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Un sottosuolo che si chiama inconscio
Gli psicologi parlano di due diversi livelli dello spirito umano:
il conscio e l'inconscio.
Come risulta evidente dalla terminologia stessa, noi siamo consci,
consapevoli dei contenuti del nostro livello conscio e siamo inconsapevoli
dei contenuti del livello inconscio.
Questi due livelli sono stati paragonati a un appartamento e a una
cantina. Quando a casa nostra c'imbattiamo in qualcosa che è
sgradevole a vedersi, per esempio un mobile che cade a pezzi o un
brutto secchio per le immondizie, istintivamente vorremmo scaraventarlo
in cantina in modo da non ritrovarcelo mai più sotto gli
occhi.
Lo stesso accade in questi due livelli. Quando non riusciamo a sopportare
una realtà o un atteggiamento che scopriamo in noi stessi,
possiamo sommergere quella realtà o quell'atteggiamento nel
nostro inconscio.
Se vogliamo dimenticare qualche avvenimento della nostra esistenza
e nasconderlo deliberatamente nell'inconscio, questo si chiama soppressione.
Se constatiamo in noi un certo atteggiamento una certa reazione
emotiva e, ritenendoli spregevoli, li allontaniamo dal nostro sguardo
confinandoli nell'inconscio, questo si chiama repressione.
Alla fine, l'inconscio è sovraccarico e noi sperimentiamo
un acuto disagio. La causa precisa di questo disagio non sappiamo
quale sia, a punto perché il nostro conflitto reale è
stato sepolto nell'inconscio.
Ciò che seppelliamo laggiù, non lo seppelliamo morto
ma vivo, e vivo rimane, cosicché non cessa d'inquietarci.
È inutile andare a cercare come facciamo talvolta una situazione
conflittuale nel momento stesso in cui soffriamo per attribuirle
la colpa della nostra sofferenza: soltanto giù nell'inconscio
stanno le radici del malessere.
Quando
scatta la repressione
Facciamo il caso d'un bambino al quale i genitori non diano amore
né mostrino di considerarlo importante in sé, come
persona. La sua reazione potrà essere di rassegnarsi o di
ribellarsi. Questo sul piano esterno. Ma dentro di sé egli
avrà in ogni caso una certa dose di risentimento, perché
un suo bisogno psicologico non è stato soddisfatto.
Ora, la società con le sue consuetudini non gli permette
di esprimere questo risentimento, per quanto sia fondato. Appena
apre bocca per manifestarlo, gli adulti gli ricordano che essi sono
i suoi genitori e che si meriterebbero il suo affetto. In realtà,
egli non può mostrare affetto e la loro insistente richiesta
determina in lui un profondo conflitto emotivo.
Quei genitori che ad ogni istante si sgolano ricordando ai figli
il quarto comandamento, "Onora il padre e la madre", dovrebbero
impegnarsi con altrettanta energia nel diventare degni d'essere
onorati.
Dunque il bambino, nel quale l'inevitabile risentimento va crescendo,
in genere non può manifestarlo. E per di più i genitori
gli hanno inculcato che quel risentimento è qualcosa di molto
grave. S'azzardasse a manifestarlo a persone non di famiglia, probabilmente
si sentirebbe dire che è un ingrato e che dovrebbe vergognarsi
d'avere un simile atteggiamento verso i propri genitori.
Così, tutto è pronto perché scatti la repressione.
Non sapendo cosa fare con questo stato d'animo, il bambino lo nasconderà
nella cantina del suo mondo interiore.
Come una scheggia di legno che si conficca sotto la pelle e marcisce
e fa male, nel bambino che non è amato il risentimento provocherà
grandissima sofferenza. Anzi, c'è la possibilità che
esso, diventando ancor più forte nell'inconscio, esploda
in atti di violenza o di vandalismo e la faccia pagar cara agli
adulti che si sono comportati male.
Un altro esempio di repressione, assai comune, è quello del
bisogno di affetto e di amore.
Molto spesso, nella nostra società, bisogni del genere non
possono essere né riconosciuti né manifestati, perché
non coincidono con l'immagine della virilità e dell'indipendenza
che la cultura e la vita sociale praticamente c'impongono. Di conseguenza,
chi ha represso questi bisogni sarà spinto a cercare il loro
soddisfacimento in forme sottili e tortuose, anche ingannando se
stesso.
La
psicanalisi, tecnica liberatoria
L'alcool, liberando dalle inibizioni, spesso apre la porta alle
repressioni che giacciono nell'inconscio.
La persona che sotto l'influsso dell'alcool diventa dialettica e
aggressiva dà probabilmente via libera alle sue ostilità
represse. E la persona che dopo aver bevuto vuole abbracciare chiunque
si trovi insieme ad essa, maschio o femmina, dà probabilmente
via libera al suo bisogno represso di essere amata.
Va ricordata a questo proposito la commedia di T. S. Eliot The Cocktail
Party. Ivi l'autore descrive un uomo che durante una festa, in stato
di ebrezza, s'appoggia a uno psichiatra e lo supplica: "Per
favore, mi faccia sentire importante".
A quest'opera liberatoria s'è dedicata la psicanalisi. L'analista
scava e porta alla luce i contenuti dell'inconscio, guida il paziente
nella comprensione della reale natura dei suoi problemi e cerca
di aiutarlo a vivere con essi.
Sebbene adoperi talvolta l'ipnosi e la narcoterapia (uso dei "sieri
della verità"), il mezzo al quale più comunemente
ricorre la psicanalisi è la tecnica detta delle associazioni
libere. L'analista aiuta il paziente ad associare le sue riflessioni
attuali con le memorie del suo passato e, gradualmente, a concatenare
ciò che sente oggi con le cause remote e profonde di questi
sentimenti. Può inoltre cercare d'interpretare i sogni del
paziente, la materia dei quali è fornita in larga misura
dall'inconscio perché durante il sonno la coscienza rimane
inattiva.
Superfluo dire che il procedimento psicanalitico dovrebbero applicarlo
solo professionisti competenti. Molto raramente riusciamo a capire
le motivazioni del nostro comportamento e le cause sotterranee del
nostro malessere psicologico.
Le
ambiguità del transfert
Assai di frequente i bisogni che esistono nell'inconscio ci condizionano
fortemente.
Il bisogno d'essere amati, quello di sentirci importanti e quello
di accettarci come siamo esercitano molto spesso anche senza che
ce ne rendiamo conto un profondo influsso sul nostro comportamento
e sul nostro modo di relazionarci agli altri.
Avviene allora il cosiddetto transfert. Il transfert è un
processo inconscio col quale noi trasferiamo sugli altri i nostri
bisogni emotivi.
Per esempio, noi desideriamo sentirci importanti ed ecco che cerchiamo
d'imporci su qualcuno, di averlo in nostro dominio. Ci chiedessero
perché facciamo così, risponderemmo senza esitare
che quel tale ha bisogno d'essere trattato in questo modo, che lo
facciamo per il suo bene. In realtà, sfoghiamo su di lui
un nostro bisogno inconscio.
Ancora, un giovane sceglie un'attività altamente altruistica,
sicuro di voler dare il suo contributo ad un mondo che ha mille
carenze. Può darsi sia così, ma può anche darsi
che nel suo inconscio egli abbia un bisogno insoddisfatto di sentirsi
necessario.
Infine, molti genitori sono eccessivamente protettivi verso i figli,
e si giustificano adducendo la preoccupazione di salvaguardarli
da tutto ciò che può nuocergli. La verità è
che, inconsciamente, essi trasferiscono il proprio bisogno di tenere
i figli in uno stato di dipendenza: non vogliono, cioè, che
diventino adulti.
È bene che siamo consapevoli di questa nostra possibilità
di operare un transfert, che siamo consapevoli dell'eventualità
che sotto le apparenze dell'altruismo o dell'amore in effetti andiamo
alla ricerca di noi stessi. Non c'è però alcun modo
per mettere a nudo tutti i complessi aspetti della motivazione umana
e per esplorare i nostri bisogni inconsci.
Tutto ciò che possiamo fare è rinnovare la nostra
motivazione e concentrarci sulle persone che cerchiamo di servire
e di aiutare. Se riusciamo a far questo in maniera continuativa,
acquisteremo pian piano quell'atteggiamento profondo che si chiama
amore.
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