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Terza edizione della corsa della pace che si tiene tra Gerusalemme e Betlemme, un tentativo di riavvicinare due realtà usando lo sport come pretesto per portare un messaggio di pace tra due popoli in lotta ormai da sempre e che spesso affondano la loro diffidenza in ragioni che hanno dei motivi millenari.
Quasi nove chilometri dividono Gerusalemme, la città Santa alle maggiori religioni monoteistiche del pianeta, da Betlemme, il luogo dove secondo i Vangeli e nato Gesù il Messia del Cristianesimo. Nove chilometri in cui si annodano le tensioni del pianeta, con la parte araba divisa da un muro fatto di paura, per tenere lontano il nemico storico, il rivale che è più facile odiare che capire. Tra le evidenti limitazioni della situazione si continua a portare avanti questo progetto quasi stoico, per dare con le parole dello sport una speranza di normalità.
La partenza di questa terza edizione è stata data dal Notre Dame di Gerusalemme, un imponente struttura del Vaticano che ricorda uno di quegli antichi castelli medioevali se non fosse per la statua della vergine Maria che troneggia su di esso con in braccio il bambino Gesù. Circa duecento i partecipanti tra italiani palestinesi e israeliani, infatti, l’eccezionalità della cosa è che si possa correre tutti insieme, quello che in alcuni parti del mondo è una cosa scontata non lo è per questa parte del pianeta, vedere un gruppo festante che con la bandiera olimpica e una torcia accesa si dirige verso Betlemme, costeggiando le mura della vecchia città di Gerusalemme, tra fucili mitragliatori imbracciati da bambini cresciuti in fretta, in mezzo all’ortodossia che non conosce dialogo, tra tutto e questo e altro ancora, non è cosa da poco riuscire a correre, illudendosi di poter per un attimo di cambiare il mondo. Nella corsa c’è poco di competitivo, dato il messaggio di pace che si cerca di lanciare, e quasi un qualcosa di utopico che si snoda per i nove chilometri del percorso, un fiume che però è costretto a subire i continui tentativi di essere dirottato verso interessi più pratici o politici, alle parole di solidarietà e fratellanza che i rispettivi delegati dei due governi lanciano ai partecipanti, suonano pesanti i continui richiami alla slealtà dell’eterno rivale, così tra qualche saluto di pace lanciato dai passanti, si arriva al muro che separa i due popoli, un qualcosa che sembra uscito dal film di John Carpenter fuga da New York, questo è il momento che tocca di più i presenti, la delegazione israeliana deve fermarsi, pena l’arresto, la legge vieta a qualsiasi cittadino israeliano di recarsi in territorio palestinese senza una speciale autorizzazione, dopo tre edizioni l’amicizia con questo gruppo di atleti israeliani è diventata qualcosa di speciale, amicizia che si è rinsaldata con due inviti a Modena nella Corrida di San Geminiano, saluti a parte, è il momento che si gusta di più nella marcia, infatti, sono meno di tre i chilometri che dividono il muro dalla Piazza della Natività di Betlemme, il ceck point israeliano è ricoperto di telecamere e soldati armati di tutto punto, di quì non passa nessuno senza essere controllato, ma il giorno della marcia è un giorno speciale i duecento corridori tra cui il gruppo di palestinesi passano senza essere controllati, evitando la lunga fila in cui a volte ci si impiega ore per passare, questa è l’unica conquista che si porta a casa in quei pochi momenti, e quasi a voler prolungare quegli attimi si procede di passo fino all’arrivo nella Piazza, pochi momenti di normalità che durano poco, infatti, dopo l’arrivo nella piazza di Betlemme giunge notizia che mentre si correva, un mezzo militare italiano a Nassiria e saltato su un ordigno esplosivo causando quattro morti di cui tre italiani, l’angoscia mista a tristezza cala sul volto della maggior parte dei presenti, e nella messa officiata nella basilica della natività da Monsiglior Carlo Mazza, il parroco delle olimpiadi come è stato ribattezzato per il fatto di aver seguito dai giochi olimpici di Seul le delegazioni olimpiche sia invernali che estive dei giochi, nonché i maggiori eventi in cui era impegnata la nazionale italiana, l’alto prelato del Vaticano nella sua preghiera ricorda i nomi dei militari italiani morti nell’ attentato.
Tutto questo potrebbe sembrare tutto inutile, ma per certi versi è già molto, nella Terra Santa sono molti i segnali di una voglia di normalità, uno di questi il Parents Circle Forum formato da famiglie israeliane e palestinesi che hanno avuto dei morti nelle loro famiglie, da anni lavorano insieme per poter cambiare la loro società, ma è una corsa in salita, 500 famiglie che il prossimo anno potrebbero correre tutte insieme in questa corsa della pace. Purtroppo i maggiori media, e tra questi quelli italiani, esaltano la cronaca violenta, lasciando passare solo notizie che si macchiano di sangue, tra i francescani della custodia della Terra Santa, ad esempio, non si da alcun credito all’inviato della Rai a Gerusalemme, reo di snobbare tutte le iniziative di pace fatte in Terra Santa, neanche a farlo apposta, poco dopo giunge dall’Italia la notizia che nello speciale del telegiornale delle tredici della Marcia della Pace si parla dell’evento come di una manifestazione strumentale fatta per altri fini, scuotendo la testa Padre Sergio dei francescani della custodia in Terra Santa, il nostro accompagnatore in queste tre edizioni, scuote la testa andando via, purtroppo la pace non paga nelle news. Rimane sulla Piazza di Betlemme la bandiera con i cinque cerchi del Comitato olimpico, portata con gioia ancora per un po’ da un gruppo di ragazzi, in questa gioia forse è racchiusa il segreto dello sport, qualcosa che i grandi e i potenti raramente potranno capire, perché troppo distanti dal dolore e dalla felicità della gente normale.