MUSICAM SACRAM
Istruzione
del «Consilium» e della Sacra Congregazione dei Riti
1. La musica sacra ha formato oggetto di
considerazione da parte del Concilio Vaticano II, per gli aspetti che hanno
relazione con la riforma liturgica. Il Concilio, infatti, ne ha messo in
rilievo i compiti nel culto divino, fissando in proposito vari principi e varie
norme nella Costituzione sulla sacra Liturgia, e dedicandole un intero capitolo
nella medesima Costituzione.
2. Le decisioni del Concilio hanno già avuto
una prima applicazione nella riforma liturgica da poco iniziata. Ma le nuove
norme circa l’ordinamento dei riti e la partecipazione attiva dei fedeli hanno
suscitato alcune difficoltà riguardanti la musica sacra e il suo compito
ministeriale. È quindi sembrato utile risolvere tali difficoltà anche per
mettere meglio in luce alcuni principi posti dalla Costituzione sulla sacra
Liturgia.
3. Pertanto il «Consilium» per
l’applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia, per incarico del Sommo
Pontefice, ha accuratamente esaminato tali questioni ed ha preparato la
presente Istruzione, che non si propone di raccogliere tutta la legislazione
sulla musica sacra, ma soltanto di fissare le norme principali che sembrano più
necessarie in questo momento. Essa viene quasi a continuare e completare la
precedente Istruzione di questa Sacra Congregazione, ugualmente preparata dal
«Consilium», riguardante la esatta applicazione della Costituzione sulla sacra
Liturgia, ed emanata il 26 settembre 1964.
4. È lecito sperare che i pastori d’anime,
i musicisti e i fedeli, accogliendo volentieri e mettendo in pratica queste
norme, uniranno, in piena concordia, i loro sforzi per raggiungere il vero fine
della musica sacra «che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli»[1][1].
a) Musica sacra è quella che, composta per
la celebrazione del culto divino, è dotata di santità e bontà di forme[2][2].
b) Sotto la denominazione di Musica sacra si comprende, in questo
documento: il canto gregoriano, la polifonia sacra antica e moderna nei suoi
diversi generi, la musica sacra per organo e altri strumenti legittimamente
ammessi nella Liturgia, e il canto popolare sacro, cioè liturgico e religioso[3][3].
5. L’azione liturgica riveste una forma
più nobile quando è celebrata in canto, con i ministri di ogni grado che
svolgono il proprio ufficio, e con la partecipazione del popolo[4][4]. In questa forma di celebrazione,
infatti, la preghiera acquista un’espressione più gioiosa, il mistero della
sacra Liturgia e la sua natura gerarchica e comunitaria vengono manifestati più
chiaramente, l’unità dei cuori è resa più profonda dall’unità delle voci, gli
animi si innalzano più facilmente alle cose celesti per mezzo dello splendore
delle cose sacre, e tutta la celebrazione prefigura più chiaramente la liturgia
che si svolge nella Gerusalemme celeste.
Perciò
i pastori di anime si sforzino in ogni modo di realizzare questa forma di
celebrazione; anzi, sappiano convenientemente applicare, anche alle
celebrazioni senza canto, cui il popolo partecipa, la distribuzione degli
uffici e delle parti, propria dell’azione liturgica celebrata in canto, curando
soprattutto che vi siano i ministri necessari e idonei e sia favorita la
partecipazione attiva dei fedeli. La preparazione pratica di ogni celebrazione
liturgica si faccia d’accordo tra tutti coloro che devono curare la parte
rituale o pastorale o del canto, sotto la guida del rettore della chiesa.
6. L’ordinamento autentico della
celebrazione liturgica presuppone anzitutto la debita divisione ed esecuzione
degli uffici, per cui «ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il
proprio ufficio, si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la
natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza»[5][5] richiede inoltre che si
rispetti il senso e la natura propria di ciascuna parte e di ciascun canto. Per
questo è necessario in particolare che le parti, che di per sé richiedono il
canto, siano di fatto cantate, usando tuttavia il genere e la forma richiesti
dalla loro natura.
7. Tra la forma solenne più completa delle
celebrazioni liturgiche, nella quale tutto ciò che richiede il canto viene di
fatto cantato, e la forma più semplice, nella quale non si usa il canto, si possono
avere diversi gradi, a seconda della maggiore o minore ampiezza che si
attribuisce al canto. Tuttavia nello scegliere le parti da cantarsi si cominci
da quelle che per loro natura sono di maggiore importanza: prima di tutto
quelle spettanti al sacerdote e ai ministri, cui deve rispondere il popolo, o
che devono essere cantate dal sacerdote insieme con il popolo; si aggiungano
poi gradualmente quelle che sono proprie dei soli fedeli o della sola «schola
cantorum».
8. Ogni volta che, per una celebrazione
liturgica in canto, si può fare una scelta di persone, è bene dar la preferenza
a coloro che sono più capaci nel canto; e ciò soprattutto quando si tratta di
azioni liturgiche più solenni, di celebrazioni che comportano un canto più
difficile o che vengono trasmesse per radio o per televisione[6][6].
Se
poi questa scelta non è possibile, e il sacerdote o il ministro non è capace di
eseguire convenientemente le parti di canto, questi può recitare ad alta voce,
declamando, l’una o l’altra delle parti più difficili a lui spettanti; ma ciò
non deve favorire solo la comodità del sacerdote o del ministro.
9. Nello scegliere il genere di musica
sacra, sia per la «schola cantorum» che per i fedeli, si tenga conto delle
possibilità di coloro che devono cantare. La Chiesa non esclude dalle azioni
liturgiche nessun genere di musica sacra, purché corrisponda allo spirito
dell’azione liturgica e alla natura delle singole parti[7][7], e non impedisca una giusta
partecipazione dei fedeli[8][8]
10. Perché i fedeli partecipino attivamente
alla liturgia più volentieri e con maggior frutto, conviene che le forme di
celebrazione e i gradi di partecipazione siano opportunamente variati, per
quanto è possibile, secondo la solennità dei giorni e delle assemblee.
11. Si tenga presente che la vera solennità
di un’azione liturgica dipende non tanto dalla forma più ricca del canto e
dall’apparato più fastoso delle cerimonie, quanto piuttosto dal modo degno e
religioso della celebrazione, che tiene conto dell’integrità dell’azione
liturgica, dell’esecuzione cioè di tutte le sue parti, secondo la loro natura.
La forma più ricca del canto e l’apparato più fastoso delle cerimonie sono sì
qualche volta desiderabili, quando cioè vi sia la possibilità di fare ciò nel
modo dovuto; sarebbero tuttavia contrari alla vera solennità dell’azione
liturgica, se portassero ad ometterne qualche elemento, a mutarla o a compierla
in modo indebito.
12. Alla sola Sede Apostolica compete di
stabilire, secondo le norme tradizionali, ma specialmente secondo la Costituzione
sulla sacra Liturgia, i principi generali più importanti, che sono come il
fondamento della musica sacra. Tale diritto spetta, entro i limiti stabiliti,
anche alle Conferenze Episcopali, legittimamente costituite, e al Vescovo[9][9].
13. Le azioni liturgiche sono celebrazioni
della Chiesa, cioè del popolo santo radunato e ordinato sotto la guida del
Vescovo o del sacerdote[10][10]. In esse hanno un posto particolare, per
il sacro ordine ricevuto, il sacerdote e i suoi ministri; e, per l’ufficio che
svolgono, i ministranti, il lettore, il commentatore e i membri della «schola
cantorum»[11][11].
14. Il sacerdote presiede la santa assemblea
in persona di Cristo. Le preghiere che egli canta o dice ad alta voce, poiché
proferite in nome di tutto il popolo santo e di tutti gli astanti[12][12],devono essere da tutti ascoltate
religiosamente.
15. I fedeli adempiono il loro ufficio
liturgico per mezzo di quella piena, consapevole e attiva partecipazione che è
richiesta dalla natura stessa della Liturgia e alla quale il popolo cristiano
ha diritto e dovere in forza del battesimo[13][13].
Questa
partecipazione:
a) deve essere prima di tutto interna: e
per essa i fedeli conformano la loro mente alle parole che pronunziano o ascoltano,
e cooperano con la grazia divina[14][14];
b) deve però essere anche esterna: e con questa manifestano la
partecipazione interna attraverso i gesti e l’atteggiamento del corpo, le
acclamazioni, le risposte e il canto[15][15];
Si
educhino inoltre i fedeli a saper innalzare la loro mente a Dio attraverso la
partecipazione interiore, mentre ascoltano ciò che i ministri o la «schola»
cantano.
16. Non c’è niente di più solenne e festoso
nelle sacre celebrazioni di una assemblea che, tutta, esprime con il canto la
sua pietà e la sua fede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo,
che si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, seguendo questo
ordine:
a) Comprenda prima di tutto le
acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e alle
preghiere litaniche; inoltre le antifone e i salmi, i versetti intercalari o
ritornelli, gli inni e i cantici[16][16].
b) Con una adatta catechesi e con esercitazioni pratiche si conduca
gradatamente il popolo ad una sempre più ampia, anzi fino alla piena
partecipazione a tutto ciò che gli spetta.
c) Si potrà tuttavia affidare alla sola
«schola» alcuni canti del popolo, specialmente se i fedeli non sono ancora
sufficientemente istruiti, o quando si usano composizioni musicali a più voci,
purché il popolo non sia escluso dalle altre parti che gli spettano. Ma non è
da approvarsi l’uso di affidare per intero alla sola «schola cantorum» tutte le
parti cantate del «Proprio» e dell’« Ordinario», escludendo completamente il
popolo dalla partecipazione nel canto.
17. Si osservi anche, a tempo debito, il
sacro silenzio[17][17] per esso, infatti, i fedeli non sono
ridotti a partecipare all’azione liturgica come estranei e muti spettatori, ma
si inseriscono più intimamente nel mistero che si celebra, in forza delle disposizioni
interne, che derivano dalla Parola di Dio che si ascolta, dai canti e dalle
preghiere che si pronunziano, e dall’unione spirituale con il sacerdote che
proferisce le parti a lui spettanti.
18. Tra i fedeli siano istruiti con speciale
cura nel canto sacro i membri delle associazioni religiose di laici, affinché
contribuiscano più efficacemente a sostenere e promuovere la partecipazione dei
fedeli[18][18]. La formazione di tutti i fedeli al
canto sia promossa con zelo e pazienza, insieme alla formazione liturgica,
secondo l’età, la condizione, il genere di vita e il grado di cultura religiosa
dei fedeli stessi, iniziando già dai primi anni di istruzione nelle scuole
elementari[19][19].
19. È degno di particolare attenzione, per il
servizio liturgico che svolge, il «coro» o «cappella musicale» o «schola
cantorum».
A
seguito delle norme conciliari riguardanti la riforma liturgica, il suo compito
è divenuto di ancor maggiore rilievo e importanza: deve infatti curare
l’esecuzione esatta delle parti sue proprie, secondo i vari generi di canto, e
favorire la partecipazione attiva dei fedeli nel canto.
Pertanto:
a)
un « coro» o una «cappella musicale» o
una « schola cantorum» si abbia e si promuova con cura, specialmente nelle cattedrali
e nelle altre chiese maggiori, nei seminari e negli studentati religiosi;
b)
«scholae», benché modeste, è opportuno siano
istituite anche presso le chiese minori.
20. Le cappelle musicali già esistenti presso
basiliche, cattedrali, monasteri e altre chiese maggiori, e che nel corso dei
secoli si sono acquistate grandi meriti, custodendo e sviluppando un patrimonio
musicale di inestimabile valore, si conservino, con propri regolamenti,
riveduti e approvati dall’Ordinario, per una celebrazione delle azioni sacre in
una forma più sontuosa.
Tuttavia
i maestri di quelle «scholae» e i rettori delle chiese si curino che i fedeli
possano sempre associarsi al canto, almeno nell’esecuzione delle parti più
facili che loro spettano.
21. Si provveda, specialmente dove non si
abbia la possibilità di istituire neppure una «schola» modesta, che ci siano
almeno uno o due cantori, convenientemente istruiti, che propongano almeno dei
canti semplici per la partecipazione del popolo e guidino e sostengano
opportunamente i fedeli nell’esecuzione di quanto loro spetta. È bene che ci
sia un tale cantore anche nelle chiese che hanno una «schola», per quelle
celebrazioni alle quali la «schola» non può partecipare, e che tuttavia devono
svolgersi con una certa solennità, e perciò con il canto.
22. La «schola cantorum», secondo le
legittime consuetudini dei vari paesi e le diverse situazioni concrete, può
esser composta sia di uomini e ragazzi, sia di soli uomini o di soli ragazzi,
sia di uomini e donne, ed anche, dove il caso veramente lo richieda, di sole
donne.
23. La «schola cantorum», tenendo conto della
disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo che:
a) chiaramente appaia la sua natura: che essa cioè fa parte
dell’assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio;
b) sia facilitata l’esecuzione del suo ministero
liturgico[20][20];
c) sia assicurata a ciascuno dei suoi membri la
comodità di partecipare alla Messa nel modo più pieno, cioè attraverso la
partecipazione sacramentale.
Quando
poi la «schola cantorum» comprenda anche donne, sia posta fuori del
presbiterio.
24. Oltre alla formazione musicale, si dia ai
membri della «schola cantorum» anche un’adeguata formazione liturgica e
spirituale, in modo che dalla esatta esecuzione del loro ufficio liturgico,
derivi non soltanto il decoro dell’azione sacra e l’edificazione dei fedeli, ma
anche un vero bene spirituale per gli stessi cantori.
25. Ad assicurare più facilmente questa
formazione tecnica e spirituale, prestino la loro opera le associazioni
diocesane, nazionali ed internazionali di musica sacra, e specialmente quelle
approvate e più volte raccomandate dalla Sede Apostolica.
26. Il sacerdote celebrante, i ministri sacri
o i ministranti, il lettore, i membri della «schola cantorum» e il commentatore
proferiscano le parti loro assegnate in modo ben intelligibile, così da rendere
più facile e quasi naturale la risposta dei fedeli, quando è richiesta dal
rito. È bene che il sacerdote e i ministri di ogni grado uniscano la propria
voce alla voce di tutta l’assemblea nelle parti spettanti al popolo[21][21].
27. Nella celebrazione dell’Eucaristia, con
la partecipazione del popolo, specialmente nelle domeniche e nei giorni
festivi, si preferisca, per quanto è possibile, la forma della Messa in canto
anche più volte nello stesso giorno.
28.
Rimane in vigore la distinzione tra Messa solenne, Messa cantata e Messa letta,
stabilita dalla Istruzione del 1958 (n. 3), secondo la tradizione e le vigenti
leggi liturgiche. Tuttavia, per motivi pastorali, vengono proposti per la Messa
cantata dei gradi di partecipazione, in modo che risulti più facile, secondo le
possibilità di ogni assemblea liturgica, rendere più solenne con il canto la
celebrazione della Messa. L’uso di questi gradi sarà così regolato: il primo
potrà essere usato anche da solo; il secondo e il terzo, integralmente o
parzialmente, solo insieme al primo. Perciò si curi di condurre sempre i fedeli
alla partecipazione piena al canto.
29. Il primo grado comprende:
a) nei riti d’ingresso:
— il saluto
del sacerdote celebrante con la risposta dei fedeli;
— l’orazione;
b) nella liturgia della parola:
— le
acclamazioni al Vangelo;
c) nella liturgia eucaristica:
—
l’orazione sulle offerte;
— il prefazio, con il dialogo e il Sanctus;
— la dossologia finale del Canone;
— il Pater noster con la precedente ammonizione e l’embolismo:
— il Pax Domini;
— l’orazione dopo la comunione;
— le formule di congedo.
30. Il secondo grado comprende:
a) il Kyrie, il Gloria
e l’Agnus Dei;
b) il Credo;
c) l’orazione dei fedeli.
31. Il terzo grado comprende:
a) i canti processionali d’ingresso e di comunione;
b) il canto interlezionale dopo la lettura o l’epistola;
c) l’Alleluia prima del vangelo;
d) il canto dell’offertorio;
e) le letture della sacra Scrittura, a meno che non si reputi più
opportuno proclamarle senza canto.
32. L’uso legittimamente vigente in alcuni
luoghi, qua e là confermato con indulto, di sostituire con altri testi i canti
d’ingresso, d’offertorio e di comunione che si trovano nel Graduale, può essere
conservato, a giudizio della competente autorità territoriale, purché tali
canti convengano con il particolare momento della Messa, con la festa e il
tempo liturgico. La stessa autorità territoriale deve approvare il testo di
questi canti.
33. È bene che l’assemblea partecipi, per
quanto è possibile, ai canti del «Proprio»; specialmente con ritornelli facili
o forme musicali convenienti.
Fra
i canti del «Proprio» riveste particolare importanza il canto interlezionale in
forma di graduale o di salmo responsoriale. Esso, per sua natura, fa parte
della liturgia della parola; si deve perciò eseguire mentre tutti stanno seduti
e in ascolto e anzi, per quanto è possibile, con la partecipazione dell’assemblea.
34. I canti che costituiscono l’Ordinario
della Messa, se sono cantati su composizioni musicali a più voci, possono
essere eseguiti dalla «schola» nel modo tradizionale, cioè o « a cappella» o
con accompagnamento, purché, tuttavia, il popolo non sia totalmente escluso
dalla partecipazione al canto.
Negli
altri casi, i canti dell’Ordinario della Messa possono essere distribuiti tra
la «schola» e il popolo, o anche tra due cori del popolo stesso, in modo cioè che
la divisione sia fatta a versetti alternati, o in altro modo più conveniente,
che tenga conto di sezioni più ampie del testo.
In
questi casi, tuttavia, si tenga presente:
—
Il Credo, essendo la formula di professione di fede, è preferibile che
venga cantato da tutti, o in un modo che permetta una adeguata partecipazione
dei fedeli.
—
Il Sanctus, quale acclamazione finale del prefazio, è preferibile che
sia cantato, ordinariamente da tutta l’assemblea, insieme al sacerdote.
— L’Agnus
Dei può essere ripetuto quante volte è necessario, specialmente nella
celebrazione, durante la frazione del Pane. E bene che il popolo partecipi a
questo canto, almeno con l’invocazione finale.
35. È conveniente che il Pater noster sia
cantato dal popolo insieme al sacerdote[22][22]. Se è cantato in latino, si usino le
melodie approvate già esistenti; se si canta in lingua volgare, le melodie
devono essere approvate dalla competente autorità territoriale.
36. Nulla impedisce che nelle Messe lette si
canti qualche parte del «Proprio» o dell’« Ordinario». Anzi talvolta si possono
usare anche altri canti all’inizio, all’offertorio, alla comunione e alla fine
della Messa: non è però sufficiente che siano canti «eucaristici», ma devono
convenire con quel particolare momento della Messa, con la festa o con il tempo
liturgico.
37. La celebrazione in canto dell’Ufficio
divino è la forma che maggiormente si addice alla natura di questa preghiera ed
è segno di una più completa solennità e di una più profonda unione dei cuori
nel celebrare la lode di Dio. Secondo il desiderio espresso dalla Costituzione
sulla sacra Liturgia, questa forma è caldamente raccomandata a coloro che
celebrano l’Ufficio divino in coro o in comune[23][23].
È
bene che essi cantino almeno qualche parte dell’Ufficio divino e in particolare
le Ore principali, cioè le Lodi e i Vespri, soprattutto la domenica e i giorni
festivi.
Anche
altri chierici che per ragione di studio fanno vita in comune, o vengono a
trovarsi insieme in occasione di esercizi spirituali o di altri convegni,
santifichino opportunamente i loro incontri con la celebrazione in canto di
alcune parti dell’Ufficio divino.
38. Nella celebrazione in canto dell’Ufficio
divino, fermi restando il diritto vigente per coloro che sono obbligati al coro
e ogni indulto particolare, può ammettersi il principio della solennizzazione progressiva:
si possono cioè cantare quelle parti che per loro natura sono più
direttamente destinate al canto, come i dialoghi, gli inni, i versetti, i cantici,
e recitare le altre.
39. Si invitino i fedeli, e si educhino con
una conveniente catechesi, a celebrare in comune, la domenica e i giorni
festivi, alcune parti dell’Ufficio divino, specialmente i Vespri o altre Ore,
secondo la consuetudine dei luoghi e delle varie comunità. Generalmente
s’indirizzino i fedeli, e in particolare i più istruiti, ad usare nelle loro
preghiere i salmi, compresi nel loro senso cristiano, cosicché siano a poco a
poco iniziati ad usare e gustare maggiormente la preghiera pubblica della
Chiesa.
40. Questa iniziazione sarà assicurata in
modo particolare ai membri degli Istituti che professano i consigli evangelici,
affinché da essa attingano ricchezze più abbondanti per alimentare la loro vita
spirituale. Ed è bene che essi celebrino anche in canto, per quanto è
possibile, le Ore principali, per partecipare più intensamente alla preghiera
pubblica della Chiesa.
41. A norma della Costituzione sulla sacra
Liturgia, secondo la secolare tradizione del rito latino, per i chierici sia conservata
nell’Ufficio divino, celebrato in coro, la lingua latina[24][24].
Ma
poiché la stessa Costituzione sulla sacra Liturgia prevede l’uso della lingua
volgare nell’Ufficio divino, sia per i fedeli che per le monache e i membri,
non chierici, degli Istituti che professano i consigli evangelici[25][25], si curi la preparazione delle melodie
da usarsi nel canto dell’Ufficio divino in lingua volgare.
42. Secondo il principio enunciato dal
Concilio, che cioè «ogni volta i riti comportano, secondo la particolare natura
di ciascuno, una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla
partecipazione attiva dei fedeli, questa sia da preferirsi alla celebrazione
individuale e quasi privata»[26][26], ne consegue necessariamente
l’importanza da attribuire al canto, come mezzo quanto mai adatto a manifestare
l’aspetto «ecclesiale» della celebrazione.
43. Alcune celebrazioni dei Sacramenti e dei
Sacramentali che hanno particolare importanza nella vita dell’intera comunità
parrocchiale, come la Cresima, le Sacre Ordinazioni, il Matrimonio, la Consacrazione
di una chiesa o di un altare, le esequie, ecc., per quanto è possibile, si
svolgano in canto, in modo che anche la solennità del rito contribuisca ad una
maggiore efficacia pastorale. Si abbia però molta cura nell’evitare che, sotto
le apparenze della solennità, si introduca nelle celebrazioni alcunché di
puramente profano o di meno conveniente al culto divino: ciò si applica
specialmente alla celebrazione dei matrimoni.
44. Si rendano più solenni con il canto anche
quelle celebrazioni cui la liturgia assegna, nel corso dell’anno liturgico, uno
speciale rilievo.
Ma
in modo del tutto particolare si dia la dovuta solennità ai riti sacri della
Settimana santa, i quali, attraverso la celebrazione del mistero pasquale,
conducono i fedeli al centro stesso dell’anno liturgico e di tutta la liturgia.
45. Anche per la liturgia dei Sacramenti
e dei Sacramentali e per le altre principali azioni sacre dell’anno liturgico
si preparino le opportune melodie, per promuovere in forma più solenne la loro
celebrazione anche nella lingua volgare, secondo le norme fissate dall’autorità
competente e le possibilità di ciascuna assemblea.
46. Grande è l’efficacia della musica sacra
nell’alimentare la pietà dei fedeli anche nelle sacre celebrazioni della parola
di Dio e nei pii e sacri esercizi.
Nelle
sacre celebrazioni della parola di Dio[27][27] si prenderà come esempio la
liturgia della Parola della Messa[28][28]; nei pii e sacri esercizi saranno di
grande utilità specialmente i salmi, le opere di musica sacra tratte dal
repertorio antico e moderno, i canti religiosi popolari e il suono dell’organo
e di altri strumenti più caratteristici. Inoltre in questi pii e sacri esercizi
e specialmente nelle sacre celebrazioni della Parola di Dio, si possono
benissimo ammettere anche alcune opere musicali le quali, benché non abbiano
più posto nella liturgia, possono tuttavia nutrire lo spirito religioso e
favorire la meditazione dei misteri sacri[29][29].
47. A norma della Costituzione sulla sacra
Liturgia, «l’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, venga
conservato nei riti latini»[30][30]. Dato però che «non di rado l’uso della
lingua volgare può riuscire di grande utilità per il popolo»[31][31], « spetta alla competente autorità
ecclesiastica territoriale, decidere circa l’adozione e la misura della lingua
volgare. Tali decisioni devono essere approvate o ratificate dalla Sede
Apostolica»[32][32].
Perciò,
nel pieno rispetto di queste norme, si sceglierà la forma di partecipazione che
meglio risponde alle possibilità di ciascuna assemblea.
Curino
i pastori d’anime che, oltre che in lingua volgare, «i fedeli sappiano recitare
e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti che loro spettano
dell’Ordinario della Messa»[33][33].
48. Là dove è stato introdotto l’uso della
lingua volgare nella celebrazione della Messa, gli Ordinari del luogo
giudichino dell’opportunità di conservare una o più Messe in lingua latina,
specialmente in canto, in alcune chiese, soprattutto delle grandi città, ove
più numerosi vengono a trovarsi fedeli di diverse lingue.
49. Circa l’uso della lingua latina o volgare
nelle sacre celebrazioni nei seminari, si osservino le norme date dalla Sacra
Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi sulla formazione
liturgica dei chierici.
I
membri degli istituti che professano i consigli evangelici osservino su questo
punto quanto è stato stabilito nella Lettera Apostolica Sacriflcium Laudis del
15 agosto 1966, e nella Istruzione sulla lingua da usarsi nell’Ufficio divino e
nella Messa conventuale o di comunità presso i religiosi, emanata da questa
Sacra Congregazione dei Riti il 23 novembre 1965.
50. Nelle azioni liturgiche in canto
celebrate in lingua latina:
a)
Al canto
gregoriano, come canto proprio della liturgia romana, si riservi, a parità di
condizioni, il primo posto[34][34]. Le melodie esistenti nelle edizioni
tipiche si usino nel modo più opportuno.
b)
«Conviene
inoltre che si prepari un’edizione che contenga melodie più semplici, ad uso
delle chiese minori»[35][35].
c)
Le
composizioni musicali di altro genere, a una o più voci, appartenenti al
patrimonio tradizionale, o contemporanee, siano tenute in onore, si
incrementino e si eseguano secondo la possibilità[36][36].
51. Inoltre, tenendo presenti le condizioni
dell’ambiente, l’utilità pastorale dei fedeli e la natura di ogni lingua,
vedano i pastori di anime se — oltre che nelle azioni liturgiche celebrate in
latino — parti del patrimonio di musica sacra, composta nei secoli precedenti
per testi in lingua latina, possano usarsi anche nelle celebrazioni fatte in
lingua volgare. Niente infatti impedisce che in una stessa celebrazione si
cantino alcune parti in un’altra lingua.
52. Per conservare il patrimonio della musica
sacra e per favorire debitamente le nuove forme del canto sacro, «si curi molto
la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e
delle religiose e nei loro studentati, come pure negli istituti e scuole
cattoliche in genere», specialmente presso gli Istituti superiori creati a
questo scopo[37][37]. Si incrementi prima di tutto lo studio
e l’uso del canto gregoriano che, per le sue caratteristiche, è una base
importante nella educazione alla musica sacra.
53. Le nuove composizioni di musica sacra si
conformino fedelmente ai principi e alle norme esposte. Perciò «abbiano le
caratteristiche della vera musica sacra; e possano essere cantate non solo
dalle maggiori Scholae Cantorum, ma convengano anche alle Scholae minori,
e favoriscano la partecipazione attiva di tutta l’assemblea dei fedeli»[38][38].
Per
quanto riguarda il repertorio tradizionale, prima di tutto si mettano in luce
quelle parti che rispondono alle esigenze della sacra Liturgia rinnovata; gli
esperti in materia considerino inoltre attentamente se anche altre parti
possono adattarsi alle stesse esigenze; quanto infine assolutamente non
risponde alla natura dell’azione liturgica o alla sua conveniente celebrazione
pastorale, si trasferisca opportunamente ai pii esercizi e, più ancora, alle
sacre celebrazioni della Parola di Dio[39][39].
54. Nel tradurre in volgare le parti che
dovranno essere musicate, e specialmente i salmi, gli esperti abbiano cura che
nel testo volgare siano opportunamente congiunte e la fedeltà al testo latino e
l’adattabilità al canto: in questo lavoro, tengano conto della natura e delle
leggi di ciascuna lingua e dell’indole e delle caratteristiche di ogni popolo.
Tutto questo complesso di dati, insieme alle leggi della musica sacra, abbiano
ben presente anche i musicisti nel preparare le nuove melodie.
L’autorità
territoriale competente provveda perciò che nella commissione incaricata di
preparare le traduzioni in lingua volgare ci siano esperti per le suddette
discipline e per la lingua latina e volgare: tutti costoro lavorino in piena
collaborazione fin dall’inizio.
55. Spetta all’autorità territoriale
competente stabilire se un testo in lingua volgare, tramandato dal passato, e
legato a una melodia, possa essere usato anche quando non concordi
completamente con la versione dei testi liturgici legittimamente approvata.
56. Tra le melodie da prepararsi per i testi
in volgare, hanno particolare importanza quelle proprie del sacerdote
celebrante e dei ministri, sia che le debbano cantare da soli o insieme
all’assemblea o in dialogo con essa. Nel comporle, i musicisti vedano se le melodie
tradizionali della liturgia latina, usate a questo scopo, possano suggerire
delle melodie anche per i testi in lingua volgare.
57.
Le nuove melodie per il sacerdote e i ministri devono essere approvate dalla
Autorità territoriale competente[40][40].
58.
Le Conferenze Episcopali interessate facciano in modo che ci sia un’unica
traduzione per ogni lingua parlata in più regioni. E pure conveniente che ci
siano, per quanto è possibile, una o più melodie comuni per le parti che
spettano al sacerdote celebrante e ai ministri e per le risposte e le
acclamazioni del popolo; e ciò per favorire la partecipazione comune dei fedeli
di una stessa lingua.
59.
I compositori si accingano alla nuova opera con l’impegno di continuare quella
tradizione musicale che ha donato alla Chiesa un vero patrimonio per il culto
divino. Studino le opere del passato, i loro generi e le loro caratteristiche,
ma considerino attentamente anche le nuove leggi e le nuove esigenze della
sacra Liturgia, così che « le nuove forme risultino come uno sviluppo organico
di quelle già esistenti»[41][41], e le nuove opere formino una nuova
parte del patrimonio musicale della Chiesa, non indegne di stare a fianco del
patrimonio del passato.
60. Le nuove melodie per i testi in lingua
volgare hanno certamente bisogno di un periodo di esperienza per poter
raggiungere sufficiente maturità e perfezione. Tuttavia si deve evitare che,
anche soltanto con il pretesto di compiere degli esperimenti, si facciano nelle
chiese tentativi che disdicano alla santità del luogo, alla dignità dell’azione
liturgica e alla pietà dei fedeli.
61. L’adattamento della musica sacra nelle
regioni che hanno una propria tradizione musicale, specialmente nelle Missioni[42][42], esige una particolare preparazione da
parte dei periti: si tratta infatti di saper fondere opportunamente il senso
del sacro con lo spirito, le tradizioni e le espressioni caratteristiche di
quei popoli. Coloro che si dedicano a quest’opera devono avere una sufficiente
cognizione sia della liturgia e della tradizione musicale della Chiesa, che
della lingua, del canto popolare e delle espressioni caratteristiche dei popoli
in favore dei quali prestano la loro opera.
62. Gli strumenti musicali possono essere di grande
utilità nelle sacre celebrazioni, sia che accompagnino il canto sia che si
suonino soli. «Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne,
strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere una
notevole grandiosa solennità alle cerimonie della Chiesa e di elevare
potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti.
Altri
strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il
consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, purché siano
adatti all’uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del
luogo sacro e favoriscano veramente l’edificazione dei fedeli»[43][43].
63. Nel permettere l’uso degli strumenti
musicali e nella loro utilizzazione si deve tener conto dell’indole e delle
tradizioni dei singoli popoli. Tuttavia gli strumenti che, secondo il giudizio
e l’uso comune, sono propri della musica profana, siano tenuti completamente al
di fuori di ogni azione liturgica e dai pii e sacri esercizi[44][44]. Tutti gli strumenti musicali, ammessi
al culto divino, si usino in modo da rispondere alle esigenze dell’azione sacra
e servire al decoro del culto divino e alla edificazione dei fedeli.
64. L’uso di strumenti musicali per
accompagnare il canto, può sostenere le voci, facilitare la partecipazione e
rendere più profonda dell’assemblea. Tuttavia il loro suono non deve coprire le
voci, rendendo difficile la comprensione del testo; anzi gli strumenti
musicali tacciano quando il sacerdote celebrante o un ministro, nell’esercizio
del loro ufficio, proferiscono ad alta voce un testo loro proprio.
65. Nelle Messe cantate o lette si può usare
l’organo, o altro strumento legittimamente permesso per accompagnare il canto
della «schola cantorum» e dei fedeli; gli stessi strumenti musicali, soli,
possono suonarsi all’inizio, prima che il sacerdote si rechi all’altare,
all'offertorio, alla comunione e al termine della Messa.
La
stessa norma vale, fatte le debite applicazioni, anche per le altre azioni
sacre.
66. Il suono, da solo, di questi stessi
strumenti musicali non è consentito in Avvento, in Quaresima, durante il Triduo
sacro, nelle messe e negli uffici dei defunti.
67. È indispensabile che gli organisti e gli
altri musicisti, oltre a possedere un’adeguata perizia nell’usare il loro
strumento, conoscano e penetrino intimamente lo spirito della sacra liturgia in
modo che, anche dovendo improvvisare, assicurino il decoro della sacra
celebrazione, secondo la vera natura delle sue varie parti, e favoriscano la
partecipazione dei fedeli[45][45].
68. Le Commissioni diocesane di musica sacra
sono di valido aiuto nel promuovere in diocesi la musica sacra in accordo con
l’azione liturgica pastorale.
Devono
perciò esistere, per quanto è possibile, in ogni diocesi, e operare in stretta
collaborazione con la Commissione liturgica. Anzi sarà spesso opportuno che
delle due commissioni se ne formi una sola, composta di esperti nell’una e
nell’altra disciplina; ciò aiuterà a conseguire più facilmente il risultato
voluto. Si raccomanda anche vivamente che più diocesi insieme costituiscano una
unica Commissione, se ciò sembrerà più utile, per creare maggiore uniformità in
una stessa regione e collocare più fruttuosamente le forze disponibili.
69. La Commissione liturgica, che si
consiglia di istituire presso la Conferenza episcopale[46][46], si interessi anche della musica sacra;
includa perciò tra i suoi membri degli esperti di musica sacra. È bene che
questa commissione si tenga in relazione non solo con le Commissioni diocesane,
ma anche con le altre associazioni musicali esistenti nella regione. Lo stesso
vale anche per l’Istituto pastorale liturgico di cui si tratta nell’art. 44
della Costituzione.
Questa
Istruzione è stata approvata dal Santo Padre Paolo VI, nell’udienza concessa a
Sua Eminenza il Cardinale Arcadio M. Larraona, Prefetto di questa Sacra
Congregazione, il 9febbraio 1967. Il Santo Padre l’ha pure confermata con la
sua autorità, ed ha ordinato che fosse pubblicata, fissandone l’entrata in
vigore per il giorno 14 maggio 1967, domenica di Pentecoste. Nonostante
qualsiasi disposizione in contrario.
Roma,
5 marzo 1967, domenica «Laetare», quarta di Quaresima.
GIACOMO
card. LERCARO
arcivescovo di Bologna,
Presidente del «Consilium» per l’attuazione
della Costituzione sulla sacra Liturgia
ARCADIO M. card. LARRAONA
Prefetto della S. C. R.
FERDINANDO ANTONELLI
arciv. tit. di Idicra,
segretario della S. C. R.
[1][1] SC 113. |
[2][2] Cfr. S. Pio X, «Motu proprio» Tra le sollecitudini, 22 nov. 1903, n. 2 (ASS 36 [1903-l904] 332). |
[3][3] Cfr. S. Congr. dei Riti, Istr. sulla musica sacra e la sacra Liturgia, 3 set. 1958, n. 4 (AAS 50 [1958] 633). |
[4][4] Cfr. SC 128. |
[5][5] Cfr. SC 28. |
[6][6] S. Congr. dei Riti, Istr. sulla musica sacra e la sacra Liturgia, n. 95 (AAS 50 [1958] 656-657). |
[7][7] Cfr. SC 116. |
[8][8] Cfr. SC 28. |
[9][9] Cfr. SC 22. |
[10][10] Cfr. SC 26 e 41-42, LG 28. |
[11][11] Cfr. SC29. |
[12][12] Cfr. SC 33 |
[13][13] Cfr. SC 14. |
[14][14] Cfr. SC 11. |
[15][15] Cfr. SC 31. |
[16][16] Cfr. SC 30 |
[17][17] Cfr. SC 30. |
[18][18] Cfr. Int. OEc. 19 e 59. |
[19][19] Cfr. SC 19; S. Congr. dei Riti, Istr. sulla musica sacra e la sacra Liturgia, nn. 106-108 (AAS 50 [1958] 660). |
[20][20] Cfr. Int. Oec 97. |
[21][21] Cfr. Int. Oec 48b. |
[22][22] Cfr. Int. Oec. 48 g. |
[23][23] Cfr. SC 99. |
[24][24] Cfr. SC 101 § 1; Int Oec. 85. |
[25][25] Cfr. SC 101 §§ 2 e 3. |
[26][26] Cfr. SC 27. |
[27][27] Cfr. Int. Oec. 37-39. |
[28][28] Cfr. Int. Oec. 37. |
[29][29] Cfr. più avanti, n. 53. |
[30][30] SC 36 § 1. |
[31][31] SC 36 § 2. |
[32][32] SC 36 § 3. |
[33][33] SC 54; Int Oec. 59. |
[34][34] Cfr. SC 116. |
[35][35] SC 117. |
[36][36] Cfr. SC 116. |
[37][37] SC 115. |
[38][38] SC 121. |
[39][39] Cfr. sopra, n.46. |
[40][40] Cfr. Int. Oec. 42. |
[41][41] SC 23. |
[42][42] Cfr. SC 119. |
[43][43] SC 120. |
[44][44] Cfr. S. Congr. dei Riti, Istr. sulla musica sacra e la sacra Liturgia, 70 (AAS 50 [1958] 652). |
[45][45] Cfr. sopra, nn. 24-25. |
[46][46] Cfr. SC 44. |