LE TRADIZIONI

Diverse le considerazioni filosofiche sulla tradizione. Riteniamo che la più accreditata sia quella aristotelica che, in questa eredità culturale, eliminati gli aspetti mistici, vede l'affermazione della verità. In campo sociologico, la tradizione si pone come "la sacra catena che lega gli uomini al passato e che conserva e trasmette tutto ciò che è stato fatto da coloro che l'hanno preceduto".
A Grimaldi, in quest'ultimo periodo, grazie all'interessamento dell'Amministrazione comunale, della Pro-loco, del Centro anziani, dell'Associazione nazionale carabinieri e della rinnovata partecipazione della chiesa, si avverte il bisogno di far rivivere il passato, attraverso manifestazioni che offrono ai giovani la possibilità di prendere coscienza della nostra storia che, pur se segnata dal bisogno, creava occasioni d'incontro, di stare insieme, tradizione che, comunque, non è venuta mai meno nei momenti di dolore. Quando una famiglia veniva colpita da un lutto le donne vestivano in gramaglie e le più anziane si coprivano la testa "ccuru maccaturu" in nero e il periodo d'indossarlo era in stretto rapporto con l'età del morto: se giovane doveva. essere ricordato, soprattutto dalla madre o dalla moglie, per molto tempo. Questo copricapo spesso era causa dì sordità, ma l'esternazione del dolore era più forte di qualsiasi precauzione. Per sette giorni non si accendeva il fuoco e non si preparavano cibi: i vicini, a turno, si facevano carico di portare pietanze (u recunzulu) e si preoccupavano di dar cibo agli animali domestici. Gli uomini si lasciavano crescere la barba, cravatta nera e, sulla giacca una piccola striscia di drappo nero, più grande, veniva sistemata sulla porta di casa. Discorso diverso per le nascite, soprattutto se maschio (Figlia fimmina e mala nuttata) l'orgoglio maggiore era del padre che, in allegria, con parenti, amici e conoscenti brindava, facendo il giro delle cantine. Particolare attenzione era riservata alla puerpera: le vicine non le facevano mancare la gallina bollita, perché il latte potesse "scendere" copioso nelle mammelle.
Tra le tradizioni abbiamo inteso parlare per primo di quelle che riguardano fatti luttuosi, in considerazione che la morte dà un senso alla vita (Il solo pensiero della morte ci aiuta a vivere. Ugo Foscolo) e, soprattutto, in tali tristi avvenimenti, si misura il grado di partecipazione che una comunità sa manifestare nei riguardi di chi viene deprivato dall'affetto di un caro (aru matrimonio dev'essere mmitatu, aru luttu si obbligatu).
Durante i festeggiamenti in onore dei Santi si organizzavano diverse manifestazioni popolari: "u tiru ara corda, e pignate, a corsa ccuri sacchi, a corsa di ciucci, chiddra du cucchiaru ccu l'ovu e supra, u gaddru, a ntinna. Quest'ultima, l'albero della cuccagna, richiamava molte persone che si misuravano a salire sulla lunga trave spalmata di grasso e, se raggiunta la sommità, la dura faticata veniva ricompensata con pane, pasta, formaggio e soppressate e, in periodo di guerra, erano "trofei" molto ambiti. La gara veniva accompagnata dalle urla, dai battimani, dai fischi degli spettatori, i quali "tifavano per i partecipanti del proprio rione. A Sant’Antonio, dai possessori di mandrie, venivano offerti un agnello e le ricotte e, nelle famiglie dove si uccideva il maiale un pentolino (pignateddru) pieno di grasso e un pezzo di guanciale (bujiulu). Oggi, è rimasto solo il pane benedetto di Sant'Antonio che molte persone offrono per devozione e i panini con ricotta e guanciale che la Chiesa offre a quanti li richiedono. Il 13 giugno, al mattino, il sagrato del Convento era animato dal mugghio dei buoi, in gran numero scendevano dalla montagna, guidati dai bovari per essere benedetti e al centro delle corna essi avevano sistemato una moneta, chi più, chi meno, in base alle possibilità, da offrire al Santo che aveva vegliato sui compagni di lavoro.
Nella vigilia della festa dell'Immacolata e del santo Natale, in ogni rione viene acceso un falò (u focaru), in seguo di devozione e di allegria, facendo rivivere la tradizione greco- romana del culto del fuoco. In passato, intorno ad esso, si ballava al suono dell'organetto, sorseggiando il buon vino Savuto e gustando i caldi "cuddrureddri". Nelle case, dove esiste il focolare, il fuoco viene sistemato dal padre di famiglia con tanti pezzi di legno quanti sono i componenti; il più grande è il suo e a scalare sino al ceppo più piccolo per il minore del figli. Brucia tutta la nottata e si deve spegnere da solo. Nei cuori la speranza e gli auguri che il prossimo anno possa essere ricomposto con lo stesso numero di ceppi. Se mai auguratamente viene a mancare il capo famiglia, per la durata del lutto, il fuoco non si ricompone. Il ceppo (u zuccu) è stato sempre considerato come simbolo della famiglia e, in passato, lo spasimante per manifestare il suo amore ne deponeva uno, davanti la porta della casa della bella. Se veniva portato dentro la sua proposta era bene accetta, in caso contrario significava un netto rifiuto. Dopo Natale si cantava la strenna: "strina strineddra chi me soli fare u bonu Capudanno e ru Natale". Gruppi di giovani, accompagnandosi "curu zuchi zuchi" esprimevano voti augurali per tutti i componenti della famiglia e dopo aver cantato si apriva loro la porta e si offrivano i dolci natalizi: "grispeddre, turdiddri, scaliddre e chianuliddre e ... quannu u gaddru scotula re pinne, lassamu a bonasira e ijamu ninne". La vigilia dell'Epifania, spento il fuoco, si appendeva una calza "supra a chiancareddra" e, al mattino, ci svegliavamo presto, ansiosi di vedere i doni della dolce cara Befana. Anche se il tutto si riduceva a tre o quattro arance e poche "crucette ", eravamo lo stesso contenti, pur che non erano presenti cenere e carbone. Gli animali domestici ricevevano particolari cure, soprattutto gli asini le cui mangiatoie venivano riempite di biada e fieno in abbondanza, per non dar loro la possibilità di sparlare, in questa notte fatata, dei padroni.
Nei tre giorni di Carnevale, accanto "are purpette", la serata clou si aveva quando il nonno (u nannu) veniva trasportato per le vie del paese. Un uomo, di solito alticcio, sistemato in una bara, alla domanda "cchi cce lassi a? rispondeva, quasi sempre in tono ironico mettendo in rilievo piccoli difetti. Nessuno poteva offender si, perché "A Carnevale ogni scherzo vale". Questa Tradizione affonda le sue radici in tempi lontani, durante il periodo romano quando si celebravano i festeggiamenti in onore del dio Saturno: la bara, come segno di morte, stava ad indicare che dalla morte nasce la vita, come avi viene con il risveglio della natura nell'incipiente primavera. Le tradizioni pasquali riflettono il modo di rapportarsi delle comunità con la passione morte e resurrezione del Cristo. Il primo venerdì di Quaresima si prepara "u graniceddru", che il Giovedì Santo sarà utilizzato per preparare il Sepolcro di Cristo. La Domenica delle Palme facevano bella mostra di sé "i viscianti"' finemente addobbati con appesi dolci di ogni tipo, soprattutto i uncinetti". Venerdì Santo, mute le campane, si diffondeva nell'aria il suono cupo "de troccule e de valestre", strumenti di cui bambini e ragazzi andavano orgogliosi.
Per noi bambini, la Domenica dì Resurrezione era oltremodo attesa: la mamma, a mezzogiorno, per augurio, preparava una bella frittata di uova con salsicce.
Con il tramonto della civiltà contadina molte tradizioni sono scomparse: a mannata" di carne di maiale resa famosa dall'impareggiabile penna di Antonio De Marco nella poesia "Cumpari Micu e Cumpari Carru" e la distribuzione ai vicini "da pitta" (focaccia), come segno di stima e d'affetto, anche se il tutto, a turno, veniva restituito. Rivive ancora la Tradizione "du cottu", piatto squisito preparato con carne di capra, d'agnello o di pecora, delizia per i buongustai. Gustiamo anche noi la genuinità di certe Tradizioni che davano alle classi subalterne la possibilità di sentirsi protagonisti e non intendiamo impelagarci nella dibattuta questione che manca nella tradizione "la distinzione tra presente e passato, tra sé e gli altri: il che fa di essa una forma di comunicazione primitiva e impropria".