“Siamo in Iraq per spargervi i semi della democrazia in modo che possano germogliare e propagarsi in tutta la regione dove regna l'autoritarismo"!

Così Georg W. Bush! Un momento di sincerità tra tante falsità. Un'oasi di schiettezza in un deserto di menzogne.E' vero.  I missionari della democrazia hanno invaso l'Iraq di sementi transgeniche, hanno distrutto l'inestimabile tesoro iracheno, la Banca Nazionale delle Sementi che raccoglieva la ricchezza di varietà cerealicole di oltre ottomila anni! L'agricoltura familiare tradizionale è scomaprsa. In compenso gli agricoltori sono diventati vassalli delle multinazionali! Leggete  per credere. Leggere e diffondere perché le menzogne dell'impero non ci seppelliscano in un diluvio di ignoranza.

 

 

 

“Siamo in Iraq per spargervi i semi della democrazia in modo che possano germogliare e propagarsi in tutta la regione dove regna l’autoritarismo”.  (George W. Bush)

 L’IRAQ E I “SEMI DELLA DEMOCRAZIA” DI WASHIGTON

 

Quando George W. Bush parla di “semi della democrazia” pochi sono quelli che pensano alle sementi della Monsanto. A seguito dell’oc­cupazione da parte degli Stati Uniti nel marzo 2003 e nonostante le elezioni all’inizio di quest’anno, il Pentagono controlla totalmente l’eco­nomia irachena. Nel maggio del 2003, Paul Bremer III era stato incaricato, col titolo di “am­ministratore”, di dirigere la Coalition Provisio­nal Authority (Cpa). Ex funzionario del Diparti­mento di Stato preposto alla lotta contro il terro­rismo, era diventato direttore dell’ influente so­cietà di consulenza “Kissinger Associates” del­l’ex segretario di Stato Henry Kissinger.

Alla testa della Cpa, Bremer si affrettò a pro­mulgare una serie di decreti (orders) per gover­nare l’Iraq, che all’epoca non aveva Costituzio­ne né governo legalmente costituito. Questi de­creti (in tutto 100) sono entrati in vigore nell’a­prile 2004. Uno di questi stabilisce che nessun governo eletto li potrà modificare. Essi garantiscono che l’economia dell’Iraq sarà riformata sul modello economico neoliberale statunitense.

In un mese Bremer ha imposto cambiamenti economici più drastici che il Fondo monetario in­ternazionale nel corso di tre decenni in America Latina. Joseph Stiglitz, ex economista capo della Banca Mondiale insignito del Premio Nobel ha definito le riforme di Bremer “una terapia di choc ancor più radicale di quella somministrata a suo tempo dai sovietici”. Il primo provvedimento di Bremer fu licenziare 500mila funzionari di Stato, a cominciare dai soldati, ma anche medici, infer­mieri, insegnanti, editori e tipografi. In seguito aprì le frontiere alle importazioni senza diritti di dogana, tasse o controlli. Due settimane dopo il suo arrivo a Bagdad, nel maggio 2003, dichiarò cinicamente che l’Iraq era “aperto agli affari”: non precisò di quali affari si trattasse, ma fu subi­to evidente. Prima dell’invasione l’economia non legata al petrolio era dominata da circa 200 socie­tà di Stato che fabbricavano i prodotti più svariati: cemento, carta, detersivi ecc. Nel giugno del 2003 Bremer annunziò che queste aziende sarebbero state immediatamente privatizzate perché era “essenziale per la ripresa dell’economia”. Il decreto 37 ridusse l’imposta sulle società dal 40% al 15%. Senza le entrate fiscali, lo Stato non sarebbe stato capace di assumere nessun ruolo; il decreto 39 autorizzava le società stra­niere a far uscire dal paese il 100% dei profitti realizzati in Iraq. Non erano tenuti a reinvestir­li e non dovevano pagare tasse.

 

IL DECRETO 81

La Cpa definiva in maniera esplicita l’im­portanza legale dei 100 decreti. Non c’era al­cun dubbio sul loro carattere vincolante. So­no “istruzioni o direttive obbliganti per gli ira­cheni, il cui non rispetto implica conseguenze penali o hanno un effetto diretto sulla maniera in cui gli iracheni sono organizzati, compreso sulle modifiche delle leggi irachene”. In altre parole, si diceva agli iracheni: “Obbedite o morite!”. La legge degli occupanti era onni­potente. Ben nascosto fra questi decreti c’era il n° 81 su “i brevetti, il disegno industriale, le informazioni segrete, i circuiti integrati e le varietà delle piante”- Nel testo figurava “la protezione delle varietà delle piante”: “È vie­tato agli agricoltori riutilizzare le sementi del­le varietà protette menzionate all’art. 14”. Questo vuol dire chiaramente che i detentori di brevetti su certe varietà di piante, le grandi multinazionali hanno dei diritti assoluti sull’uso delle loro sementi nell’agricoltura ira­chena per 20 anni. Le varietà protette sono le piante geneticamente modificate (ogm) e l’a­gricoltore iracheno che sceglie di utilizzare queste sementi deve firmare con la società de­tentrice del brevetto un accordo con cui si im­pegna a pagare dei diritti (“tassa tecnologica” e licenza annuale). Se conserva una parte di queste sementi per riutilizzarle l’anno seguen­te, si espone al pagamento di una pesante mul­ta al produttore di sementi. Gli agricoltori di­ventano vassalli delle multinazionali.

 

DISTRUZIONE DI UN INESTIMABILE TESORO IRACHENO

L’Iraq fa parte della Mesopotamia, culla della civiltà, dove la fertile valle tra il Tigri e l’Eufrate offriva condizioni ideali per la cul­tura dei cereali. Da circa 8mila anni prima di Cristo, gli agricoltori vi avevano sviluppato numerose varietà di sementi per quasi tutti i cereali coltivati oggi nel mondo. Avevano usato un metodo che consisteva nel conserva­re una parte delle sementi e riseminarle, creando così nuovi ibridi. Negli anni, gli ira­cheni avevano conservato campioni di queste varietà naturali in una Banca nazionale delle sementi, situata - ironia della sorte - a Abu Ghraib, città dove si trova la prigione triste­mente famosa per le torture inflitte ai detenu­ti dai militari statunitensi nel 2004. In seguito all’occupazione e ai bombardamenti, questa inestimabile banca di sementi è scomparsa.

I consiglieri di Bremer al Pentagono ave­vano numerosi progetti per il futuro alimenta­re dell’Iraq. L’agricoltura doveva essere “mo­dernizzata”, industrializzata. L’agricoltura familiare tradizionale doveva scomparire a vantaggio di grandi produttori di tipo ameri­cano che producono per il “mercato mondia­le”. La sussistenza degli iracheni affamati era un obiettivo accessorio. Redatto in un lin­guaggio giuridico complicato, il decreto 81 rimetteva l’avvenire alimentare dell’Iraq nel­le mani delle multinazionali. Secondo fonti di Washington, i dettagli che concernono le piante sono state redatti per il governo dalla società Monsanto, la più importante fornitri­ce di sementi e cereali transgenici.

 

LE NUOVE SEMENTI

All’inizio, poteva sembrare che solo le sementi acquistate dagli agricoltori iracheni presso le multinazionali sarebbero state oggetto del nuovo decreto. Ma la realtà era mol­to diversa. L’Iraq diventava un gigantesco la­boratorio per lo sviluppo di alimenti sotto il controllo dei giganti delle sementi transgeniche e della chimica come Monsanto, Du-Pont e Dow Chemicas.

Prima della guerra del 2003 gli agricoltori iracheni avevano subito non solo l’embargo angloamericano sul materiale agricolo, ma an­che tre anni di siccità che avevano considere­volmente danneggiato i raccolti. L’agricoltura era devastata e nel 2003 la produzione dei ce­reali rappresentava meno della metà di ciò che era prima della prima guerra americano-irache­na del 1990. Fino al 2003 una grande parte della popolazione dipendeva dal programma “OiI for food” dell’Onu per sopravvivere.

L’Agenzia americana per lo sviluppo in­ternazionale (Usaid) ha adottato dopo il 2003 un Programma di sviluppo e di ricostruzione dell’agricoltura in Iraq per trasformare l’a­gricoltura tradizionale nel nome della “mo­dernizzazione” della produzione alimentare irachena. Washington ha rimpiazzato l’Onu nel ruolo di fornitore di cibo.

L’obbiettivo dichiarato del decreto 81 era garantire la qualità delle sementi in Iraq e fa­cilitare l’ingresso del paese nell’Organizza­zione mondiale del commercio (Omc). La “qualità” era definita naturalmente dagli Usa e l’ “ingresso nell’Omc” significava che l’I­raq doveva aprire i mercati agli interessi in­dustriali e finanziari del “club dei ricchi”.

Dopo la pubblicazione del decreto 81, l’U­said cominciò a fornire migliaia di tonnellate di sementi americane di grano col certificato di “qualità superiore”. Esse furono distribuite quasi gratuitamente dal Ministero dell’agri­coltura ai disperati coltivatori iracheni. L’U­said si oppose all’esame delle sementi da par­te di scienziati indipendenti per sapere se fos­sero o no ogm. Se così fosse stato, entro una o due stagioni gli agricoltori avrebbero dovuto pagare i diritti di licenza ai produttori di sementi per sopravvivere.

 

CHE MANGINO... PASTA!

Col programma Usaid, il Dipartimento di Stato ha creato nel nord dell’Iraq 54 siti desti­nati a introdurre sementi di grano migliorate.

Questo progetto di 107 milioni di dollari è sta­to portato avanti a nome del governo statuni­tense dal Texas A&M University’s Internatio­nal Agricolture Office. Il programma agricolo Texas A&M si definisce “capo fila mondial­mente riconosciuto in materia di applicazione delle biotecnologie”, vale a dire di ogm. Que­ste nuove sementi si accompagnano a nuovi prodotti chimici, pesticidi, diserbanti, batteri­cidi - tutti venduti agli iracheni da Monsanto, Cargill e Dow Chimicals.

Secondo un rapporto pubblicato dal Bu­sinnes Journal di Phoenix, “una società agroalimentare dell’Arizona distribuisce ai coltivatori iracheni sementi di grano per accrescere la produzione locale di cibo”. Que­sta compagnia si chiama World Wide Wheat Company (Wwwc) e, in collaborazione con tre Università, tra cui Texas A&M, “fornisce 1000 libbre (kg. 453.5) di sementi di grano destinate ai contadini iracheni del nord di Bagdad”. Secondo Seedquest, un sito internet dell’industria mondiale delle sementi, la Wwwc è leader nello sviluppo di varietà bre­vettate, proprio quelle varietà di ogm di cui parla il decreto 81. Secondo la Wwwc, ogni agricoltore (“cliente”) che vuole coltivare una di queste sementi “paga un diritto di licenza per ogni varietà”. L’Iraq otterrà un gi­gantesco laboratorio live per effettuare espe­rimenti di grano transgenico, di cui gli irache­ni saranno le cavie. Inoltre “sei varietà di sementi di grano sono state sviluppate in vista dell’esperienza irachena: tre saranno destina­te al grano che serve a fabbricare pasta e le al­tre tre al grano dal quale si produce una fari­na per il pane”. Ciò vuol dire che il 50% del­le sementi sviluppate dagli Usa in Iraq dopo il 2004 è destinato all’esportazione. Infatti gli iracheni non mangiano pasta. Quindi piuttosto che produrre cibo per i 25 milioni di iracheni affamati, il decreto 81 voleva creare un’industria agroalimentare destinata all’esportazione mondiale utilizzando le sementi transgeniche. L’obbiettivo dell’Usaìd è tene­re il governo iracheno fuori dalla produzione alimentare. “L’idea è di creare qui un merca­to totalmente libero”, ha dichiarato Doug Pool, specialista in materia di agricoltura del Bureau dell’Usaid per la ricostruzione dell’I­raq. L’Usaid vuole “aiutare” il governo a sop­primere progressivamente gli aiuti all’agricol­tura, “Le società di Stato come la Mesopota­mia Seed Co. devono essere privatizzate”. Non ha precisato chi avrebbe fondi sufficienti in questo Paese indebolito dalla guerra per comprare una tale società. Soltanto i giganti dell’ agroalimentare come Monsanto o Cargill sarebbero sufficientemente ricchi per farlo.

 

CONTROLLANDO LE SEMENTI SI CONTROLLA IL CIBO

Per facilitare l’introduzione delle sementi transgeniche brevettate dalle multinazionali, Sawsan Ali Magid al-Sharifi, ministro irache­no dell’agricoltura, le ha distribuite a un “prezzo sovvenzionato”. Poiché gli agricol­tori dipendono dalle sementi transgeniche, le nuove regole di protezione delle varietà di piante del decreto 81 li costringono a com­prare ogni anno nuove sementi presso le mul­tinazionali. Col pretesto di instaurare un e­conomia dì mercato, si assoggettano i conta­dini iracheni ai giganti produttori di sementi.

In un intervista del dicembre 2004, lo stes­so ministro - che ha studiato negli Stati Uniti - ha dichiarato: “Abbiamo bisogno di agricol­tori iracheni competitivi, perciò abbiamo de­ciso di sovvenzionare i pesticidi, i concimi, le sementi migliorate ecc. Abbiamo ridotto le al­tre sovvenzioni ma dobbiamo essere compe­titivi”. In altre parole i fondi concessi ai con­tadini iracheni impoveriti sono condizionati all’acquisto delle sementi transgeniche presso le multinazionali come Monsanto.

Nella primavera del 2004, quando il decre­to 81 fu promulgato, i discepoli dell’imam sciita radicale Moqtada al Sadr protestarono con­tro la chiusura del loro giornale, al Hawza, da parte della polizia militare Usa. La Cpa accusa­va il giornale d’aver pubblicato “articoli men­zogneri che potevano costituire una minaccia reale di violenze”. Essa ne menzionò per esem­pio uno in cui si affermava che Bremer “condu­ceva una politica mirante a ridurre alla fame il popolo iracheno, il quale, totalmente occupato a procurarsi il pane quotidiano, non avrebbe al­cuna chance per esigere libertà politiche e indi­viduali”.

F. William Engdahl     (Missione Oggi – n. 8 Ottobre 2005)

© Horinzons et débats

* F. William Engdahl è nato nel 1944 e cresciuto fra i pozzi di petrolio nel Texas. Ha studiato ingegneria e giurisprudenza a Princeton (NJ) i ha compiuto ricerche sulle relazioni internazionali a Stoccolma. Vive in Germania.

 

 

 

Le Multinazionali delle Sementi Transgeniche

Solo cinque imprese multinazionali sono padroni della totalità delle sementi transgeniche coltivat, e commercializzate al mondo: Monsanto, Syngenta (Novartis e Astra Zecal). Bayer (Aventis), Dupont (Pioneer Hi Bred) e Dow. La Monsanto detiene il 90% di questo mercato. Le sue azioni sono cadute dai 51 dollari del 1999 ai 25 attuali. I suoi prodotti hanno incontrato una forte resistenza da parte dei consumatori a causa degli alti rischi per le salute e l’ambiente, soprattutto in Europa e Giappone. Non ha potuto quasi uscire da mercati protetti che ha negli Stati Uniti, Canada e Argentina dove i produttori non possono scegliere perché hanno contratti che li sottomettono alle imprese di sementi.

Negli stessi Paesi, responsabili del 96% della produzione mondiale di ogm, le statistiche mostrano che la soia transgenica ha minore produttività e ha bisogno di una maggiore quantità di erbicidi. Il mais transgenico insetticida Bt ha ottenuto un lieve incremento di produzione (lo 0,6% negli Usa) che non compensa però il costo perché le sementi transgeniche sono più care di quelle tradizionali. Il mais e il cotone insetticida Bt hanno generato una forte resistenza alle calamità che dicono di combattere, diminuendo così i pochi vantaggi ottenuti nei primi anni e stimolando l’uso di altri prodotti chimici.