1)
Le forze in campo (Anno 1943, Anno 1944, Anno
1945.
2) La battaglia del Monte Rovaio.
3) L’uccisione del Ten.Marco : una
brutta storia.
5) L’attentato ai
“Cappuccini”
7) L’attentato alla Rocca Ariostesca
9) La triste storia del Tenente Manfrini
11) Le origini del movimento partigiano in Lunigiana e Garfagnana
13) I prigionieri inglesi in Garfagnana
14) L’incubo dei bombardamenti aerei
1) Le forze in campo
Anno 1943
Le prime “bande” che si costituirono pressochè spontaneamente in Garfagnana furono bande di renitenti alla chiamata alle armi.
Esse furono:
I)
- La banda di Campaiana. Si trattava di un gruppo di
studenti del Liceo “Machiavelli” di Lucca che, insieme a un loro professore,
Carlo Del Bianco, fin da settembre 1943 si era portata in quella località del
comune di Villa Collemandina per sfuggire alla
chiamata alle armi. Pur non avendo mai compiuto azioni militari, questa banda
era anche armata. Pare che le armi, solo armi individuali, fossero state
fornite dal Tenente Giusti dei
carabinieri di Castelnuovo, sollecitato in tal senso
da un altro tenente dei carabinieri, Magherini, che
aveva abbandonato il servizio e si era rifugiato a Pontecosi.
Questa banda, probabilmente la prima che ebbe vita in Garfagnana,
fu costantemente aiutata da un gruppo di persone di Castelnuovo,
molte delle quali ritroveremo, poi, in
formazioni partigiani costituitesi successivamente. La vita di questa banda fu
breve e si concluse, probabilmente, allorchè il
gruppo di sostenitori castelnovesi fu arrestato nel
gennaio 1944.
II)
– Gruppo di Castelnuovo. Si tratta del gruppo di cui
si è fatta menzione al n. I). Da varie pubblicazioni si ricavano i nomi di :
Ezio Nari, Giuseppe Guidi, Bruno Valori, Giuseppe Asara,
Oscar Luigi Calani (1), Silvano Lunardi, Sergio
Rossi, Federico De Cesari. La loro attività fu di sostegno alla banda di Campaiana e di preparazione per l’organizzazione del futuro
movimento partigiano. Alcuni di loro militeranno, successivamente, in bande
partigiane operanti nella zona e due di loro (Valori e De Cesari) perderanno la
vita nel 1944.
III)
La “banda” di Borsigliana. Gli elementi di questa
banda, di cui fu autorevole esponente, fungendo da commissario politico, il
maestro Livio Pedri, fu costituita, all’inizio,
semplicemente da renitenti (giovani di leva o ex militari che avrebbero dovuto
ripresentarsi). E all’inizio, secondo la testimonianza dello stesso Pedri, erano anche pressochè
senza armi. Solo nel maggio 1944, come vedremo, si procurarono le prime armi.
IV)
Il gruppo “Valanga”. Anche questo gruppo si organizzò soltanto nella primavera
del 1944. Tuttavia già sul finire del 1943
Leandro Puccetti, che era studente universitario,
cominciò a prendere i primi contatti e a progettare la costituzione del gruppo.
E fu attivo anche nell’aiuto ai prigionieri di guerra fuggiti da un campo di
concentramento del modenese. Fra coloro che beneficiarono del suo aiuto ci fu
il futuro comandante della “Divisione Lunense”, il
maggiore inglese Antony John Oldham,
che lo ripagò rubandogli la fidanzata.
NOTE :
1) - Il Calani, dovendosi recare frequentemente a Lucca a ritirare medicinali per il locale Ospedale, manteneva i contatti con il C.L.N. lucchese e trasportava anche, avventurosamente nascoste, armi per la banda di Campaiana.
Anno 1944
Il 1944 fu l’anno in cui le “bande” si organizzarono , si armarono e cominciarono a compiere azioni offensive nei confronti dei tedeschi e degli appartenente alla R.S.I. Nacquero anche nuove bande e, infine, si tentò di dare una organizzazione unitaria a tutto il movimento partigiano non solo in Garfagnana ma anche nella Lunigiana e nella zona di Massa, Carrara e Sarzana.
Ed ecco le
formazioni e la situazione nella primavera che, con la bella stagione, consentì
una migliore vita in montagna:
1) - La “banda Coli”, poi “banda Tony”. Nell’aprile saliva alla sua Mezzana (frazione del comune
di Careggine) il Dott.Abdenago
Coli, che esercitava la professione medica a Santa Maria del Giudice (LU), e,
qui, dava vita alla formazione di una “banda”, utilizzando giovani renitenti ma
anche tre o quattro ex ufficiali dell’ex Regio Esercito che non si erano
ripresentati alle armi (erano i due fratelli Franchi, Bruno Zerbini e, poco
dopo, il Bertagni di Pieve Fosciana.
Anche i castenuovesi che volevano fare questa scelta
di campo accorsero a Careggine. La banda si armò e si
approvvigionò saccheggiando la casermetta della G.N.R. che si trovava sul Monte
Volsci e alcuni magazzini della Organizzazione Todt. Il Coli, dopo un primo
periodo in cui la comandò personalmente, affidò il comando della banda prima e
per un brevissimo periodo al Ten. Bruno Zerbini, poi al Maggiore inglese Antony John Oldham che aveva
lasciato il Puccetti e il gruppo Valanga per unirsi
alla banda di Careggine. La banda fu una delle più
attive fino allo scioglimento della Divisione Lunense,
nella quale era confluita, a fine novembre. Contava circa 250 o 260
uomini.
2) – La “banda” di Borsigliana. Questa banda, della quale, oltre a gente del luogo, facevano parte elementi di Piazza al Serchio, di Sillano, di Casciana nel comune di Camporgiano e di Roggio nel comune di Vagli Sotto, si organizzò meglio nella primavera (dopo un tentativo fallito di confluire nella formazione di Pippo, alias Manrico Ducceschi) e riuscì ad armarsi recuperando nella caserma dei carabinieri di Piazza al Serchio (con la complicità degli stessi carabinieri) le armi che a fine aprile erano state lanciate dagli americani ma intercettate dalla G.N.R. Erano i primi giorni di maggio. Anche questa banda fu molto attiva ma ebbe pure delle vicende piuttosto torbide (partigiani di questa stessa banda ne uccisero il capo Tenente Marco, al secolo Giorgio Ferro, di Padova). Sopravvisse e continuò ad operare anche dopo lo scioglimento della divisione Lunense. Contava, forse, una cinquantina di uomini.
3)
– La “banda” di Magliano. In aprile o poco prima si
costituì intorno a due ufficiali inglesi fuggiti dai campi di concentramento e
rifugiatisi a Castelletto nel comune di Giuncugnano-Magliano,
che avevano una radio con la quale ottennero dagli americani i primi lanci di
armi. La sua storia è legata, più che alle bande garfagnine,
alla banda della contigua Lunigiana comandata da un certo Marini, detto Diavolo
Nero.
Essa, infatti, finì per operare come distaccamento di
questa banda e si chiamò “Distaccamento Franchi” dal nome di un suo uomo
fucilato dalla G.N.R. Contava circa 40
uomini
4)
– La banda di Minucciano e Gorfigliano.
Si costituì ai primi di Luglio 1944, anche per difendersi dalle continue
scorribande dei partigiani versiliesi e massesi che
venivano a procurarsi cibo. Fu comandata dal maestro Benedetto Filippetti detto Tenente Lupo, che era stato segretario di
Fascio fino al 25 luglio 1943. Essa è
sempre stata computata fra le bande garfagnine, ma
operò in stretto contatto con la banda lunigianese di
Marini. Contava da 40 a 60 uomini.
5) – Il gruppo
“Valanga”. Costituitosi “sulla carta” fin dai primi mesi del 1944, salì in
montagna in aprile o maggio. In giugno contava una trentina di uomini, che
salirono poi a una sessantina con l’arrivo di una trentina di emiliani fuggiti
dalla cosiddetta “Repubblica di Montefiorino” distrutta dai tedeschi a fine
luglio. Anche questo gruppo ricorse al saccheggio dei magazzini Todt per
approvvigionarsi e armarsi. Beneficiò, poi dei lanci americani di armi,
esplosivi, viveri e denaro. A fine agosto subì una pesante sconfitta. Assediato
sul Monte Rovaio dai tedeschi ebbe 19 morti fra cui
il capo Leandro Puccetti e fu disperso. Si riprese a
fatica e a fine settembre passò il fronte e si sciolse. Alcuni elementi
continuarono a combattere nella “Compagnia C” aggregata alle truppe americane
della Divisione “Buffalo”.
6) – La Divisione Garibaldi Lunense.
L’otto di agosto a Regnano, sede della banda Marini, ci fu una riunione
dei rappresentati di tutte le bande garfagnine e lunigianesi per tentare di dare una struttura unitaria a
tutto il movimento partigiano retrostante la linea “Gotica” occidentale.
Malgrado un pesante rastrellamento che interruppe la riunione, la nuova
struttura fu varata. Essa comprendeva tutte le bande garfagnine
e lunigianesi e, in seguito, ebbe l’adesione anche
della Brigata Muccini, che contava 700 uomini e dei
“Patrioti Apuani” capeggiati da un ex frate di nome Pietro Del Giudice, che
contava ben 1100 uomini.
La nuova unità
costituita ebbe la seguente struttura: Si articolò in quattro brigate: la I° fu la Brigata “Garfagnana”
comandata dal Coli, forte di circa 350 uomini, sede Foce di Careggine;
la II° ebbe il
comando a Campocecina, sul crinale delle Apuane fra
la montagna carrarese e la lunigiana. La comandò lo
spezzino Contri ed ebbe 500 uomini ; la III° fu la Brigata “La Spezia”, fu comandata da Marini ed
ebbe sede a Regnano in Lunigiana. Contava 350 uomini ; la IV fu , fu comandata
da Bertolini ed ebbe sede a Comano nel comune di Fivizzano. Contava
300 uomini. C’era, inoltre, una compagnia comando alle dirette dipensenze di Oldham, che aveva
posto la sede del comando di divisione sul Monte Tondo. Con la Brigata Muccini e i Patrioti Apuani, quindi, la divisione contava
circa 3400 uomini.
Ciascuna brigata, poi, era articolata in battaglioni. La brigata Garfagnana ne contava quattro, di circa 80 – 90 uomini
ciascuno.
Il 1° operava nel la parte Nord della valle ed era
comandato da Filippetti. Esso avrebbe dovuto
comprendere anche la banda di Borsigliana che, però,
non accettò mai di buon grado la subordinazione. Gli altri tre erano ubicati
nella zona di Careggine e operavano nella parte sud.
Erano comandati: il 2° dal Ten. Bruno Zerbini, il 3° dal Ten. Giovan Battista Bertagni, il 4°
da un certo Sabatini che pare fosse un sottufficiale.
Malgrado il
tentativo di darsi una organizzazione rigida di tipo militare, però, accadde che
ogni banda mantenne una larghissima autonomia, per la necessità oggettiva di
dare risposte immediate a situazioni di emergenza, cosa che escludeva la
possibilità di poter attendere ordini dall’alto. Tuttavia il comando di Oldham fu riconosciuto da tutti (Solo il “Valanga” non
intese mai di appartenere alla divisione e mantenne la sua autonomia) e le
condanne a morte dei fascisti (ne furono inflitte quasi cento) furono
scrupolosamente eseguite dalle varie bande.
La divisione fu sciolta da Oldham il 28 novembre,
dopo il fallito attacco alle spalle delle truppe della R.S.I. che combattevano
al fronte.
Anno 1945
Con lo scioglimento della “Lunense” si ebbe una lunga pausa invernale ebuona parte dei partigiani garfagnini passò il fronte e si rifugiò dagli alleati anglo-americani. Qualcuno, addirittura, si presentò alle truppe della R.S.I. profittando del perdono concesso ai renitenti che si presentavano e fu arruolato nell’esercito della R.S.I. Alcuni, però, non lo fecero e rimasero nascosti per qualche tempo, dopo di che tornarono ad operare. I gruppi che operarono nel 1945 furono:
1) – La banda di Borsigliana.
Essa, dopo l’uccisione del Ten. Marco avvenuta in settembre, fu sciolta dal
comandante di battaglione Ten. Lupo. Ma, dopo breve tempo, si ricostituì e si
chiamò “Gruppo Arditi Marco”. La comandava un certo Aldo Pedri
detto “Baffo”, che fu catturato e fucilato il 14 aprile, sei giorni prima della
ritirata delle ruppe R.S.I. Il gruppo, comunque, operò fino all’ultimo,
catturando e uccidendo militari isolati.
2) – Il “Distaccamento Dini” Si costituì dopo la pausa invernale nella
sona di Pontardeto (Comune di Pieve Fosciana) ed ebbe uomini che già avevano appartenuto alla
banda di Careggine, specialmente del 3° battaglione
di Bertagni. La sua principale attività consistè nel convincere militari della R.S.I. a disertare e
nell’accompagnarli oltre il fronte, consegnandoli prigionieri nelle mani degli
americani.
3) – La banda di Minucciano-Gorfigliano.
Il Ten. Lupo, che a novembre aveva passato il fronte insieme a quasi tutti gli
uomini della sua banda, nella tarda primavera (ultimi giorni di guerra) rientrò
in Garfagnana e cercò di ricostituire almeno in parte
la banda. Ma fu catturato, si salvò avventurosamente e non fece a tempo a
compiere azioni significative.
2) La
battaglia del Monte Rovaio
Il 27 agosto una pattuglia tedesca, risalendo
da Col di Favilla era giunta all'Alpe di S.Antonio
ove erano accampati i partigiani del Gruppo Valanga. Una sentinella partigiana
che stava a Colle a Panestra, tale Gualtiero
Montanari detto Tarzan, vide o udì la pattuglia e intimò l'alt. Poi sparò e
uccise un ufficiale tedesco, il Fw Rolf Bachmann (1). La pattuglia
si ritirò. Erano le 23,30.
A quel punto era chiaro che la cosa non
sarebbe rimasta senza conseguenze e ci sarebbe stata reazione da parte dei
tedeschi. Si è discusso molto su ciò che può essere accaduto in quelle ore. E’
evidente che i partigiani si saranno posti il problema di cosa fare.
Pare, fra l'altro, che fossero assenti sia in
comandante Leandro Puccetti che il vice De Maria.
Avrebbero potuto abbandonare la zona e
rifugiarsi in altro luogo.
Oppure rimanere e attendere gli eventi. Ed è
ciò che fecero. Ma come maturò questa decisione ? Qualcuno ha ipotizzato che
l'imperizia militare abbia fatto ritenere di poter sostenere l'assalto dei tedeschi.
Ma i 36 emiliani fuggiti da Montefiorino una certa esperienza dovevano averla.
Altri, anche su testimonianza di alcuni sopravvissuti, sostengono che la
decisione di rimanere fu presa consapevolmente per non lasciare nelle peste la
popolazione civile su cui i tedeschi, non trovando i partigiani, avrebbero
potuto sfogare la loro rabbia. Probabilmente c'è del vero in ciascuna della due
ipotesi. La figura del comandante Puccetti, giovane
idealista, e la testimonianza dei superstiti depone a favore della seconda
ipotesi. Valiensi sostiene questa verità con molto
calore, sostenendo che il Gruppo Valanga si adoperò sempre per evitare danni
alle popolazioni. Ma il fatto che il
gruppo si
fosse attestato sul monte
Rovaio, facilmente circondabile e, quindi,
praticamente senza possibilità di sganciamento, sembra avvalorare anche la
prima ipotesi e che essi ritenessero di poter resistere all'attacco tedesco.
Forse il recente lancio di armi e munizioni li fece sentire più forti di quanto
non fossero. Avrebbero, forse, potuto accettare il combattimento e, quindi,
scagionare la popolazione, stando in posizione più favorevole e garantendosi
delle sicure vie di fuga ?
Non è facile dirlo e, comunque, si tratta,
forse, ormai, di congetture oziose.
Il giorno 28 trascorse tranquillo e Puccetti, rientrato verso le 16, approvò la decisione presa
di rimanere sul posto per evitare guai ai civili. Dopo il ritorno all'Alpe, in
località Trescala (ritorno avvenuto dopo i fatti di
Pania del 13 luglio) Puccetti aveva fatto costruire
quattro postazioni per mitragliatrici sul Monte Rovaio,
che è un massiccio isolato a sud della valle della Turrite e a nord del Monte Piglionico. La postazione A era al centro della cresta del
monte, la B (del Bovaio) all'estremità ovest, la C
era al di sotto della A, nel versante sud (verso il Piglionico)
e la D, quella "del Gesù", all'estremità est, sopra Colle a Panestra.
Fu nelle prime ore del 29 , esattamente alle
3,20, che si scatenò l'attacco tedesco (secondo alcuni erano presenti anche
truppe della R.S.I. ma la notizia non è documentata. Valiensi,
comunque, afferma di aver visto truppe italiane in divisa grigioverde,
probabilmente militi della G.N.R., che attaccarono in una zona scoperta e che
furono costrette a ritirarsi). L'attacco avvenne sia da nord (i tedeschi
risalirono dalla valle della Turrite Secca sottostante) che da sud (dalle
pendici del monte Piglionico ove erano giunti anche
provenendo da Col di Favilla).
Una parte degli uomini del Valanga (forse una
cinquantina) si era arroccata sulle quattro postazioni, armati la A e la D con Bren e Breda e dieci bombe a mano, la B e la C con la Breda
e 10 bombe a mano. Bren e Breda avevano 1000 colpi
ciascuno e ogni uomo aveva lo Sten. Pare che alcuni
uomini del gruppo, definiti poi "volponi", non salissero sul Rovaio. Essi trovarono modo di allontanarsi e di sottrarsi
al combattimento.
I primi proiettili di una mitragliera da 20 mm
giunsero dalla parte di Col di Favilla, in un paesaggio spettrale illuminato
dai "bengala". Poi entrarono in funzione altre due mitragliere dalla
parte opposta. Infine, all'alba, cominciò anche il fuoco di almeno un mortaio. Trescala e la postazione B resistettero poco più di
mezz'ora poi gli uomini salirono sulla cresta del monte.
La situazione della postazione C, più bassa,
si fece presto critica e anche gli uomini di questa postazione si ritirarono
sulla vetta del monte. Qui, disposti a piccoli gruppi, facendo fuoco con i
fucili mitragliatori Bren, con le mitragliatrici
Breda da 6,5 mm e lanciando bombe a mano, i partigiani si difesero strenuamente
per alcune ore. Ma il monte era bersagliato con mortai (pare non si trattasse
di veri e propri mortai bensì di piccoli lanciabombe) e i tedeschi, sia pur
lentamente, continuavano a salire e a stringere il cerchio. Gli uomini
continuavano a cadere ad uno ad uno e, a un certo punto, i tedeschi raggiunsero
la cresta dopo aver distrutto la postazione D. Allora fu chiaro che non era più
possibile resistere.
Erano circa le ore 10 quando Puccetti lanciò
il "si salvi chi può" e i pochi superstiti cercarono si attraversare
l'accerchiamento tedesco buttandosi in un canalone scosceso sul lato nord e
nascondendosi fra i cespugli. Molti morirono durante la fuga (mentre si
gettavano nel canalone erano sotto il fuoco delle mitragliere), uno, Sassi
Renzo, pare si sia ucciso, un altro, Olivieri Rubino,
fu catturato e, pare, fucilato, ma di lui non si seppe più nulla. Tuttavia qualcuno si salvò. Il Puccetti
fu fra questi, ma aveva una grossa ferita all'addome. Un partigiano che si era
salvato con lui raggiunse un paese vicino e chiese aiuto. Alcuni uomini (o
forse alcune donne) andarono, raccolsero il Puccetti
(ma era rimasto 36 ore nascosto in una grotta) e lo portarono in una località
presso Sassi detta "Taso", poi, sotto falso
nome (Pietro Marinari) e falsa diagnosi (peritonite generalizzata da probabile
perforazione appendicolare), lo portarono all'Ospedale di Castelnuovo.
Ma non fu possibile salvarlo e il 3 settembre morì.
Il bilancio fu terribile. I morti partigiani
furono 18 più il Puccetti, circa un terzo del gruppo
(2). Dei 19 caduti 9 appartenevano al gruppo degli emiliani, 3 erano
meridionali e
7 lucchesi.
Tutti si erano battuti con molto coraggio. E molti furono i feriti.
Non sono note le perdite tedesche ma pare che
qualcuno abbia visto diversi caduti portati a valle dai commilitoni mentre
alcuni abitanti della zona assicurano che non ebbero perdite. La verità,
probabilmente, sta nel mezzo.
Fu questo l'episodio più sanguinoso e il
combattimento più impegnativo sostenuto dai partigiani in Garfagnana.
E il gruppo "Valanga" visse un momento di grande sbandamento. A
fatica il già vice-comandante del gruppo, Mario De Maria, riuscì a riunire a Vergemoli alcuni superstiti. Comunque il gruppo continuò ad
esistere e ad operare.
NOTE
1)
Ci sono incertezze su questo nome. Il Guidi, infatti, (op.cit.pag
122) riporta il nome Bachmann basandosi sul fatto che
nel Comune di Molazzana risulta la morte di questo
tedesco in località Alpe di S.Antonio e in data
27.8.44. Valiensi, però, assicura di aver letto sul
piastrino e sui documenti del tedesco morto il nome Hotzmann.
(2)
Ecco il nome dei caduti: Puccetti Leandro di Gallicano (LU), Bruni Ettore di
Castelfranco Emilia, Sassi Renzo di Modena, Bergamini
Edoardo di Bomporto (MO), Bertoni Mario di Molazzana (LU), Borro Giovanni di Barrafranca (Enna), Borsi Remo di Malalbergo (BO), Bucci Sergio di Roma, Cipriani
Pasquale di Vergemoli (LU), Davini
Mario di S.Maria del Giudice (LU), Francesco detto il
Napoletano di Albanova (Caserta), Lorenzoni
Renato di Anzola d'Emilia (BO), Olivieri
Rubino di Zocca (MO), Pierantoni Walter da Bologna, Pieroni Lauro di Molazzana (LU), Puccetti Gabriele di Gallicano (LU), Rusticelli
Aldo di S.Giovanni in Persiceto (BO), Tognoli Ferruccio di Malalbergo
(BO), Venturelli Mario di Molazzana
(LU).
3) L’uccisione del Ten. Marco : una brutta storia.
Ai primi di settembre alcuni tedeschi
acquartierati in località Gambarotta contattarono i
partigiani tramite la maestra Satti che faceva scuola
nella vicina Borsigliana e manifestarono l'intenzione
di disertare e di unirsi ai partigiani stessi. Fu fissato un appuntamento in
località Bozzone, ove i tedeschi si sarebbero
consegnati ai partigiani. Ma era una trappola. Giunti all'appuntamento i
tedeschi catturarono i partigiani che erano intervenuti, fra cui un certo Pio Pedri. Pare che, a questo punto, i tedeschi abbiano preso
contatto con i parenti del Pedri promettendo la
liberazione dei partigiani arrestati in cambio dell'uccisione del Tenente Marco
(nome di battaglia), che era un giovane ufficiale di 22 anni nato a Padova e
residente a Mestre di nome Giorgio Ferro e che era a capo della formazione.(1)
Evidentemente l'accordo fu fatto e il 17 settembre Vittorio Pedri
e Piero Landucci uccisero a colpi di pistola, all'Alpe
di Borsigliana, il povero Ferro e un suo amico di
nome Carlo Ceccato. I tedeschi, informati, dovettero
essere accompagnati a vedere il corpo
degli uccisi e tutto questo traffico fece svanire la possibilità di attribuire
ai tedeschi stessi la morte dei due, come era nelle intenzioni.
Così stando le cose i due omicidi fuggirono a
nord con i tedeschi.
Il Ten. Lupo (Benedetto Filippetti), in qualità di comandante del 1ª Battaglione ordinò ad Aldo Pedri, fratello di Vittorio, di consegnare i due, ma la cosa non fu possibile per quanto detto sopra. Allora la banda di Borsigliana fu formalmente sciolta. In realtà i partigiani che la componevano rimasero "alla macchia" e, dopo poco tempo, la banda fu ricostituita col nome di Gruppo Arditi "Marco" e ne assunse il comando Aldo Pedri (Baffo) insieme ad uno studente di Metello, Franco Mondini.
I tedeschi, intanto, avevano liberato i
partigiani catturati ad eccezione di Pio Pedri e
Giuseppe Landucci, che erano stati catturati armati.
Tuttavia i due non verranno uccisi, come era destino di coloro che venivano
catturati armati. Il Landucci riuscirà a fuggire
mentre il Pedri verrà condotto in Germania da dove
ritornerà a guerra finita.
Vittorio Pedri
(l'istigatore) e Piero Landucci (l'esecutore
materiale) verranno processati nel 1946 per doppio omicidio e condannati a 26
anni di reclusione dal Tribunale di Lucca. Ne sconteranno nove, poi saranno
amnistiati. Questo episodio fece molta impressione e gettò molto discredito
sulla banda di Borsigliana e sul movimento partigiano
in genere.
NOTE:
(1)
Non è chiaro se Giorgio Ferro sia giunto a capeggiare la banda di Borsigliana perché inviato appositamente da qualcuno,
oppure se sia giunto sulle orme dell’amico Ceccato
che era impiegato della Soc.Montecatini a Gramolazzo e che, dopo aver appartenuto a un gruppuscolo
costituitosi a Gorfigliano, passò nella banda di Borsigliana prima che vi giungesse il Ferro. Sembra, però,
che i partigiani di Borsigliana questo Ferro non lo
abbiano mai accettato di buon grado.
Il mese di Febbraio si apre con un fatto estremamente
doloroso: il giorno 1 nei pressi di Cogna, nel comune
di Piazza al Serchio, nel luogo stesso dove il giorno
28 gennaio era stato ucciso in un vile agguato l'alpino Grigoli
di 19 anni,vengono fucilate sei persone dagli alpini dello stesso reparto
del Grigoli.
5) L'attentato ai "Cappuccini"
Ed ecco che il 22
settembre partigiani del 2ª e del 3ª Btg
della Brigata "Garfagnana"
compirono una azione clamorosa contro il presidio di Castelnuovo della Brigata Nera, che era
acquartierata nel Convento dei Cappuccini, su un colle sovrastante
il paese. Essi si avvicinarono furtivamente e sferrarono un
attacco improvviso gettando bombe e sparando raffiche di mitra
attraverso le finestre. I brigatisti, colti di sorpresa mentre
erano riuniti per la mensa, non fecero a tempo a reagire prima che
i partigiani, compiuto l'agguato, si allontanassero. Non ci
furono morti (1), ma pare rimanessero feriti una donna, Ada Satti, cognata del Ten.Ricci
Aurelio, che era il comandante del 1ª plotone della 2ª Squadra, e
due uomini : Alfredo Donati e Turri Silla,
il comandante del 3ª Plotone della 2ª Squadra (il 23 ne assunse
il comando il Ten. Curzio Vivarelli).
NOTE:
(1) Piero Sebastiani, ne LA MIA
GUERRA CON LA 36° B.N. descrive la scena in modo
molto drammatico e parla di “raccogliere i caduti e aiutare i feriti”
(pag.63), ma
(2) Pare che il Valori, il giorno 22, avesse tentato,
insieme a Poli e Bertoni, di liberare un altro partigiano, il Berni,
detenuto a Castiglione. La cosa non riuscì.
Sulla via del ritorno attaccarono un camion tedesco ma ci fu una reazione
che li costrinse alla fuga. Al Valori la fuga non riuscì e fu catturato.
7) L'attentato alla Rocca Ariostesca
Il 20 agosto i partigiani misero in atto una azione
piuttosto clamorosa: un attentato nella sala del consiglio del Comune di Castelnuovo.
Fra le vicende della guerra civile, quelle che maggiormente crearono orrore furono le uccisioni di numerosi civili fascisti, disarmati e indifesi, prelevati nelle loro abitazioni e uccisi a sangue freddo con un colpo alla nuca. Nei mesi precedenti c'erano già state alcune uccisioni, ma quella che si verifica in questo mese di Ottobre per concludersi nel mese successivo è una strage sistematica operata freddamente dai partigiani di Oldham, su suo comando.
Come ho detto
si trattava di civili disarmati, alcuni dei quali avevano ricoperto la carica
di segretario di
Fascio repubblicano ma che, nella quasi
totalità dei casi, non avevano mai svolto nessun tipo di attività
antipartigiana. E che, proprio per questa loro coscienza tranquilla, non
avevano ritenuto di ritirarsi a nord, pensando di non aver nulla da temere ed
essendo ormai rassegnati, probabilmente, alla sconfitta. Questo fu loro fatale.
Prelevati quasi tutti nelle loro case, furono
portati poco lontano e uccisi senza pietà con un colpo alla nuca. Salvo, poi,
tornare dai familiari e, fingendo di voler portare indumenti ed altro al
congiunto prelevato e dichiarato "prigioniero al comando", depredare
di tutto le povere famiglie. In alcuni casi (vedi, ad es., quello di Santarini Silvio di Camporgiano,
alla cui casa si presentarono con dei grossi sacchi entro cui, rovesciando pari
pari il contenuto dei cassetti, misero tutto quello
che trovarono, compresa biancheria e indumenti femminili, lasciando così quella
moglie e quei quattro figli non solo privi
del marito e del padre, ma spogliati di tutto) non si scomodarono
neppure a inventare scuse. Depredarono e basta. Ed ecco nomi, residenza, luogo
e data della morte:
1) Nutini
Ing.Giovan Battista di Camporgiano.
Aveva 50 anni, era ingegnere e impresario e lavorava per l'Organizzazione TODT.
Fu prelevato dai partigiani, condotto sul
Monte Tondo e qui ucciso il 6.10.44. Nel carteggio Carloni
(DOCUMENTI..di O.Guidi pag.108) si parla del recupero
delle salme dell’Ing.Nutini e del suo segretario
(forse il Fiori?) e si dice che “entrambi sono mutilati”. Il fratello
dell'Ingegnere, Avv. Michele, denunciò i responsabili e ne seguì un
processo con molto clamore ma nessuno fu condannato (VEDI
NOTIZIE IN PROPOSITO)
2) Mannaioli
Giuseppe di Varliano. Fu catturato a Magliano, condotto sul Monte Tondo e qui ucciso il 7.10.44.
Era un civile di 40 anni, non aveva cariche, era persona mite e tranquilla.
Dopo anni di attesa, la moglie era finalmente incinta. Ma la figlia che nacque
non poté conoscere il padre.
3) Fiori Giuseppe di Magliano.
Era un civile di 40 anni. Fu prelevato dai partigiani, condotto sul Monte Tondo
e ucciso lo stesso giorno 7.10.44 in località Boscaccio.
4) Pellegrinetti
Settimo di Minucciano. Era Segretario di Fascio.
Già combattente nella guerra 1915/18 con gli arditi, in A.O.I.
col Btg. CC.NN. “Intrepido”, in Grecia, era impiegato
comunale e aveva 45 anni. Fu prelevato in casa, condotto nelle selve di Ugliancaldo e qui ucciso con un colpo alla nuca il 10.10.44
insieme al suo cane.
5) Bartolomei
Marcello di Sillicagnana. Era un civile di 28 anni.
Fu prelevato dai partigiani emiliani, condotto a Civago
e qui ucciso il 13.10.44.
6) Santarini Silvio di Camporgiano.
Era un civile di 61 anni. Era Ufficiale di Posta. Fu catturato nella casa di Casatico, dove era sfollato con la famiglia (moglie e quattro
figli), casa che fu totalmente depredata, alla presenza dei figli terrorizzati.
Fu condotto nei pressi di Casciana, in loc. Gualcola e qui
ucciso il 14.10.44.
7) Del Taglia Alfredo, Segretario di Fascio di
Gorfigliano, aveva 52 anni. Fu prelevato dai
partigiani e condotto a Foce di Careggine dove fu
ucciso il 15.10.44.
8) Casotti Marino di Gorfigliano.
Era un civile di 20 anni. Era stato arruolato nella X°
MAS. Fu prelevato dai partigiani il 13, condotto a Roggio
e qui ucciso il 16.10.44.
9) Paladini Orlando (Albano) di Gorfigliano. Civile di 19 anni che, pure, aveva militato
nella R.S.I. Prelevato il 13 dai partigiani col Casotti, fu condotto a Roggio e qui ucciso il 16.10.44 alle ore 19,30. Pare che
questi due giovani siano stati uccisi perché accusati, ingiustamente, di aver
compiuto un attentato nel quale rimase ferito il partigiano Pancetti.
10)
Bartolomasi Marino, Segretario di Fascio di Camporgiano. Era un uomo di 42 anni, mite, claudicante per
un lieve handicap. Prelevato a Roccalberti dove era
sfollato, fu condotto presso Casciana in loc.Vetricia e qui ucciso il 17.10.44.
11)
Davini Primo, Segretario di Fascio di Metra, di anni 49. Fu chiamato a Regnano presso il comando
partigiano una prima volta e rilasciato perché senza colpe. Chiamato una
seconda volta, egli ingenuamente andò di nuovo, fidando nella sua innocenza. Ma
questa volta i partigiani di Marini (comandante della 3° Brigata) lo condussero
in un vallone presso Regnano e lo uccisero il 17.10.44.
12)
Coltelli Domenico, Segretario di Fascio di Vagli Sotto, di anni 55. Fu
prelevato dai partigiani, condotto a
Foce di Careggine e qui ucciso il 22.10.44.
13)
Grandini Saulle di Poggio, anni 55. Aveva fatto parte
di un osservatorio antiaereo della GNR. Si recò spontaneamente a Foce di Careggine al comando partigiano, per ottenere il
promessogli pagamento di una vitella prelevatagli dagli stessi partigiani. Ma,
qui giunto, fu catturato e ucciso il 7.11.44.
14)
Bianchi Dr.Fedele.
Capitano medico in congedo, era il medico condotto di Careggine
e aveva 41 anni. Il 2 o 3 novembre fu prelevato in casa dai partigiani , che lo
invitarono a seguirli per curare un ferito. Condotto a Foce di Careggine, fu arrestato e chiuso in un porcile col Grandini
ed altri. Il 7.11.44 fu ucciso.
15)
Contadini Aristide, Segretario di Fascio di Careggine,
fu prelevato, condotto a Foce di Careggine e qui
ucciso il 7.11.44 alle ore 15 circa.
16)
Diamantini Francesco, Segretario di Fascio di Giuncugnano,
di 41 anni. Preoccupato per le feroci uccisioni avvenute nel suo comune, si
trasferì a
Cascianella dove lavorava da falegname. Qui un
partigiano lo invitò a Roggio ove avrebbe conferito
col Maggiore Oldham. Egli vi si recò spontaneamente
per chiarire la sua posizione. Pare che Oldham avesse
deciso di non ucciderlo, ma furono i partigiani di Magliano,
suoi compaesani, che chiesero la sua morte. E così a Roggio
fu ucciso il 12.11.44.
17)
Pierotti Oscar Ugo Silla vulgo
Francesco, civile di Castelnuovo di 38 anni. Fu
prelevato dai partigiani, condotto nei pressi di Cerretoli
e qui ucciso il 15 novembre 1944.
18)
Vincenti Ferdinando, maestro, ex ufficiale della M.V.S.N.
e della G.N.R., aveva 29 anni ed era di Canigiano.
Pare che i partigiani emiliani di Civago (comandante "Bixio")
gli avessero già estorto parecchio denaro, cosicché quando fu di nuovo chiamato
a Civago, vi si recò pensando che gli sarebbe stato
richiesto altro denaro. Invece questa volta, pare fosse nel mese di novembre
1944 (nell'atto di morte redatto dopo la guerra, al ritrovamento del cadavere,
si parla di una data imprecisata dell'anno 1944), fu ucciso.
A questi morti possiamo aggiungere il nome di
un altro garfagnino, Biagioni
Luigi di 22 anni, sergente della contraerea (FLAC), caduto a Bassano del Grappa
il 7 ottobre. (7) Ed anche quello di Gori Alessandro,
guardia forestale nato a Bibbiena ma coniugato a Sillano, sua residenza abituale, che il 21 ottobre fu
prelevato nella caserma di Magnago (UD) dove prestava
servizio da partigiani del luogo e ucciso nei pressi.
Se a questi si aggiungono quelli uccisi prima
e quelli che verranno uccisi dopo, si raggiunge la cifra di 52 uccisi. E',
questo, il tributo pagato alla guerra civile da quei garfagnini
che si erano schierati con la Repubblica Sociale Italiana. O, almeno, quelli
che abbiamo potuto accertare.
Come si vede non furono uccise donne.(Ne verrà
uccisa una a guerra finita.) Alle donne fasciste o presunte tali perché
fidanzate o sorelle di militari della R.S.I. venne riservato un trattamento
meno feroce. Esse furono “tosate”, furono, cioè, tagliati loro i capelli.
Queste “missioni” partigiane, che non richiedevano certo molto coraggio, furono
duramente stigmatizzate dalla gente.