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7.2 Rocce carsificabili

P. Forti, "Il carsismo nei gessi con particolare riguardo a quelli dell'Emilia Romagna", Speleologia Emiliana, N. 2 (1991) p. 11-36
F.Forti, "La scala della carsificabilita`", Progressione N. 24 1990 p. 8-9.

La formazione delle rocce calcaree va dal Mesozioco (65-230 milioni d'anni) fino al Paleozoico (230-400 milioni d'anni). Le grotte formatesi in queste rocce hanno un'eta` di pochi milioni d'anni.

7.2.1 Calcari

I calcari sono rocce costituite per la maggior parte da carbonato di calcio, talora con altri componenti, ad esempio argille (si parla allora di marne o calcari marnosi), o sabbie quarzose (calcari arenacei), o silice in forma microcristallina (calcari silicei che evolvono per maggior tenore di silice in silexiti [spongoliti, radiolariti, diatomiti]).

Il carsismo si esplica perlopiù sui granelli di carbonato di calcio, ovvero quelli più solubili in acqua acida. Le impurezze rimangono come residuo insolubile e possono concentrarsi in accumuli locali che sono poi soggetti ad altri tipi di fenomeni: o di erosione meccanica (per correnti acquee) o di accumulo (ad esempio con la formazione di suoli particolari, ricchi di argille, silice, alluminio, ferro - si parla in tal caso di terre rosse generate in condizioni di clima caldo-umido, talora con spessori di parecchi metri).

Considerando i componenti granulari dei calcari, distinguiamo tre parti:

  1. i resti scheletrici (detti bioclasti) degli organismi che secernono carbonato di calcio
  2. i granelli più fini, di origine anche qui organica - si parla di matrice;
  3. cristalli di calcite generata dall'estrazione di carbonato di calcio dalle soluzioni saline che permeano la roccia - si chiama cemento.
In genere i calcari come aspetto si presentano molto compatti e densi; questa caratteristica è dovuta all'abbondantissimo cemento che in molti casi costituisce la maggioranza volumetrica del calcare stesso. Nel caso dei calcari la cementazione è il fattore essenziale che permette la trasformazione dall'originario sedimento sciolto (privo di qualsiasi coesione) in roccia compatta. Il processo di trasformazione viene detto diagenesi ed avviene dal momento stesso della deposizione dei grani di carbonato fino a milioni di anni più tardi, quando il calcare è sepolto in profondità a temperature e pressioni elevate.

La diagenesi più avanzata sfuma poi nel fenomeno del metamorfismo, con la trasformazione dei calcari in marmi (vedi più sopra), fenomeno che avviene in modo graduale per cui è spesso difficile porre una precisa separazione tra rocce sedimentarie e rocce metamorfiche. Il fenomeno della cementazione è certo il processo che più di ogni altro distingue i calcari dalle altre rocce sedimentarie; molto spesso i calcari presentano una diagenesi complicata, polifasica, per la cui ricostruzione si richiedono sofisticate metodologie di laboratorio, non sempre di facile uso. La cementazione trasforma i calcari in rocce molto compatte soggette a fratturarsi in modo diffuso e pertanto le rocce risultanti sono suscettibili di attacco chimico-fisico, accentuando il processo carsico.

Cerchiamo adesso di riassumere l'evoluzione dei calcari: all'origine i sedimenti carbonatici sono ricchi di vuoti. La proprietà della roccia di possedere vuoti si chiama porosità. Questa porosità iniziale può aggirarsi sul 60-70%, in pratica un sedimento iniziale è più vuoto che pieno.
Lungo tutti questi vuoti l'acqua ricca di anidride carbonica (CO2) penetra in abbondanza, asportando localmente la calcite e ridepositandola sotto forma di cemento. Questo processo diagenetico trasforma il sedimento incoerente in compatta roccia calcarea che sarà poi soggetta a subire deformazioni nel momento della formazione delle montagne.
In questa fase la roccia molto rigida può subire una forte fratturazione con discontinuità distribuite dappertutto. Queste discontinuità diventano pertanto vie preferenziali per tutte le acque che fluiscono nel sottosuolo. Lungo le discontinuità se l'acqua è ricca di CO2, avviene una dissoluzione del carbonato di calcio ed è allora che può iniziare il processo carsico.

7.2.2 Dolomie

Sono rocce costituite da carbonato doppio di calcio e magnesio (minerale dolomite). La genesi di queste rocce è particolarmente complessa; i testi di sedimentologia più accreditati e recenti contemplano anche 8 diversi tipi di formazione! Noi, per questioni di semplicità distinguiamo esclusivamente due tipi di genesi:

  1. dolomie deposte direttamente in origine, perlopiù in ambienti marini marginali a forte evaporazione (lagune, stagni in disseccamento, zone acquitrinose prospicenti aree desertiche);
  2. dolomie derivanti da originali calcari per sostituzione dell'originaria calcite (sostituzione molecola per molecola) da parte di soluzioni acquose ricche in magnesio che percolano nei sedimenti che si vanno depositando al fondo di bacini marini, in condizioni di temperature e pressioni elevate.
Molto spesso, in condizioni di diagenesi avanzata, i calcari si trasformano in dolomie pressochè pure, modificando la loro originaria configurazione intracristallina e tessiturale (ad esempio si formano granuli di dolomite con forme rombiche ben definite e di diametro abbastanza elevato). La transizione da calcite a dolomite comporta la formazione di un minerale con struttura cristallina pił compatta, fatto questo che si traduce in una variazione di densità; la roccia trasformata subisce una marcata riduzione di volume, pur mantenendo i limiti spaziali del calcare originario; questo fatto si traduce nella formazione regolare ed uniforme di numerosi piccoli vuoti detti vacuoli. La riduzione risultante di volume è notevole (fino al 30 %).

Rispetto ai calcari le dolomie si contraddistinguono per una particolare tessitura, detta saccaroide, che significa simile a zucchero: in effetti le dolomie assomigliano ad accumuli di minuti cristallini di zucchero, con i cristalli ben formati ricchi di facce levigate che brillano di luce vitrea.
Rispetto ai calcari le dolomie risultano ancora più rigide per cui molto spesso tendono a frantumarsi in frammenti centimetrici alquanto angolosi (si parla di microlitoni).
A questo va aggiunto il fatto che le dolomie sono molto meno solubili rispetto ai calcari, per cui l'entità del carsismo è in genere trascurabile.

Normalmente lungo le pareti dolomitiche si osservano grottoni e nicchioni molto svasati, spesso in corrispondenza di allineamenti di condottine (vedi capitolo successivo) impostate su fratture ed associate a veli acquei trasudanti dalla roccia e facilmente colonizzate da particolari specie pioniere algali che contribuiscono con le loro secrezioni acide all'attacco chimico della roccia (l'aspetto tipico è quello di lunghe strisciate oscure sulle rocce strapiombanti). Questa sembra essere la manifestazione carsica più saliente, almeno in superficie.

Invece in profondità l'attacco chimico pare molto modesto se non irrilevante; l'acqua tende al limite ad allargare le fratture per asportazione meccanica dei detriti. Esistono comunque eccezioni a queste regole, si presume legate all'azione di acque calde, termali ricche di CO2 (ed altri acidi ?); l'effetto risultante è la formazione di grandi complessi ipogei lunghi molti Km (Grotta della Bigonda, in Val Sugana-Trentino, con oltre 17 Km di sviluppo...).

In alcuni casi esistono cavità che si aprono in alternanze di calcari e dolomie e qui non esistono sostanziali differenze passando da una roccia all'altra. Un caso particolare di azione carsica sembra essere legato alla presenza di minerali sulfurei dispersi nella roccia, non tanto dolomitica quanto argillosa.

Molto spesso le dolomie non sono isolate, ma associate a vicine sequenze di argille nere, ricche di carbonio organico e sostanze solforate liberate dalla putrefazione degli antichi organismi sepolti nelle argille dei fondali marini poco ossigenati. In questo caso lo zolfo preso in carico dall'acqua che percola nella roccia tende a combinarsi con altre sostanze generando composti corrosivi (idrogeno solforato, acido solfidrico, acido solforico). Questo legame inoltre produce calore con conseguente riscaldamento dell'acqua; tale acqua calda, associata alle sostanze disciolte può allora attaccare la roccia dolomitica, esaltandone la solubilità.
Un caso lombardo che sembra suggerire un meccanismo di questo tipo è offerto dalle cavità che si aprono appena sopra Tremezzo, sul Lago di Como. Queste grotte occupano un'intera dorsale rocciosa costituita da dolomie ascritte alla cosiddetta formazione della Dolomia Principale, vecchia di ca.220 milioni di anni. Poco a Nord di questa dorsale affiora una spessa successione di argille nere fetide (formazione delle Argille di Riva di Solto) che sicuramente contengono materiale sulfureo.
Lo zolfo, dilavato da queste argille potrebbe allora essere stato responsabile per l'attacco chimico delle dolomie che in effetti presentano spiccate morfologie carsiche, con grandi gallerie scavate in condizioni freatiche (vedi capitolo successivo) e ragguardevole sviluppo (cavitą con oltre 500 m di sviluppo).

Anche il Varesotto offre un caso enigmatico che può forse essere inquadrato in un contesto del tipo appena citato; si tratta della Grotta di Fontana Marella, poco a Nord del Monte Tre Crocette (Massiccio del Campo dei Fiori). La grotta è sicuramente un relitto di un sistema (?) freatico molto antico, e si apre nella formazione della Dolomia Principale. Poco a Nord dell'ingresso, su un ripido pendio in discesa, affiorano le marne della Formazione del Pizzella, che potrebbero contenere materiale solforoso. Per quel che ne sappiamo, a tutt'oggi non esistono studi specifici sull'argomento - pertanto vi proponiamo qui l'interessante enigma, come stimolo per considerare il carsismo come un fenomeno ben più vasto di quello che comunemente viene enunciato ...

Un metodo abbastanza sicuro per distinguere la dolomia dal calcare è affidato al semplice riconoscimento chimico; basta avere con sé una boccetta contenente una soluzione acquosa molto diluita di acido cloridrico (HCl al 5%). In questo caso il calcare, al contatto di poche gocce di HCl, produce una spiccata effervescenza legata alla liberazione di anidride carbonica; la dolomia, al contrario, non produce tale effetto.

7.2.3 Gessi

Rocce composte essenzialmente da solfato di calcio, con o senza acqua (minerali rispettivamente gesso o anidrite). Rispetto alle rocce carbonatiche quelle gessose sono molto meno abbondanti, per quanto diffuse. Sono caratterizzate da aspetto generalmente macrocristallino (grandi cristalli dalle facce a lucentezza vitrea) e si presentano in livelli di spessore variabile, quasi mai puri, ma associati ad intercalazioni di argille, depositate in origine in zone a forte evaporazione, spesso sul fondo di lagune o stagni in via di disseccamento.

La stretta associazione tra gessi ed argille spiega la mostruosa abbondanza del fango nelle cavità in evaporiti, con coltri anche decimetriche che rivestono il fondo delle gallerie. Un esempio potrebbe essere offerto dalle gallerie della Optimistitscheskaja Pescera (Ucraina-Ex URSS) dove la coltre di fango al suolo raggiunge anche i 40 cm di spessore...

La caratteristica carsica più importante dei gessi è la loro solubilità, molto più marcata che nei carbonati. Di conseguenza ogni affioramento gessoso od anidritico è soggetto a fenomeni di dissoluzione molto spinti, con la formazione di morfologie molto tormentate. Le rocce gessose sono molto fragili e durante i processi naturali che generano le catene montuose sono utilizzate come materiale plastico su cui possono scorrere ingentissime masse rocciose; questo fatto spiega l'intensissima fratturazione dei gessi nelle catene montuose; l'Italia non fa certo eccezione a questo proposito, con la formazione di carsi discontinui, talora molto limitati arealmente (ad esempio nel settore alpino).
Un esempio caratteristico è la cosiddetta Vena del Gesso estesa per parecchi Km nella zona di raccordo tra l'Appennino Emiliano e la Pianura Padana; qui si concentrano tutte le cavità in gessi più estese d'Italia. Citiamo il Complesso della Spinola, alle porte di Bologna, con ca. 10 Km di sviluppo.

Per quanto riguarda la Lombardia, citiamo il settore dell'Oltrepò Pavese, con il Bus di Camerà (800 m di sviluppo), spesso con l'ingresso chiuso da frane legate a colate fangose (!).

Un caso particolare che illustra le manifestazioni carsiche in lembi talora minuscoli di gessi è quello offerto dalla zona della media ValSassina (Lecco), appena a Sud dell'abitato di Barzio. Qui, sulla destra idrografica del torrente che scende dai Piani di Artavaggio affiorano dei sedimenti argilloso-evaporitici depositatesi in antiche lagune del periodo geologico del Triassico medio (ca. 230 milioni di anni fa). In particolare si riconoscono dei candidi gessi disposti in sottilissimi straterelli di 1-2 cm intervallati a pellicole ocracee di argilla. La disposizione degli strati è localmente contorta, ma per ca. 200 m, proprio lungo il torrente, si mantiene regolare, pendente verso il rio. A contatto con l'acqua si osservano spettacolari forme di erosione e corrosione, con lame semitaglienti di gesso che sporgono dai livelli non erosi di argilla. Più all'interno riconosciamo montarozzi interessati da profondi avvallamenti che non sono altro che microdoline (!) estese per appena 3-4 m. Sul torrente è noto un minibuco soffiante (una crepa) che non è mai stato allargato. Appena a Nord di questo buchetto, si osservano delle sorgentelle minuscole con microcondotte circolari di 10-20 cm impostate sugli straterelli di gesso. Da ciò si vede che un intero campionario di forme carsiche, superficiali e profonde, è impostato in un fazzoletto di terreno esteso su un rettangolo di 150 X 300 m, esempio significativo dell'intensità del carsismo in zone gessose.
A rendere la cosa ancor più interessante, aggiungiamo che questa area era sconosciuta pure ai più agguerriti studiosi di carsismo dell'area (!); anno della segnalazione : 1985 (!).

Nel Varesotto non si conoscono manifestazioni gessose.

7.2.4 Salgemma

Come nel caso del gesso, questa roccia appare in natura con un aspetto particolare che ricorda molto il ghiaccio: un ammasso omogeneo di cristallini vitrei, ammasso talora solcato da striature grigie od ocracee che rappresentano originari livelletti di argille intercalati nella massa salina in via di accumulo.

Una caratteristica particolare del salgemma è il suo basso peso specifico, rispetto alla maggioranza delle altre rocce. Mano a mano che gli accumuli di salgemma vengono seppelliti nel profondo del sottosuolo, cresce il contrasto di densità tra il sale ed i sedimenti circostanti, per cui si innescano delle spinte di galleggiamento. Si arriva pertanto ad una profondità tale per cui il salgemma tende ad invertire il seppellimento e cerca di risalire, perforando la coltre dei sedimenti estranei depositati sopra il sale.
Si originano in tal modo delle strutture particolari dette diapiri (dal greco antico: diapeìro perforo) di forma colonnare od addirittura fungiforme, con dimensioni molto variabili, ma in genere dell'ordine di alcuni Km. Nel momento in cui tali diapiri affiorano in superficie, il sale, per via della sua estrema solubilità è sottoposto ad intensi fenomeni carsici. Come si può facilmente immaginare la coltre salina, sottoposta ad abbondanti precipitazioni, tenderebbe ad essere smantellata in breve tempo; di conseguenza i carsi salini evolvono in tempi brevi e possono conservarsi solo in zone a clima arido:

Presumibilmente l'attività di deformazione del sale, attività connessa all'alimentazione continua del diapiro dal profondo presenta due effetti:

Esempi tipici di carsi salini sono presenti nei paesi del Maghreb, in Iran, Israele. Alcune grandi cavità in sale sono state individuate in Romania. Per quanto riguarda l'Italia. l'unica cavità salina conosciuta si apre all'interno di una miniera di salgemma in Sicilia (area di Caltanissetta).

A titolo dimostrativo, citiamo qui il carso presente nel diapiro del Monte Sedom, sulla sponda occidentale del Mar Morto (Israele). La sommità del Monte Sedom è sotto il livello del mare! Nel complesso l'area si configura come una serie di montarozzi che sono l'espressione superficiale di un grosso diapiro, esteso in senso N/S. In superficie il sale non affiora direttamente, ma è invece ricoperto a una coltre metrica del cosiddetto caprock (letteralmente: roccia di copertura) che rappresenta un orizzonte formato da argille e calcari molto cariati smembrati dalla spinta del diapiro sottostante. I residui insolubili presenti all'interno della massa del salgemma vengono espulsi alla sommità del diapiro e qui subiscono massicci fenomeni di deformazione ed attacco da parte dei fluidi presenti nei sedimenti; questo spiega l'aspetto estremamente sfatticcio e polveroso (sembra una sorta di polvere lunare) del caprock. Attenzione a camminarvi sopra, poichè questa coltre sottile e friabile può cedere sotto i piedi, mettendo a nudo grandi pozzi di sprofondamento (profondi fino a 80 m) aperti nella massa compatta del sale. Alla base di questi pozzi partono spettacolari e suggestivi meandri suborizzontali, dai profili molto irregolari. In molti casi le gallerie presentano un soffitto curiosamente piatto che contrasta in modo assoluto con la disposizione degli strati di sale che, strizzati al nucleo della massa diapirica, appaiono del tutto verticali. L'evoluzione di tali gallerie è veramente curiosa.
Come cavità più lunga del Monte Sedom ricordiamo l'ICRC Cave: oltre 5 km di sviluppo, esempio ragguardevole della dimensione assunta dal carsismo pure in terreni non molto diffusi sulla superficie terrestre.



http://geocities.com/marco_corvi/caving/m_index.htm
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