza offrendo anche uno spazio d'incontro con l'altro e con sé stessi: uno spazio culturale, cognitivo, emotivo e motorio, della filosofia di vita, della creatività e dell'originalità di ciascuno.

Il viaggio in fondo è sempre la ricerca di qualcosa, spesso di qualcosa che manca, che non è possibile trovare se non si "parte" e non ci si distacca da quanto già si conosce, lasciando qualcosa per fare spazio a qualcos'altro di nuovo. E' anche un viaggio di ritorno "a casa": si parte e poi si ritorna sempre. A casa però ci si ritorna sempre un po' più ricchi, più saggi, più consapevoli della propria "casa" e del mondo che ci circonda.

Condizione indispensabile per partire è portare con sé l'essenziale ed essere disponibili a vivere le esperienze che il viaggio stesso ti offre come possibilità di provarsi, di sfidarsi, di confrontarsi, per andare un po' oltre alle colonne dei nostri affezionatissimi limiti. E' nell'esperienza del lasciare la propria casa, del provarsi anche nei rischi che offre sempre il viaggio, che si sperimenta la propria appartenenza: ed è appartenendo a qualcuno che si possono affrontare i rischi e i pericoli con la sicurezza di farcela, senza relegarsi alla paura ("Appartieni a chi ti attende"... dice una massima).

Per incontrare gli altri, il mondo fuori di noi, è indispensabile muoversi e viaggiare, sia fisicamente che mentalmente, perché l'incontro avviene principalmente su tre livelli: quello fisico, quello culturale o cognitivo e quello emotivo.

Riassumendo possiamo dire che questo viaggio ha portato con sé alcune caratteristiche, che sono, oltre alla ricerca di uno spazio nuovo di confronto, la motivazione e l'aspettativa degli educatori verso questa professione, due elementi presenti sempre in un viaggio, ovvero: quali sono i miei obiettivi, cosa mi spinge a fare quel che faccio, cosa voglio da questo lavoro e in che maniera, con quale "stile" realizzo tutto ciò.

Appare evidente che questo lavoro non vuole e non può essere di tipo prettamente scientifico, o perlomeno, lo è parzialmente per quel che riguarda la parte teorica. Infatti per realizzarlo si è diviso il lavoro in una parte teorica ed in una pratica.

La parte teorica comprende il percorso storico evolutivo della figura dell'educatore, l'evoluzione del concetto e della dimensione educativa nell'uomo, confrontando le ultime più autorevoli ricerche e correnti di pensiero rispetto al tema delle motivazioni e delle aspettative nel lavoro sociale e in particolare a questo dell'educatore; la parte pratica investe la sua attenzione su ciò che pensano, credono e sentono i protagonisti, gli educatori, e si è ritenuto interessante intervistarne qualcuno per capire meglio il proprio stile professionale; è una parte sperimentale.

E' chiaro che la ricerca compiuta, specialmente quella pratica, ha un valore opinionistico, umanistico, interessante per conoscere nei dettagli, anche e soprattutto emotivi, l'esperienza di questa categoria professionale.

L'intento è quello di offrire uno spazio di riflessione, senza chiudere o dare risposte definitive al tema trattato, ma semmai stimolare altro e proporre nuove domande, un confronto tra elementi interni ed esterni, tra ciò che emerge dalla ricerca scientifica e ciò che racconta l'esperienza, il vissuto personale.

Mi sembra comunque di aver individuato almeno due fili conduttori ideali, che hanno guidato tutto il lavoro: uno di questi penso possa risiedere nella convinzione della grande importanza, anche se non esclusiva, dell'opera di assistenza alle tante categorie di persone che si trovano in condizioni di bisogno e della dimensione educativa, attenta, anzitutto, ai valori morali e spirituali dell'uomo (verso i quali l'educatore si fa attento promotore); un secondo filo conduttore sussiste invece nella convinzione che la cura degli altri è imprescindibile dalla cura di sé, e per cura di sé si intende la capacità di distacco e, allo stesso tempo, di accettazione con una punta di sorriso delle peculiarità e dei limiti relativi al proprio modo di relazionarsi emotivamente con gli altri e di organizzarsi mentalmente di fronte ai problemi e alle sfide variegate del lavoro sociale, riguarda l'interesse per la propria formazione professionale e personale.

Spero che questo lavoro possa essere piacevole e interessante per chi lo leggerà e come ho già detto, possa soprattutto offrire spunti di riflessione.

L'idea di poter stimolare anche il più piccolo movimento interno di riflessione, di confronto, con la possibilità di lasciare qualcosa di nuovo e anche qualcosa di me, è la più grossa gratificazione che possa desiderare da questa tesi. Quindi credo possa essere utile soprattutto a chi in qualche modo svolge attività dentro il sociale, soprattutto per gli educatori stessi come me.

E' evidente che la prima utilità di questo lavoro è per me, il primo fruitore sono io, e l'importanza che rappresenta sta nell'esperienza vissuta nel costruire tutto questo.

Mi sono divertita, ma ho anche faticato, ho dedicato molto tempo e denaro nella realizzazione e nella progettazione del lavoro, è stato un buonissimo investimento perché ha "fruttato", ha fatto guadagnare molto a me stessa e questo mi ripaga di tutti gli sforzi compiuti.

L'esperienza è stata il vero guadagno e il vero obiettivo, il processo d'esecuzione è stato altrettanto importante del risultato finale; la cosa veramente rilevante di tutta la tesi risiede in quello che è successo dentro di me mentre ho realizzato tutto questo, e adesso... mi riposo un po'.

 


PARTE PRIMA

La partenza: la figura dell'Educatore tra passato, presente e futuro...


 

 

PRIMA TAPPA

Alle origini: l'Educazione e

la figura dell' Educatore nel passato

"L'educazione non dovrebbe essere

una preparazione alla vita, ma la vita stessa".

Anthony de Mello

1. Storia dell'educazione e della scienza dell'educazione:

percorso storico del ruolo educativo.

" Educare, v. tr. ( io èduco, tu èduchi, ecc.; poet. Edùco, ecc.).

1. sviluppare le facoltà intellettuali, fisiche e morali, spec. dei giovani, secondo determinati principi; 2. assuefare, avvezzare a qualcosa con un fine determinato; 3. (Poetico) coltivare, far crescere: a te cantando / nel suo povero tetto educò un lauro / con lungo amore, e t'appendea corone (Foscolo Sep. Vv.54-56). Dal latino [ sec. XIV ] èducàre, intensivo di èdùcère 'trarre fuori, allevare', composto di ex 'fuori' e dùcère 'trarre'."

Con la parola 'Educazione', si fa generalmente riferimento a quel complesso processo di formazione, caratteristico dell'età evolutiva (infanzia, adolescenza, giovinezza), - ma oggi riguarda qualunque età - durante la quale si costituisce il sistema di valori, un'etica, che determina la personalità umana: si tratta sia di un processo interno in termini di autoeducazione sia, e soprattutto, di uno esterno e in tal caso riassume i principi (scienza dell'educazione) e i mezzi (didattica) con cui le generazioni adulte trasmettono a quelle giovani il loro patrimonio culturale e stabiliscono la continuità del gruppo sociale (famiglia, clan, tribù, Stato, ecc.).

L'educazione inizia pertanto con la vita stessa dell'essere umano e si prolunga anche oltre l'età evolutiva (educazione permanente), specialmente nelle società evolute a rapida trasformazione tecnologica, come la nostra ad esempio, dove già l'educazione scolastica si è prolungata di molti anni in breve tempo per la maggior parte dei giovani (scuole superiori, università, specializzazioni, masters, tirocini vari...).
Fondamentalmente l'educazione è un processo di socializzazione in cui interagiscono l'azione dell'educatore (per primo il genitore, l'insegnante, l'educatore professionale, figure adulte di riferimento, ecc.), le condizioni ambientali (familiari, economiche, sociali, culturali, religiose) e la reazione attiva dell'educando: di qui l'importanza della conoscenza della psicologia nell'azione educativa.
Nella storia dell'educazione, che è quanto dire la storia dell'umanità, si assiste a un'alternanza fra momento eteronomo in cui vi è la prevalenza dell'educatore (per esempio nelle società primitive o fortemente religiose come la civiltà ebraica o imperiali come quella romana) e momento autonomo nel quale viene dato maggior rilievo alla spontaneità dell'educando (per esempio nelle società razionalistiche e pluralistiche come la Grecia e la nostra). E' comunque accertato che i due momenti non possono scindersi in un reale processo educativo e che comunque il discente influisce a sua volta sul docente.
La prima fase dell'educazione avviene in ambito familiare ed è ormai noto a tutti , grazie agli studi psicologici e neurologici, che la mancanza o l'imperfezione dell'educazione familiare può causare l'origine di turbe e asocialità individuali, quindi si può dire che questa prima educazione costituisce il fondamento su cui si andrà a connettere tutto il resto dello sviluppo personale : si ritiene sia la fase più determinante di tutte.

La prima educazione è essenzialmente materna, spesso con aiuti esterni, particolarmente negli ultimi anni, che hanno visto la donna essere sempre più protagonista del mondo del lavoro sottraendola a volte precocemente dalla sua funzione di prima educatrice; anche il ruolo del padre, fondamentale nelle società agricole, appare pure ridotto nelle nuove civiltà industriali avanzate.

In queste società è nato anche il problema dell'educazione dei genitori , successivo a quello tipico dell'Ottocento dove iniziarono ad allestirsi i primi asili, nidi infantili, nurseries per la custodia appunto e l'assistenza dei figli dei genitori occupati. Al movimento delle "scuole dei genitori", di origine anglosassone, poi esteso in Francia e anche in Italia (per iniziativa della Unione Femminile Nazionale, Milano, 1953) sono connessi anche l'accresciuto interesse per la psicologia infantile e il ruolo sempre più riconosciuto dei genitori nel corso dell'educazione anche scolastica; infatti di seguito la legislazione italiana inserisce, sulla gestione collegiale della scuola, rappresentanze dei genitori a tutti i livelli degli organi amministrativi (legge delega 477 del 1973), seguiranno poi inseguito anche le rappresentanze degli studenti stessi.

A questa prima fase fa seguito quella scolastica, dove diventano educatori a fianco dei genitori, gli insegnanti, che col tempo aumentano di numero e sono specifici per ogni materia. Poi seguono gli insegnanti esterni alla scuola pubblica che possono essere: allenatori , insegnanti sportivi, di musica, di danza e man mano che si è ritenuta sempre più importante l'educazione e l'istruzione specifica, sono aumentate le figure di riferimento educative.

Inizialmente una sola antica figura si occupava dell'intera educazione del ragazzo, ed era identificata per le classi abbienti - solo per quelle - nella figura dell'istitutore che si occupava in specifico non solo dell'istruzione, ma anche dell'educazione vera e propria: i valori, i principi, il comportamento da tenere, questo prima nelle case signorili e nelle corti dei regnanti e poi molto più tardi nei collegi ( istitutore, dal latino ìnstitùtor -òris 'fondatore' e nel latino tardo 'precettore', derivato di ìnstituère, v. Istituire.) . Oggi questa figura non esiste più ed è sostituita da un numero quanto mai alto di istruttori specifici alla disciplina scelta.

La storia dell'educazione, per quanto si è già citato sopra, non può essere quindi disgiunta dalla storia dell'istruzione e della pedagogia (che significa letteralmente 'Scienza dell'educazione'); l'educazione presenta due aspetti principali, che sono: un aspetto materiale, e uno formale, il primo fornisce dati conoscitivi e pratici e il secondo opera a trasformare soggettivamente il contenuto oggettivo dell'istruzione.

Il problema dell' educazione comunque, costituisce oggi ancor più di ieri forse, parte essenziale delle moderne ideologie e quindi dei programmi politici; questo è dovuto anche al crescente interesse, alla sensibilizzazione sociale verso il futuro delle nuove generazioni e al conseguente sviluppo delle cosiddette "scienze dell'educazione" (pedagogia, psicologia, sociologia) e delle loro filiazioni (psicopedagogia, sociologia dell'educazione, ecc.).

Della filosofia come concezione della vita, la scienza dell'educazione costituisce una specializzazione come riflessione filosofica sul momento educativo; la sua caratteristica, (in connessione con le altre sopracitate), è quella di elaborare i fondamenti teorici delle tecniche dell'istruzione, (in particolare una tecnica organica nei principi e nelle finalità dell'educazione e dell'insegnamento -metodologia-, sviluppando lo studio dell'impiego di appositi mezzi -didattica- secondo le discipline e le età), nonchè i principi e i valori generali della formazione delle giovani generazioni.

La storia della scienza dell'educazione esamina le dottrine educative nella loro successione temporale, nella situazione geografica o storica e nel loro collegamento ideale. Si può parlare di scienza dell'educazione ovunque esista un processo educativo non occasionale.

"La città educa gli uomini"

Platone

Nell'antichità...

Anche se sono numerose le tracce di una precettistica educativa nell'Egitto dei faraoni, e nella Cina di Confucio, nei Bràhmana dell'antica India e nella Bibbia degli Ebrei, l'educazione come scienza nasce in Grecia (sec. VI -V a.C.) con l'affermarsi della polis e con l'estendersi all'intera cittadinanza di quell'agonismo che aveva informato, in senso individualistico e guerriero, il mondo omerico e che trova ora una sua applicazione pacifica in pubbliche competizioni come le olimpiadi. L'educazione fisica è al centro della rigida educazione spartana, finalizzata alla grandezza dello Stato, mentre un più maturo equilibrio tra individuo e collettività caratterizza l'educazione ad Atene, dove la musica si colloca accanto alla ginnastica come disciplina fondamentale.

Un tentativo di oltrepassare i limiti di una concezione aristocratica dell'educazione è compiuto dai primi tecnici dell'arte di insegnare, i sofisti, che, negano l'esistenza, e quindi l'insegnabilità, di verità universali e affermano la possibilità dell'insegnamento-apprendimento di capacità utilitarie atte a dominare la natura: in tal modo la sofistica (Protagora, Gorgia, Trasimaco, ecc.), riflettendo sulla soggettività personale, fa appello alle energie spirituali individuali (puntando sulla dialettica e sulla retorica, fornendo l'arma della parola a tutti i cittadini che vogliono prendere parte attiva alla vita politica).
Al soggetivismo sofistico Socrate contrappone, pur adottandone la metodologia del dubbio metodico, la ricerca di valori oggettivi attraverso la scoperta di concetti universali per mezzo del dialogo (ironia); il suo metodo educativo, noto col termine di maieutica, si differenzia da quello dei sofisti perchè non è limitato all'acquisizione di abilità tecniche, ma tende alla formazione interiore della personalità, capace di autogenerazione della consapevolezza etica universale.
Una vera e propria restaurazione aristocratica, su basi razionali, è quella di Platone, che, nella Repubblica, auspica audacemente l'abolizione della famiglia e una comunità di beni, da limitare però alla classe dirigente dei politici e dei guerrieri; per lui l'educazione tradizionale culmina nella dialettica, cioè nella contemplazione delle idee grazie alla reminescenza dell'originaria convivenza dell'anima con esse, processo riservato appunto a un'aristocrazia di reggitori assoluti (repubblica filosofica) senza evasioni soggettivistiche. L'educazione tuttavia, secondo Platone, deve essere impartita in misura eguale e senza differenza di sesso a tutti fino ai 17 anni: attraverso una rigida selezione e un lungo tirocinio di studi, dove occupa un posto privilegiato la matematica, si imporranno i migliori, ai quali affidare la direzione dello Stato.
Anche per Aristotele l'educazione spetta allo Stato; il fine ultimo, tuttavia, non è la platonica rifondazione della polis, ma la cultura e la filosofia come ricerca disinteressata del vero, mira alla formazione di abitudini buone, etiche e intellettuali in tutti gli uomini. In piena aderenza alla realtà concreta della Grecia e rinunciando all'utopia di Platone, Isocrate propone un ideale di formazione retorico-letteraria, fondato sull'oratoria, che avrà, nell'età ellenistica, una netta prevalenza sul piano platonico di studi matematico scientifici.
Essenzialmente retorica è l'educazione impartita in Roma antica, i cui contributi, sul piano della formulazioni pedagogiche, sono scarsamente originali e si collocano nel solco dell'ellenismo. Un'eccezione è costituita da Quintiliano che, nelle Institutiones oratoriae, anticipa alcune teorie moderne della didattica e traccia il profilo intellettuale e morale dell'oratore.
Con il cristianesimo l'educazione assume una finalità nettamente religiosa e anti-intellettualistica, fondata sulla carità e sull'amore, sulla trascendenza della verità e sulla ricerca di un rapporto con Dio, come risulta dal pensiero di Sant'Agostino (354-430), che concepisce il processo educativo come un itinerario dell'anima verso Dio.

Molto profonda è la tesi agostiniana, avanzata nel De magistro, secondo cui l'acquisizione della verità è frutto di una ricerca interiore e non dell'opera, utile ma non essenziale, del maestro: una tesi che verrà modificata da San Tommaso, per il quale è invece il maestro la causa motrice del processo educativo, in quanto consente, nel discente, il passaggio dalla potenza all'atto.

Con Tommaso e con la scolastica si verificano un grandioso e drammatico tentativo di conciliare fede e ragione; ma fondamentalmente pessimistica rimane la concezione pedagogica medievale nei riguardi della natura umana decaduta, con la conseguente identificazione del corpo come sede del male: ne derivano la svalutazione dell'educazione fisica e il ripudio, sotto questo riguardo, dell'educazione dell'antichità classica.

" Parla all'uomo di lui stesso

e ti ascolterà per ore"

B. Disraeli

Nell'umanesimo e nel rinascimento...

Nel quattrocento gli umanisti ritornano a una concezione armonica della formazione dell'uomo nel corpo e nell'anima: Vittorino da Feltre è, in questo senso , il più tipico esponente dell'Umanesimo in campo educativo. Successivamente si restaura il piano di studi della pedagogia classica secondo il modello di Isocrate, il quale auspica alla formazione dell'oratore, limitata però, a una ristretta élite.

Se per Erasmo, la classicità è un paradigma ideale, e, per Castiglione, il cortigiano è un modello di perfezione, Rabelais e Montaigne polemizzano contro il pedantismo e l'abuso dei libri: sono le due facce in sede pedagogica, del Rinascimento. La pedagogia della Riforma protestante (1519) da un lato proclama la libertà dello spirito suscitando l'educazione popolare, dall'altro reagisce al laicismo rinascimentale. Viceversa, nella Controriforma, i gesuiti, con i loro famosi collegi, trascurano di proposito l'istruzione elementare per puntare esclusivamente sulla formazione delle élite.

Sintesi del pensiero pedagogico del Rinascimento e della Riforma è l'opera di Comenio, che precorre la psicologia dello sviluppo con il metodo ciclico e con il principio "pansofico" in base al quale si può insegnare tutto a tutti.

Nel seicento il Discorso sul metodo di Cartesio (filosofo francese, 1596-1650) esercita un profondo influsso sia sull'indirizzo scientifico degli oratoriani sia sulla ricerca della chiarezza nelle "piccole scuole" giansenistiche,mentre i pietisti accentuano l'importanza educativa del lavoro. Segue l'idea di Locke (filosofo inglese 1632-1704) che, preoccupato soprattutto della formazione del gentleman, armonizza mirabilmente autorità e libertà, facendo appello all'esperienza e al senso dell'onore.

Educazione "naturale" ed educazione "negativa" sono i fondamentali motivi della pedagogia di Rousseau (filosofo e pedagogista svizzero; 1712-1778) che , pur avendo messo in rilievo la centralità del fanciullo nel processo educativo, promuovendo così una "rivoluzione copernicana" dell'educazione, non sfugge però a profonde contraddizioni, per il rischio di accentuare con la tecnica dell'intervento dissimulato il tanto detestato principio di autorità e per il ritorno velleitario, pur di sfuggire alle conseguenze della divisione del lavoro, a un artigianato di tipo medievale. L'idea rousseauiana, secondo cui il fanciullo non è un adulto imperfetto, era già stata anticipata da G. B. Vico (filosofo e precettore italiano 1668- 1744), che auspicava però una dottrina uniforme, imposta autoritariamente dall'alto; profondo è inoltre l'influsso di Rousseau su Kant ( filosofo, precettore privato, docente tedesco 1724-1804) che pone le basi di una pedagogia come scienza della personalità autonoma, destinata a diventare, in Hegel (filosofo, precettore, docente tedesco, 1770-1831) , dottrina dell'autoeducazione. L'antitesi rousseauiana tra libertà e autorità si ripresenta, in Italia, nella educazione cattolica di R. Lambruschini (pedagogista, sacerdote italiano, 1788-1873) e di G. Capponi (storico, politico e pedagogista 1792-1876), come tentativo di conciliare il dogma con l'autonomia della coscienza.

"Il compito principale nella vita di un uomo

è di dare alla luce se stesso"

E. Fromm

Nell'era moderna...

Pioniere della scuola moderna è J. H. Pestalozzi (educatore e pedagogista svizzero, 1746-1827), che, applicando sperimentalmente la lezione di Rousseau, pone le basi di una pedagogia dell'educazione popolare fondata sulla spontaneità antilibresca e sullo sviluppo del metodo intuitivo. Secondo Pestalozzi l'ambiente educativo per eccellenza è la famiglia, che assicura, grazie soprattutto alla presenza della madre, una formazione spontanea e naturale. Cardine di tale educazione è lo sviluppo armonico e graduale delle tre facoltà del cuore, dell'arte, e della mente. Soprattutto importante è in Pestalozzi , l'analisi dell'educazione intellettuale, che deve seguire il metodo "intuitivo" od "oggettivo", fondato sulla persuasione che le leggi della psicologia sono uguali a quelle della natura.

Discepolo di Pestalozzi e tipico esponente, con J.P. Richter (scrittore, pedagogista, precettore tedesco, 1763-1825) e F. Schleiermacher (filosofo e teologo tedesco 1768-1834), del Romanticismo in campo pedagogico è F. Fröbel (pedagogista, precettore ed educatore tedesco,1782-1852), il creatore dei "giardini d'infanzia", che scopre la fondamentale importanza e serietà del gioco, come rivelazione della vita interiore del fanciullo, il quale viene proposto, con evidente atteggiamento irrazionalistico, come modello perfetto dell'umanità. Il Giardino generale dell'infanzia tedesca (1840), segnò l'inizio di una concezione educativa prescolastica su un piano non puramente assistenziale. La dottrina del "gioco" di Fröbel trova il suo coronamento in quella del lavoro, concepito come l'attività in cui si esprime, estrinsecandosi in modo chiaro e determinato, l'interiorità dell'uomo, lo spirito (ossia la scintilla divina), attraverso un'opera che lo accomuna al resto dell'umanità e che è quindi "sociale" nel senso più completo del termine.

L'educazione nel Risorgimento italiano è fondamentalmente spiritualistica e si esprime nel cattolicesimo liberale come tentativo di conciliazione della dogmatica cattolica con l'autonomia del discente e nello spiritualismo attivistico del Mazzini, che formula il concetto dell'educazione trasformatrice del mondo in ogni suo aspetto (politico, economico , sociale) grazie alla scoperta del compito ("missione") di ogni individuo e di ogni popolo per il progresso indefinito dell'umanità.

L'esigenza di una pedagogia scientifica è viceversa rivendicata sia da J. H. Herbart (filosofo e precettore tedesco,1776-1841), che introduce i principi della gradualità e della pluralità degli interessi, sia dal positivismo che, ricollegandosi alla psicologia e alla fisiologia, accentua l'importanza delle discipline fisico-matematiche a scapito di quelle umanistiche. L'accentuazione del metodo e il culto delle scienze positive, propri del positivismo, vengono combattuti nei Paesi latini e anglosassoni dalle filosofie attivistiche (H. Bergson, Blondel, W. James), che nell'educazione rivendicano la personalità e l'autonomia del discente e mettono in luce l'unilateralità del metodo scientifico.

La reazione allo scientismo è particolarmente vivace in Italia, dove l'idealismo assoluto (B. Croce, G. Gentile, G. Lombardo Radice) rivaluta la fantasia creatrice e quindi l'importanza dell'educazione estetica figurativa e musicale. La pedagogia idealista nella riforma della scuola sostituisce quella positivistica e costituisce il fondamento della educazione del periodo fascista (riforma Gentile, 1923), che subisce tuttavia prima del suo crollo l'influsso della pedagogia del lavoro di . m. Kerschensteiner (Carta della scuola Bottai,1939).

Il neoidealismo italiano ha poi identificato l'educazione con la filosofia dello spirito, esaltando il primato del maestro, ma il cammino della pedagogia, nel novecento, è proseguito sia nella direzione antiautoritaria di matrice rousseauiana, con Ferrer, Tolstoj, Gandhi e Capitini (dottrina della "non violenza"), con il movimento delle "scuole nuove", sia verso la conquista di una propria identità scientifica: e in questa seconda direzione una tappa fondamentale è segnata dal pensiero di J. Dewey ( filosofo e pedagogista statunitense, 1859-1952).

Il fondamento della pedagogia deweyana è quello di un'educazione intesa come ricostruzione dell'esperienza e quindi incentrata sulla correlazione dell'interesse e dello sforzo; e poichè individuo e società sono inseparabili, l'educazione deve riferirsi costantemente sia alla psicologia, sia alle scienze sociali e deve sanare, nel quadro di una società democratica, la frattura tra la cultura liberale delle classi egemoni e la cultura tecnico-professionale delle classi subalterne. Sempre secondo Dewey, nella scuola l'individuo, non deve ricevere passivamente un sapere già precostituito, ma deve essere educato all'abito critico della scienza e alla libera estrinsecazione di tutte le sue facoltà; infatti per lui la filosofia è la teoria generale dell'educazione, è tale in quanto rappresenta al tempo stesso , etica della libertà democratica e teoria dell'indagine scientifica, giacchè i principi dell'educazione, non possono essere diversi dai quei principi stessi del vivere, che sono ragione ed esperienza unite nella continuità interrotta dell'indagine umana. Il suo pensiero ha largamente ispirato la scuola americana e ha influenzato anche la pedagogia europea.

Tra i problemi fondamentali della pedagogia contemporanea si presenta con particolare risalto quello dell'apprendimento, per la soluzione del quale si è affermato il globalismo di O. Decroly (medico, psichiatra e pedagogista belga, 1871-1932).

Con il termine di "attività di globalizzazione", Decroly indica quell'aspetto dell'attività mentale per cui il soggetto coglie il reale nella globalità delle situazioni concrete, in cui entrano in gioco non solo elementi sensoriali e mentali, ma altresì le sua emozioni e tendenze. Nella scuola le scienze si svilupperanno in occasione della necessità di apprendere "le cause e le conseguenze dei fenomeni in rapporto con la vita umana" ; Decroly promosse inoltre l'inserimento nella pratica educativa, delle varie tecniche di misurazione psicologica.

 

"Educare significa far crescere la persona"

Nell'era contemporanea...

Accanto a Decroly, fondamentale rilievo hanno le esperienze di Maria Montessori (pedagogista italiana,1870-1952); nel suo metodo va sottolineato l'importante sviluppo dell'autoeducazione e dell'individualizzazione dell'insegnamento, motivi fondamentali delle "scuole nuove". Nella "Casa dei bambini" da lei fondata, il bambino ha facoltà di muoversi, di scegliere l'attività e l'occupazione preferita, si ordina spontaneamente, con l'uso dei materiali didattici. Realizzando questa atmosfera di libertà, il metodo Montessori ha mirato a promuovere, attraverso l'educazione innanzitutto sensoriale, il profondo sviluppo del bambino; in tale quadro l'opera dell'educatore si qualifica come quella di un osservatore scientifico, esperto del mondo psichico infantile, che non interviene direttamente sul bambino, ma si limita a predisporre , nonchè mediare e controllare, il materiale e l'ambiente adatto.

Tale tesi , secondo cui si apprende più con l'azione che col pensiero, è stata sviluppata da J. Piaget (psicologo svizzero,1896-1980), particolarmente noto per i suoi studi sulla psicologia dell'età evolutiva.

Legata agli ultimi decenni, è la straordinaria esperienza pedagogica di Don Lorenzo Milani (sacerdote, educatore italiano, 1923-1967), che nel 1957, aprì a Barbiana nel Mugello, una scuola di avviamento professionale per i ragazzi del luogo, figli di semplici operai; la sua esperienza pedagogica era fondata su una critica radicale dell'impostazione classista del sistema scolastico, che ebbe un peso determinante sulle proposte di riforma didattica scaturite dal movimento di contestazione studentesca degli ultimi anni sessanta.

Infatti, Don Milani lottò molto per una pari opportunità di studio tra ragazzi agiati e figli di operai e insieme a questa critica classista promosse nei giovani una concezione nuova della scuola, volta alla riflessione sociale e politica, puntando soprattutto all'uguaglianza sociale e di sesso per un'educazione dedita alla crescita e alla cura della persona:

" I care ( mi interessi, ho cura di...) [...]. Ragazzi, non potete farvi educare da uno che non pensi a voi, da uno che non pensi al vostro bene [...]. Io voglio aiutarvi a ragionare, a prendere la vostra vita sul serio; purtroppo la vostra libertà è di scegliere entro i limiti delle poche possibilità che vi danno, cioè, in questo caso, di ballare un twist o una madison. Ma non di ballare o regnare e essere padroni del vostro voto, del vostro pensiero. Non di ballare oppure vincere discussioni. Non di ballare o convincere le persone con cui parlate.

Purtroppo la mia previsione è che sarete pecore, che vi piegherete completamente alle usanze, che vi vestirete come vuole la moda, che passerete il tempo come vuole la moda. Ma mi dite che soddisfazione ci trovate ad accettare una simile situazione? Ribellatevi, ne avete l'età. Studiate, pensate, chiedete consiglio a me, inventate qualcosa per sortire da questa triste situazione in cui siete e poter arrivare al punto di fare realmente, con una libera scelta vostra, le cose che vi par giuste fare. Per me sarebbe una umiliazione tremenda se uno mi domandasse: 'Cosa stai facendo? Perchè lo stai facendo?' e dovessi restare a bocca aperta senza rispondere. Educo i miei ragazzi così, a saper dire in qualunque momento della loro vita, cosa fanno e perchè lo fanno ".

Fino alla fine degli anni Ottanta, nei paesi del socialismo reale era diffusa un'educazione di ispirazione marxista che guardava con particolare attenzione alle esperienze collettivistiche e alla unità fra sapere tecnico e mondo del lavoro. Influssi deweyani si trovano nella pedagogia internazionale avallata dall'azione dell'U.N.E.S.C.O. che si rifà ai principi della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" (Parigi, 1948) fondando l'educazione sul pacifismo, sulla comprensione internazionale e sulla cooperazione mondiale. Una particolare applicazione come "civismo europeo" è evidente nell'azione pedagogica del "Consiglio d'Europa" di Strasburgo che ha ispirato la "Carta europea dell'educazione" (Bruxelles,1968) e ha suggerito la pedagogia di partecipazione, che è in realtà una metodologia (scuola del dialogo, lavori di gruppo, condirezione delle "tre componenti" insegnanti, genitori, alunni, ecc.).

Ormai il termine 'scienza dell'educazione' sembra oltrepassare il significato etimologico per estendersi a ogni dottrina educativa: si parla perciò di pedagogia dell'educazione ricorrente o intervallata con periodi lavorativi, di educazione permanente o degli adulti, cioè estesa a tutto il corso della vita umana.

Oggi il problema dell'educazione ha assunto forme diverse, non più legate prevalentemente all'ambito scolastico, come è stato fino agli anni sessanta, ma si presenta invece unito alle problematiche proprie dello sviluppo della nostra società: come la crescita della disoccupazione, della criminalità e dei suicidi giovanili, lo svilupparsi crescente della tossicodipendenza e poi di seguito dell'uso saltuario di nuove droghe, delle patologie legate ad esse, all'emarginazione degli anziani; in generale, riassumendo, lo si può definire come un nuovo disagio di vivere che colpisce prevalentemente i giovani, legato alla nuova crisi di valori, di ideali, di un progetto di vita per l'uomo fattibile, certo, auspicato, condiviso e promosso dalla collettività. Rispetto a queste nuove problematiche, grosse e recenti riflessioni sono state fatte dal sociologo e psichiatra Paolo Crepet , che è considerato uno dei più autorevoli esperti sui disagi giovanili (si è occupato del problema dei suicidi giovanili e di ragazzi "violenti" in genere).

Il pensiero di Crepet si muove radicalmente verso una critica del sistema scolastico ritenuto non a "misura di ragazzo" , e una contestazione dei valori comuni condivisi dalla società, nonchè una disgregazione affettiva della famiglia .

Secondo Crepet, una delle cause di questo nuovo disagio, è data dalla perdita nel tempo , della capacità di comunicare emozioni, cosa che ai giovani manca in maniera così forte da essere ricercata nell'uso delle droghe e nel vissuto di pericolose situazioni (la nuova tendenza a fare esperienze al limite della sopravvivenza, illegali, e che mettono a repentaglio la propria vita -furti, jumping, ecc.).

Questa incapacità a comunicare e a manifestare le emozioni, trova origine spesso, da un reale disinteresse e da una mancanza di ascolto dei giovani da parte del mondo adulto, che pone i propri valori nel successo e nel denaro. In particolare i giovani vivono una solitudine terribile, e non basta per loro il benessere materiale offerto dalla società per avere quello auspicato, cioè quello spirituale:

" Oggi compriamo videocassette ai bambini con i cartoni animati di Walt Disney per educare i nostri figli, stacchiamo assegni per comprare il motorino, ma non ci pensa la Disney, e neanche la Piaggio ad educarli...non basta , è come dirgli: - Sii felice con quel motorino, con quella cassetta - [...] ...La solitudine di cui soffriamo noi è quella di abbandono, non è una scelta, allora potrebbe anche avere un senso creativo. La creatività come l'emotività sono trasgressive, è necessario essere educati all'educazione, un popolo può rinascere solo attraverso l'educazione; si deve ascoltare il dolore dei giovani, [...] la scuola dovrebbe essere un luogo dove si ascolta; l'intelligenza è la nostra capacità d'ingegno, il nostro talento sta nella nostra capacità, nella nostra creatività di comunicare, di far conoscere chi siamo. Ricominciamo dal caffè, dalle piccole cose da fare con gli altri per imparare ad ascoltare [...] La relazione come la cosa più importante: relazione e ascolto [...] La nostra è una società senza padri, manca la figura del maschio...L'appartenenza si realizza in un progetto educativo, e l'insegnamento è seduzione (è un condurre verso di sè e non si fa se non si danno emozioni) [...]. Le fiabe sono la pedagogia delle emozioni... perchè la fiaba va narrata, gli autori presi a sè sarebbero dei sadici, perchè molto spesso le fiabe hanno momenti tragici, terribili, ma perchè è pedagogica ? Perchè mentre la si narra si consola il bambino, lo si protegge con la propria sicurezza di adulto, con le proprie emozioni che vengono passate, si affrontano i pericoli insieme... insieme li si supera. E' così che si diventa ricchi, che si dormono sonni tranquilli e sereni perchè c'è sempre la compagnia di qualcuno che ti è vicino, che ti rassicura, che fa vincere il Bene insieme a te [...]. E' L'autorevolezza contro l'autoritarismo, ...Ora si dice che ci sia una grande immaturità sociale...perchè i giovani si devono prendere delle responsabilità quando noi per primi non riconosciamo loro il proprio ruolo?. Molti anni fa a 20-25 anni al massimo si aveva sicuramente un lavoro, la possibilià di creare un proprio progetto di vita, una casa, una famiglia... ora riconosciamo ai giovani una grossa competenza cognitiva, ma non riconosciamo loro un ruolo , un posto definito nella società, non riusciamo a garantire un lavoro a alla stessa età i giovani di oggi sono ancora dipendenti dalle famiglie [...]. C'è una educazione alla disistima, ('Ti amo solo se prendi il massimo'), un passaggio della stessa verso l'integrità ad amare il proprio progetto di vita".

L'esigenza di un'attenzione profonda e completa verso le persone che si trovano in situazioni di difficoltà e disagio, sotto l'aspetto fisico, oppure sotto l'aspetto psicologico e sociale, si è venuta chiarendo appunto, nel corso di questi ultimi decenni, in seguito proprio alle nuove problematiche ,- specie quelle giovanili citate sopra -, come una delle esigenze primarie in una società che voglia essere veramente giusta e solidale.
Il riconoscimento di questa esigenza ha portato con sè anche l'approfondirsi delle ricerche teoriche e sperimentali, e delle iniziative operative - compresa in misura rilevante quella legislativa - volte a dare concretezza al sostegno delle persone in difficoltà.
E' stato molto importante lo sforzo compiuto nel settore dell'assistenza sociale, psicologica e pedagogica a molte categorie bisognose : ci si è mossi così con molte iniziative per rispondere ai nuovi e vecchi disagi, offrendo soluzioni diverse, nuove, molte in via sperimentale che in breve tempo hanno riscosso molto successo; come le soluzioni di risposta a favore dei minorenni bisognosi di rieducazione, ai tossicodipendenti, ai portatori di handicap, con la nascita delle Comunità residenziali o semiresidenziali ad esempio; e a risposte diverse con aiuti alle persone anziane, ai carcerati e così via.
Essendo categorie molto diverse tra loro, sono intervenute risposte diverse: di carattere pedagogico e psicologico, altre di carattere economico, altre di carattere assistenziale, così in seguito a questi nuovi bisogni e servizi ci si è andati interrogando sulle nuove figure professionali che si stavano creando per rispondere adeguatamente a questi nuovi bisogni di assistenza, di formazione, di cura, molto complessi, richiedenti qualificazioni professionali molto finalizzate.

E' proprio in questo contesto che si inserisce una riflessione sull'evoluzione umana e professionale di quella figura che in passato è stata priva di un nome specifico, oppure associata per lo più a figure religiose, e che oggi invece è socialmente riconosciuta e definita col nome di "educatore professionale".

Il percorso storico di questa figura è stato molto interessante perchè si è trasformato gradualmente nella misura in cui è cresciuto nella nostra società l'interesse per la dimensione educativa, quindi per i valori morali e spirituali dell'uomo (secondo i più autorevoli filosofi e sociologi, a partire dagli albori della polis, l'evoluzione e l'appartenenza ad una società si realizzano in un progetto educativo). Così dalla vecchia figura che si occupava spontaneamente, - spesso per sensibilità, ricettività e buon cuore (o buon senso) - o per dovere religioso ai bisogni immediati dei disagiati, col tempo e il progressivo riconoscimento collettivo, si è trasformata da figura spontanea e casuale, spesso religiosa, a figura istituzionalizzata laica, professionalmente riconosciuta e cercata, che opera e collabora sulle basi di un progetto d'intervento, all'interno di una complessa rete sociale.

Si può trarre da questa riflessione , una conclusione: una società è tanto più evoluta, vivibile e quindi umana, cioè a misura d'uomo, quando la sua crescita coinvolge in prima istanza un'attenta considerazione dell'uomo nella sua globalità, e in particolare, dei suoi bisogni , ma non in una emergenza del fare, del contenere, del prevenire, ma in una necessità dell'Essere.

"Ognuno di noi quando è adulto fa l'educatore,
perchè ha sempre ragazzi che lo guardano"

Paolo Crepet

2. Com'è nata la figura dell'educatore professionale

Nel percorso storico evolutivo del ruolo educativo, si possono individuare alcune tappe particolarmente importanti che hanno gradualmente definito l'attuale profilo professionale dell'educatore, demarcando e diversificando in modo formale le sue competenze.

Esistono delle strette relazioni con l'immagine dell'educatore presente nella cultura classica, - come si già trattato nel paragrafo precedente - dove questa figura viene rappresentata e utilizzata come colui che è dedito all'istruzione e al governo dei fanciulli, è colui che 'conduce fuori' le potenzialità del minore, le guida e le indirizza sia attraverso un contributo di formazione teorica che di esperienza di vita.

Questa prima interpretazione ha inizialmente indotto l'utilizzo dell'educatore in modo simile all'insegnante, impiegandolo in prevalenza per interventi istituzionali a favore dei minori; ma proprio per il significato che il termine 'educazione' offre ( "si fa riferimento a tutte le pratiche che influiscono sul modo di essere dell'individuo, non solo quelle relative all'istruzione..." ), le attività di un educatore sono infatti qualcosa di più complesso di quelle istruttivo-didattiche.

Solo nell'ultimo secolo si è andata delineando quella che possiamo identificare come la competenza maggiormente utilizzata negli ultimi anni: quella di riabilitatore, cioè come colui che è impegnato a ricreare le condizioni per rendere nuovamente abili le persone che si trovano in condizioni di difficoltà psicologiche, sociali, sanitarie.
Risalgono all'epoca dell'unità d'Italia i primi impieghi ufficiali in questa direzione, anche se con un taglio nettamente di carattere assistenziale: si parla più di cura e di contenimento, oppure di supporto nelle attività scolastiche.

Sono stati gli istituti totali di assistenza ai minori orfani o devianti, fondati quasi sempre da religiosi, a richiedere i primi interventi di personale educativo non docente. In questo periodo specifico, le competenze professionali degli educatori sono quelle di contenimento e di punizione, più che rieducative, ma d'altro canto non era richiesta una formazione specifica e ci si affidava al buon senso personale. Non esisteva una cultura della salute come troviamo ora : lo Stato non si interessava del benessere del cittadino, ma questo lo facevano solo le istituzioni di carità religiose, le uniche ad interessarsi di fornire un aiuto alle persone in difficoltà.

Negli anni Sessanta nasce la prima associazione di educatori, l'ANEGID (Associazione nazionale degli educatori per la gioventù disadattata), centrata solo sull'assistenza ai minori in difficoltà. Gli operatori erano inseriti presso gli istituti gestiti da enti nazionali e locali, quali il Ministero di Grazia e Giustizia. L'ANEGID è stata la prima associazione ad avere un gruppo di operatori impegnato a riflettere sulle esperienze riabilitative realizzate, al fine di ricercare una omogeneità di interventi e individuare nuovi ambiti di attività.

La sempre maggior attenzione alla prevenzione, alla necessità di offrire servizi non frammentati alla persona, ha consentito di avviare la sperimentazione di attività legate anche al tempo libero (cntri ricreativi, estivi, laboratori, ecc.). Dopo gli anni Settanta inizia una ristrutturazione dei servizi e vengono adottate modalità di intervento sul disagio che prevedono sempre più competenze educative. A seconda dei tipi di interventi, si configurano diverse tipologie di operatori, che assumono definizioni varie: educatore, educatore professionale, educatore di comunità, operatore dell'area pedagogica, animatore, animatore socio-educativo, riabilitatore e altri simili.

Nasce una nuova associazione che si pone l'obiettivo di ricercare e definire un unico profilo professionale, l'ANEOS (Associazione nazionale degli educatori e degli operatori sociali), così la spinta verso il riconoscimento della professione e la definizione dei confini professionali si fa sempre più pressante, anche se non produce nell'immediato risultati considerabili.

" La maggior felicità del maggior numero di uomini

è il fondamento della morale e della legislazione"

J.Bentham

3. La politica sociale in Italia: gli sviluppi che hanno favorito

l'inserimento dell'educatore nel sociale

L'intervento educativo o riabilitativo si inserisce sempre dentro la dinamica complessiva della politica sociale di un paese, intesa come l'istituzione di controllo che eroga i beni e i servizi sociali da parte di organi pubblici e/o privati. In tempi relativamente recenti si è modificata la modalità d'intervento ai problemi della salute e questo è molto interessante per valutare in progressiva conseguenza l'evoluzione della figura dell'educatore professionale.

L'art. 32 della nostra Carta costituzionale sancisce che la "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratutite agli indigenti". Con questo presupposto, lo Stato si incarica di realizzare una serie di servizi per realizzare quanto esplicitato dall'articolo.

Resta il fatto che a tutela della salute del cittadino non è sufficiente attivare un sistema solo di tipo sanitario, ovvero un sistema che privilegi la cura e/o il contenimento delle persone, ma è necessario che questo tipo di assistenza sanitaria venga correlato da un'assistenza di carattere psico-sociale., perchè non è possibile definire i confini tra malattie vere e proprie e gli stati di disagio, difficoltà che non riescono a far emergere tutte le risorse sociali del proprio organismo nel rapporto con gli altri.

La nascita del Welfare state ha introdotto un modo nuovo di concepire la funzione dei serviozi assistenziali come risposta ai bisogni delle fasce emarginate della popolazione (anche se ora anche il Welfare State è in crisi e le ultime ricerche confermano che non riesce più a garantire il benessere collettivo), considerando per la prima volta lo stato di diritto all'assistenza sia sociale che sanitaria del cittadino e rivalutando il concetto di coscienza stessa. Quindi i servizi da attivare vanno ben oltre al rispondere alla malattia fisica. Sono ancora gli anni rivoluzionari Sessanta-Settanta, che segnano la tappa decisiva per le trasformazioni nell'ambito d'intervento alla salute. Si definiscono alcuni criteri d'intervento nonchè si attribuiscono chiari significati ai termini in uso rispetto alla risposta ai disagi. Si definisce:

- la beneficenza, quando si intende dare ai bisognosi aiuti economici o beni materiali attraverso il volontariato; non è diritto di nessuno ricevere beneficenza;

- la previdenza sociale, quando ci si riferisce agli aiuti erogati al cittadino in quanto lavoratore; fa parte del sistema di protezione sociale;

- la sicurezza sociale, quan ci si riferisce all'insieme di aiuti volti a proteggere tutti i cittadini in qualità di uomini;

- l'assistenza sociale, quando si fa riferimento all'insieme di aiuti offerti al cittadino in quanto essere umano in situazione di necessità; è un diritto di ogni persona riceverli quando è in stato di difficoltà;

In questa nuova politica sociale si sono tracciate delle nuove linee di tendenza generali da seguire, e sono:

  1. si privilegiano gli interventi di prevenzione rispetto a quelli che offrono solo la cura;
  2. indipendentemente dalle categorie sociali, si offrono servizi uguali a tutti i cittadini;
  3. si compiono interventi globali e non settoriali, atti a far evolvere l'individuo assistendolo nella risoluzione dei propri problemi;
  4. promuovere il processo di deistituzionalizzazione;
  5. favorire interventi di aiuto economico non discriminanti.

Per attuare queste linee di tendenza, sono stati istituiti in quasi in tutto il territorio nazionale, diversi servizi territoriali come consultori familiari, servizi per l'età evolutiva, servizi di igiene mentale, centri per la salute e la tutela dei tossicodipendenti ecc, (anche se ora la crisi del pubblico con i tagli alle spese della sanità ha visto il fiorire di strutture private, convenzionate o in appalto alla Stato), in questi centri collaborano operatori con diverse competenze e professionalità e negli ultimi quindici anni si è inserita anche la figura dell'educatore professionale.

 

SECONDA TAPPA

Essere nel presente: la figura dell'Educatore

di oggi tra motivazioni e aspettative

"Molto tempo fa mi sembrava che soltanto guardando al futuro

noi potessimo preparare i fanciulli ad affrontare il presente:

adesso mi sembra che potremmo farlo meglio guardando al passato".

N. Postman

1. Alla ricerca del riconoscimento della propria identità

professionale

La confusione che si trovano a vivere gli educatori nella percezione del proprio ruolo è confermata da diversi fattori, quello più conflittuale e forte in questo momento riguarda la problematica normativa sulla loro formazione che consegue a un profilo professionale ancora non stabilmente definito.

Infatti se da una parte è riconosciuta socialmente la figura dell'educatore , tanto da inserirla di ruolo dentro la nuova riforma sanitaria, dall'altra non le si forniscono gli spazi (i posti di lavoro all'interno dei servizi sociali pubblici e privati) e gli strumenti che le appartengono (competenze e professionalità). Questa contraddizione che ci si trova a vivere nasce dalla mancanza di una chiara e precisa normativa che ne riconosca innanzitutto il profilo professionale, ancora non stabilmente e collettivamente definito, e renda possibile una utile e adeguata formazione, riconoscendo alla figura dell'educatore una specifica identità che non può solo essere definita "a tavolino" in risposta a bisogni legislativi, ma deve invece considerare l'identità propria dell'educatore, quella che gli appartiene veramente e che non è imposta, ma nasce da un preciso percorso storico evolutivo che lo ha portato ad essere una figura molto complessa nelle sfaccettature educative, poliedrica dalle numerose competenze (pedagogiche, psicologiche, sociologiche, culturali, animative, ecc.), e queste non possono essere ridotte semplicemente e approssimativamente come invece accade in questo momento da parte del Ministero della Sanità.

Ovviamente la mancanza di una normativa e di un profilo collettivamente riconosciuto crea una confusione generale e una non chiarezza che non permette una adeguata risposta ai bisogni del sociale, oltre che a quelli degli educatori stessi, ma questa, che occupa sicuramente il posto più ampio, non è l'unica reale difficoltà.

Si è sperimentato infatti, in questi anni d'esperienza vissuti un po' nell' "anonimato", che l'educatore può inserirsi nella realtà sociale e sanitaria, solo se è convinto lui per primo della propria professionalità, dell'utilità del proprio operato, della validità dei propri interventi, dei reali bisogni a cui deve rispondere: deve insomma in qualche modo "riconoscersi" per farsi riconoscere. Questa che è una realtà concreta del "gioco della vita" e riguarda un po' tutte le professionalità, investe a maggior ragione quella "neonata" dell'educatore: questo richiede uno sforzo coraggioso e maggiore agli attuali educatori, quelli che possiamo definire come i "pionieri" di questa nuova professione. Con umiltà quindi, l'educatore non dovrebbe accettare che siano gli altri, la "sanità" a definirlo: egli già possiede una propria identità che deve autodefinirsi e, prima ancora che ufficialmente tramite decreti vari, dentro se stesso e all'interno dei servizi.

E' proprio a partire da questa nuova consapevolezza che gli educatori si sono interrogati mettondosi in discussione sulla propria identità professionale: su chi fossero, cosa volessero, quali competenze avessero acquisito e quali gli spettassero, ma soprattutto a quale bisogno dovessero dare risposta. Da questo movimento interno di ricerca, alcuni educatori si sono attivati all'esterno aggregandosi in associazioni proprio per continuare questo confronto professionale e per favorire l'organizzazione, lo sviluppo e la tutela della professione.

E' il caso dell'A.N.E.P. (Associazione Nazionale Educatori Professionali), che ha posto tra i suoi obiettivi principali appunto, il confronto attraverso lo studio, i seminari, le conferenze, i dibattiti, fino a sviluppare un'editoria propria: la rivista semestrale EP (Educatore Professionale) .

Questa rivista è diventata così uno strumento concreto degli educatori per promuovere e solllecitare in tutto il territorio nazionale, la definizione e il riconoscimento giuridico del tanto anelato profilo professionale, questo anche attraverso l'opinione di autorevoli esperti del sociale che vi pubblicano articoli, nonchè per favorire anche l'individuazione di un percorso formativo di base e la riqualificazione sul lavoro.

L'ANEP promuove inoltre il dibattito culturale e lo sviluppo in termini teorici della professionalità educativa attraverso una formazione permanente e l'aggiornamento. Collabora anche con le strutture pubbliche al fine di attuare una promozione critica, di studio, di ricerca e di analisi organizzativa della professione di educatore, infatti anche i maggiori rappresentanti dell'associazione sono stati presenti al Ministero della Sanità per discutere gli ultimi accordi legislativi sulla professione.

Ultimo grosso impegno a cui l'Anep insieme agli associati sta lavorando, è quello di raccogliere e inviare proposte nuove e una ridiscussione del profilo professionale (non chiaro e non riconosciuto adeguato dagli educatori), in Parlamento.

 

 

"Noi non smetteremo di esplorare,e alla fine della nostra esplorazione

arriveremo là dove siamo già stati e conosceremo il posto per la prima volta"

T.S. Eliot, "Four Quartets"

2. Il "Noi" degli educatori: un approccio psico-sociale ai temi

dell'identità professionale

La psicologia sociale,in particolare quella europea, si interessa da tempo del particolare intreccio che connette l'azione individuale alle dinamiche intergruppo. In questo campo le teorie di Moscovici e di Tajfel costituiscono i capisaldi di questa linea di pensiero fortemente connotata in senso sociale. Una riflessione sull'identità professionale dell'educatore in fase di rapida trasformazione, qual'è quella in corso, è stata fornita dall'analisi di alcune osservazioni che si sono poste come stimolo "dall'esterno", per un approfondimento "interno".

Prima analisi. Innanzitutto, il costituirsi di una categoria professionale è sempre un processo che si svolge per gradi. C'è all'origine un bisogno sociale, più o meno definito, a cui i diversi attori in campo rispondono adottando un sistema di pratiche inizialmente "non normate" che promanano da modelli teorici assai diversificati, estrapolati di frequente da campi contigui e declinati in modo sempre più specifico.

Questa potrebbe essere definita la "fase magmatica" della categoria sociale in via di costituzione. Un "noi" è ben lungi dall'essere definito, e i componenti della categoria tendono a stabilire appartenenze più legate allle pratiche e allle azioni concrete che all'identià collettiva. In assenza di un "noi forte", l'appartenza tende ad associarsi al "locus" dell'azione: ad esempio la struttura o il servizio presso il quale si opera. Questa dinamica tra "locus" e " status" è sempre presente, anche nelle fasi successive,con diverse forme di complementarietà tra i due poli, tra "esserre chi" e "essere dove". Nel periodo di massima consapevolezza del bisogno di appartenenza categoriale, ad esempio il polo dello status tende a travalicare l'altro, fino a rischiare picchi corporativi, laddove la distribuzione del potere professionale lo consenta. Le carenze sul piano della definizione di una chiara identità sociale tendono invece a tradursi in un forte bisogno di appartenenza "locale" (alla struttura, al settore d'intervento) o in una diffusione del burn-out.

Seconda analisi. Secondo Tajfel, la categorizzazione sociale è un processo costitutivo dell'azione e dell'identità sociale. Ogni individuo ha bisogno contemporaneamente di somigliare a qualcuno più di quanto non gli somigli davvero e di essere diverso da qualcun altro più di quanto non lo sia in realtà. Attraverso questa dinamica concentrica di somiglianze e differenze plurime, ogni individuo giunge a costituire la componente sociale della propria identità. Tutti abbiamo bisogno di un "noi". Perchè questo noi sia sufficientemente forte e stabile, abbiamo bisogno di un "loro" da cui differenziarci. L'identità sociale di un gruppo o di una categoria nasce dunque da un processo di confronto sociale. Più un gruppo si percepisce come "socialmente debole" e minacciato da altri gruppi rispetto alla propria esistenza in quanto entità autonoma, più dovrà cercare di costruire internamente "una differenziazione positiva del proprio gruppo rispetto a particolari gruppi esterni" (Tajfel,1988). Questi gruppi esterni, o "out-groups", saranno quelli che, in quanto contigui, sono vissuti come più direttamente pericolosi per l'identità categoriale.

Terza analisi. Ogni settore professionale può essere visto come un campo in cui interagiscono diverse figure caratterrizzate da ruoli, competenze e funzioni. Il loro intrecciarsi in forme specifiche, più o meno definite, da vita ad una unità psico-sociale complesa che definiamo organizzazione.

In quanto unità psico-sociale, l'organizzazione è il luogo d'incontro tra diverse aspettative, attribuzioni, sistemi di significato, somiglianze e differenze fra categorie sociali.

L'organizzazione specifica di un certo contesto costituisce una sorta di microcosmo in cui si svolge la "battaglia" per la costruzione, la salvaguardia e la valorizzazione delle diverse identità sociali che la compongono.

Possiamo immaginare l'universo socio-professionale come una rete di organizzazioni in cui si intrecciano le esigenze d'identità delle singole professionalità e le esigenze di identità delle singole organizzazioni, in una dinamica costante tra diversi "noi", diverse appartenenze.

A questo gioco "interno", va poi ad aggiungersi l'influenza di ciò che avviene fuori, nel sistema sociale più ampio entro cui la dinamica delle identità professionali si sviluppa.

In sostanza la psicologia sociale sostiene che, anche chi non partecipa direttamente al confronto sociale tra determinati gruppi o categorie (chi non è, ad esempio, nè educatore, nè psicologo, nè assistente sociale,nè operatore dei servizi) influenza comunque, anche solo come osservatore, o fruitore, o partecipante a conversazioni sui servizi e sul loro modo di operare, lo svolgimento dell'intreccio interno alle categorie direttamente coinvolte.

La dinamica delle rappresentazioni sociali, come mostra Moscovici, è tale da dar vita ad immagini socialmente condivise circa la natura, la funzione e la competenza di certe professionalità, e queste immagini influenzano sia pur in modo non lineare, la definizione "interna" alla categoria e la sua forza nel confronto con l'esterno.

Quarta analisi. Per cercare di abbozzare i contorni dell'identità socio-professionale dell'educatore, occorre quindi tener conto dell'intersecarsi degli aspetti di confronto sociale con le categorie professionali contigue e dell'evolversi delle rappresentazioni sociali prevalenti.

Queste doppie riflessioni portano ad un approfondimento che può essere tradotto in due campi di domande a cui cercare risposte:

A) Quali "altre" categorie professionali sono importanti nel definire, per differenza, lo specifico dell'educatore? Quali sono gli "out-groups" che permettono all'educatore di trovare un "noi"? Quali azioni, pratiche, funzioni, costituiscono il minimo denominatore della categoria, una sorta di sottile linea di confine che va difesa dagli sconfinamenti? Quali strutture, organizzazioni sociali, servizi, sono diventati nel tempo il territorio d'elezione dell'educatore, e sono quindi anche il territorio su cui si svolgono le "battaglie" per l'identità collettiva con altre figure professionali? (da dove vi volgliono cacciare, chi cerca di sostituirvi, dove vogliono spingervi ad entrare?)

B) Qual'è la rappresentazione sociale prevalente dell'educatore? Come lo definirebbe la gente comune? E l'utente? E il collega che lavora nella stessa struttura? In che modo le pratiche degli educatori riescono ad influenzarne le rappresentazioni esterne e viceversa? Eventualmente, come modificare, e in che direzione, il proprio agire, qualora si ritenga essenziale produrre una modificazione nella rappresentazione sociale della categoria? E al loro interno, gli educatori si auto-rappresentano secondo percorsi, motivazioni, e aspettative uniformi o variegate? (per gli psicologi, ad esempio, la ricerca di Palmonari, ha mostrato l'intreccio di quattro rappresentazioni interne prevalenti). Linee di ricerca per un futuro approfondimento, niente di più.

Per ora i dati disponibili, tratti dalle ricerche per la verità prevalentemente quantitative condotte all'interno della categoria, mostrano alcuni aspetti stabili della situazione esistente:

a) La professione del'educatore è ancora prevalentemente femminile, anche se ci sono differenze percentuali piuttosto rilevanti da regione a regione: in Lombardia, ad esempio, il rapporto maschi/femmine è quasi alla pari.

Rispetto a questo dato ormai acquisito sarebbe interesante indagare sul trend longitudinale (com'è cambiata la situazione negli ultimi 5 anni) e sulle differenze tra le percentuali per sesso nella categoria educatori e le percentuali delle categorie contigue (ad esempio, sono di più le donne educatrici o le donne assistenti sociali; e le psicologhe? E così via).

Perchè la professione di educatore è così "femminile"? Solo per la consueta argomentazione sulla propensione delle donne ad operare nei settori in cui è fortemente presente la relazione e il "farsi carico", o magari anche per motivazioni più sociologiche riguardanti le prospettive di carriera, che orientano diversamente uomini e donne.

b) La professione di educatore sembra essere sempre meno una "professione di passaggio", una sorta di contenitore di aspettative ambivalenti tipiche delle fasi di transizione e di spazio per l'investimento di motivazioni socio-politiche. La strutturazione di percorsi formativi di base e di riqualificazioni pare aver agito nella direzione di far compiere scelte maggiormente definite ed operato una inevitabile selezione rispetto alla situazione precedente. Il "formarsi insieme" è stato dunque un passaggio importante nella costruzione della identità collettiva prima e professionale poi. Oggi siamo al di là del guado?

c) I dati indicano che i campi d'occupazione degli educatori si stanno modificando: a fianco della tradizionale presenza nel settore dell'handicap, va sviluppandosi uno spazio sempre maggiore nella salute mentale e nelle tossicodipendenze. Come mai? E' un segno di forza o di debolezza della categoria? Gli educatori sono pronti a cogliere questa come opportunità di crescita della categoria o temono invece di disperdere la professionalità acquisita nei settori storici in mille rivoli dequalificanti? Come fare in modo che l'essere duttili e "figura di confine" non comporti uno svuotamento dell'identità e dello status a vantaggio di una centralità del "locus" di intervento? Inoltre, l'ingresso dell'educatore nei servizi pubblici, ancora estemporaneo e insufficiente, non ha modificato il dato storico secondo cui l'educatore è prevalentemente inserito nel privato sociale, e ciò è caratteristica tipica della categoria che la differenzia dalle categorie professionali contigue. Quanto incide questa peculiarità nel mantenere una certa "fragilità" dell'identità del'educatore, o al contrario, nel rafforzare l'orgoglio per la differenza dagli altri?

"Gli ostacoli non mi fermano;

ogni ostacolo conduce a una ferma risoluzione"

Leonardo da Vinci

3. "Essere o non essere..." questa è la problematica

normativa sulla formazione dell'educatore professionale

La figura dell'educatore e in generale dell'operatore socio-psico-pedagogico, risulta, come si è già precedentemente affermato, difficilmente definibile sul piano legislativo, non tanto per mancanza di interventi normativi da parte degli organi giurisdizionali, ma proprio per l'eccessiva e contraddittoria presenza di norme legislative emanate de organismi diversi (delibere e Leggi Regionali, Decreti Ministeriali, D.P.R. e Leggi Nazionali, Sentenze del Consiglio di Stato, ecc.) che hanno reso la figura ed il ruolo dell'operatore socio-psico-pedagogico quanto mai complesso, confuso e contraddittorio.

In questo paragrafo si cercherà di presentare un breve quadro che ne definisca sinteticamente l'evoluzione storica-legislativa fino all'attuale situazione.

La denominazione di educatore risale alla Legge n.1494 del 1962 (Riordino dei ruoli organici del personale addetto agli istituti di rieducazione per minorenni) che prevedeva l'utilizzo di educatori specializzati o anche educatori di comunità negli istituti di rieducazione dipendenti dal Ministero di Grazia e Giustizia.

Per la preparazione di tali operatori sorsero negli anni '60 le prime scuole come ad esempio l'ESAE (Ente Scuola Assistenti Educatori) di Milano e la scuola diretta a fini speciali per educatori di comunità presso l'Università "La Sapienza" di Roma.

La funzione rieducativa di tali operatori venne estesa successivamente anche ai carcerati adulti con la Legge n. 354 del 1975 e con il D.P.R. n. 431 del 1976.

Un secondo ambito di utilizzo della figura dell'educatore venne aperto con la Legge n.118 del 1971 che stabiliva nuove norme a favore dei mutilati ed invalidi civili aprendo così l'intervento nel settore dell'handicap.

Seguiva la Legge n.477 del 1973 (delega al governo per l'emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non-docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello stato) da cui deriveranno i Decreti Delegati che modificheranno profondamente la scuola italiana aprendola nel 1975 all'inserimento dei portatori di handicap nelle classi comuni con l'utilizzo sia di insegnanti di sostegno sia di assistenti educatori forniti dall'ente locale.

Sempre nel 1975 con il D.P.R. n.970 venivano istituiti i corsi biennali per la specializzazione del personale direttivo e docente delle scuole aventi particolari finalità, che prevedevano la preparazione anche di assistenti educatori per le scuole speciali per ciechi e per i sordomuti. I corsi biennali, controllati dal Ministero della Pubblica Istruzione, permisero la formazione di insegnanti di sostegno di scuola materna e dell'obbligo per l'inserimento degli handicappati nelle classi comuni.

La Legge n. 517 aboliva le classi differenziali, dettava nuove norme sulla valutazione degli alunni, abolendo i voti in decimi ed istituiva il Servizio socio-psico-pedagogico nella scuola dell'obbligo.

La circolare ministeriale n.167 del 1978 prevedeva una prima sperimentazione di tale Servizio scolastico con l'istituzione della figura dello psicopedagogista, cioè di un insegnante di ruolo con una laurea in psicologia o in pedagogia con almeno tre esami in psicologia, che veniva distaccato dall'insegnamento con funzioni di supporto psicoeducativo per la programmazione didattica, per l'inserimento scolastico degli alunni handicappati, per l'orientamento, nonchè per il raccordo con i Servizi socio-sanitari territoriali.

Negli anni '60 e '70 quindi la legislazione nazionale prevedeva la figura dell'educatore denominato in modo differenziato con funzioni diverse in istituzioni dipendenti da vari ministeri. Avevamo così l'educatore specializzato o l'educatore di comunità per gli istituti di rieducazione e per le carceri, dipendenti dal Ministero di Grazia e Giustizia; gli assistenti educatori per le scuole speciali per ciechi e per sordi, nonchè educatori ed insegnanti di sostegno per le suole speciali e per le classi normali con inserimento di alunni portatori di handicap e ancora psicopedagogisti nella scuola dell'obbligo con funzioni di supporto psicoeducativo in via di sperimentazione, dipendenti dal Ministero della Pubblica Istruzione.

La Legge n.270 del 1982 bloccava l'esperienza del Servizio psico-pedagogico trasferendo la maggior parte delle funzioni previste per lo psicopedagogista alle èquipe delle Unità Sanitarie Locali, costituite in quegli anni con la riforma sanitaria nazionale.

Proprio la Riforma Sanitaria (Legge n.833/1978), che tendeva ad unificare tutti i servizi, attraverso l'istituzione delle Unità Sanitarie Locali (USL) portava spesso ad inserire anche i servizi socio-assistenziali e a valorizzare accanto alle figure dello psicologo e dell'assistente sociale anche quella dell'operatore socio-psico-pedagogico, che veniva indicato sempre più con la denominazione di educatore specializzato o educatore professionale, anche se non venivano definite nè precisate chiaramente il ruolo e le aree d'intervento.

Nel 1982 veniva costituita presso il Ministero degli Interni una commissione di studio che distingueva due aree specifiche di intervento per tale operatore: a) l'attività educativa culturale relativa alla promozione sociale, alla formazione permanente ed al tempo libero; b) l'attività socio-educativa e socio-assistenziale rivolta ai minori, agli anziani ed agli emarginati e devianti, nonchè all'inserimento scolastico e sociale dei portatori di handicap. Tale commissione utilizzava il termine di "educatore professionale", mentre altri studiosi (Bertolini,1985) preferivano utilizzare l'espressione di "operatore pedagogico".

Il D.P.R. n.162 del 1982 (Riordino delle scuole dirette a fini speciali, delle scuole di specializzazione e dei corsi di perfezionamento) riportava in ambito universitario la formazione dell'educatore così come quella dell'assistente sociale, prevedendo corsi triennali nelle Scuole dirette a fini speciali. Tuttavia le uniche scuole universitarie attivate furono le due scuole di Roma presso l'Università "La Sapienza" e presso il Magistero "Maria S.S. Assunta".

Contemporaneamente i D.P.R. n.347 e n.348 del 1983, che riguardavano il trattamento economico sia del personale dipendente dagli enti locali che quello del personale delle USL, portavano ad individuare i profili professionali ed i ruoli di tutto il personale, quindi in qualche modo veniva compresa anche la figura ed il ruolo dell'educatore professionale inquadrandolo nelle figure atipiche.

Il D.P.R. n.1219 del 1984 (Individuazione dei profili professionali del personale dei Ministeri in attuazione della Legge 11-07-1980, n.312) veniva a considerare la figura dell'educatore inquadrandola in quattro tipologie in funzione del tipo di attività e di livello di responsabilità assunto; avevamo così: a) operatore dell'area pedagogica, b) educatore, c) educatore -coordinatore, d) direttore dell'area pedagogica.

Infine il Decreto Ministeriale 10-02-1984 del Ministero della Sanità, noto come Decreto Degan,(Identificazione dei profili professionali attinenti a figure atipiche ai sensi del D.P.R. n.761/1979) identificava l'educatore professionale nell'operatore in possesso di un diploma di abilitazione conseguito in un corso almeno biennale presso strutture universitarie o presso presidi del Servizio Sanitario Nazionale. In tal modo mentre il D.P.R. 162/1982 affidava la formazione dell'educatore professionale alle scuole universitarie dirette a fini speciali, un decreto del Ministero della Sanità, rifacendosi alla legislazione relativa alla riforma sanitaria, affidava anche alle USL il compito della formazione di tale figura.

Sulla base giuridica del Decreto Degan molte regioni, soprattutto quelle dell'Italia settentrionale, con delibere e leggi regionali istituirono scuole o corsi, in genere triennali per educatori professionali, convenzionandoli con le USL per poter godere del finanziamento e del riconoscimento giuridico.

Un'indagine conoscitiva condotta dalla Fondazione Moneta nel 1989-90 aveva individuato circa 60 corsi per educatori professionali in Italia, per la maggior parte istituiti presso regioni settentrionali. Il doppio canale, universitario e regionale, per la formazione dell'educatore professionale veniva invece bloccato dalla sentenza del Consiglio di Stato n.703 del 25-09-1990 che giudicava illegittimo il D.M. 10-02-1984 (Decreto Degan) del Ministero della Sanità che aveva aperto il canale della formazione professionale extra-universitaria, affidandola ai presidi sanitari.

Questa dichiarazione di illegittimità non ebbe effetto immediato, poichè le scuole regionali ed i corsi presso le USL continuarono a funzionare ed ad essere finanziati, anche per il crescente bisogno di operatori educativi presso i servizi socio-sanitari ed assistenziali sia delle USL che degli enti locali o anche nell'ambito dell'ampia fioritura di iniziative socio-educative ed assistenziali dovute ad istituzioni del privato-sociale e del volontariato.

Mentre quindi il canale formativo extra-univeritario costituito appunto dalle scuole regionali e dai corsi delle USL continuava a formare educatori professionali, un decreto del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST del 11-02-1991) riformava profondamente il Corso di laurea in Pedagogia, istituendo il nuovo Corso di laurea in Scienze dell'Educazione con tre indirizzi: a) per insegnanti di scuola secondaria superiore, b) per educatori professionali extra-scolastici, c) per esperti nei processi di formazione. In tal modo in tutte le Facoltà di Magistero a partire dall'anno accademico 1992-93 iniziava la formazione universitaria per l'educatore professionale a livello di laurea.

Si andava delineando a questo punto una situazione conflittuale fra i Servizi regionali sanitari ed assistenziali che prevedevano l'utilizzo di un operatore educativo diplomato che veniva assunto al V o al VI livello retributivo, mentre l'università offriva un nuovo operatore laureato da assumere all'VIII o al IX livello. Tale operatore laureato sembrava non in grado di assolvere alla totalità dei compiti attualmente affidati all'educatore diplomato, costringendo quindi i Servizi ad assumere altri operatori, cioè assistenti socio-sanitari al III a al IV livello, per assolvere tali compiti aggravando così i costi senza migliorarne la qualità.

Nel frattempo la Legge n.341 del 19-11-1990 (Riforma degli ordinamenti didattici universitari) aveva ordinato la formazione universitaria in tre livelli, eguagliandola alla legislazione europea. I tre livelli professionali previsti erano: 1) diploma universitario (laurea breve) con corsi biennali o triennali in sostituzione delle Scuole dirette a fini speciali; 2) laurea; 3) diploma di specializzazione. Inoltre veniva previsto il dottorato di ricerca per accedere alla carriera universitaria.

In conseguenza di ciò con Decreto MURST del 31-01-1992 veniva istituito il Diploma universitario per operatore socio-psico-pedagogico, che il Ministero dell'Università affidava a sette università italiane presso le facoltà di Magistero o di Lettere e Filosofia.

Tale diploma universitario per la formazione di quest'ultima figura, non potè essere attivato, in quanto mancava l'approvazione della tabella delle discipline da parte del Consiglio Universitario Nazionale (CUN). Inoltre essendo stato appena istituito il nuovo Corso di Laurea in Scienze dell'Educazione, una parte rilevante dei professori universitari di pedagogia si schierava a favore della formazione dell'educatore professionale a livello di laurea ed escludeva il livello del diploma universitario, perchè riteneva necessario sottolineare la dignità ed il valore della professionalità educativa di questa nuova figura nei servizi extra-scolastici sia sanitari che socio-assistenziali. Rifacendosi anche alla sentenza di illegittimità del Consiglio di Stato, relativo alle scuole ed ai corsi per educatori professionali dipendenti dalle USL, molti ritenevano che dovesse essere bloccata la formazione di educatori diplomati per privilegiare la formazione a livello di laurea.

L'altra parte dei professori universitari di pedagogia, insieme a tutti i professori universitari di psicologia, erano invece favorevoli all'istituzione del diploma universitario, come livello intermedio, tuttavia rimaneva aperta la discussione sull'identificazione della figura di questo operatore che il decreto del MURST (D.M. 31-01-1992) non indicava con chiarezza limitandosi ad elencare un vasto numero di figure professionali, che venivano comprese nel termine di "operatore socio-psico-pedagogico".

Il 14 -05-1992 a Milano veniva organizzato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore un convegno di studio sulla formazione dell'educatore professionale a cui parteciparono studiosi di tutte le aree socio-psico-pedagogiche, nonchè funzionari regionali e responsabili dei servizi e direttori delle scuole regionali.

Il convegno ha affrontato diversi temi e nodi cruciali sulla formazione, sia il problema dei due livelli: diploma universitario e laurea, sia del doppio canale: università e scuole regionali, sia della preparazione professionale in funzione delle esigenze specifiche dei servizi, strettamente connesse al peso dato nell'ambito della formazione agli apprendimenti teorico-pratici, al tirocinio professionale ed alla formazione personale. I funzionari e i responsabili dei Servizi regionali ritenevano che la formazione professionale acquisita presso le scuole ed i corsi delle USL fosse particolarmente curata e pienamente corrispondente alle esigenze dei servizi, mentre ritenevano che l'università non fosse ancora sufficientemente attrezzata nel settore specifico della formazione professionale, pur riconoscendole un superiore livello scientifico.

Emergevano inoltre nodi conflittuali collegati sia ai livelli retributivi e quindi ai costi aggiuntivi che l'educatore laureato avrebbe apportato ai servizi, sia ancora all'incongruenza dell'organizzazione dei servizi progettati e programmati intorno alla figura unica e polivalente dell'educatore professionale in contrapposizione alla pluralità e alla differenziazione dei compiti educativi nel caso dell'assunzione dell'educatore laureato insieme con l'operatore socio-assistenziale. Dopo questo convegno era necessario incontrare tutti i docenti delle università a cui era stato assegnato il compito della formazione, da parte del MURST, per individuare le figure professionali interessanti specificatamente il settore psicologico o il settore pedagogico, ed infine concordare una tabella delle discipline da proporre al CUN per l'approvazione. Negli incontri successivi è emersa da parte degli insegnanti di pedagogia, l'interesse per l'istituzione di un diploma universitario per la figura dell'educatore che si potesse raccordare con la laurea in Scienze dell'Educazione, mentre gli insegnanti di psicologia volevano la stessa cosa per le figure dello psicomotricista e dell'orientatore, con la possibilità per loro invece di inserirsi nel triennio del Corso di laurea in Psicologia.

Individuate queste quattro figure: l'educatore professionale e lo psicopedagogista, in ambito pedagogico, lo psicomotricista e l'orientatore in ambito psicologico, venivano elaborate le tabelle delle discipline, prevedendo un primo anno comune e successivamente due anni di specializzazione per ciascuna figura. Le quattro tabelle con le discipline ordinate anno per anno venivano inviate al CUN per l'approvazione.
Successivamente nel mese di giugno del 1993 ad Arezzo, veniva organizzato un secondo Convegno nazionale sulla formazione dell'educatore professionale che riuniva tutti i docenti del precedente convegno, i responsabili dei servizi. E' emersa da tale convegno la necessità da parte dei servizi di poter disporre di operatori forniti di diploma con una preparazione teorico-pratica polivalente in grado di rispondere alle esigenze differenziate dei diversi bisogni sociali, mentre veniva fatta presente la assai limitata possibilità di assorbimento nei settori dirigenziali e di coordinamento dei servizi per quanto riguardava i laureati in Scienze dell'Educazione. Si continuava a privilegiare la formazione extra-scolastica proposta con la riforma del corso di laurea in Pedagogia e quella dei servizi socio-assistenziali e la scelta del Corso di laurea in Scienze dell'Educazione nei tre diversi indirizzi previsti, mentre veniva rimandata nel tempo, o comunque ritenuta meno importante, l'attivazione del diploma universitario per l'operatore socio-psico-pedagogico.
Nel frattempo il Decreto Legge n.502 /1992 (Legge di riforma sanitaria) noto come Legge De Lorenzo, e successivamente il Decreto Legge n.517/1993, noto come Riforma Garavaglia, prevedeva all'art.6 la possibilità per le Facoltà di Medicina di proporre diplomi universitari per le figure paramediche, quindi per la formazione di tutto il personale sanitario infermieristico e tecnico della riabilitazione, utilizzando a tal fine le strutture ospedaliere. Sulla base di questo Decreto Legge sono stati istituiti con decreti del MURST ben dieci diplomi universitari per operatori sanitari. Per ultimo con decreto del MURST del 15/12/1992, ma pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 12-02-1994, è stato istituito il diploma universitario in riabilitazione psichiatrica e psico-sociale con tre indirizzi: a) riabilitativo, b) socio-psicoterapico, c) sociale.
La nuova figura del tecnico della riabilitazione socio-psico-terapica modifica profondamente il quadro degli operatori dei Servizi socio-sanitari, accentuandone la medicalizzazione e la psichiatrizzazione, interferendo con le competenze psico-terapeutiche e psico-pedagogiche sia dello psicologo sia dello psicomotricista; l'operatore psichiatrico rischia così si occupare tutti gli spazi disponibili non solo nei servizi sanitari di igiene mentale, ma anche quelli per la tossicodipendenza, degli anziani, dell'handicap, entrando in conflitto con le attuali figure presenti come quella dell'educatore professionale, dello psicologo, ecc., che hanno avuto in iter formativo diverso da quello del diploma universitario della Facoltà di Medicina.

Oggi il mercato e l'offerta in ambito sociale si presentano vastissimi e quanto mai confusi e contraddittori nella divisione delle competenze, nell'assegnazione dei posti, nella specializzazione richiesta e in quella offerta. Negli stessi Servizi possiamo trovare sia operatori regolarmente assunti sprovvisti di diploma, col solo titolo di maturità di scuola secondaria superiore, sia operatori con diploma di educatore professionale conseguito in scuole regionali o in corsi biennali o triennali dipendenti dalle USL, corsi tuttavia ormai dichiarati illegittimi dalla sentenza del Consiglio di Stato, oltre ad altri operatori atipici, psicomotricisti, logopedisti, ortofonisti, formati in scuole o corsi parauniversitari o professionali riconosciuti dagli enti locali o ancora in corsi privati.

Le leggi sono state create e poi invalidate in una successione sufficientemente rapida da non rispondere alla domanda di mercato poi subito chiusa o diversa appena l'offerta formata vi si presentava; figure dallo stesso titolo con livelli diversi di retribuzione con competenze non chiare. Quest'anno sono usciti i primi laureati in Scienze dell'Educazione e già l'università si trasforma, per rispondere ad un'altra richiesta di mercato, su una competenza ancora non definita, in Scienze della Formazione; escono le prime figure con diploma universitario dalla Facoltà di Medicina della riabilitazione sociale e psico-terapica, ma ancora non si sa quale sia la più adeguata ed economicamente più appropriata al servizio.

Inoltre qualora il CUN approvasse le tabelle delle discipline per operatore socio-psico-pedagogico relativo alle quattro figure previste nel progetto realizzato dai seminari di studio organizzati dal CRTI dell'Università cattolica avremmo gli educatori professionali, gli psicopedagogisti, gli psicomotricisti e gli orientatori in possesso del diploma universitario rilasciato dalle Facoltà di Magistero o di Psicologia o di Lettere e Filosofia.

Ipotizzare quindi uno scenario del mercato del lavoro per i Servizi sanitari e socio-assistenziali che presenti tale varietà eterogenea di operatori appare quanto mai assurdo; eppure rischieremo di incontrare ai concorsi pubblici tutte queste figure insieme, diplomati, laureati, dove gli operatori in possesso del diploma universitario rilasciato dalla Facoltà di Medicina risulterebbero in una situazione di netto vantaggio sia verso i laureati in Scienze dell'Educazione sia verso quelli usciti dai corsi regionali o dalle scuole USL.

In tal modo però verrebbe accentuato il grave rischio di medicalizzazione che i Servizi psico-sociali ed assistenziali già presentano con l'aver concentrato o fatto dipendere dalle USL la maggior parte dei servizi.

Tale situazione confusiva e conflittuale non può sostenersi se non con grave crisi sia della qualità dei Servizi sia delle prospettive occupazionali degli operatori, per cui si rende necessario un intervento legislativo del potere politico che affronti insieme alle rappresentanze dei Servizi e degli educatori, radicalmente il problema in maniera drastica e determinata, anche se non certamente indolore, in modo da proporre soluzioni chiare e definitive che semplifichino l'iter formativo per gli operatori dei servizi sanitari, assistenziali e socio-educativi ed indichino chiaramente la filosofia cui sia l'organizzazione dei Servizi sia la formazione degli operatori debba ispirarsi.

"Il valore di uno stato è a lungo andare

il valore degli individui che lo compongono"

J.S. Mill

4. Il nuovo profilo professionale: "Tecnico dell'educazione e

della riabilitazione psichiatrica e psicosociale"

Tornando al nostro tema conduttore, che riguarda le motivazioni e le aspettative degli educatori verso questa loro professione, appare quanto mai interessante conoscere il nuovo profilo professionale appena stilato dal Ministro della Sanità. Il profilo più che rispondere all'aspettativa degli educatori stessi, risponde a quella del Ministero della Sanità e si presenta come "un ibrido" fra le due tesi.

Dopo una lunga trattativa che si è conclusa l'8 di ottobre del 1996 con un incontro di sette ore presso il Ministero della Sanità, (presenti l'attuale Ministro Rosy Bindi, i funzionari del ministero che si sono occupati negli ultimi anni del problema del profilo professionale dell'educatore, le Organizzazioni Sindacali, un rappresentante del collegio dei docenti di Medicina e il rappresentante dell'ANEP) il Ministro ha firmato la richiesta di parere al Consiglio di Stato sui decreti istitutivi dei profili professionali di:

Si riporta qui di seguito il testo integrale del regolamento del profilo professionale dell'educatore uscito dalla trattativa con il Ministero della Sanità:


Ministero della Sanità

Regolamento concernente la individuazione della figura e relativo profilo professionale del tecnico dell'educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale

IL MINISTERO DELLA SANITA'

VISTO l'art.6. comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, recante: "Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art.1 della legge 23 ottobre 1992, n.421", nel testo modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n.517;

RITENUTO che, in ottemperanza alle precitate disposizioni, spetta al Ministro della Sanità di individuare con proprio decreto le figure professionali da formare ed i relativi profili, relativamente alle aree del personale sanitario, infermieristico e tecnico della riabilitazione;

RITENUTO di individuare con singoli provvedimenti le figure professionali;

RITENUTO di individuare la figura del TECNICO DELL'EDUCAZIONE E DELLA RIABILITAZIONE PSICHIATRICA E PSICOSOCIALE;

RITENUTO di prevedere e disciplinare la formazione complementare;

VISTO il parere del Consiglio Superiore di Sanità, espresso nella seduta del 15 maggio 1996;

UDITO il parere del Consiglio di Stato espresso nella adunanza generale del...............;

VISTA la nota, in data ...........con cui lo schema di regolamento è stato trasmesso, ai sensi dell'art.17 comma 3, della L. 23 agosto 1988, n.400, al Presidente del Consiglio dei Ministri;

ADOTTA IL SEGUENTE REGOLAMENTO

ARTICOLO 1

1. E' individuata la figura professionale del Tecnico dell'educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale, con il seguente profilo: il tecnico dell'educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, svolge nell'ambito di un progetto terapeutico elaborato da un'équipe multidisciplinare, interventi riabilitativi ed educativi sui soggetti con disagio psicosociale e disabilità psichica.

2. Il tecnico dell'educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale:

a) collabora alla valutazione del disagio psicosociale, della disabilità psichica e delle potenzialità del soggetto; analizza bisogni e istanze evolutive e rileva le risorse del contesto familiare e socio-ambientale;

b) collabora all'identificazione degli obiettivi formativo-terapeutici e di riabilitazione psicosociale e psichiatrica nonché alla formulazione dello specifico programma di intervento mirato al recupero e allo sviluppo del soggetto in trattamento;

c) attua interventi volti all'abilitazione/riabilitazione dei soggetti alla cura di sé e alle relazioni interpersonali di varia complessità nonché, ove possibile, ad una attività lavorativa;

d)opera nel contesto della prevenzione primaria sul territorio, al fine di promuovere lo sviluppo delle relazioni di rete, per favorire l'accoglienza e la gestione delle situazioni a rischio e delle patologie manifeste;

e)opera sulle famiglie e sul contesto sociale dei soggetti, allo scopo di favorirne il reinserimento nella comunità;

f)collabora alla valutazione degli esiti del programma di abilitazione e riabilitazione nei singoli soggetti, in relazione agli obiettivi prefissati.

 

3. Il Tecnico dell'educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale;

 

4. Il Tecnico dell'educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale svolge la sua attività professionale in strutture e Servizi sanitari pubblici o privati, in regime di dipendenza o libero professionale.

 

 

Articolo 2

1. Con decreto del Ministero della Sanità è disciplinata la formazione complementare post-base in relazione a specifiche esigenze del Servizio sanitario nazionale.

ARTICOLO 3

1. Il diploma universitario di tecnico dell'educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale, conseguito ai sensi dell'art.6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, e successive modificazioni, abilita all'esercizio della professione.

ARTICOLO 4

1. Con decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al precedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all'art.3 ai fini dell'esercizio della relativa attività professionale e dell'accesso ai pubblici uffici.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.


Roma, lì 08 ottobre 1996

IL MINISTRO




Il decreto istitutivo della figura del Tecnico dell' educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale dovrebbe ricomprendere l'educatore professionale che opera nel servizio sanitario. I decreti istitutivi, dopo il parere del Consigli di Stato, prima della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale devono essere registrati anche dalla Corte dei Conti, ma di fatto questo percorso non dovrebbe modificare i contenuti del profilo. Si può quindi ritenere che la richiesta degli educatori di un riconoscimento giuridico nel mondo della sanità, riconoscimento che era stato messo in discussione dalla sentenza del Consiglio di Stato del 1990 che annullava il Decreto Degan, sia giunta ad una tappa importante e per certi aspetti definitiva, e questo ha un giudizio positivo.

In merito poi alla valutazione del testo del profilo è importante ricordare alcuni punti:

  1. Che questo decreto viene emanato in ottemperanza alle disposizioni dell'art.6 del decreto legge 502/92 e successive modificazioni sul "Riordino della disciplina in materia sanitaria..." che conferisce al Ministro della Sanità il compito di individuare le figure professionali da formare e i relativi profili relativamente alle aree del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione. Non è, cioè, un decreto che poteva, ne doveva riconoscere ed inquadrare la figura dell'Educatore professionale "a tutto campo", quella figura unica che gli educatori chiedono da tempo e che dovrà essere comunque oggetto di una legge specifica che vada verso l'istituzione dell'albo professionale e del relativo Ordine.
  2. L'individuazione dell'ordinamento didattico per il "Tecnico dell'educazione..." avverrà in un secondo momento e dovrà avere l'approvazione da parte del Consiglio Universitario Nazionale. Con ogni probabilità sarà comunque un percorso interno alla Facoltà di Medicina e potrebbe ricalcare in buona parte l'ordinamento didattico del già esistente Diploma per Tecnici della riabilitazione psichiatrica e psicosociale, approvato dal CUN nel febbraio 1994. Si può ritenere però che esistano degli spazi di mediazione rispetto ai quali le parti in causa, e fra queste anche l'ANEP, dovranno attivarsi nel futuro prossimo.
  3. Il profilo approvato è il risultato di una integrazione tra quello che era il profilo dell'Educatore professionale che l'associazione degli educatori (l'ANEP) aveva presentato al Ministero all'inizio di questo anno e il profilo presentato dai docenti di psichiatria della Facoltà di Medicina relativo al Tecnico della riabilitazione psichiatrica e psicosociale. Il rappresentante dell'ANEP che ha svolto la trattativa, pur non condividendo l'impostazione generale del decreto e la cultura che lo ha ispirato, ha ritenuto che non approvare questa mediazione avrebbe significato far approvare il profilo del Tecnico della riabilitazione psichiatrica senza alcuna modifica.
  4. Dovrà essere valutato con attenzione anche l'art.2 che disciplina la "formazione complementare post-base", ossia una formazione specifica e mirata in relazione alle esigenze dei servizi. Su questo tipo di formazione, comune a tutti gli altri profili, la discussione è appena iniziata.

Non si può nascondere che questo decreto rischia di fatto di complicare ulteriormente le cose per quanto riguarda l'individuazione del percorso formativo (che si sperava fosse unico) che avrebbe dovuto formare la figura unica che gli educatori auspicavano.

In futuro, infatti, potremmo avere, oltre alla formazione prevista con questo provvedimento, i percorsi formativi realizzati da Scienze dell'Educazione che si sta già trasformando in Scienze della Formazione (educatore professionale laureato, ma forse anche una serie di diplomi universitari per settori specifici) e con ogni probabilità, una formazione regionale e provinciale per educatori che operano nel settore socio-educativo (privato-sociale e pubblico).

Si rende sempre più pressante quindi l'esigenza di una legge che vada a disciplinare le funzioni e la formazione di tutte quelle figure professionali che, in vari ambiti e con diverse formazioni, individuano la propria identità in un approccio professionale di tipo pedagogico-educativo.

Anche su questo versante purtroppo lo scenario non è tranquillizzante: ancora troppi appaiono gli interessi in campo per riuscire ad unificare le tre diverse proposte di legge in merito. Sostanzialmente tre sono i punti di divergenza:

Si ricorda però che, da parte della Società Italiana di Pedagogia, promotrice di una delle tre proposte di legge, nel proporre l'albo dei pedagogisti (educatori professionali e formatori), ci sia stata una grande apertura in sede di prima applicazione della legge, ad accogliere nell'albo anche gli educatori diplomati.
Nasce da parte degli educatori, dei soggetti di questo profilo quindi, una riflessione opportuna, circostanziale sulle modalità di compilazione di questo decreto fatto un pò "a tavolino", considerando poco le proposte dei protagonisti stessi che si sono visti calare dall'alto una "veste" professionale decisamente stretta.
Leggendo la nuova definizione di "Tecnico dell'educazione...", si rimane un po' perplessi riguardo al significato che si attribuisce a questa parola specifica e a quello che vuole rappresentare e suscitare in chi la legge e ancora di più in chi ne deve far uso. Insomma l'idea che il termine "Tecnico..." offre è di riduzione di specificità dentro un canale ben definito, che è quello limitato ad un settore appunto tecnico.
Il tecnico, è largamente inteso nella collettività come figura di esperto in tecnologia , cioè in meccanica, in un'attività prevalentemente manuale, con l'utilizzo di strumenti specifici, questo per considerare l'immagine che offre. Questa immagine di "Tecnico" risulta un po' fredda e limitata, ristretta ad una tecnicizzazione... ma di che cosa poi? Si può relegare la figura ad alcune competenze "umane" divise dalle altre (l'aspetto sanitario diviso da quello sociale) quando in realtà dovrebbero legarsi insieme? Specializzazione sull'aspetto umano in un ambito, quello educativo, che per sua natura non può essere scomposto. E allora perchè separare rigidamente il "sociale" (riabilitazione psicosociale) dal "sanitario" (riabilitazione pschiatrica)? Perchè questa differenza, questa suddivisione: non riguarda forse la stessa dimensione educativa? La riabilitazione è cosa separata dall'educazione? Da questa definizione viene il dubbio che sia proprio così ; ecco la parcellizzazione e la sconnessione delle competenze e quindi anche della integrità della figura stessa, così l'educatore potrebbe apparire davvero un tecnico asettico.
La specializzazione ad oltranza e la frammentazione delle competenze (ci si riferisce anche ai canali di formazione per gli educatori, che saranno divisi in "psicosociale" e in "sanitario") ha infine orientato la definizione del nuovo profilo proprio su ciò che più non si voleva e contro la quale gli educatori hanno combattuto con tutte le forze: la divisione (al posto dell'unità).
L' attenzione dovrebbe essere posta affinchè non si accentuino aspetti che caratterizzano tale professionalità prevalentemente nel settore sanitario, ma vengano invece valorizzate quelle competenze finalizzate alla promozione del benessere individuale e collettivo, per permettere all'educatore, in analogia con altre professioni sociali, di essere impegnato anche nella tutela e nello sviluppo dei diritti della persona.

La frammentazione delle competenze e una specializzazione più definita , però portano ad una inevitabile scissione e sconnessione della risposta ai bisogni, che risulterà avere ovviamente le stesse caratteristiche della proposta: questo per la difficoltà ad operare verso il bisogno della persona nella sua interezza, che non può essere per ovvie ragioni suddiviso, sezionato, nell'ambito educativo in "bisogno sanitario" e in "bisogno sociale".

La politica sociale compiuta fino a qui si è in parte contraddetta , perchè persegue l'aspetto della prevenzione che ha affidato al "sociale" rispetto a quello della cura che ha affidato al "sanitario", ma interviene poi per problemi economici, prevalentemente nell'emergenza della cura, questo spiega in parte l'incoerenza. Pensare di dividere le competenze sociali da quelle sanitarie per l'educatore è come dire che un'altra figura sociale, ad esempio lo psicologo, debba avere una formazione sanitaria se opera con i disabili psichici, i tossicodipendenti, ecc., e una sociale se opera con gli anziani con i minori, con l'infanzia; certo che la sua esperienza si rafforzerà a seconda del settore in cui è più impegnato , ma a nessuno verrebbe mai in mente di affermare che gli ambiti d'intervento in cui opera lo psicologo debbano essere suddivisi, e che possa operare in un settore più che in un altro, poichè la sua formazione e il suo ambito d'azione riguarda la prevenzione e la salute dell'individuo in tutti i suoi aspetti.

Infatti questa scissione tra sanitario e sociale è piuttosto conflittuale perché l'aspetto sanitario si pone come quello curativo di riparazione in un'ottica politica che invece guarda alla prevenzione. Ancora il settore dei malati psichici, dei tossicodipendenti rientra in discorso sanitario e non in uno socio-sanitario, il sanitario ancora non comprende di fatto il sociale e questo crea confusione anche nella gestione stessa. Così anche l'educatore è definito nel decreto quale operatore sanitario, così pure il primo orientamento formativo è compiuto dalla Facoltà di Medicina. Non è una sterile battaglia fra termini , ma tra contenuti purtroppo non ancora chiari.

Tornando così aIl'inizio del discorso, il termine "Tecnico..." pare davvero inadeguato e lontano da quelli che sono i veri contenuti e le ampie competenze che questa professione vuole rappresentare; invece che esteso ad una cultura umanistica che comprenda ben tutto l'essere umano: l'osservazione, la prevenzione, la salute, la condivisione, la presenza, la riflessione, l'affettività, sembra che la figura del tecnico dell'educazione, sia limitata alle tecniche del settore specifico e agli strumenti di quel solo settore.

Forse questa è una naturale conseguenza della nostra evoluzione economica che vuole dividere e suddividere ogni cosa in materia tecnica per una migliore economia dei consumi e delle risorse: ognuno ormai è specializzato in un determinato campo d'azione, è espertissimo e competente nel suo "pezzettino" con una discontinuità per tutto il resto chiaramente. E' un'ottica di analisi che lascia fuori spesso la sintesi, che rappresenta il potere di "legare" ogni cosa fra sé, l'unità che ricollega tutto.

Considerando l'orientamento attuale della nostra società, non ci si stupisce di questa frammentazione che ha coinvolto anche il Governo stesso che ha ridefinito i suoi Ministri come "Tecnici"; anche la stessa USL è diventata in questa ottica di produzione, di efficienza tecnica Azienda USL, gestita da un "tecnico" esperto in amministrazione; dove si prediligono spesso le competenze economiche alle altre, in un "villaggio globale" dove possono necessitare fino a tre tipi di tecnici diversi per la riparazione di un unico elettrodomestico.

La cultura dominante ha contaminato anche il settore socio-sanitario travolgendo tutto come un'onda senza valutare correttamente cosa fosse realmente utile fare: forse dare più voce in capitolo a chi vi opera nell'interno "on the road", potrebbe servire.

Speriamo che questa differenziazione si riduca sempre più e si faccia chiarezza e coerenza ottimizzando le risorse per affrontare e dare una risposta adeguata ai due termini della questione: il Bisogno dell'uomo e le scarse risorse economiche dello Stato.

Con questo non si vuole screditare il nuovo profilo, ma si vuole far notare una contraddizione di campo su cui vale la pena di riflettere almeno un po'.

Questo decreto rappresenta in ogni caso una grossa conquista verso il lungo viaggio di autodefinizione, di riconoscimento, e di crescita che spetta a questa nuova professionalità (e il proverbio dice che il viaggio più lungo inizia muovendo il primo passo).

 

 

 

 

"Il perfetto ascolto è quello di chi ascolta se stesso più che gli altri.

La vista perfetta è quella di chi vede più se stesso che gli altri.

Perchè non si può capire l'altro se non si capisce se stessi e non si può vedere

la realtà dell'altro se prima non si è scandagliata la propria.

Chi sa davvero ascoltare ti sente anche quando non dici nulla"

Anthony De Mello

5. La professionalità dell'educatore tra motivazioni e

aspettative

Fino ad ora ci si è interrogati sulle motivazioni e sulle aspettative legate alla categoria stessa degli educatori, dividendole teoricamente in due parti: quelle "interne" al proprio gruppo, come la ricerca di una identità comune, la condivisione di desideri, l'appartenenza alla categoria e gli sforzi legati ad essa, e quelle "esterne" al gruppo, come la ricerca del riconoscimento sociale, la richiesta di formazione, l'intervento all'interno delle strutture pubbliche, ecc.

Ci si è occupati quindi delle motivazioni di una massa numericamente consistente di individui che interagiscono tra loro, che per quanto intrinsecamente affini, sono diverse da quelle legate alla singola persona fuori dal gruppo. Queste ultime motivazioni risultano appartenere alla storia personale, al vissuto storico emotivo, cognitivo e motorio della persona stessa, che per certi aspetti è quasi insondabile e molto spesso inconsapevole, inconscio. Patrimonio unico e originale come le impronte digitali, le motivazioni e le aspettative verso il proprio lavoro, risultano il terreno più fertile d'indagine per seminare ipotesi e capire chi è la persona che svolge questa attività e in quale direzione vada il suo "Essere" nel mondo.

Malgrado l'impossibilità concreta a verificare la connessione tra questa professione e la peculiarità dei vissuti personali unici ed irripetibili, si può pensare di fare delle ipotesi comuni circa le energie che muovono gli educatori a svolgere e a vivere come particolare ruolo, questa professione.

E' interessante poi non dimenticare che tale attività, fino a pochi decenni fa, era legata allo spirito di carità di religiosi e del mondo cattolico in generale, quindi a dei valori morali e spirituali dell'uomo. Se col tempo la società ha trovato spazio per riconoscere la necessità di questa figura che è divenuta anche laica - anzi, soprattutto laica -, ciò potrebbe significare che si sono modificati anche i valori morali e spirituali dell'uomo comune di oggi, o forse ancora che sono cresciuti e sentiti da più persone che se ne fanno carico. Nascono alcune domande in proposito: l'educatore potrebbe essere una di queste persone oppure no? Quale eredità storica e mandato sociale hanno assunto gli educatori? Quali avi storici hanno nel loro "album di famiglia"? E soprattutto quali nuove "istantanee" vogliono scattare?

Chiaramente è impossibile pensare di dare una risposta scientifica a tali quesiti, ne questo vuole essere l'intento di tale testo, che si propone invece di aprire semplicemente delle riflessioni riguardo all'argomento con la consapevolezza di lasciare domande aperte. Fare delle riflessioni in proposito significa poter avvalersi dell'esperienza pratica e della teoria, delle conoscenze acquisite e dei vissuti per arrivare ad una sempre maggiore consapevolezza di , per essere più presenti (proprio come si cita più avanti) e aperti alla lettura delle interazioni. Si possono così semmai connettere le informazioni, collegare le assonanze, le sintonie, le energie e le sinergie, cercare insomma di connettere la molteplicità che ci appartiene come esseri umani, poter valutare quasi contemporaneamente sia l'analisi che la sintesi del nostro essere.

Forse non basterebbe neanche una delle mega ricerche di Alberoni per riuscire a tracciare linee un pò più definite; l'obiettivo non è comunque la definizione di una teoria , ma ripeto, la possibilità di una crescita personale e professionale.

Motivazione, obiettivi ed emozione...

Non è quindi irragionevole, alla luce di ciò, sostenere che una domanda fondamentale sia :perchè gli educatori fanno questo lavoro? Sembra chiaro che buona parte del comportamento umano è guidata da scopi, vale a dire che è diretta a raggiungere uno scopo o un risultato. Sicchè ci si comporta in una determinata maniera perchè si vuole raggiungere un qualche risultato.

Le ragioni, o gli scopi, che appaiono dirigere il nostro comportamento, sono i nostri motivi, e i risultati che il nostro comportamento sembra diretto a raggiungere sono i nostri obiettivi. Esistono poi motivi inconsapevoli. La motivazione e l'emozione poi si intrecciano molto strettamente. Ross Buck (psicologo statunitense), ha proposto che le emozioni siano considerate come indicazioni o esplicitazioni del potenziale motivazionale. Il termine potenziale motivazionale si riferisce alla nostra capacità di intraprendere una varietà di corsi d'azione.

In questo momento state leggendo questa pagina, ma siete capaci di fare una grande varietà di altre cose. Buck suggerisce che questo potenziale di comportamento può essere attualizzato da "sfide" lanciate dall'ambiente circostante. Così in una situazione di pericolo (per esempio del fumo che invade la vostra stanza), l'aumento della disponibilità a fuggire o combattere il fuoco sarebbe rappresentato dall'emozione della paura.

Secondo la teoria di Buck, le emozioni agiscono come l'indicatore del livello della benzina della nostra automobile. Al pari dell'indicatore che vi dice quanta benzina è rimasta, influenzando con ciò il vostro comportamento, gli "indicatori" fisiologici, espressivi e cognitivi delle emozioni vi informano (e informano gli altri) del vostro potenziale motivazionale.

 

 

Motivazione e obiettivi nella professione...

Pare opportuno in questo senso condividere il significato del termine professione, sia per quanto attiene al suo peso letterale, sia per quanto attiene alla letteratura psico-sociale.

"Professione", la cui origine etimologica è in pro-fiteor (pro = davanti e fateri = mi confesso, mi riconosco), indica ciò di cui la persona dà pubblicamente dimostrazione di credenza, rappresenta l'attività manuale o intellettuale da cui si ricava un certo guadagno.

Già nel suo significato etimologico il termine contiene sia un aspetto legato alla persona e al suo modo di pensarsi, sia un aspetto legato a ciò che pubblicamente appare di ciò che la persona fa.

In merito poi alla professione di "educare" c'è da riconoscere che essa richiede una continua attività di scomposizione e ricomposizione di significati sociali e personali, di riconnessione di elementi interni ed esterni, di collegamenti e di separazioni che richiamano "l'apprendere dall'esperienza", nella sua duplice espressione di fascino e di fatica, e la formazione. Intorno a questa professionalità si riconosce poi la figura dell'educatore stesso come il primo strumento educativo che collega inscindibilmente, per il suo operato, ciò che pensa di sè in ciò che rappresenta e fa pubblicamente. Essere con la propria persona il primo strumento di lavoro, significa offrire la possibilità di rappresentare ed essere risorsa per la crescita dell'altro; rinvia alla gestione del proprio esserci e del proprio essere limitato.

L'esperienza del limite che si è per sè e per l'altro, assumendo una funzione di autorità educativa, così come il lavorare tenendo conto dei limiti esistenti, costituisce una dimensione imprescindibile su cui si regge una adeguata gestione della propria professionalità.

L'interazione educativa richiama infatti una situazione problematica in cui non è concessa all'educatore una neutralità asettica o la tranquillità di chi possiede visioni bonificanti e apodittiche (dimostrazioni logiche della verità): gli è richiesta una costante capacità di interrogarsi su ciò che fa, sui suoi sentimenti ed intenzioni, sulle sue modalità d'azione.

In generale, per mantenere la relazione con l'Altro dentro confini di 'normalità', è importante accostarcisi con spontaneità e fiducia, senza ammantarsi di falsi ideali e aspettative incongrue (l'altro non è la nostra missione in terra, nè siamo per lui l'angelo salvatore, anche se in determinate situazioni è facile poterlo credere).

L'educatore deve ri-orientare continuamente i propri riferimenti concettuali ed i quadri di sapere acquisiti, i modelli di pensiero e gli approcci conoscitivi sedimentati, per meglio 'adattarsi' e comprendere i contesti di realtà che incontra e che sfuggono a predeterminazioni e letture rigide e universali. Di volta in volta è costretto a chiedersi il significato di ciò che accade, a interpretare le dinamiche presenti, ad orientare la sua azione in termini di funzionalità alle specifiche esigenze.

Si tratta di un atteggiamento difficile e faticoso, oltre che emotivamente costoso, definito dai requisiti della capacità di pensare e della identificazione parziale con gli oggetti del proprio lavoro, in grado di sostenere, cioè, movimenti di avvicinamento e messa a distanza, di coinvolgimento e sospensione dell'azione, tali da consentire l'adeguata regolazione tra il 'non essere troppo dentro' e il 'non essere troppo fuori'.

La consapevolezza del Sé...

Quindi al fine di fornire una dimensione complessa al cui interno leggere e collocare la relazione in quanto possibilità educativa significativa, si vuole cercare di evidenziare la validità di un collegamento fra il processo di costruzione del Sé, come processo che vede nel rapporto con l'Altro la sua attuazione e che conosce in attività di scambio, di condivisione, di negoziazione di esperienze affettive, emotive e cognitive significative, la propria ragion d'essere e il cercare di vivere in modo costruttivo ed educativo il proprio proporsi come educatore ad un utente che in noi deve trovare la sua occasione di individuazione e di esperienza di Sé. E' richiesta quindi una continua rinegoziazione e ridefinizione del proprio Sé in quanto persona e in quanto educatore. Meta di questo itinerario è allora una sempre maggiore consapevolezza di Sé, come certezza di stabilità, di scoperta di un baricentro interno, che consenta "[...] una continuità personale nel corso delle trasformazioni del tempo, dello spazio e dei ruoli sociali".

Con questa ottica si vuole porre attenzione alle dinamiche che si creano tra educatore e utente, " [...] dove nell'accettazione di quanto sia insignificante la nostra vita senza quei 'significativi altri', [...] significativi nella misura in cui entrare in intimità intersoggettiva con loro consente di portare alla luce aspetti del Sé altrimenti destinati a restare nel privato, ignoti a noi stessi".

Si vive un'esperienza di contenimento nei confronti dell'utente che rimette in gioco quotidianamente l'immagine e l'organizzazione del proprio Sé.

Prendersi cura di sé per prendersi cura degli altri...

L'ambito è quello del "prendersi cura" nel senso di assumersi le responsabilità che emergono dall'incontro con l'altro, dal riconoscimento reciproco, dall'accogliere l'altro in sé, garantendogli e garantendosi un'esperienza di Sé strutturante ed evolutiva. Come sottolineano altri esperti del settore, è un compito relazionale difficile e faticoso che costringe ad un confronto continuo con la propria realtà interna, con la propria capacità di farsi carico della sofferenza propria ed altrui. In questo gioco di incontro tra un Sé con un altro Sé, nasce uno spazio di sperimentazione, di un'area transizionale, che consente di stabilire relazioni significative, dove nulla è mai dominato, mai posseduto seppur offra dei legami di continuità con la possibilità di separarsi e distinguersi e far provare all'utente la possiblità di "continuare ad esistere" anche nell'assenza dell'altro.

Aspettative positive...

Quello che conta è di riuscire a mantenere sempre viva una aspettativa positiva di cambiamento, creando le condizioni perchè ciò possa avvenire. In assenza di aspettative positive, l'agire quotidiano tende progressivamente a perdere di significato e a scadere nella routine dell'assistenzialismo fine a se stesso, che finisce con il sancire dell'altro solo una dimensione di irrecuperabilità e che esaurisce rapidamente tutte le energie, mettendo fuori gioco l'operatore.

Concludendo, in base a quanto esposto finora, si può desumere che due sono i filoni che si intrecciano nel determinare "l'essere" (dell') educatore:

Infatti la dove si parla di capacità di tenere sotto controllo i sentimenti ostili, trovare un equilibrio, mantenere le giuste distanze, creare rapporti basati sull'empatia e sull'attenzione partecipe, porsi aspettative positive di cambiamento ecc., si entra in campo della maturazione personale sia emotiva che psichica.

M.Canao e G. Moretti affermano che:

" L'Altro richiede infatti la capacità, da parte di chi se ne occupa, di ricomporre costantemente in una unità significativa gli eventi psichici relazionali quotidiani. Si tratta di un impegno cui è difficilissimo far fronte se non si dispone di un solido e stabile sentimento di identità e della libertà psicologica che può derivare soltanto dalla risoluzione dei propri bisogni infantili di dipendenza.

In assenza di risultati quantificabili, di strategie tecniche efficaci, di riferimenti precisi per la validazione del proprio lavoro, è solo sul terreno dell'equilibrio personale che l'operatore può giocare la difficile partita dell'attività quotidiana.

Il nucleo dell'intervento consiste infatti in primo luogo, nel saper discernere i propri bisogni da quelli dell'Altro e nel saper individuare, all'interno dei propri messaggi, la grande quantità di contenuti impliciti che, in definitiva, possono costituire l'essenza di quanto l'Altro percepisce, oltreché la prima chiave di lettura della relazione".

"Il compito di essere più felici si può svolgere. Studia"

S. Ceccato

6. Motivazione e personalità

Riguardo alla maturazione e all'equilibrio personale citati nel paragrafo precedente, come fondamentali per la serenità propria e per il buon esercizio della professione di educatore, è interessante riflettere e collegare quelle che sono considerate da ricerche in campo, le caratteristiche proprie comportamentali, emotive, cognitive e affettive delle persone realizzate.

A questo sono state orientate le ricerche di Abraham Maslow, uno psicologo americano appartenente alla corrente della Psicologia Umanistica.

Maslow si è occupato in particolare di psicologia della salute, che al contrario della psicologia della malattia, si occupa di prevenzione primaria (si propone di mantenere lo stato di salute prima che insorga il disagio) - che per inciso sta alla base della nuova politica sociale -. Maslow nel 1971 studia individui sani e realizzati per capire come non entrare nella malattia e parte per fare questo da alcuni presupposti teorici.

Questi i presupposti:

  1. la natura umana è buona;
  2. i bisogni dell'essere umano sono buoni;
  3. i sentimenti primari sono buoni;
  4. le capacità dell'uomo sono spontaneamente volte al bene;
  5. il male è una pausa/sospensione della bontà e della grandezza umana ed è la reazione alla frustrazione dei bisogni della persona (il male non è innato).

Per Maslow l'educazione è un processo che deve facilitare lo sviluppo dell'individuo: l'approccio al bambino ad esempio deve essere un approccio positivo poichè la sua natura è buona. Questa natura buona va facilitata attraverso attività scolastiche che si svolgono in un clima di fiducia e di libertà. L'insegnante che crede nella bontà dei bambini saprà aiutarli nella ricerca ed espressione delle loro capacità. In base a queste considerazioni Maslow studia numerosi soggetti sani ed autorealizzati, e ne distingue due categorie:

Il grado di realizzazione che riscontra è di molto maggiore nei soggetti maturi, (contrariamente a quello che si potrebbe pensare ad una prima ipotesi), e in base a questo egli formula questa ipotesi: "non ci sono stadi o tappe per la maturazione. Nei giovani possiamo parlare di "buona" crescita, ma il processo di maturazione, realizzazione, evoluzione non termina con la fine dell'adolescenza (come sostengono alcuni)". In realtà è un processo che si svolge lungo tutto l'arco dell'esistenza. Secondo Maslow una persona non è matura ad una particolare età: egli considera come segni della evoluzione/ realizzazione di un individuo, il suo amore per la vita, per gli altri e per il mondo.

In Motivazione e personalità nel 1973 a seguito degli studi compiuti, Maslow elenca alcune caratteristiche che ha costantemente riscontrato nelle persone "sane" e "realizzate".

Queste caratteristiche sono:

  1. una percezione realistica delle persone e dell'ambiente;
  2. un'accettazione di sé, degli altri, della natura (vita e morte);
  3. una spontaneità, semplicità e naturalezza;
  4. una capacità di individuare e affrontare i problemi,
  5. un godimento della compagnia degli altri e della solitudine;
  6. un'autonomia e un'indipendenza;
  7. una capacità di cogliere aspetti nuovi della realtà;
  8. un carattere democratico ed un equilibrio morale (non moralismo);
  9. umorismo, creatività, originalità,
  10. una capacità di vivere intensamente (nel "qui ed ora") ogni esperienza

(dimensione spirituale vasta che fa essere sereni nelle difficoltà

quotidiane).

Maslow individua però alcune condizioni necessarie per lo sviluppo sano della persona, che deve obbligatoriamente aver ricevuto risposta ai bisogni fondamentali, in una sorta di scala graduale dove gli ultimi bisogni emergono solo se i primi sono stati soddisfatti. Questi i bisogni fondamentali:

  1. bisogni fisiologici;
  2. bisogno di sicurezza (difesa dal pericolo e protezione, sicurezza affettiva da parte della figura primaria);
  3. bisogno di appartenenza (difesa, sostegno, affetto dalla famiglia e dai gruppi primari);
  4. bisogno di stima (autotomia e stima);
  5. bisogno di autorealizzazione (delle proprie potenzialità/essere ciò che si desidera essere);
  6. bisogni cognitivi (conoscere);
  7. bisogni estetici (bellezza, equilibrio, saggezza).

"Se non abbiamo cura di noi stessi,

non possiamo avere cura degli altri"

W.Gaylin

7. Conoscere le proprie motivazioni professionali

Chi sceglie una professione al servizio delle persone, lo fa anche per servire, aiutare gli altri, per "fare del bene" a se e agli altri. Alla domanda sul perchè abbiamo scelto di lavorare al servizio delle persone dovremo quindi rispondere: "per aiutare gli altri e me". Con questo, possiamo dire di aver individuato le motivazioni di fondo della nostra scelta? No, non esattamente. E' importante essere più precisi per quanto riguarda le motivazioni che ci hanno spinti a impegnarci in un lavoro di questo tipo. E' importante capire cos'è che ci fa andare al lavoro ogni mattina e quali gratificazioni ne ricaviamo. Se il lavoro che facciamo non corrisponde alle nostre esigenze, sarà difficile che riusciamo veramente a venire incontro ai bisogni delle altre persone. Abbiamo tutti bisogno di un'occupazione che ci faccia sentire bene con noi stessi, un lavoro che ci sembri importante. E ciò è necessario soprattutto per chi opera nell'ambito dei servizi alle persone, in quanto riceviamo spesso dai nostri colleghi e - più in generale - dalla società messaggi contraddittori sul valore di quello che stiamo facendo.

Se non siamo convinti del valore di quello che facciamo, nasce il problema che si potrebbe chiamare del "soltanto...".

E' un problema che emerge con chiarezza quando, durante una cena o ad una festa ad esempio, alla domanda: "E tu cosa fai?", rispondiamo : "Sono soltanto un educatore professionale", e con ciò si dice che quello che facciamo, non lo riteniamo importante. Se si vuole lavorare nel campo dei servizi alle persone, dobbiamo sapere cosa rende questo lavoro importante per noi, importante per la gente a cui ci rivolgiamo e importante per la società nel suo insieme.

Ritornando all'esempio della cena, dove ad una precisa domanda ci siamo presentati come un operatore sociale. Se il nostro interlocutore è una persona che fa un altro tipo di lavoro, dovremo aspettarci battute del tipo: "Deve essere un lavoro molto impegnativo", oppure:" Piacerebbe molto anche a me ma si guadagna così poco", oppure: "Certo che devi avere una pazienza enorme", o, più spesso: "Oh, deve essere così gratificante!". Il significato reale di questi commenti è: "Non capisco cosa ci trovi in queste cose, ma immagino sia bene che qualcuno se ne occupi". Non è escluso neppure che le persone a noi più vicine reagiscano seccamente: "Perchè non puoi lavorare con la gente normale?, oppure: "Come pensi di mantenerti con uno stipendio così basso?".

L'idea che emerge da queste reazioni è che di solito chi si impegna in una professione sociale riceve minori gratificazioni tangibili (soprattutto di tipo economico) rispetto a chi lavora in un settore produttivo. Le persone che riescono a trovare soddisfazione in un lavoro di questo genere sono invece in grado di riconoscere le gratificazioni (non di tipo economico) proprie del loro lavoro.

 

 

Individuare le motivazioni: il punto di vista degli operatori

Si è intervistato un certo numero di operatori sulle ragioni della loro scelta di lavorare nel campo dei servizi alle persone. Sono stati interpellati anche alcuni studenti avviati a una professione di questo tipo.

Ecco un campione di risposte:

Un operatore:

"Lavoro con la gente in difficoltà perchè è divertente!"

Alcuni operatori di un centro di accoglienza:

"E' ogni giorno diverso"

"Riesco a intervenire efficacemente sulla vita degli altri"

"Imparo molto , e intellettualmente stimolante"

Tre ex insegnanti, ora responsabili di una struttura terapeutica residenziale:

"E' proprio per gli utenti difficili e per i loro problemi impossibili che vale la pena di lavorare"

"Mi piace la gente con cui lavoro"

"E' un lavoro che cambia in continuazione"

Un programmatore di computer che ha lavorato per 6 anni come volontario con adulti disabili:

"Mi dà equilibrio e mi aiuta a capire il vero valore delle cose"

Alcuni studenti di un corso per educatori:

"E' un'occasione per restituire alla comunità l'aiuto che ho ricevuto"

"Un modo per sentirmi in contatto con il genere umano"

"Essere capace di aiutare gli altri è una cosa che mi dà forza"

"Per che cosa viviamo

se non per renderci l'un l'altro la vita meno difficile?"

G Eliot

8. Conoscere le proprie motivazioni personali

Secondo gli esperti del settore é importante che ognuno di noi sappia per quali motivi sceglie una professione di servizio alle persone. Perchè se non siamo sicuri del motivo per cui facciamo quello che facciamo, sarà difficile riuscire a sostenere i nostri dubbi e i messaggi contraddittori dell'opinione pubblica sul valore del nostro lavoro.

Si vuole così riassumere sinteticamente le conclusioni a cui i ricercatori sono arrivati:

  1. E' giusto avere, oltre alle motivazioni altruistiche, anche delle motivazioni di tipo "egoistico", come ad esempio pensare di poter avere un buon guadagno dal proprio lavoro.
  2. E' giusto "divertirsi" durante il proprio lavoro. E' possibile fare un lavoro estremamente serio e trovare piacere nel farlo. Non c'è nulla di male nel lavorare divertendosi.
  3. E' giusto anche avere delle motivazioni disinteressate, come il desiderio di poter migliorare un po' la vita delle persone.
  4. Qualunque cosa facciamo, dobbiamo farla perchè noi lo volgiamo, e non perchè qualcun altro se lo aspetta da noi. Chi ama veramente il proprio lavoro e lo trova gratificante, lavora assai meglio di chi non ama quello che fa.

"Cambia te stesso insieme al mondo"

Weldon

9. Conoscere i propri limiti

Perchè per te è così importante fare una cosa che molti altri troverebbero così poco piacevole? E' anche qui importante secondo la ricerca in campo, conoscere i propri limiti perchè nessuno è perfetto e nessuno può avere una risposta a tutto. Se è vero che in futuro potremo avere risposte che oggi non abbiamo, è anche vero che avremo altre nuove domande a cui dovremo cercare di dare risposta.

In prospettiva, riusciremo a essere molto più efficaci se accettiamo i seguenti principi:

  1. Non possiamo essere in grado di rispondere a tutto e probabilmente non abbiamo nemmeno una adeguata conoscenza di tutti i problemi importanti.
  2. E' quindi evidente che commetteremo degli errori.
  3. Commettere errori è legittimo.
  4. Non è accettabile ripetere continuamente il medesimo errore.
  5. E' giusto e auspicabile chiedere aiuto quando non sappiamo cosa fare.

Tra i limiti personali c'è da dire che ognuno di noi presenta una diversa e originale combinazione di punti di forza e di lati deboli, ma vi sono problemi comuni che si ritrovano spesso in chi lavora nei servizi alle persone.

Ad esempio:

Poi sussistono anche limiti esterni a noi, cioè non dipendenti da ciascuno di noi, come:

Allora si può sostenere che in qualunque tipo di lavoro ci sono vantaggi e svantaggi, momenti di gratificazione e momenti di poco entusiamo; e poi ancora che ognuno di noi è unico nel riconoscere ciò che è piacevole e ciò che non lo è, cosa riteniamo gratificante e cosa invece riteniamo sia un sacrificio.

Per i ricercatori sacrificio e gratificazione devono equilibrarsi perchè il risultato finale possa essere positivo. Sappiamo quando siamo contenti o no del nostro lavoro, ma il vero punto della questione sta nel riconoscere quei fattori specifici che fanno la differenza tra chi è professionalmente soddisfatto e chi invece vuole trovare una posizione diversa. Diversissime sono le ragioni, che possono variare dalle competenze date sul lavoro poco stimolanti, dalla difficoltà a "lasciare fuori" il lavoro dalla nostra vita o ancora interferenze fra le due cose. Ecco perchè è così importante trovare un equilibrio tra la vita professionale e la vita privata.

10. Stress e sindrome del burn-out nella professione di educatore

L'educatore: professione ricca di fascino e di irrisolte ambiguità. Se dopo averne analizzato il ruolo, le funzioni, le aspettative, si passa a valutare il "vissuto" degli educatori, non tutto risulta così lineare come può apparire dall'esterno: la fatica, la sofferenza, la "cottura" sono alte. Diventa importante comprendere a fondo -come si è già detto- le condizioni di lavoro, per individuare i rischi connessi a questa professione e i modi per sostenerli.

In questi anni di razionalizzazione produttiva il nuovo clima culturale ha favorito l'affermarsi di un concetto utile per definire una situazione presente in molti ambiti lavorativi: la burnout's syndrome, in italiano: sindrome da corto circuito. Già il nome lascia intendere, anche se in termini ancora generali, che si tratta del mancato raggiungimento da parte di un'energia della sua meta (cioè di un lavoro corto), e dell'attività di autodistruzione che questa deviazione determina.

Si può dire che la sindrome del burn-out è "una progressiva perdita di idealismo, energia e scopi, vissuta da operatori sociali, professionali e non, come risulatato delle condizioni in cui lavorano". E' cioè la condizione in cui un operatore sociale assume atteggiamenti rigidi e distruttivi e non solo rifiuta il suo lavoro, ma anche la ragione e lo scopo stesso.

Egli viene quindi a perdere quel "qualcosa" che gli permette di rispondere, nel modo migliore, più attento, più disponibile, alle richieste di coloro ai quali è diretta la sua professione.

L'operatore con la sindrome del burn-out attuerà così una modificazione delle percezioni, degli atteggiamenti e delle mete, con un cambiamento cognitivo. Progressivamente tutte le aree e le situazioni in cui l'operatore poteva incontrare un disagio verranno considerate effettivamente poco importanti, e abbandonate al disinteresse.

Oltre a ciò, altri autori hanno individuato come componente secondaria di questa sindrome, un sentimento di esaurimento fisico, accompagnato da labilità emozionale che si manifesta in "frequenti e tempestosi episodi di nervosismo".

Anche se una situazione come questa può essere presente in ogni lavoro, è interessante notare come, riferita alle professioni del sociale, diventi fenomeno oltre che condizione soggettiva: non solo quindi possibile evento personale, ma vera e propria malattia professionale. Il fenomeno del burn-out è infatti, un processo in cui una singola possibile linea di evoluzione dà nome al tutto e come tale assume diverse caratteristiche mentre si sviluppa; è quindi necessario studiarlo diacronicamente, dalla sua fase iniziale a quella finale, ma anche sincronicamente in quanto fenomeno costituito e influenzato da altri sottofenomeni.

Sinteticamente si può dire che il processo del burn-out comincia con una fase di stress, con componenti soggettive ed oggettive che poi si sviluppano e si definiscono. In base all'incidenza quantitativa delle suddette componenti, si delineano quattro possibili modi di sviluppo:

  1. il burn-out vero e proprio (l'entrata in una fase di frustrazione);
  2. l'utilizzazione di una difesa attiva;
  3. l'assunzione di tecniche d'intervento;
  4. la fuga in un'altra situazione lavorativa, che si vede più consona all'immagine ideale che si ha del proprio lavoro.

Lo stress...

Il burn-out inizia con lo stress che è la condizione in cui si trova un organismo quando, ostacolato in modo permanente o temporaneo, diretto o indiretto, nella soddisfazione dei propri bisogni e aspirazioni, risponde alla situazione con uno stato di tensione emotiva, di esaurimento fisico, stanchezza, irritabilità: lo stress si instaura in breve quando le richieste ambientali costituiscono un peso o eccedono le risorse dell'individuo.

Esistono poi condizioni interne o soggettive di stress e sono legate ai discorsi dei paragrafi precedenti, quelli sulla motivazione. Chi sceglie questo lavoro lo fa con una motivazione soggettiva particolare. Pur essendo varie le motivazioni, si può individuare, secondo gli esperti, in chi compie questa professione, una motivazione od "inclinazione professionale" alla cura e alla conoscenza di se. Questa considerazione comporta una immagine ideale del proprio lavoro, come conferma una ricerca sugli educatori, da cui emerge che, per alcuni di loro vengono ritenuti elementi fondamentali per una visione positiva della professione la possibilità di instaurare relazioni significative con gli utenti, che vengono vissute come fonte di arricchimento reciproco e la conoscenza di sè attraverso il rapporto con l'utente.

Questo fa si che l'educatore reale si crei un'immagine ideale, una motivazione ideale, alla quale il soggetto deve rassomigliare il più possibile, creando situazioni di confronto che possono causare sensi di colpa e una interrogazione continua sulla propria efficienza. Questa è la prima causa soggettiva di stress.

La seconda causa soggettiva riguarda la negazione dell'oggettività del problema dell'altro contrapposta al proprio: fantasie e aspettative irrealistiche la dedizioni a casi impossibili, un riconoscimento sociale di questo successo, l'entusiasmo e la dedizione.

Si ritiene che all'inizio della carriera le "motivazioni ideali", a cui si accennato, e la loro frustrazione siano la causa quantitativamente più importante di stress. Tuttavia gli autori consultati sono unanimi nel riconoscere come, più che le condizioni interne in sè, sia il tipo delle condizioni oggettive di lavoro il motore di tutto il processo di burn-out. Possono essere delle condizioni di lavoro oggettive che non consentono un avvicinamento fra l'immagine ideale e l'individuo reale.

E.Spaltro dice che la motivazione al lavoro ha bisogno, per potersi mantenere tale, di essere corredata da condizioni materiali e di rapporti favorevoli. Mentre L.Grasso sostiene che la disaffezione al lavoro che riscontra nelle situazioni più stressanti non è indice di scarsa motivazione ma, al contrario, di un alto livello di motivazione che viene però frustrato da vari tipi di ostacoli. Pare quindi che per la motivazione intrinseca ad un lavoro, sia le frustrazioni che i premi, funzionano da "strumenti di controllo" e che l'unico intervento, che sembra favorirla, è l'apprezzamento ed il sostegno (espresso a livello verbale). Il feedback verbale, fornito da un altro individuo, non differisce quindi dal feedback che il soggetto si fornisce da sè: infatti servono entrambi a confermarlo nella sua "posizione" ideale.

Questa può essere definita una "fase di stagnazione" del processo del burn-out, che presuppone un sistema di cognitions (la motivazione ideale) che entrano in conflitto con un altro sistema di idee: le condizioni di lavoro (che è un insieme pertinente e dissonante col primo), determinando un disagio psichico.

Il burn-out propriamente detto non sarebbe altro che il perdurare della situazione di "dissonanza" della "fase di stagnazione", senza il ritorno nè a qualcosa d'altro; in altre parole è una "caduta di senso" che inibisce anzichè favorire ogni vera attività.

Segue alle fasi di stress e di stagnazione quella dell'apatia; qui il burn-out è ormai completo, l'operatore è "scoppiato". Un operatore in questa fase del burn-out ha un tipico atteggiamento di laisser faire (lasciar correre) nei confronti degli utenti del suo lavoro.

La difesa attiva...

Come altra possibilità rispetto alla difesa burn-out esiste quella che chiameremo difesa attiva: che consiste nel tentativo di modificare la situazione reale di lavoro.

Modalità questa certamente più proficua che non il ripiegamento soggettivo e il disinteresse, ma che presenta ugualmente una serie di contro-indicazioni: prima fra le quali il fatto che determina lo spostare il problema a livelli sempre più alti (e progressivamente immodificabili), dando luogo ad attese utopistiche e a speranze senza fondamento. E' questa la tipica ipersoluzione di cui parla P.Watzlawick .

Questo tipo di azione è razionale se il singolo o il piccolo gruppo hanno nell'organizzazione uno spazio di manovra per le opportune modificazioni, ma rivela la sua infondatezza se si pensa che le organizzazioni sono stressanti proprio nel momento in cui non esiste questo spazio di manovra.

Mentre il rischio della difesa burn-out è l'immobilismo, quello della difesa attiva è l'attivismo utopico, cioè il desiderio di fare qualcosa a tutti i costi senza valutare se possa essere alla fine utile.

Se anche la difesa attiva può essere votata al fallimento, ha però due vantaggi rispetto a quella burn-out: è meno regressiva, cioè mette in moto una serie di capacità, e se si perde il senso del proprio lavoro resta perlomeno il desiderio di modificare la realtà.

La fuga in un altro lavoro...

Se la difesa burn-out è una fuga nel personalismo soggettivo, questa terza soluzione è ugualmente una fuga, però nel senso proprio del termine.

Quando le condizioni di un lavoro hanno messo in discussione le le motivazioni ideali, chi attua questa fuga non vuole riesaminare queste motivazioni, ma il lavoro stesso.

Non bisogna però confondere la fuga con un procedimento ragionato di cambiamento di lavoro. Si ha un cambiamento quando il lavoratore si indirizza verso un altro lavoro in cui migliora il proprio status sociale o economico, o per cui nel passato ha studiato. Si ha fuga quando invece, dopo anni di lavoro stabile, ci si dedica a lavori precari o sottopagati o inusitati rispetto alla formazione professionale. Non va considerata fuga anche l'intraprendere un'attività stabile in un altro ambito di lavoro.

Questa fuga è quasi sempre individuale, e cela un certo senso di superiorità di chi va, verso chi invece resta nel vecchio lavoro. Chi se ne va si sente migliore o più energico rispetto a quelli che restano "a far niente".

Le scelte alternative per un operatore in fuga sono varie, però egli rimane sempre nell'ambito idealistico di cura di sè o degli altri. Infatti spesso operatori "fuggiti" ritornano o cercano di ritornare in ambienti di lavoro simili a quelli lasciati.

Una nuova tecnica di lavoro e di relazione...

Fino a questo momento, dalla fase di stagnazione del processo di burn-out si è visto l'operatore uscire sconfitto o almeno, "in ritirata".

C'è però una quarta possibilità: l'apprendimento di una tecnica migliore di relazione o di lavoro che permette di far fronte alla caduta dell'entusiasmo.

Se per uno staff l'unica possibilità per non estinguersi è una soluzione attiva e di cambiamento ambientale, per il singolo operatore la soluzione può passare attraverso un atto inizialmente cognitivo. Se l'operatore si rende conto, cognitivamente, che è lo sforzo personale o l'entusiasmo che gli permettono di incontrare il bisogno dell'altro può giungere anche ad un cambiamento comportamentale: ad una tecnica.

Solo quando un operatore può dire: "Ciò che ho imparato finora o che posso inventare adesso, mi permetterà di 'risolvere' il caso", fa una dichiarazione di superamento del burn-out e di professionalità e competenza.

Una dichiarazione che, certo, ne porta con sè anche altre, come: "In questo caso non mi devo coinvolgere troppo perchè non ci sono molto possibilità di riuscita", o " Questo caso è irrisolvibile per uno, forse qualcun altro può fare di meglio" oppure: "Questo caso ha possibilità di essere 'risolto' da me, mi impegno" o ancora: "Per questo caso la mia professionalità è inutile".

Nel momento in cui un operatore si chiede:

- Quali richieste mi sono state fatte?

- Quali risorse sono disponibili per venire incontro a tali richieste?

Egli inizia ad acquisire una tecnica di lavoro che gli consente di individuare i suoi limiti e le sue possibilità e può uscire in modo positivo dalla condizione burn-out.

In questo in senso, una tecnica non è un metodo che si imporre dall'esterno o imparare rapidamente, è bensì un complesso di sapere oggettivo e di risposte soggettive, diverso per ognuno che si fonda sull'esperienza e su adeguate strumentazioni e che permette all'operatore sociale di raggiungere un sufficiente grado di equilibrio o di distanza emotiva, e di superare il bisogno di "riconoscimento" da parte degli altri.

 

 

 

 

TERZA TAPPA

Viaggio nell' "iperspazio": la figura

dell'educatore professionale nel futuro

"Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei loro sogni"

Eleanor Roosevelt

1. Il futuro dell'educatore tra etica e politica

Intraprendendo una riflessione sulle prospettive future dell'educatore professionale si intuisce che lo spazio di sviluppo di questa figura è legato principalmente a due dimensioni: una politica e una etica.

Per quanto riguarda la dimensione politica, è sempre più evidente l'intreccio e la connessione tra il futuro della professione dell'educatore e quello delle politiche sociali.

Lo sviluppo quantitativo e qualitativo della figura dell'educatore è avvenuto in un periodo caratterizzato da forti riforme nel sistema dei servizi, passato progressivamente da una concezione assistenzialistica e custodialistica a una concezione di promozione sociale, prevenzione e integrazione socio-sanitaria nella prospettiva della deistituzionalizzazione e della territorialità.

A fronte di una prospettiva che vede nell'educatore professionale un possibile tutore dei diritti sociali (salute, gioco, tempo libero, istruzione, socializzazione, crescita), si pone l'esigenza di definire il percorso e le condizioni necessarie per far si che ciò possa avvenire. Tale percorso appare, oggi, alquanto accidentato e difficile, in considerazione del fatto che, tuttora, l'educatore non riesce ancora a tutelare i propri diritti. Per quanto riguarda la dimensione etica , si tratta di considerare attentamente il fatto che allo sviluppo professionale (metodologico e tecnico) già avvenuto deve ora seguire, come già è stato per altre professioni sociali, un serio lavoro di costruzione di un codice deontologico, per poter rispondere non solo alle domande relative al "cosa" e al "come", ma anche a quelle relative al "perché", al fine di delineare i limiti al di là dei quali un'azione educativa diviene eticamente incongrua da un punto di vista professionale.

Tutto ciò dovrà portare gli educatori (e non solo) a un consistente approfondimento sul piano dei valori e dei principi che orientano l'azione e i comportamenti professionali, al fine di offrire servizi nel pieno rispetto di se stessi, del "cliente-utente", delle caratteristiche sociali e culturali del contesto territoriale in cui l'azione si svolge.

Queste considerazioni rilanciano in modo rilevante l'esigenza di una seria riflessione sulla figura dell'educatore: sul perché egli debba esistere, per chi, per quali bisogni, per quale modello di lavoro sociale, per quale sistema dei servizi, per quale futuro impiego.

"In realtà noi non impariamo niente dalla nostra esperienza.

Noi impariamo soltanto dalla riflessione sulla nostra esperienza"

Robert Sinclair

2. Un futuro preoccupante?

Le questioni sinora espresse trovano un altro motivo di urgenza nelle modificazioni in atto a livello di istituzioni pubbliche e del sistema dei servizi sociali e sanitari. In particolare, l'attenzione delle USL, sull'incertezza circa il futuro dei servizi sociali, sul fatto che l'educatore sia tuttora collocato in servizi a forte caratterizzazione sanitaria, in servizi a connotazione socio-assistenziale e in servizi al confine tra sanitario e sociale. Tali avvenimenti determinano il bisogno di un approfondimento circa le collocazioni dell'educatore negli scenari dei servizi che si configurano per il futuro. Si tratta di intravedere quali spazi, funzioni e collocazioni operative e organizzative gli educatori saranno chiamati a ricoprire nel prossimo futuro.

In particolare, e al solo scopo, in questa sede di evidenziare una questione essenziale, c'è da chiedersi se le attuali tendenze a un ridimensionamento del welfare non comportino una sostanziale riduzione delle potenzialità operative dell'educatore professionale e un suo confinamento in attività di tipo prettamente riparatorio-assistenziale.

I segnali in tal senso sono preoccupanti e si manifestano attraverso decisioni politiche e atti normativi e amministrativi volti a:

Appare evidente che se tali tendenze dovessero essere confermate, l'apporto dell'educatore professionale verrebbe a mancare, soprattutto in quelle attività a elevata integrazione socio-sanitaria in cui la dimensione educativa, costitutiva dell'intervento stesso (si pensi alle aree quali la psichiatria, la tossicodipendenza, i minori, ecc.), non appare facilmente ascrivibile all'uno o all'altro comparto. In altri termini, l'assenza di una precisa classificazione (sociale o sanitaria), in un'organizzazione che separa nettamente i due aspetti, rischia di lasciare senza cittadinanza e copertura economica tali attività e gli operatori che le attuano.

Gli educatori potrebbero così progressivamente scomparire dalle aziende USL - che, soprattutto laddove sono state loro attribuite competenze sociali, avevano incrementato negli ultimi anni l'assunzione di tali figure professionali -, per concentrarsi soprattutto negli enti locali, ma , alla luce di quanto sopra indicato, con valenza più rieducativa che educativa in senso lato.

"L'esperienza non è ciò che accade a un uomo.

E' quello che un uomo fa con ciò che gli accade"

Aldous Huxley

3. Condizioni per una utile e proficua formazione futura

Ritornando al discorso intrapreso nei capitoli precedenti sulla formazione è opportuno individuare anche, rispetto alla stessa nel prossimo futuro, quali sono le caratteristiche utili e proficue che deve assumere per lo sviluppo della figura dell'educatore e dei servizi stessi in cui esso opera.

Innanzitutto per garantire un livello qualificato di servizio è necessario che le regioni:

 

 

 

 

La formazione permanente...

La formazione permanente è parte costitutiva di una professionalità che deve rispondere a situazioni particolarmente complesse, con bisogni in continua evoluzione.

Nella prospettiva sopra indicata è necessario che negli operatori una cultura orientata a considerare la formazione continua come costitutiva della propria professionalità e che, nel frattempo, si sviluppino nei servizi una cultura e le condizioni che ne consentano la realizzazione.

Si tratta di pensare ad un educatore molto collegato al contesto organizzativo e protagonista del suo processo formativo. In tal senso vanno favorite, da un lato, la formazione per acquisire nuovi saperi e abilità, dalll'altro la formazione mirata a far fronte ai cambiamenti organizzativi.

In sintesi , si tratta di permettere lo sviluppo di pratiche formative a servizi di obiettivi di sviluppo qualitativo dei sevizi. Questa prospettiva potrebbe garantire:

Ciò, concretamente, potrebbe tradursi in un'organizzazione sempre nuova delle proprie conoscenze, in una costante ridefinizione degli ambienti in cui si agisce, di se stessi (identità professionale), dei criteri per agire, dei propri compiti e delle funzioni da esercitare, e nella capacità di cogliere i limiti dei propri saperi.

Le scuole potrebbero essere, nello stesso tempo, sedi di formazione di base e luoghi di formazione permanente, in modo da garantire un arricchimento reciproco fra operatori in servizio e operatori in formazione.

In questa direzione vanno costruite occasioni di formazione per porre gli educatori in una posizione di protagonismo, con situazioni di autoformazione e ricerca professionale finalizzate alla produzione di "sapere professionale" originale, a partire dall'analisi e dal confronto tra le prassi operative.

La supervisione potrebbe invece essere orientata a riferita in modo prevalente alla riflessione sistematica sulla pratica professionale specifica.

In questo caso si dà la necessità che si sviluppi e incrementi il coinvolgimeno di educatori professionali, opportunamente formati, nella realizzazione dell'attività di supervisione, interna alla professione, per garantire la possibilità di una riflessione e di una ricerca sulle pratiche e sulle metodologie educative che attinga alle esperienze di educatori competenti, che abbiano avuto la possibilità di rivisitare a fondo il proprio lavoro, rielaborandone i significati, le prassi, gli orientamenti. Le sedi formative per educatori professionali potrebbero offrire spazi formativi finalizzati alla graduale acquisizione di queste competenze.

"Non dobbiamo avere paura del futuro

è il futuro che deve tremare vedendoci arrivare"

Alberto Martini

4. Educatori professionali nell'Europa del 2000

La conferenza di valutazione organizzata a Coblenza agli inizi del mese di luglio del 1996, ha visto riuniti numerosi fra gli Istituti di Istruzione Superiore ed Universitaria europei che si occupano della formazione di operatori sociali: educatori professionali ed assistenti sociali.

La valutazione concerneva gli esiti del programma Erasmus, in prospettiva dell'attuazione del nuovo programma comunitario Socrates-Erasmus, cioè di quelle tipologie di formazione che sono collocate a livello di istruzione superiore/universitaria di tre anni e più; esistono tuttavia, tipologie di formazione nel settore dell'educazione non formale e professionale che si collocano a livelli inferiori.

Che cosa può rappresentare per l'Europa la professione di educatore professionale-sociale-operatore per la gioventù e la comunità?

La risposta che viene dai lavori della conferenza sottolinea innanzitutto uno stile di vita e di relazioni interpersonali, un metodo d'azione che sia democratico: l'aggettivo appare come abusato dal punto di vista della verbalità. La questione è di passare dalle affermazioni avulse dell'esistenzialità ad una concettualità implicata nel modo di essere, nell'esistenzialità, cosicché la vera democraticità sia assicurata più che dalle parole e dalle affermazioni, dal modo di essere che il concetto fa esistenza e vita: fare e vivere il concetto di democraticità.

In secondo luogo è stato detto, che la formazione deve avere come centro, come focalità la persona umana nella complessa unità della sua individualità corporea, psicologica, psichica, sociale. Questa concezione dell'uomo e della formazione permette di risolvere, cogliendo dell'uomo le caratteristiche essenziali, molti dei problemi e delle difficoltà posti dalle differenze razziali e culturali.

Infine, la coscienza di operare, sia pure con fisionomia e ruolo specifici, all'interno dell'ampio settore del lavoro sociale che raggruppa ed impegna con obiettivi comuni più professioni, fra cui, non ultima, quella dell'educatore professionale.

Se ciò sembra essere il contributo dell'educatore per l'Europa, vi possono essere anche aspetti di confronto dell'educatore con l'Europa o, piuttosto, con la concezione che nell'europa ha ampio spazio circa i servizi di aiuto sociale ai cittadini ed ai giovani in particolare.

Il senso della positività e dell'ottimismo che dovrebbe caratterizzare l'attività educativa, nel campo dell'educazione non formale, dovrebbe sempre più spingere in alcune direzioni specifiche, anche se non sempre accolte e favorite, certamente non per motivi educativi, quanto piuttosto per motivi utilitaristici:

Si tratta di tendenze che in alcuni paesi sono pienamente in atto come nella Repubblica Federale di Germania o nel Regno di Danimarca e nel Regno di Spagna, mentre altrove, nella stessa Repubblica Francese, rivalità fra professioni, molteplicità di livelli professionali e concorrenza fra poteri ministeriali, nonchè fra poteri periferici (fra Dipartimenti e Comuni), impediscono (pur in un sistema di servizi piuttosto valido) questi ulteriori avanzamenti e completamenti.

Un ultimo aspetto non va trascurato: quello relativo alla "circolazione" dei diplomi sotto due aspetti, quello professionale e quello accademico.

Per il primo aspetto le due risoluzioni specifiche della Comunità europea hanno definito la questione suddividendo i diplomi in due grandi settori: il primo quello dei diplomi di livello superiore/universitario di tre o più anni, il secondo quello dei diplomi di livello superiore/universitario di due anni, dei diplomi di livello secondario superiore universitario e i certificati e gli attestati di varia estrazione.

Questo riconoscimento reciproco da parte dei vari stati dell'Unione Europea concesso per l'esercizio della professione, non per il proseguimento degli studi, richiede alcune condizioni specifiche (conoscenza della lingua, della legislazione e dell'organizzazione dei servizi locale, eventuale stage di inserimento, eventuale integrazione della formazione).

Ma soprattutto è richiesta una regolamentazione della professione che nel nostro paese, per l'educatore professionale, inizia appena a delinearsi ora , ma che rimane ancora incerta per l'aspetto formativo (a differenza della professione dell'assistente sociale e che potrebbe essere raggiunta mediante l'approvazione dalla proposta di legge n.1504 del 13 giugno 1996: Disciplina della professione di educatore professionale, ad iniziativa dell'On. Augusto Battaglia, p.d.l. che rifacendosi al D.P.R. 162/82 ripropone il recupero anche sul piano accademico degli attestati rilasciati dalle scuole regionali o promosse dalle UUSSLL.

Il riconoscimento accademico è, invece, oggetto del progetto ECTS: trasferimento di crediti, del programma Socrates-Erasmus ed interessa le formazioni che sono di livello superiore universitario.




PARTE SECONDA

La parola ai protagonisti: le interviste agli educatori professionali

 

 

 

Premessa alle interviste

Come ho già anticipato le interviste costituiscono a mio parere la parte più interessante e curiosa in questo lavoro sulle motivazioni, sulle aspettative e sullo stile di vita dell'educatore.

Questa seconda parte pratica sperimentale comprende in un primo settore alcune definizioni date dagli educatori sul modo di percepire il proprio profilo professionale, fornite attraverso la compilazione di questionari.

Un secondo settore comprende le interviste vere e proprie agli educatori. Colpendo maggiormente per l'immediatezza e la forza espressiva che hanno le parole in un dialogo, le interviste, diversamente da una dichiarazione scritta, di solito molto ragionata e filtrata spesso dai comuni e condivisi criteri espressivi, rappresentano uno strumento privilegiato di ricerca.

L'intervista ha il vantaggio di poter offrire una maggiore spontaneità d'intervento verbale, malgrado possano anche qui esistere freni inibitori d'espressione, spesso condeterminati dal clima che si instaura tra l'intervistatore e l'intervistato.

Infatti possono esserci principalmente due tipi "contaminazioni" sull'intervista: una riguarda la tensione che può avere l'intervistato nel fare attenzione a esprimere ciò che sia collettivamente condiviso rispetto ai contenuti, ciò che tutti si aspettano da lui, piuttosto che privilegiare il suo vero pensiero; dall'altra parte può sussistere la possibilità che l'intervistatore influenzi inconsciamente, se non troppo attento, le risposte dell'intervistato con messaggi impliciti nel modo di porre le domande e nelle espressioni mimiche e verbali di consenso o meno. Sicuramente non ho applicato efficacemente le tecniche dell'intervista per creare il clima più adatto alla stessa, ma essendo questa la prima esperienza a riguardo ciò pare molto comprensibile.

Il tipo di metodo usato è quello dell'intervista a domande aperte: l'ho ritenuto il più adatto per quello che mi interessava conoscere, visto anche l'aspetto emotivo che privilegia questo tipo di argomento, al quale questo tipo di domande ben si conformano.

La griglia delle domande dell'intervista è molto simile allo schema della tesi: affronta il Passato, il Presente e il Futuro.

Si parte dal passato dell'educatore intervistato, quindi tocca l'aspetto culturale ed emotivo della famiglia d'origine, poi affronta il presente, la realtà che vive ora, i valori morali e spirituali propri, le gratificazioni e le difficoltà del momento, quindi le motivazioni di oggi e il proprio stile di vita; ed infine ci si proietta nel futuro, cioè nelle aspettative della propria immagine professionale e personale. Mi è piaciuto fare anche alcune domande strane, pittoresche, che sembrano apparentemente molto banali e insignificanti in relazione al contesto, ma che invece hanno il pregio di offrire, forse, le risposte più "incontaminate" nell'esprimere i propri stili artistici e culturali.

Alcune interviste sono state riportate nel testo solo in parte, perchè alcuni pezzi sono stati tagliati, questo non per giudizio di valore, ma per mancanza di tempo: ho avuto dei tempi molto stretti, per cui gli intervistati mi capiranno.

Le interviste essendo tutte anonime, hanno una firma anonima grafica: ogni educatore ha "firmato" la sua intervista con le proprie iniziali e il calco grafico della propria mano, a significare comunque un segno della propria unicità.

Non ho ritenuto opportuno trarre delle conclusioni ufficiali e solenni al seguito delle interviste, che a mio parere non devono essere troppo commentate, anche perché non sono nemmeno conclusive ed esaustive sulla professionalità e sulla personalità. Esse, per li valore umanistico ed opinionistico che hanno e per il numero che sono, non possono costituire un'indagine statistica sulla categoria, ma rappresentano semplicemente un prezioso spaccato del vissuto degli educatori, che va colto per quello che è e non per quello che dovrebbe o potrebbe essere. Si può individuare solo un filo conduttore ideale che lega queste interviste (come ci ha suggerito la ricerca sociale), e che risiede nella constatazione che le proprie motivazioni e aspettative professionali e personali sono molto forti ed effettivamente legate ai nostri vissuti personali, ai nostri per così dire mandati familiari, legate ai nostri punti di forza così pure ai nostri punti deboli, e al concetto di cura di noi stessi che abbiamo.

Gli educatori hanno forti valori morali e spirituali, sono persone particolarmente attente e sensibili al mondo circostante in cui si trovano a vivere ed è proprio su questi valori e questa sensibilità che hanno deciso di investire la propria professione, consapevoli dei loro limiti, ma fiduciosi nella possibilità di un cambiamento positivo della realtà che hanno attorno; sono riflessivi, tenaci e realisti. Evolvono insieme al proprio lavoro, che rappresenta una parte rilevante della loro vita; hanno cari i propri sogni per il futuro, sono riconoscenti verso gli altri e individuano nella ricchezza umana di rapporti che vivono, la più forte motivazione, e allo stesso tempo gratificazione, della loro professione. Si presentano come una categoria interessantissima per ciò che esprimono e fanno, ma anche anomala se pensiamo ancora allo scarso riconoscimento, sociale e retributivo di questa figura, che opera in un settore faticoso, considerato ancora da molti come un lavoro "sporco" da cui prendere le distanze. In loro si può notare una equilibrata e sana congiunzione tra passato e presente, tra quello che è il proprio passato famigliare e storico e la realtà del presente, proiettati speranzosi e fiduciosi, con molto entusiasmo, verso il futuro.

Anche su questa parte pratica sperimentale, l'obiettivo è uno spunto riflessivo tra la ricerca scientifica e l'esperienza del vissuto personale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Come alcuni insegnanti addetti alla formazione percepiscono

il profilo professionale dell'Educatore

Sapere:

- conoscere giochi, tecniche di animazione, drammatizzazione; conoscenze teoriche riguardanti: i servizi ed il loro funzionamento; i destinatari dei servizi

Intervista n. 1

(Educatrice di una Comunità Terapeutica per minori e tossicodipendenti)

D. Quanti anni hai?

R. 41

Sei sposata?

Quanti figli hai?

3

Segno zodiacale?

Sagittario

Qual'è stata la tua formazione scolastica?

Ho fatto Ragioneria e due anni di Economia e Commercio.

Hai fatto della formazione per questo lavoro?

Ho fatto tre anni di formazione al Consultorio di Rimini, frequentando un corso sulla Famiglia.

Attualmente frequenti corsi di formazione?

Sì, un corso organizzato dalla nostra Comunità e il Consultorio di Rimini, un corso di formazione per operatori del sociale.

Ritieni che la formazione sia utile alla tua professione?

Sì, molto. Quello che ho fatto a Rimini: ho capito di come si lavora sull'aspetto psicologico, mi ha fatto capire cosa vuol dire chiedersi sempre cosa c'è dietro, che ad una domanda no si risponde sempre con una risposta, ma bisogna capire perchè la domanda è stata fatta.

Da quanto tempo fai questo lavoro?

Da sei anni.

Come è nata la scelta di questa professione?

Mi è stato proposto questo lavoro dal direttore della Comunità che è mio amico, e che sapeva che io avevo savoir-faire con i ragazzi, anche se io non me ne ero mai resa conto, avevo una inclinazione per questo lavoro educativo; anche se lavorare con i minorenni devianti, la cosa cambia un po'. La proposta mi è stata fatta in un momento particolare della mia vita, e io mi sono sentita di rispondere, mi sembrava di avere le motivazioni, le energie giuste per poterlo fare in quel momento lì. E' come se fosse stato un segno. Precedentemente avevo lasciato l'università e mi chiedevo cosa fare o non fare, ero in un momento in cui non lavoravo, per cui ho raccolto la proposta. Sì è stato un segno.

Avevi svolto altre professioni prima di questa?

Sì, ho fatto la ragioniera.

Sei contenta della scelta di questo lavoro?

Sì, molto... E' molto faticoso però sono contenta.

Quali sono a tuo parere le caratteristiche, positive e negative, di questo lavoro?

Per le caratteristiche positive: questo è un lavoro che ti rimette sempre in discussione, non sei mai tranquilla, ti accorgi che devi sempre correggere qualcosa di te, devi sempre riguardarti, questo è positivo perchè sei sempre in movimento, hai la possibilità di cambiare ancora; è uno stimolo, questo lavoro ne offre molti. Sei sotto gli occhi di tutti, questo mette in luce anche i tuoi difetti nel gruppo operativo emergono "gioie e dolori" di tutti non solo dei ragazzi.

Da una parte è stimolante, perchè sai che ti devi correggere, dall'altra invece è più dura perchè è sempre implicata la tua persona. Non è un lavoro come quello impiegatizio, dove ti è richiesto solo di tenere, chessò, la contabilità, qui è diverso, qui ci sei tu con la tua persona, si guarda a come reagisci di fronte alle cose, se sai dire dei "No", perchè in questo lavoro devi sapere dire dei "No". Ci sono degli interventi da fare sul momento che non possono essere pensati prima e che ti colgono di sorpresa, molti vanno inventati.

Ad esempio, è ancora famosa tra i miei colleghi una storia successa due o tre anni fa: io ho messo questa ragazza della comunità con la testa sotto l'acqua ed era inverno, questa cosa è rimasta impressa a tutti: io ero arrabbiatissima, non sapevo che cosa fare, così ho preso la ragazza e gli ho messo la testa sotto l'acqua della fontana. Io lo ricordo positivamente questo episodio, perchè ci sono delle cose, per cui se tu ti esprimi per quello che sei, le fai e magari vanno bene anche se non sono bellissime, si adattano a quella situazione lì, non so come dire...Il bello e il brutto è difficile da scindere in parti uguali: dove c'è il bello c'è anche il brutto. Quindi la caratteristica positiva la si vive maturando. I primi tre anni sono stati durissimi, perchè ho capito che dovevo lasciare delle parti aggressive di me a casa, perchè qui non servivano, ce n'era già tanta di aggressività qui e non serviva la mia, quindi nei primi tempi ho fatto molta fatica per dividere e separare quello che era il lavoro dalla vita di casa.

Adesso che sono più in pace mi sembra che questi "imput", la bellezza di questi imput, li possa utilizzare per una maturazione. Io adesso posso utilizzare i miei imput per me, non so come spiegarla questa cosa, sento che sto diventando più ferma come persona, più calma, più riflessiva , so pensare di più alle cose; mentre prima venivo continuamente messa in discussione, e non andava mai bene quello che facevo, anche adesso sbaglio, ma adesso posso lavorare molto di più sui sentimenti che ho, sulle intuizioni: se cogliere o non cogliere, ho una maggiore capacità d'introspezione, senza troppo mettermi troppo in discussione, perchè a lungo andare diventa drammatico e non ne puoi più.

Cosa ti gratifica di più nella professione di educatore?

Dunque... la cosa che mi piace moltissimo è vedere se ho visto giusto sulle cose, se le ho agite, dette; in sei anni di lavoro uno mette dentro di sè tante situazioni, e mi piace la capacità di prevedere, l'intuizione che mi dice che andrà così, anche se poi non l'ho fatto: Fin da quando ero piccola mi piaceva molto avere una lungimiranza sulle cose, allora non avevo gli strumenti, ora è come se li avessi, questo mi piace moltissimo. Poi mi piace dentro questo il fatto che cos'ì capisci di più gli altri e te stesso, cioè per cui l'altro non più uno con degli aspetti deboli, di imbranataggine, l'altro è una persona con quegli aspetti , per cui non hai bisogno di censurarglieli, possono andare bene insieme ai tuo, insieme a quelli di altri. La tendenza è quella di censurare, quello che fa l'altro non è sbagliato in assoluto, possiamo conviverci insieme...insieme correggere il "tiro"... Forse questo in un lavoro di contabilità non si può fare, in un lavoro educativo sì, valorizzi tutte le parti e le integri.

Cosa invece ti mette più in difficoltà?

Mi mette in difficoltà la fatica di questo lavoro: si fa una fatica "da matti". Io sono una persona che pensa molto e quando vado in assemblea con i ragazzi ci metto venti minuti per carburare, per riuscire a parlare, magari i ragazzi non si accorgeranno di nulla, ma io faccio una fatica enorme. Qui devi capire cosa serve alla persona che hai di fronte e ci metti del tempo per farlo, sento che sono lenta, ci vuole del tempo, e io lo vivo come un limite, la risposta pronta non ce l'ho mai. In un lavoro così profondo forse è normale...adesso, capisco perchè gli psicologi parlano così lentamente, perchè intanto pensano.

L'altra cosa faticosa è accettare... ad esempio questi ragazzi così testoni, così maleducati hanno bisogno di tanta pazienza, tanta accoglienza, hanno torto marcio si risolverebbe molto più in fretta con uno "scupazzo" se fossero tuoi figli, ma anche se lo fossero sono troppo grandi, e allora bisogna lavorare piano piano e anche questo mi costa una grande fatica. Accettare così in pieno la parte negativa è faticosissimo. Prima li devi abbracciare fino in fondo, se non lo fai non vengono con te.

Quando pensi ad un educatore, cosa ti viene in mente?

Penso ad uno che mette le mani dove di solito gli altri hanno un po' di ribrezzo, ma non perchè non potrebbero, ma perchè non lo fanno. L'educatore fa questo. La caratteristica che deve avere è la duttilità, farsi tirare da tutte le parti come una gomma da masticare, avendo un nucleo centrale fermo, fermissimo, che è la propria motivazione personale e poi lo scopo che deve raggiungere con gli altri. Se non ci fosse questa duttilità in una Comunità piena di regole gli educatori "morirebbero". Come un elastico che viene tirato ma che torna sempre nel punto di origine.

Come si arriva a ciò che mi hai detto, secondo te, tramite l'esperienza, la formazione o cos'altro?

L'esperienza è la prima, ti permette di mettere dentro di te tante piccole informazioni, dopo ti accorgi che ritornano fuori colo tempo e unite alla formazione fanno si che tu prenda una posizione. L'esperienza in Comunità è la vita insieme, se pensi a tutto il tempo che passiamo, è la vita vissuta momento per momento.

Dove tu con l'educazione non arrivi o ti fermi, perchè più di così non ce la fai, allora a quel punto la formazione ti offre un aiuto. Come un po' d'ossigeno è la formazione, perchè a volte ci sono delle strutture antichissime nei ragazzi che sono comprensibili solo con l'intervento della formazione e della supervisione che affrontano in profondità questi aspetti.

Cosa rappresenta per te, nella tua professione, il lavoro di gruppo con i colleghi?

Dandosi una mano è tutto più semplice, il gruppo è fondamentale, dove non arrivi tu c'è l'altro che ti aiuta. Andiamo d'accordo, e questo è importante per lavorare bene.

Quali sono per te i fattori più stressanti del lavoro?

Io vado a periodi...E' stressante per me parlare in assemblea con i ragazzi, anche se non sembra, so offrire una vicinanza, però le parole mi costano, come se le dovessi partorire. Poi è stressante la malattia dei ragazzi, intesa come depressione, nevrosi, un male di vivere radicato profondo che va oltre il problema della tossicodipendenza. Io non sono un terapeuta e quando un ragazzo si muove in un malessere così è difficile lavorare, l'utenza sta cambiando in questo senso, è più grande. Da una parte sono curiosa di conoscere i problemi dei ragazzi dall'altra questa è una fatica che "ammazza".

Se hai vissuto l'esperienza del burn-out, che stategie hai adottato per affrontarlo?

Sì, l'ho vissuta...ho fatto un figlio (battuta). Prima di incasinarmi la vita con il "pathos" che proviene dai casi, cerco di tutelare i miei spazi personali lasciando fuori dalla porta i problemi del lavoro. E' importante fare altre cose, appartenere ad altri contesti, fare delle letture diverse da quelle del lavoro.

Un altra cosa importante sono i turni di lavoro, non vorrei passare da lavativa, questo non l'ho mai detto con i miei colleghi, ma per il lavoro che svolgiamo ogni tre mesi uno dovrebbe stare a casa una settimana in proporzione, io la penso così, è un problema di ossigenazione mentale, per staccare bene dal lavoro.

Hai delle preferenze rispetto al tipo di utenza?

No, questa utenza (minori, tossicodipendenti), mi va bene. Anche se l'utenza è cambiata molto e una volta gli incontri con i ragazzi erano più ampi, si poteva parlare di tutto tenendo presente la realtà. Ora i nostri incontri sono quasi tutti di tipo comportamentale, e i ragazzi sono molto più aggressivi, sembra che non "sbollano" mai.

Puoi raccontarmi un episodio significativo della tua esperienza di educatrice, che sia positivo o negativo non è importante, un episodio che ti ha particolarmente colpito?

Ce ne sono tanti...fammi pensare, domani mi ricorderò sicuramente una cosa carinissima...ma ora... posso dire un aspetto che ho trovato in più con alcuni, ma solo con alcuni , nasce un affetto, un'amicizia così profonda, così particolare che tu questi ragazzi qui continui a portarteli dentro nel tempo e negli anni, ti vengono in mente, vuoi sapere come stanno, hanno tanto insistito per farsi adottare, che mi colpisce che sia solo con alcuni, secondo me anche per un fatto epidermico, e l'altro per la quantità di sangue che hai versato per loro.

Che stile di rapporto hai con i ragazzi, materno, fraterno, paterno o altro?

Il mio stile è sicuramente materno.

Se improvvisamente, nella fantasia, non ci fosse più bisogno degli educatori, che altro tipo di lavoro faresti?

La cuoca, mi piacerebbe molto, è molto creativo, anche questo ha uno stile materno. Mi piace la materia da trasformare, quindi cucinare me lo permette, non so se riuscirei a farlo nella realtà, ma mi piacerebbe molto. Trasformare la materia in altro mi affascina molto.

 

Come è composta la tua famiglia d'origine?

E' composta da mio padre falegname, mia sorella che fa la burattinaia, adesso fa l'insegnante di sostegno, mio zio è pittore e mia madre ha sempre fatto la "normale grazie a Dio. Tutti creativi in famiglia.

Che tipo di rapporto hai con loro?

Un rapporto normale, senza chissà quale amicizia che va tanto di moda adesso, perchè i genitori comunque le cose te le passano, il rapporto con loro l'ho riscoperto dopo i 25 anni, rapporto positivo senza chissà quali cose: mi hanno cresciuto ecco. Io posso dire che hanno fatto anche degli errori con me, se mi seguivano di più forse avrei finito la scuola, sono stata sempre una testa calda... rapporto tranquillo, bello, io gli sono molto riconoscente...molto.

Con mia sorella c'è stato un rapporto più tribolato per via delle coccole...solite cose, gli errori dei genitori ci sono come io li farò con i miei,: Loro sono contenti del lavoro che faccio, ho imparato molto da qui...mi appoggiano e mi sostengono.

Nella tua famiglia c'è stata la necessità di seguire qualcuno che viveva una situazione problematica, sofferente, un disagio, in maniera particolare?

E' stata sempre mia madre, è famosa tra i parenti, avrò preso da lei!! Lei si è sempre occupata di chi stava male per vari motivi. Quando c'è un casino c'è sempre mia madre nel mezzo. E' molto generosa con tutti.

Come impieghi il tuo tempo libero?

Ci piace, a me e a mio marito, andare in barca, fare le vacanze, specie dove c'è il mare.

Appartieni a qualche gruppo (di qualsiasi natura)?

Io appartengo a Comunione e Liberazione, lì ho i miei amici, sono molto libera e frequento anche altro se voglio...è un bello stacco questo dal lavoro.

In che cosa credi tu, quali sono i tuoi valori?

Essendo cattolica la cosa in cui credo di più è che Gesù Cristo è presente qui ed ora, e questo è anche una bella motivazione per me, poi da qui emergono altre categorie, sono motivata da questa base cattolica, a fare altro, anche se battaglio è come se io avessi la strada per amare: riguarda me: io mi confronto da quel punto di riferimento è come se io fossi in pace sul fatto che è possibile accogliersi, volersi bene.

Qual'è la tua Leggenda Personale?

Penso di averla trovata in quello che faccio , la mia famiglia, il mio lavoro, quello che vivo.

Il tuo libro preferito, o che ti rappresenta?

"Si può vivere così" di Don Giussani. Mi rispecchia molto.

Qual'è il tuo animale preferito, o a quale ti paragoneresti?

Il cane, perchè mi piace molto, ma non mi paragonerei a lui.

L'albero preferito?

Quello dipinto da Mondrian.

Il film?

Film divertenti perchè voglio rilassarmi. Un film a episodi che non ricordo...

Personaggio pubblico?

Paolo Conte.

Il tuo colore preferito'

Il giallo sicuramente.

 

Vuoi aggiungere qualcosa all'intervista, una domanda che avresti voluto ti facessi ad esempio?

Non ho il tempo per pensarci...






Intervista n.2

(Educatore di una Comunità per minori e tossicodipendenti)

Quanti anni hai?

30

Sei sposato?

No

Figli?

Nessuno.

Segno zodiacale?

Vergine

Qual'è stata la tua formazione scolastica?

Si può dire che è l'ultima strada professionale che is può immaginare ascoltando un operatore. Io sarei un Direttore d'Albergo, ho lavorato in albergo per un po' di anni, poi ci sono stati episodi che mi hanno fatto cambiare rotta completamente. Quando ho deciso di essere obiettore di coscienza ho sentito il desiderio di fare altro. Sono dieci anni che faccio questo lavoro.

Puoi spiegarmi meglio cosa ti ha fatto scegliere questo lavoro?

Ancora adesso me lo chiedo, quali sono stati i fattori determinanti, forse un incontro con realtà, durante il servizio civile, diverse che avevo sempre visto solo in televisione. Ho iniziato nel settore dell'handicap, mi interessava tutto quello che riguardava i ragazzi. E' ancora una domanda aperta per me... sono fiero comunque di essere arrivato in questa Comunità

Mio padre mi chiedeva di definirmi sotto l'aspetto professionale, e io gli dicevo...sì...sì, ho cambiato 2 cooperative in un anno e mezzo, mi sono sperimentato molto fuori e ora sono contento di essere qui dopo aver fatto esperienze diverse. Mio padre diceva che col mio settore alberghiero avrei guadagnato di più, quindi mi chiedeva perchè proprio questo lavoro... io gli dissi che volevo fare invece l'operatore sociale. Poi, piano, mi sono definito anche in questo settore, divertendomi pure con stimoli e obiettivi validi per andare avanti.

Hai fatto altra formazione, corsi , aggiornamenti per questo lavoro?

Sì, diversi, specie con il Comune della città. Sono importantissimi questi corsi, la formazione in genere, specie per me che vengo da altro settore.

Che posto dai all'esperienza e alla formazione nel tuo lavoro?

Io cerco di essere il più umile possibile, di fronte ad una teoria, che poi piano sto sviluppando. Con l'esperienza, a livello pratico concreto, mi rendo conto che non si finisce mai di imparare. Non voglio togliere nulla a quelli che passano prima da una formazione teorica per fare questo lavoro, ma per me la cosa più importante è stata l'esperienza fatta in sede... il campo d'intervento è sempre il più significativo. Se non ti sporchi le mani come puoi dire o capire certe cose?

Quali sono le caratteristiche di questo lavoro, positive o negative?

Positive sono: una grande ricchezza che accumuli a livello umano, tutte le altre sono conseguenti; per il lato negativo...non ti puoi permettere di "abbassare la guardia", devi dare sempre, anche se a volte non hai avuto delle buone giornate, devi dare sempre il massimo...

Cos'è che ti gratifica di più in questo lavoro?

Il rivedere alcuni ragazzi che ti vengono a trovare con il sorriso, vederli stare bene, e poi il genitore che ti telefona e ti dice che le cose vanno bene, ti ringrazia per quello che hai fatto tu e la Comunità, sembrano luoghi comuni lo so... in genere rivedere loro come si muovono...

Le cose che ti mettono più in difficoltà invece?

Il rendermi conto che in quella determinata circostanza mi sento limitato, so che non posso dare come vorrei e questo mi provoca sofferenza.

Rispetto a questo, quali caratteristiche a tuo parere deve avere un educatore?

Pazienza sicuramente e coinvolgimento, fra virgolette, poi molta passione. Passione, "coinvolgimento" e pazienza.

In questa professione i tuoi colleghi che ruolo hanno?

Io prendo tutti come riferimento, indipendentemente da quanti anni lavorano qui, perchè credo che non si finisca mai d'imparare, di crescere. Se reputo che in quel momento un collega ha fatto una cosa giusta e io non ci ero arrivato, mi dico che devo imparare, perchè posso fare anch'io cos'ì. Tutti sono importanti: ci si compensa, ci si aiuta, collaborazione estrema, confronto tantissimo, dovrebbero esserci almeno due momenti alla settimana per il gruppo operativo.

I fattori più stressanti invece?

Ci sono periodi stressanti non legati a episodi particolari, varie cose possono definire questo stress: elementi interni ed esterni; l'importante è che non ci si chiuda, e che si chieda aiuto, non bisogna pensare che passi da solo lo stress in questo ambito.

Hai mai vissuto un perido di burn-out?

No, io cerco di scaricare il massimo fuori di qui, poi mi confronto con il direttore, gli altri...

Ci sono dei bisogni particolari che senti rispetto questa professione e che ancora non hai soddisfatto?

No: i turni sono buoni, il bello di questo lavoro è che hai dei giorni liberi durante la settimana, il brutto è quello di lavorare a volte durante i festivi... a me va bene...

 

Come ti poni rispetto al dolore e alla sofferenza di chi incontri in questo lavoro?

Dunque... mi pongo in una posizione di ascolto, rispetto a tutte le situazioni, c'è ascolto , ma non compassione...

Ma a te emotivamente cosa suscita, cosa crea?

Gradualmente c'è stato un distacco , qui è una cosa, fuori è un'altra, i primi tempi non riuscivo a staccare ora sì, ho un distacco razionale.

Hai delle preferenze rispetto al tipo di utenza?

No... ma questo settore lo trovo più stimolante di altri.

Puoi raccontarmi un episodio significativo della tua esperienza di educatore?

Anni fa un ragazzo molto duro, molto violento e rissoso, è cambiato gradualmente: creava all'inizio difficoltà nel gruppo, cercava molto il contatto fisico, poi pazientemente ho iniziato ad anticiparlo, saltandogli addosso io come faceva lui, così se prima non c'era un rapporto particolare, magari prevalentemente legato alle regole, col tempo si è aperto un gran spiraglio e poi mi ha scelto come l'operatore che preferiva insieme ad un altro.

Sono dovuto cambiare io di fronte a questa cosa. A mio parere è molto importante il contatto fisico con i ragazzi, riesci a comunicare molto. E' rischioso questo contatto... per ora ne è valsa la pena.

Con quale stile ti poni verso i ragazzi (fraterno, materno, paterno o altro)?

Penso di aver acquisito lo stile che mi è più congeniale, cerco di ridere e scherzare, ritengo sia opportuno sdrammatizzare le situazioni, spesso, ma in alcuni momenti come in assemblea con i ragazzi esigo la massima serietà. Lo dico spesso con loro: se inizio io a scherzare va bene, se iniziano loro smettono subito perchè esigo serietà in quello che si fa nel momento. Penso anche questo, che la serietà sia saper mettere un limite alle cose.

I ragazzi lo capiscono ... Ho stili e approcci diversi secondo le necessità che emergono..., privilegio l'approccio fisico: è rassicurante una persona che ti abbraccia.

Se improvvisamente, per assurdo, non ci fosse più bisogno degli educatori, che faresti?

Se il settore cambierà io mi dovrò adeguare...

Com'è composta la tua famiglia d'origine?

Mio padre, mia madre e ho due fratelli maggiori.

Cosa dicono della tua scelta, sono contenti?

Alla fine del mio iter lavorativo, ora, sono contenti. Sanno che lo sono io. Mio fratello è stato un riferimento paterno perchè mio padre lavorava fino a tardi, con mia sorella giocavo. Mio padre è come mio fratello, o meglio, mio fratello è come mio padre: quando avevo 15 anni si interessava a me ma... mio padre è sempre stato il tipo che si faceva il "mazzo" per portare a casa lo stipendio e mantenere la famiglia. La figura più presente è stata quella di mia madre.

Qualcuno della tua famiglia si è mai occupato della sofferenza e del disagio altrui, in una occasione particolare, di un parente ad esempio?

Sì, tra mia sorella e suo marito ci sono stati dei problemi. Questo aveva creato scompiglio e mia madre si è occupata della cosa.

Come impieghi il tuo tempo libero?

Ho diversi amici, di diverse compagnie; ci si trova anche tra colleghi e frequento gli amici del gruppo parrocchiale.

Che aspettative hai da questo lavoro?

Va bene così... crescere nel lavoro...

 

 

Quali sono i tuoi valori, in che cosa credi?

La famiglia; credo in Dio, valore essenziale;... Dio, la famiglia e l'amore vero... lo devo ancora capire bene l'amore vero, di che pasta sia fatto... queste tre cose sicuramente...

Hai realizzato la tua Leggenda Personale?

Penso che questa sia la mia strada...

Il tuo libro preferito?

I libri classici, greci e latini e quelli dell'ottocento, i preferiti sono: Socrate, Voltaire (Candido), e le poesie di Baudleaire (I fiori del male).

L'animale preferito, o al quale ti paragoneresti nelle caratteristiche?

Mi piace il cavallo.

Un albero invece?

Mi piacciono tanto le quercie.

Un film?

Mi ha impressionato Pulp Fiction; anche certi film di Nanni Moretti: Caro diario, La seconda volta, e altri, Bianca, Nanni Moretti è il mio preferito.

Il personaggio pubblico?

Mi piace D'alema:per me è il tipico animale politico, anche se non condivido certe posizioni, riconosco che ci sa fare.

Il colore preferito?

Il blu e il nero, colori scuri insomma.

Come ti sei sentito durante l'intervista?

Mi sono sentito a mio agio.

Ho dimenticato di chiederti qualcosa, che magari vorresti aggiungere a tuo parere?

No... va benissimo così...Vorrei solo vedere le interviste che stai facendo, alla fine del tuo lavoro di tesi...






Intervista n.3

(Educatore di una Comunità per minori e tossicodipendenti)

Quanti anni hai?

33

Sei sposato?

No

Figli?

Nessuno

Segno zodiacale?

Vergine

Qual'è stata la tua formazione scolastica?

Sono geometra.

Attualmente stai frequentando corsi di formazione?

Sto facendo un corso di aggiornamento organizzato anche dalla Comunità. Penso che sia molto importante la formazione, anche se inizialmente non ci credevo troppo, pensavo fosse più importante l'esperienza.

Una delle mie domande riguarda proprio questo aspetto, che importanza dai alla formazione e all'esperienza?

Facendo questo lavoro da qualche anno mi sono reso conto che è importante avere una preparazione di base, avere degli strumenti in più da usare durante il lavoro. A me sono sembrati sempre importanti per questo lavoro l'aspetto umano, l'esperienza, anche quella personale. Inizialmente, con un po' di presunzione ho iniziato questo lavoro pensando a ciò; poi col tempo ho capito che era importante avere un supporto teorico per aiutarsi: non basta solo l'esperienza per fare questo lavoro. E' importante affrontare diversi argomenti con i ragazzi, toccare molti punti e per fare questo serve una base formativa. La formazione integra l'esperienza.

Da quanto tempo fai questo lavoro?

Sono 4 anni.

Come sei arrivato a questa scelta, visto che la tua formazione scolastica era orientata ad altro?

E' stata casuale, non me lo aspettavo di fare questo lavoro, non rientrava nei miei progetti. E' accaduto per una amicizia con il direttore della Comunità. Mi conosceva e me l'ha proposto...se me l'ha chiesto avrà avuto i suoi motivi.

Tu hai risposto a questo, quindi la riconoscevi per te questa proposta forse?

Sul momento mi sono sentito molto inadeguato. Poi ho avuto la fortuna di avere degli amici che ci lavoravano già qui...Visto che lui ci teneva molto e pensava che fosse per me questa cosa... alla fine mi ha convinto e ho detto di sì.

Hai quindi pensato di lasciare tranquillamente senza rimpianti il precedente lavoro?

E' accaduto in un momento particolare, in cui le cose in campo lavorativo non mi erano andate troppo bene, forse se mi fossero andate meglio chissà se avrei accettato questo posto...comunque la proposta mi avrebbe interessato, ma sinceramente non so se avrei cambiato...Poi il lavoro precedente era molto duro, spesso ero fuori casa, per cui sono stati diversi i fattori in gioco che ho valutato per cambiare...

Avevi svolto altri lavori oltre a quello di geometra?

Ho lavorato per una ditta di computer, poi è arrivata la proposta...ho lavorato 5-6 anni in questo settore...

 

Sei contento della scelta di questo lavoro?

Sì, sicuramente mi corrisponde di più di quello che facevo prima, per cui una certa predisposizione c'era...sono molto più contento di quello che sto facendo ora, non tornerei più indietro.

Quali sono le cose che ti gratificano in questo lavoro?

Sicuramente il rapporto con i ragazzi: mi prende molto, mi da gusto lavorare con loro, vedere dei cambiamenti in loro, poi il fatto di condividerlo con gli amici è un altro fattore importante per un lavoro del genere...Mi piace ma è un lavoro duro, farei molta più fatica se non potessi condividerlo con loro.

Quali sono, a tuo parere, le caratteristiche positive e negative di questo lavoro?

Quello che ti ho già risposto prima... poi il fatto che questo sia un lavoro in cui non ti senti mai arrivato, che ti provoca in continuazione un cambiamento, e negli altri impieghi questo secondo me non accade; è molto stimolante, sei costretto a chiederti sempre di più, ogni ragazzo è diverso e per questo devi cambiare anche tu...altre cose riguardano il tempo libero...è positivo avere del tempo libero durante la settimana...anche se magari gli altri tuoi amici lavorano, quindi devi imparare a gestirtelo. Mi posso permettere tante cose, c'è bisogno di tempo per ingranare in questo lavoro...tornando a prima... penso che se avessi fatto dei tirocini sarei stato un po' più preparato. Il primo anno è stato molto duro...

La cosa che ti mette più in difficoltà?

Il fatto che spesso devi dire dei No, a questi ragazzi, di solito sei abituato ad atteggiarti in altra maniera con gli altri: Io mi sono dovuto "snaturare", perchè ho dovuto imparare a dire dei no, ed è stata una grossissima fatica. Anche quando c'è da alzare la voce da imporsi in maniera decisa, io mi devo "caricare", perchè non mi viene naturale...perchè non sono così...ti devi sforzare tanto, a volte c'è il rischio di rilassarsi quando serve altro...l'importante è avere delle persone che ti richiamano...

Puoi dirmi quali sono a tuo parere le caratteristiche che dovrebbe avere un educatore?

Una grande curiosità...tenacia nel lavorare... essere forti quando occorre anche duri se serve e poi subito dopo avere la capacità di abbracciare la persona che hai ripreso...L'elasticità... non mi viene in mente altro...adesso.

Che ruolo hanno i tuoi colleghi nel tuo lavoro?

Fondamentale, perchè una persona rischia di affrontare tutto da soli, è importante avere una linea comune, il rapporto con loro è buono e col tempo ci si conosce.

Quali sono i fattori più stressanti del lavoro a tuo parere?

Si mi è capitato di viverne, ma io chiedo aiuto e prendo tempo...Non ho comunque mai avuto dei grossi momenti di crisi...i momenti di scoramento possono essere le mancate risposte dei ragazzi malgrado tutto quello che fai, è importante non prendersela troppo e non guardare troppo l'esito delle cose. Prima confrontavo molto l'impegno messo con il risultato e la vivevo pesantemente...

Ci sono ancora dei bisogni insoddisfatti (di qualsiasi natura) in questo lavoro?

Forse fare un approfondimento formativo, mi piacerebbe molto, poi...non saprei... avere qualche fine settimana libero in più farebbe certo piacere, le notti rappresentano un sacrificio grosso che per ora non mi pesano perchè non ho famiglia, se l'avessi sarebbe più problematica la cosa...Spero però col tempo di avere anche altre opportunità all'interno di questo lavoro...Il direttore stesso dice che per questo lavoro sarebbe bene ogni tanto avere un'opportunità diversa...Il mio timore è quello infatti...non so se uno può resistere a fare le stesse cose, l'educatore per 10-15 anni... questo per l'intensità che vivi...o non so si diventa bravissimi, ma dubito che uno possa resistere allo stesso modo sempre...Io alla fine del turno torno a casa stanco, distrutto, ora sono giovane e mi va bene , non so come affronterò la cosa fra 10-15 anni...

Rispetto alla sofferenza dell'utenza, tu come ti poni, cosa poi ti suscita?

Inizialmente, come ho detto prima, mi sentivo molto trasportato dai ragazzi, ora cerco di lavorare con loro sulla realtà che vivono adesso in Comunità, poi col tempo ho piacere che mi parlino della loro sofferenza...

Mi pesa ma non più di tanto: c'è distacco.

Hai delle preferenze rispetto all'utenza del lavoro? Preferiresti altri settori?

Mi sono trovato meglio a lavorare con i ragazzi maggiorenni, perchè con i minorenni è più faticoso, rispetto al problema della tossicodipendenza ci vengono inviati con la legge, non hanno una motivazione loro e questo rende le cose più difficili...Sono attratto dall'esperienza del reinserimento dei ragazzi nella società, in futuro vorrei lavorare in una struttura di questo genere. Per me è fondamentale che i ragazzi una volta usciti incontrino una esperienza bella, positiva, ne hanno bisogno...non dico che se non la trovano ritornano come prima...ma quasi...molti si perdono in questo senso...quello che si possono domandare nella vita è molto di meno rispetto a quello che gli abbiamo insegnato noi. Altri settori per ora non mi interessano.

Puoi raccontarmi un episodio significativo della tua esperienza di educatore, non importa se positivo o meno, qualcosa che ti è rimasta impressa?

Mi dai spunto per parlare della sofferenza, prima non sono riuscito a risponderti, ed è, quella della sofferenza, una cosa che è emersa da in un gruppo operativo, ne parliamo insieme per aiutarci. Due anni fa abbiamo fatto un'esperienza esterna, insieme al mio collega abbiamo portato dei ragazzi in pellegrinaggio in Polonia, 2 maggiorenni e un minorenne, erano in un cammino abbastanza avanzato in Comunità. Gli abbiamo proposto la cosa che ci sembrava bella come esperienza per loro: erano 10 giorni di cammino, si stava in tenda e insieme ad altri giovani: In effetti è stata una bella esperienza, si sono sentiti molto provocati e al ritorno erano contentissimi, ma dopo un po' di mesi uno di questi ragazzi ha iniziato ad andare male fuori ed è tornato a farsi e poi un giorno "c'è rimasto". Questa esperienza mi ha segnato, anche perchè questo ragazzo aveva condiviso una bella cosa, mi ha lasciato il segno, me la porto dietro, tanto che al suo funerale non sono stato in grado di andarci, non pensavo di reagire cos'ì male...anche adesso che ne parlo sono un po' commosso...aver vissuto bei momenti con lui, e poi essere finito male...mi ha lasciato il segno.

Quale stile educativo hai verso i ragazzi, che tipo di rapporto (fraterno, materno, paterno) altro?

Cerco di essere direttivo, esigente chiedere tanto, penso sia fondamentale per i ragazzi...li accolgo molto, li riprendo molto affettivamente...

Come è composta la tua famiglia d'origine?

Ho due sorelle, con una ho un rapporto più duro, con l'altra il rapporto è migliore...Una fa la baby-sitter, l'altra lavora in banca, mio padre è pensionato, era geometra anche lui, mia madre è casalinga...

Mia madre mi ha voluto troppo bene, come tutte le mamme penso con i figli maschi, mio padre era più direttivo con me...fammi domande precise non è facile parlare dei propri genitori...il rapporto comunque è stato buono...il dialogo c'è stato più con mia madre, poi più tardi ho cercato io mio padre per le cose importanti, mi dava di più, aveva un giudizio più forte, affettivamente mia madre, per il resto mio padre.

 

Sono contenti i tuoi di questa scelta di lavoro?

Mi hanno sempre lasciato scegliere, vedono che io sono contento, ho visto che nei primi tempi erano più preoccupati, poi ho smesso di raccontargli le cose perchè specie mia madre si "caricava" troppo.

Ci sono stati episodi di presa in cura da parte della tua famiglia verso situazioni di disagio di altri?

Mia sorella più piccola è stata un po' male e mia madre si è fatta molto carico di lei; come esterni invece i miei genitori si sono fatti carico di un vicino di casa che ha problemi fisici e vive da solo... soprattutto da pare di mia madre c'è stata questa sensibilità agli altri... mia madre se non si sposava poteva fare la suora... io credo che bisogna non improvvisare su questi aiuti, è necessario farsi aiutare da chi ne sa di più.

Come impieghi il tuo tempo libero?

Faccio un po' di sport, prima ne facevo tantissimo ora ne faccio poco, presto opera in un centro di solidarietà per la ricerca del lavoro e abbiamo anche un banco di solidarietà per le famiglie povere...questo dipende dalla esperienza che ho incontrato... prima facevo solo sport...questo è utile per i ragazzi, poi mi riposo, non tanto però perchè a me il riposo...stanca.

Fai parte di un gruppo?

Sì, Comunione e Liberazione...

Pensi di aver trovato la tua strada, la tua Leggenda Personale, questo lavoro spesso assume la forma di un compito, una strada?

Sì penso che questa sia la mia strada; l'aspettativa che ho da questo lavoro ? Come ti ho detto prima, mi piacerebbe diventare responsabile di una Comunità, ho il desiderio di fare qualcosa di più grande...poi non so se ci riuscirò, fare una cosa bella e utile per gli altri... guardando uno come Silvio (il direttore), ti viene da desiderarlo, poi magari uno è bravissimo a fare l'educatore e fa quello sempre e basta... vediamo poi come vanno le cose.

In quali altri valori credi?

Credo oltre che in Dio, anche alla propria vocazione...che penso sia quella matrimoniale...chiedo di realizzarmi sempre di più e di trovare la felicità...

Hai libri preferito?

Fino a poco fa leggevo pochissimo, ora leggo i libri di Giussani; mi piace "All'origine della pretesa cristiana", "Il senso religioso",...mi piacciono gli interventi che fa lui.

L'animale preferito, o al quale ti paragoneresti?

L'aquila...va sulle cime, vola in alto , ha una certa signorilità...

L'albero?

Un abete...perchè mi ricorda il Natale.

Il film?

Un film preferito non c'è, mi è piaciuto molto "Forrest Gump".

Un personaggio pubblico?

Mi sembra di essere banale...ma è il Papa.

Il colore preferito?

Il verde, l'azzurro...

Come ti sei sentito durante l'intervista?

Non sono mai stato intervistato, su alcune cose fa piacere parlare su altre no, va bene così.

Vuoi aggiungere qualcosa?

No.

 

 

 






Intervista n.4

(Educatrice di Comunità per minori e tossicodipendenti)

Quanti anni hai?

26

Sei sposata?

No

Figli?

No.

Segno zodiacale?

Vergine.

Qual'è la tua formazione scolastica?

Ho fatto il Liceo Scientifico e poi mi sono laureata in Psicologia.

Stai frequentando corsi di formazione?

Sì, lo stesso che fanno i miei colleghi. Poi faccio una cosa mia personale, presso la sede della Terapia razionale emotiva.

Ritieni importante la formazione?

Quando ho iniziato mi sono resa conto che trasformare la teoria in realtà era molto difficile, ma degli spunti mi aiutano comunque; l'esperienza è comunque fondamentale. La formazione la vedo permanente nel tempo.

Da quanto tempo fai questo lavoro?

Da un anno, ma frequento la comunità da due.

Come è nata la scelta di questo lavoro?

Il mio obiettivo era quello di lavorare nella tossicodipendenza, per cui questo è un buon trampolino di lancio, i ragazzi mi danno molto. Per il momento mi sento molto appagata, sono molto contenta.

Quali sono a tuo parere le caratteristiche positive e negative?

Impari a dare valori diversi alle cose, alla tua vita, ti senti voluta bene evuoi bene a qualcuno, dare una mano a qualcuno ti gratifica molto. Quelle negative...a volte rischi di avere dei deliri di onnipotenza quando non riesci a fare tutto.

Cosa ti gratifica?

La risonanza che hai da parte loro. Altra cosa positiva è l'equipe, il lavorare insieme ai colleghi, il confronto.

Cosa ti mette in difficoltà?

A me quello di essere una ragazza e un po' giovane. Qualche ragazzo ha difficoltà a riconoscermi, qualcuno è anche più grande di me...

Quali sono le caratteristiche di un educatore a tuo parere?

La cosa oppiù importante è quella di riuscire a gestirsi l'umanità con l'autorità, perchè con loro c'è la confidenza, però l'educatore insegna. Devi riuscire a farti rispettare senza perdere l'umanità. Autorevole e umano. Altra cosa: adattare la propria persona alle necessità della situazione.

Quali sono i fattori più stressanti del lavoro?

Avere pochi fine settimana liberi, i turni... a livello personale non lo ritengo stressante questo lavoro, forse perchè sono ancora carica, è solo una nno che lo faccio...stressante è stato invece il passaggio da tirocinante ad educatrice, i ragazzi presenti hanno fatto fatica a riconoscermi in un ruolo diverso.

Quali bisogni ancora insoddisfatti senti per questo lavoro?

Avere una teoria applicata, un riferimento teorico preciso da seguire, condiviso.

Come ti poni e cosa ti suscita il disagio che incontri?

Mi distacco molto...do una valenza diversa alle cose che accadono, della serie:"Mamma mia come sono fortunata..." Riesco ad apprezzare di più le cose, mi danno un grosso aiuto.

Puoi raccontarmi un episodio significativo della tua esperienza lavorativo?

Una ragazza si è molto legata a me, mi ha fatto piacere, ma la sua richiesta è diventata troppo grossa,ora chiedo aiuto, ma essere riconosciuta come riferimento da una persona è stato molto bello per me.

La tua famiglia come vede il tuo lavoro?

Inizialmente male, ora bene perchè vedono che sono contenta io.

Se tuo figlio un giorno volesse fare lo stesso lavoro, lo asseconderesti?

Sicuramente, è una cosa che uno deve sentire dentro...

Come impieghi il tuo tempo libero?

Vado in piscina per puro senso estetico. Esco con gli amici... sto in compagnia...

Appartieni a un gruppo specifico?

No, nessuno.

A quale dottrina religiosa appartieni?

Sono cattolica cristiana.

Quali aspettative hai da questo lavoro?

Mi piacerebbe che il mio ruolo qua diventasse sempre più importante, sempre più specifico rispetto anche alla mia formazione.

Quali sono i tuoi valori?

La famiglia, l'amore, l'amicizia e il lavoro...

Hai raggiunto la tua Leggenda Personale?

Sì, penso di sì...mi sento inserita in quello che credo...

un libro preferito?

Mi piace Stephen King, il genere Horror con una punta di giallo... mi piace perchè è molto coinvolgente nello scrivere...

Il tuo animale preferito?

Il cane, perchè da e non ti chiede niente, una struttura del genere è molto apprezzabile...

Un albero?

Il melograno perchè è molto colorito quando è fiorito...

Il film?

"Maurice", mi è piaciuta molto la tematica.

Un personaggio pubblico?

Sono in difficoltà...Forse Giovanna D'arco, perchè è un'eroina, combatte per i suoi ideali...

Il tuo colore preferito?

Il nero, per vestirmi, da guardare no...forse il blu...

Come ti sei sentita durante l'intervista?

E' stata una cosa piacevole, mi ha stimolata e incuriosita molto.

Vuoi aggiungere qualcosa?

No...

 






Intervista n.5

(Educatrice di Comunità per minori e tossicodipendenti)

Quanti anni hai?

29

Sei sposata?

No.

Segno zodiacale?

Toro.

Che formazione scolastica hai?

Terza media.

Attualmente stai facendo formazione?

Sì, quella organizzata dalla Comunità.

Ritieni che sia importante per il tuo lavoro?

Sì, aiuta ti da una mano, ma il lavoro si svolge nel concreto e io sono convinta che la pratica e l'esperienza sia la migliore formazione, la vivi la senti...

Da quanto fai questo lavoro?

Da 5 anni.

Prima hai fatto latro?

Prima lavoravo con mio padre nel commercio, poi ho lavorato in Comune. Sono stata in Comunit

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

 

INDICE


Ringraziamenti...................................... pag. 4
Prefazione.......................................... pag. 7
Prologo

PARTE PRIMA

La partenza: la figura dell'educatore tra passato, presente e futuro

PRIMA TAPPA

Alle origini: l'educazione e la figura dell'educatore nel passato

1. Storia dell'educazione e della scienza dell'educazione; percorso storico del ruolo educativo.................................................................................... pag. 17

2. Com'è nata la figura dell'educatore professionale......................... " 36

3. La politica sociale in Italia: gli sviluppi che hanno favorito l'inserimento dell'educatore nel sociale.................................................................... " 38

SECONDA TAPPA

Essere nel presente: la figura dell'educatore oggi tra motivazioni e aspettative

1. Alla ricerca del riconoscimento della propria identità

professionale ...................................................................................... pag. 41

2. Il "Noi" degli educatori: un approccio psico-sociale ai temi dell'identità professionale....................................................................................... pag. 44

3. "Essere o non essere" questa è la problematica normativa sulla formazione dell'educatore professionale............................................................... pag. 49

4. Il nuovo profilo professionale: "Tecnico dell'educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale"................................................................ pag. 60

5. La professionalità dell'educatore tra motivazioni e aspettative..... " 71

6. Motivazione e personalità............................................................... " 78

7. Conoscere le proprie motivazioni professionali............................. " 81

8. Conoscere le proprie motivazioni personali................................... " 84

9. Conoscere i propri limiti.................................................................. " 84

10. Stress e sindrome da burn-out nella professione di educatore... " 87

TERZA TAPPA

Viaggio nell' "iperspazio": la figura dell'educatore professionale nel futuro

1. Il futuro dell'educatore tra etica e politica....................................... pag. 94

2. Un futuro preoccupante?................................................................ " 95

3. Condizioni per una utile e proficua formazione futura................... " 97

4. Educatori professionali nell'Europa del 2000................................. " 99

PARTE SECONDA

La parola ai protagonisti: le interviste