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DI TERRE E DI ACQUE

Gli opifici idraulici del territorio di Gruaro


LA SEGA DI GIAI

La presenza di ampie distese boschive, entro e a ridosso dei territori un tempo possesso feudale degli abati sestensi, fu certamente uno dei motivi per cui sorse questo antico ed importante opificio idraulico, la cui posizione risente peraltro anche del passaggio di una strada di grande comunicazione ed ovviamente di un corso d’acqua quale il fiume Reghena.

La prima notizia che abbiamo sulla Sega di Giai risale al 18 settembre 1435, ed è la rinuncia di Stefano Calefario, a favore del fratello Giovanni di Martino da Bagnara, a gestire la Sega posta sul fiume Reghena con l’assenso dell’abate di Sesto Tommaso Savioli. In un documento di poco successivo, datato 15 agosto 1443, fu il nuovo abate commendatario cardinale Pietro Barbo (il futuro Papa Paolo II), ad investire i nobili Falcomario e Raffaele Panigai di una posta da sega nelle pertinenze di Giai, "...super aqua Regine infra suos confines ad pheudum ministeriale monasteri..." in cambio di un livello annuale di 5 libbre di pepe e 2 capponi. Notiamo immediatamente che allora la struttura era posta nella giurisdizione di Sesto, come si evince dalla lettura del documento sopraccitato: "...posta sece edificande in pertinentijs ville Gaij apud flumen Regine districtus monasteri sextensis...". Tuttavia tale appartenenza sembra contraddetta dalle successive testimonianze: un documento del 1506 ci parla di un Michele da Giai abitante nel mulino della Sega, nel distretto di Meduna (giurisdizione a cui apparteneva la villa di Cinto); da quel momento in poi le fonti che nominano l’opificio lo situano nelle pertinenze di Cinto. In mancanza di più precisi riscontri non siamo in grado di definire con certezza se sia avvenuto un passaggio di giurisdizione, né fino a quando la proprietà dell’immobile rimase degli abati.

Grazie alla richiesta di rinnovo dell’investitura rivolta dal proprietario del mulino Annibale Tasca ai Provveditori sopra i Beni Inculti della Repubblica nel 1684, possiamo ricavare altre notizie su quel sito. La famiglia Tasca lo aveva acquisito fin dal 1545 quando la Sega era fornita di "...una roda da molini et una da siega..."; già prima del 1608 però si era verificato un incremento della struttura dotata di ben otto ruote da macinare, una mola da guar ed un maglio da mazolar lino. La medesima consistenza rimarrà pressoché inalterata anche nel secolo XVIII; nel 1740 si contavano "...rode n° 8 da macinar, una da sega, una da pilla, una da folo, una da guar...", ed era ancora nelle mani dei Tasca, i quali possedevano anche l’antico mulino di Stalis. Infine, nel 1804 risultano ancora essere otto le ruote mosse dal Rieghena in Giai della Sega con pestei e siega del N.H. Papafava di Portogruaro, famiglia erede della fortuna dei Tasca.

L’impianto per il taglio del legname fu abbandonato poco prima di metà ‘800, mentre la macina dei grani proseguì ininterrottamente e tuttora sussiste, anche se la forza motrice non è più fornita dall’acqua bensì dall’energia elettrica.