E la mafia gli spedì piccole bare
di Giulio Signori
[Giorno Padano, 28.01.2003]


MILANO. Era ossessionato dalla solitudine, dall'idea di restare solo con se stesso senza saper cosa dirsi, o forse sapendolo fin troppo bene. Un male antico dal quale ci si illude di guarire stendendosi sul divano dello psicanalista oppure creando attorno a sé una piccola platea di ascoltatori. Era accaduto perfino a Socrate, forse incapace, come Giancarlo Fusco, di dare forma grafica alla parola, e se non fosse stato per un attento ascoltatore come Platone, sapremmo ben poco di quel grande filosofo.
Parlatore fluviale e fascinoso, Giancarlo dava il meglio in quella trentina di righe che scriveva quotidianamente su Il Giorno, quando non aveva bisogno di confessarsi in pubblico, come pare accada in quelle comunità di alcolisti che, sotto la protezione dell'anonimato, tentano di colpevolizzare se stessi, e gli altri come loro, e magari finisce che si rimettono a bere per dimenticare quell'imbarazzante rimorso. Che non ha mai sfiorato Giancarlo Fusco.
Il caro Guido Nozzoli, colto da improvviso spirito di affettuosa fratellanza, si era proposto una missione impossibile, nella quale aveva tentato di coinvolgere me e qualche altro, reclutato in redazione tra i fans di Giancarlo: l'idea era di indurlo a seguirci con il pretesto di qualche avventuroso raid e, invece, consegnarlo a una clinica specializzata in disintossicazioni. Poiché Giancarlo non avrebbe mai consentito a un'operazione del genere, il progetto aveva tutta l'aria di un rapimento; e non era il fatto che avrei dovuto fare da autista, a indurmi a dissentire, ma una considerazione che Nozzoli aveva finito per condividere: togliere la grappa, o qualsiasi altro prodotto alcolico, dalla dieta di Fusco sarebbe stato non meno criminale che togliere il latte materno a un neonato.
E poi, quale Fusco ci sarebbe stato restituito? Un Fusco ragionevole, autore di operine edificanti? No, meglio il «nostro» Fusco litigioso, attaccabrighe, capace di infilare la dentiera nella birra di un rivale geloso di un'antica soubrette delle Folies Bergères, o di impugnare la pistola di Charles Fiori, il suo alter ego in «Duri a Marsiglia», per far uscire gli orchestrali di Anthony sui prati di Lambrate prima che si scoprisse che la Mauser era di plastica.
Il Fusco che aveva irriso al raffinato giornalista che, nella sala stampa del Giro, vergava il suo elzeviro intingendo nel calamaio la penna d'oca: «Guarda questo str..., che si chiama Mosca e muore dalla voglia di chiamarsi New York!». Il Fusco che alla giornalista che si lamentava del suo mestieraccio concludendo che sarebbe stato meglio andare a battere in viale Majno (dove a quei tempi i milanesi andavano a caccia di donne perdute, le più facili da trovare), dopo averla esaminata con attenzione critica, aveva emesso una sentenza senza attenuanti: «Guadagnerebbe molto meno».
Ma sia ben chiaro che, a chi ha avuto la fortuna di lavorare nei suoi dintorni, ripugna questo abuso che si fa di Giancarlo Fusco riducendolo a personaggio folcloristico che diverte molto chi non lo aveva conosciuto. Poco importava che, insieme con un inviato della Rai Tv, avesse dissipato l'anticipo ricevuto per un'inchiesta sulla mafia alla prima tappa verso la Sicilia; l'importante è che avesse colto nel segno, come testimoniavano quei pacchetti che gli arrivavano dall'isola, graziosi soprammobili a forma di bara miniaturizzata.
Era cronista scrupoloso, non ha mai avuto bisogno di inventarsi uno scoop fasullo per arrivare in prima pagina, per la sua estrema sensibilità nel cogliere il lato grottesco e anche drammatico di ogni situazione. Come si capisce da quei raccontini riscoperti e pubblicati da Sellerio: «L'Italia al dente» conferma che, di fronte alla pagina bianca, il sangue di drago che circolava nelle vene di Giancarlo Fusco si stemperava in uno sciroppo troppo annacquato.
Ma chi ha avuto la fortuna di aver vissuto, anche per poco, vicino a lui, riesce a riascoltare la sua voce mentre racconta, con ben altro veleno, gli incontri con D'Annunzio, con il Negus, con quanti erano capitati nella sua orbita di magico affabulatore.

Antonio Montanari


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Pagina 1561. Creata, 23.12.2011. Modificata, 24.12.2011, 15:12