"Mentre cercavo di affondare lo sguardo
in quel caos oscuro,
mi sentii orrendamente solo,
sull'orlo estremo del Mondo...
"
(H.P.Lovecraft, Dagon)

"L'essere che, sotto il letto,
aspetta di afferrarmi la caviglia
non è reale. Lo so.
E so anche che se sto bene attento
a tenere i piedi sotto le coperte,
non riuscirà mai ad afferrarmi la caviglia..."

(Stephen King, A volte ritornano)

"Stupido, forse,
ma certe volte le cose funzionano
solo perché sei tu a pensare che funzionino.
È una definizione di fede
che ne vale tante altre...
"
(Stephen King, Mucchio d'ossa)

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Leonarda Cianciulli nacque a Montella, provincia di Avellino nel 1893 in seguito ad uno stupro subito dalla madre, Emilia Di Nolfi, che non le volle mai bene. Ella stessa scrive nel suo memoriale: “Ero una bambina debole e malaticcia, soffrivo di epilessia, ma i miei mi trattavano come un peso, non avevano per me nessuna delle attenzioni che portavano agli altri figli. La mamma mi odiava, perché non aveva desiderato la mia nascita. Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l’altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva di rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l’intenzione di morire, e mangiai dei cocci di vetro: non accadde nulla”. Si trasferì a Correggio nel 1930, seguendo il marito 'impiegato dell'ufficio del Registro Raffaele Pansardi. Avevano perso tutto nel terremoto della Marsica. Fece quasi fortuna a Correggio con un sedicente salotto frequentato da maghe e cartomanti e con un commercio di roba usata che gestì in maniera molto abile. Notoriamente infedele al marito, fu però anche un'ottima madre.

Nel tardo pomeriggio del 17 dicembre 1939 Ermelinda Faustina Setti detta "Rabitti", una tranquilla signora, chiese ad una vicina se poteva badare ai suoi gatti per qualche giorno. Era di fretta e, a suo dire, doveva correre alla stazione per una questione urgente che la rendeva raggiante: era truccata e profumata. Andò poi, sempre di corsa, a farsi fare i capelli e a tutti diceva che stava per sposarsi e che sarebbe andata a vivere in una città del Sud. La parrucchiera testimoniò in seguito di averla vista entrare in un palazzo di Via Cavour, al civico 11/a, dove abitava Leonarda Cianciulli.

Da quel momento la "Rabitti" non fu più vista in giro a Correggio ma in pochi si fecero domande: la credevano finalmente felice chissà dove, in bassa Italia. Invece Leonarda Cianciulli aveva attirato la "Rabitti" a casa sua con la promessa di un futuro sposo che la aspettava a Montella, paese natale della Cianciulli. La uccise con un colpo d'accetta, trascinò il cadavere in uno stanzino, le amputò entrambe le gambe all'altezza del ginocchio e in seguito le tagliò la testa e sezionò in due parti in due il busto usando una sega.

Sempre nelle sue memorie la Cianciulli descrive così il suo primo delitto: “...gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io”. All'arrivo della domestica la Cianciulli dichiarò: "Abbiamo sapone per i prossimi sei mesi". La "Rabitti" aveva affidato i mobili di casa e tutto ciò che possedeva alla Cianciulli, la quale avrebbe venduto, incassato e le avrebbe inviato i soldi.

Il 5 settembre 1940 un'altra amica della Cianciulli scomparve. Si trattava di Clementina Soavi, una zitella che accudiva i figli di donne che lavoravano nei campi o in fabbrica. Per tutta l'estate aveva parlato di un conoscente che le aveva trovato un posto di lavoro come direttrice diun collegio di Firenze. Diceva ad amici e conoscenti che presto sarebbe partita e che avrebbe fatto sapere loro il nuovo indirizzo non appena si fosse sistemata. Nessuno si allarmò quando non la si vide più in giro. Anche lei aveva affidato i suoi beni materiali alla Cianciulli affinchè li vendesse e le mandasse il ricavato.

La Cianculli iniziò a regalare sapone a tutto il vicinato.

Un paio di mesi più tardi, il 30 novembre del 1940 anche Virginia Cacioppo, amica della Cianciulli scomparve subito dopo averle fatto visita. La Cacioppo da giovane aveva fatto la cantante: in Libano e in Egitto i giornali le avevano anche dedicato qualche articolo. Di lei scrisse la saponificatrice: “Finì nel pentolone, come le altre due (…); la sua carne era grassa e bianca, quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose accettabili. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce”.

Probabilmente la saponificatrice un giorno sarebbe arrivata a regalare sapone a tutti gli abitanti di Correggio, se i parenti della Cacioppo non avessero incominciato a farsi domande. La signora Fanti, cognata della Cacioppo, si rivolse ai carabinieri, insospettita dal silenzio della cognata che le aveva promesso, prima di "partire" che le avrebbe scritto per comunicarle il nuovo indirizzo. I carabinieri le risposero che non c'erano prove così la signora Fanti iniziò per conto suo le indagini. Scoperse che la saponificatrice aveva venduto tutti i beni della cognata: scarpe, abiti e un cappotto e si domandò con quali vestiti fosse partita la Cacioppo alla volta di Firenze. Comunicò quindi i suoi dubbi al questore di Reggio Emilia che iniziò immediatamente le ricerche della donna scomparsa.

Verso la metà di gennaio del 1941 il parroco di San Giorgio in Correggio, don Adelmo Frattini vendette dei titoli, tra i quali risultò anche il buono del tesoro numero H-241985. Era uno di quelli di proprietà di Virginia Cacioppo. Il prete dichiarò di avere ricevuto il titolo da Abelardo Spinabelli il quale confessarò di averlo avuto dalla sua amante, Leonarda Cianciulli. La saponificatrice venne arrestata e in seguito ad una perquisizione del suo appartamento vennero fuori dei gioielli nascosti in un mattone e alcuni abiti delle donne scomparse. Venne ritrovata anche una dentiera nel pozzo nero e resti di ossa umane frantumate nella soffitta.

La Cianciulli confessò subito, raccontando di avere ucciso la "Rabitti" con un colpo di accetta, di averla fatta a pezzi e di aver distrutto il suo cadavere bollendolo in un calderone insieme alla soda caustica. Disse di aver dato le trentaduemila lire che la donna aveva in tasca al suo amante, lo Spinabelli che la avrebbe aiutata con la seconda e con la terza vittima. Al processo però Leonarda giurò e spergiurò d'aver agito da sola: prometteva alle amiche un futuro allettante, le adulava, le irretiva, le convinceva a non confidare nulla ad alcuno, pena il naufragio del progetto. Al momento giusto offriva loro un bicchierino (forse un narcotico), infine vibrava un colpo d'accetta, squartava i cadaveri, buttava i pezzi nel pentolone insieme alla soda caustica e ne faceva sapone. A un medico legale che cercava di dimostrare come fosse impossibile un'operazione del genere, urlò: "Datemi in quest'aula di tribunale un cadavere di qualsiasi età e ve lo dimostrerò".

Alle 13,15 del 20 luglio 1946 nell’aula del tribunale di Reggio Emilia venne letta la sentenza: Leonarda Cianciulli fu condannata a trent'anni di carcere, più tre di manicomio giudiziario. La Cianciulli ascoltò impassibile la condanna e sorrise allorchè un fotografo le gridò: "Mostro, girati".

Rinchiusa nel manicomio criminale di Aversa, la saponificatrice scrisse le sue memorie: più di settecento pagine dattiloscritte nelle quali descrisse fino nei minimi particolari le tecniche di smembramento dei cadaveri e la loro bollitura. Pagine e pagine erano dedicate a torte fatte di sangue umano mescolato alla marmellata o alla cannella o alla vaniglia e farcite con polvere di ossa umane di essere servite agli ospiti. La Cianciulli scrisse anche di come con il grasso delle vittime che affiorava dal calderone lei realizzasse delle candele.

Per gli inquirenti fu solo una questione di soldi ma pare esserci stato qualcosa di più. Sposò Raffaele Pansardi mettendosi contro la sua volontà della madre che l'aveva promessa sposa ad un cugino e questa, in punto di morte, le lanciò una terribile maledizione in punto di morte da parte della genitrice: tutti i suoi figli sarebbero morti prima di lei. E così era stato. Leonarda aveva partorito diciassette bambini e solo quattro erano sopravvissuti. Ogni volta che le capitava di sognare la madre uno dei suoi figli smetteva di respirare. Per sconfiggere il maleficio la saponificatrice aveva tentato ogni esorcismo e quando aveva letto nei libri del figlio universitario di come nell'antichità si praticassero sacrifici umani per calmare le ire degli dei, si era forse convinta che quella doveva essere la strada da perseguire.

Leonarda Cianciulli morì nel manicomio criminale di Pozzuoli, per apoplessia cerebrale il 15 ottobre 1970. Fu seppellita in una fossa comune ed i figli seppero della sua morte solo a tumulazione avvenuta.

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