"...quando una notte
attraverso lo spazio curvo
sentì l'invitante flauto degli abissi aldilà."
(H.P. Lovecraft, Fungi From Yuggoth, XXXII)

"Nel vuoto insensato il demone mi portò
oltre i grappoli luminosi dello spazio finito,
finché davanti a me non ci furono né il tempo né la materia
ma solo caos, senza forma o luogo."
(H.P. Lovecraft, Fungi From Yuggoth, XXXII)

"Scruto i tuoi tratti, calmi e bianchi alla luce del cero:
le tue palpebre dalle scure ciglia,
dietro il cui riparo
ci sono occhi che non vedono domìni terreni."
(H.P. Lovecraft)

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Coloro che sostengono che il corpo umano divenga più leggero al momento della morte sono convinti che l'anima abbia una massa che, necessariamente, al momento del decesso, faccia diminuire il peso corporeo del defunto. I sostenitori di questa teoria riportano varie testimonianze di esperimenti effettuati tramite bilance elettroniche estremamente precise, che hanno evidenziato una effettiva diminuzione del peso corporeo dopo la morte clinica dei soggetti.

Oltre la fede in ciò che sostiene la religione, non è possibile negare che tali esperimenti portino a supposizioni circa la possibilità di una nuova vitaa dopo la morte sulla terra; una vita, quindi, che non termina con il decesso del corpo, ma si trasforma, e continua in una nuova dimensione.

Inoltre, se credere all'esistenza dell'anima come principio animatore è stato considerato, sino ad oggi, un fatto strettamente legato alla fede, la possibilità di portare prove concrete e documentate a sostegno della sua esistenza comporterebbe una rinnovata visione della morte. Le paure e le ansietà dovute alla inevitabile dipartita dalla dimensione attuale, riguardo a noi stessi e a chi ci è caro su questa terra, andrebbero affievolendosi.

Il Dr Duncan MacDougall di Haverhill, in Massachussetts sostenne che l'anima fosse un'entità materiale, ed in quanto tale, dotata di una propria massa. Conseguentemente, avendo verificato con esperimenti "sul campo" una discrepanza nel peso del soggetto, con due successive rilevazioni, pre e post-mortem, il dottore spiegò questo fenomeno parlando di una massa invisibile che, al momento del decesso, si allontana dal corpo.

Se la credenza secondo cui l'essere umano possegga un'anima che si stacca dal corpo al momento del decesso è ben nota in molte culture ben prima del Ventesimo Secolo, le teorie sul peso dell'anima e gli esperimenti che ne sono seguiti, sono riconducibili al 1907, quando il Dr MacDougall iniziò a tracciare questa nuova linea di confine.

Il Dr MacDougall, cercando di determinare "se le funzioni psichiche continuino ad esistere con una personalità ed una individualità proprie dopo la morte del corpo e della corteccia celebrale", realizzò un letto nel proprio studio "sistemandolo su una struttura luminosa, il tutto posizionato su una piattaforma con una bilancia estremamente precisa", sensibile perfino a due decimi di oncia.

A questo punto, il dottore posizionò su questo letto 6 pazienti consenzienti, tutti allo stadio terminale di gravi malattie (4 malati di tubercolosi, 1 di diabete ed uno con uno stato sintomatico sconosciuto per gli studi di quell'epoca). Osservò tute le fasi che portarono i 6 pazienti dalla vita alla morte, compiendo uno studio approfondito con rilevazioni accurate sulle possibili variazioni del loro peso.

A tal punto, tentando di eliminare spiegazioni di carattere psicologico sui risultati ottenuti, trasse le seguenti conclusioni:

  • Il comfort del paziente fu perseguito in ogni modo, nonostante fosse ormai moribondo quando ebbe inizio l'esperimento;
  • Il soggetto iniziò a perdere peso lentamente, alla velocità di un'oncia per ogni ora a causa del processo di evaporazione dell'umidità, dovuta alla respirazione ed alla sudorazione, mentre era ancora in vita;
  • Durante l'esperimento, durato 3 ore e 40 minuti, "controllai continuamente le tacche della bilancia, al fine di notare anche la più piccola variazione di peso";
  • Al termine delle 3 ore e 40 minuti, "il soggetto spirò ed in coincidenza con l'istante in cui si verificò il decesso, la tacca della bilancia, improvvisamente, si abbassò evidenziando un sensibile decremento del peso, poi quantificato in 3/4 di un'oncia".

Questa perdita di peso non è imputabile al rilascio di umidità dovuta alla respirazione o al sudore, essendo tale fenomeno già stato calcolato per il caso in questione, nell'ordine di 1/60 di oncia al minuto, contro una perdita improvvisa di altri 3/4 di oncia all'istante del decesso. Gli intestini non si mossero, ma se anche si fossero mossi tutto il peso sarebbe comunque rimasto sulla bilancia, ad eccezione di una leggera perdita di umidità dovuta, com'è ovvio, alla fluidità delle feci. La vescica rilasciò un pò di urina, ma le evacuazioni di cui sopra rimasero comunque sul leto ed influenarono il peso solo con una leggera evaporazione ed in alcun modo possono essere messe in relazione con la rilevante perdita di peso precedentemente segnalata.

Resta a questo punto della dissertazione un solo altro elemento da analizzare: l'aria residua nei polmoni. "Con un esperimento sul mio stesso corpo, i miei colleghi mi hanno pesato sullo stesso letto usato per le precedenti prove: ebbene, inspiranto e respirando con tutta la forza possibile, non vi è stato alcun effetto riscontrabile sulla bilancia. La stessa prova è stata condotta in prima persona dai miei colleghi: in alcun caso posto alla nostra attenzione la bilancia ha evidenziato variazioni di peso". La conclusione che si trasse dalle osservazioni di cui sopra portano all'impossibilità di spiegare laperdita del soggetto al momento della morte secondo criteri di piena razionalità e meramente scientifici.

Come potremmo, quindi, spiegare questo fenomeno? Che si tratti realmente del peso dell'anima?

MacDougall ripetè lo stesso esperimento su 15 cani, osservando come "i risultati furono uniformemente negativi: alcuna perdita di peso alla morte dell'animale". Questi risultati non hanno fatto altro che corroborare le ipotesi di MacDougall secondo cui la perdita di peso registrata al decesso degli umani sia riconducibile alla dipartita dell'anima dal corpo; evidenza tanto più confermata dalla cultura religiosa cui si rifà il dottore, secondo cui gli animali non posseggano l'anima.

Riguardo agli esperimenti condotti sui cani il dottore scrisse che i test ideali sugli animali sarebbero stati ottenuti se avesse trovato degli esemplari con qualche malattia allo stadio terminale, al fine di rendere le rilevazioni più esaustive, ma come fece notare Mary Roach, una tra i più accaniti detrattori degli esperimenti del dottore, "nonostante l'apparente buona fede di MacDOugall, il buon dottore si recò in un canile e, senza alcuna vergogna, avvelenò 15 cani solo per i suoi insignificanti esercizi di Teologia Biologica".

Nel Marzo del 1907 una dettagliata descrizione degli esperimenti condotti da MacDougall fu pubblicata sul New York Times e sulla rivista divulgativa American Medicine, pur puntualizzando le riserve espresse da alcuni studiosi che accesero un acre dibattito su una questione così delicata. August P. Clarke, un dottore della comunità scientifica del Massachussetts, mosse forti critiche MacDougall, colpevole a suo dire di non aver tenuto in giusta considerazione l'improvviso aumento di temperatura del corpo al momento del decesso, momento in cui il sangue non viene più "rinfrescato" dall'ossigeno portato in circolazione attraverso i polmoni. Clarke sostenne che l'evaporazione della sudorazione causata da questo aumento di tempertura corporea potesse interpretare la diminuzione di peso negli uomini; con la stessa teoria si spiegherebbe l'esperimento sui cani, considerndo che gli animali non subivano l'aumento di temperatura corporea grazie al forte ansimare. McDougall replico alle teorie di Clarke sostenendo che senza circolazione, neppure un grammo di sangue sarebbe stto portato alla superficie dell pelle e, conseguentemente, la cute non si sarebbe certo raffreddata. Il dibattito nella comunità scientifica continuò oer mesi senza giungere ad una interpretzione definitiva.

Tornando ai 6 pazienti umani studiati dl dottore, oltre a quello descritto all'inizio della trattazione, sugli altri 5 casi i risultati furono ugualmente sorprendenti. Pur mostrando in ogni caso una diminuzione di peso, l'equipe del dottore non ha mai nascosto le difficoltà nello stabilire il momento esatto del decesso della vittima, uno degli elementi chiave dei loro esperimenti.

A tal proposito, MacDougall cercò di giustificare il proprio lavoro sostenendo che "il peso dell'anima viene rimosso dal corpo virtualmente nell'istante in cui il soggetto compie l'ultimo respiro, pur dovendo considerre che il temperamento avuto dall'individuo nel corso della propria vita sulla Terra possa influenzare il momento in cui l'anima bbndoni il corpo. In conclusione, dalle ricerche condotto, si può ritenere che dal momento del decesso del soggetto possa trascorrere un intero minuto prima che il peso dell'nima cessi di pesare sul corpo".

MacDougall ammise in un saggio che esperimenti simili a quelli da lui condotti, sarebbero dovuti essere ripetuti molte volte, e con gli stessi risultati, per trarre conclusioni positive: "se in futuro sarà possibile provare definitivamente che alla morte degli esseri umani, sistematicamente, si verifica una diminuzione di peso che non sia riconducibile ad altre cause e se, allo stesso modo, non si verificherà una perdita di peso negli animali, così come gli esperimenti finora condotti hanno dimostrato, potremo evidenziare una differenza fisiologicaa tra genere umano ed animale".

"Sono allo stesso modo consapevole che sia necessario compiere un largo numero di esperienti prima che la questione sia accertata al di fuori di ogni possibile errore, ma se nuove e sufficienti sperimentazioni riusciranno a provare che, inconfutabilmente, al decesso di un individuo si verifica una perdita di peso inspiegabile con criteri di piena razionalità, saremo dinanzi all'abbattimento di una barriera conoscitiva con conseguenze inimmaginabili per il nostro modo di vivere e pensare".

Nondimeno, MacDougall, quattro anni dopo l'inizio dei suoi esperimenti, si ritrovò sulle prime pagine di noti quotidiani dell'epoca, avendo iniziato una nuova serie di esperimenti finalizzati a realizzare prove fotografiche dell'esistenza dell'anima: "il Dottore MacDougall di Haverhill, protagonista di una serie di esperimenti per provare l'esistenza dell'anima, in un'intervista espresse i propri dubbi sull'efficacia degli esperimenti condotti con i raggi X dall'Università della Pensilvania al fine di fotografare l'anima umana, poichè i raggi X producono effetti d'ombra sulla pellicola fotografica".

Ad ogni modo il dottore ammise che, secondo i suoi studi, al momento della morte, l'anima divenga tanto inquieta da ridurre l'ostruzione che l'ossatura del cranio offre in condizioni normali ai raggi X e che sia maggiormente visibile sulla lastra come una macchia luminosa sull'ombra delle ossa. Il dottore, attraverso 12 nuovi esperimenti da lui condotti con persone in punto di morte, sostenne che l'anima sia in grado di emettere una fonte luminosa somigliante all'etere interstellare.

MacDougall dichiarò di non aver più compito esperimenti di questo genere dopo il 1911 - e comunque non così rilevanti da poter trovare spazio sulle pagine del NY Times - e risale al 1920 l'anno della sua morte.

A tutt'oggi la sua eredità continua a vivere, tanto che molti studiosi sostengono che l'anima pesi all'incirca 21 grammi: dagli esperimenti di MacDougall di inizio Novecento si giunse alla conclusione che la pedita di peso degli uomini, al momento della morte fosse quantificabile in ¾ di un'oncia, pari, appunto a 21,3 grammi...

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