C’è un altro piccolo passeriforme che ha abitudini e stile di vita analogo alla capinera, pur appartenendo ad un’altra famiglia:

Anch’esso è legato ad ambienti boschivi, infatti il suo habitat caratteristico sono i boschi maturi, con abbondanti cespugli ed arbusti;

Anch’esso è fortemente territoriale e non ammette l’intrusione di suoi simili nel proprio territorio;

Anch’esso si adatta a vivere in parchi e giardini nelle aree urbane, soprattutto nel periodo invernale, quando, oltre a quelli già presente nel nostro paese, ne scendono a svernare in Italia molti dall’Europa settentrionale. Il suo, tra l’altro, è uno dei pochi canti, se non l’unico, che si può udire anche nelle gelide giornate d’inverno:

Si tratta del pettirosso (Erithacus rubecula).

È quasi superfluo descriverlo, tanto è noto: il dorso è di un colore bruno olivastro ed il ventre bianco con una chiazza color vermiglio sul petto e la faccia. Macchia che ha generato numerose leggende, la più nota delle quali vuole che sia stata prodotta dal sangue del Redentore crocifisso, cui il piccolo uccello, mosso a compassione, aveva cercato di alleviare la pena della coronazione di spine, ma che, in realtà, costituisce un segnale di avvertimento per i propri simili. Non c’è dimorfismo sessuale, cioè i maschi e le femmine hanno esattamente lo stesso colore. Le dimensioni sono inferiori a quelle di un passero, anche in inverno, quando il piumaggio si infittisce ed il pettirosso assume il tipico aspetto “paffuto”.

Attraversando un bosco in qualsiasi stagione è possibile sentire il richiamo del pettirosso, che può suonare come un “tic” ripetuto spesso, oppure può suonare come un “trrr-trrr” o un “territ-territ”;   il canto, invece, che è tipico soltanto della stagione riproduttiva, è un cinguettio tintillante ed è diverso in primavera ed in autunno.

 

Ascolta il canto del pettirosso X

 

In ogni modo entrambi, insieme alla macchia rossa sul petto, servono per segnalare, sia in maniera sonora che visiva, la presenza di un individuo ai propri simili: il pettirosso è, infatti, fortemente territoriale e vive solo per quasi tutto l’anno, esclusi i periodi riproduttivi. Tanto è vero che il nome latino del pettirosso, cioè Erithacus rubecula, significa appunto “uccellino rosso solitario”. Gli intrusi vengono scacciati con minacce sonore e visive (cioè l’ostentazione del petto vermiglio). Qualora un individuo entri nel territorio di un altro, il proprietario gonfia il petto per far apparire più grossa la macchia rosso-arancio, scuote ali e coda, oscilla da una zampa all’altra ed emette una frase del suo canto. Se ciò non è sufficiente, il “padrone di casa” si avvicina agli “invasori” progressivamente, aumentando l’intensità delle proprie manifestazioni. Se anche così l’intruso non accenna ad andarsene, allora il “padrone di casa” passa alle vie di fatto e lo aggredisce. Normalmente, in natura, dopo una breve zuffa l’intruso viene scacciato e se ne va senza riportare grossi danni, ma gli etologi hanno verificato l’aggressività del pettirosso anche con un fantoccio che ne riproducesse le fattezze (soprattutto la chiazza rossa sul petto), il quale, però, proprio perché era un fantoccio non poteva andarsene: è stato letteralmente fatto a pezzi da pettirosso proprietario del territorio “invaso”.

Quando, però, arriva il periodo degli amori il pettirosso diventa più dolce e socievole, almeno con la sua compagna (gli altri individui sono sempre intrusi che vanno scacciati più brutalmente di prima!) e le offre doni sotto forma di bocconcini di cibo. Per le coppie stanziali il primo periodo in cui iniziano a difendere un territorio comune (grande all’incirca quanto un quarto di un campo da calcio) è alla fine dell’inverno. Con l’arrivo di marzo il maschio inizia ad imbeccare la femmina con bocconcini di cibo particolarmente sostanziosi, perché accumuli riserve di grasso sufficienti per la produzione delle uova ed il periodo della cova. Solitamente vengono effettuate due covate all’anno. Eccezionalmente, in annate particolarmente favorevoli può essere deposta anche una terza covata.

Il nido è una piccola coppa di steli intrecciati, imbottito di foglie, radichette muschio o peli, solitamente posto in una piccola cavità vicino al suolo. Se questa è la posizione standard per collocare il proprio nido, è anche vero che gli stereotipi di comfort e sicurezza per il pettirosso sono estremamente variabili, per non dire “creativi”. I nidi vengono costruiti nei luoghi più impensati: tubature, bottiglie o bollitori abbandonati, scarponi, scatoloni, scheletri di gatti e, addirittura, è stata documentata una coppia che aveva scelto come dimora un carro trainato da un cavallo, che ogni giorno percorreva decine di chilometri! E, anche in questo caso, la prole è stata allevata con successo!

Le uova, poi sono variabili come i luoghi ideali per la costruzione del nido: di una varietà di colorazioni. Biancastre o di un azzurro molto tenue, macchiate (scarsamente oppure abbondantemente), punteggiate, screziate, venate oppure finemente chiazzate di un colore rossiccio, le cui tonalità possono andare dal fulvo rosato al marrone chiaro oppure al viola. Vengono deposte in numero di 4, 5 o 6 (con minimi di 3 e massimi di 9) e covate dalla sola femmina per 13 o 14 giorni. I pulcini sono inetti e vengono imbeccati da entrambi i genitori. Già a 12-15 giorni di età sono in grado di volare.

I giovani immaturi sono macchiettati di bruno e di un color ocra e non possiedono la macchia rossa sul petto. Ma a tre mesi di età assumono la colorazione tipica degli adulti.

 

Altri piccoli Turdidi affini al pettirosso

 

 

<<Pagina precedente                             Pagina successiva>>

 

Torna alla Home Page