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Aletschhorn

Via normale, versante sud-ovest

21-22 luglio 2001
Mirko, Andrea (Tiziana)

A tre settimane di distanza dalla salita alla Dent d’Herens, andiamo ancora noi tre a salire sul secondo 4000 “inviolato” della stagione: l’Aletschhorn. Non andiamo alla normale del Mittelaletschbiwak, che avevamo puntato qualche anno fa, in quel famoso fine settimana che ci aveva poi visti in cima alla Punta Dufour, ma decidiamo di fare la camminata dall’Oberaletschgletscher.

Aletschhorn dall'Oberaletschgletscher

Il sabato saliamo in funivia per quanto possibile, cioè fino alla Belalp (un doveroso e sentitissimo ringraziamento a Galis che mi recupera all’ultimo momento cellulare e fazzoletti che avevo dimenticato sul tetto della macchina appena prima della partenza), quindi inizia la camminata. Al principio è semplice, su strada sterrata, in falsopiano, fino a una chiesetta e a un hotel al termine di una bella costiera regolare. Poi inizia il tratto movimentato: si scende per mulattiera fino al punto più basso di una profonda valletta che si deve attraversare, quindi la si segue risalendo e piegando verso sinistra, in direzione dell’Oberaletschgletscher. Si sale per grossi massi e morene irregolari, e dopo un po’ di saliscendi si arriva al tratto più regolare e pianeggiante di una grande conca che segna la testa morenica del ghiacciaio. Ghiaccio vero e proprio non ne tocchiamo: proseguiamo solo attraverso grossi blocchi rocciosi erratici, risalendo verso l’imponente bastionata rocciosa su cui si trova il rifugio. Raggiunta la sua base la dobbiamo risalire, aiutati da una linea ferrata ben attrezzata. Raggiungiamo l’Oberaletschhutte con pochi minuti di vantaggio sulle preventivate 4 ore di cammino. La sera ci facciamo spiegare bene dal gentilissimo gestore del rifugio le modalità di avvicinamento e di attacco dell’Aletschhorn; fortunatamente riusciamo a capire bene le sue indicazioni perché la mattina successiva, nel buio più assoluto, ci saranno fondamentali.
Dunque la domenica

Andrea in cima all'Aletschhorn

prestissimo partiamo in direzione della nostra meta; non c’è un filo di luce, la luna è nascosta, e risaliamo tutta la morena fino all’Aletschhorn aiutati solo dalle nostre frontali. Arrivati alla base dei primi pendii non capiamo nel modo più assoluto in che modo salirli. E’ qui che le indicazioni del gestore ci sono utili: ci aveva spiegato di avvicinarci alla seconda cascata da destra, tra quelle che scendono dai pendii del monte fino al ghiacciaio. Ci orientiamo con l’udito, perché di vedere le cascate non se ne parla. Girovaghiamo alla base dei pendii alla ricerca del tratto morenico che lambisce quella che a orecchio potrebbe essere la seconda cascata. Siamo fortunati, perché continuando a salire, prima con fatica, poi con sempre maggiore fiducia, iniziamo ad incontrare qualche minimo segnale di passaggio. Dopo una mezz’oretta siamo definitivamente sulla via giusta: superato il tratto morenico friabile, i sassoni erratici e i primi salti rocciosi, arriviamo a toccare delle facili tracce di sentiero, che pur durando poco ci rassicurano sulla nostra posizione. Intanto da dietro si è avvicinata una seconda cordata, che aiutata dai segnali delle nostre pile frontali, non ha il problema di cercare la via, quindi recupera una buona mezz’ora di strada sul totale, e ci si avvicina parecchio. Ora però anche per noi la strada è chiara, quindi iniziamo a prendere il nostro passo e ben presto li distanziamo definitivamente. Saliamo lungo i pendii dell’Aletschhorn, lungo un terreno di misto facile, tra cengette sabbiose, passi di facile arrampicata, brevi pendii nevosi. Sul limite di una delle macchie di neve ci fermiamo qualche minuto per riposare; siamo talmente stanchi e assonnati - abbiamo dormito molto poco la notte - che entrambi ci addormentiamo senza accorgercene; ci svegliamo dopo più di un quarto d’ora, intontiti dal sonno e dal freddo. Ci riscuotiamo e proseguiamo verso la nostra meta. Nella parte superiore il misto diventa un po’ più complicato, la neve più abbondante e qualche passo di arrampicata su roccia incrostata ci diverte parecchio. L’ultimo tratto lo faccio con molta stanchezza, perché ancora non sono allenato e la camminata è stata lunga. Sta davanti Galis. Siamo aiutati da una sequenza di fittoni con i quali possiamo improvvisare delle assicurazioni negli ultimi metri, più scivolosi degli altri. Arriviamo in cima in una giornata dal cielo ormai luminoso e limpidissimo. Della cordata di inseguitori non c’è traccia; non li vedremo più per tutta la giornata; non abbiamo idea di dove abbiano deciso di ritirarsi, né di come abbiano speso il resto della loro giornata. Dalla cima osserviamo le numerose cordate che in fila si stanno avvicinando lungo la facile via normale che sale dal Mittelaletschbiwak.
Quando ne abbiamo abbastanza ripartiamo, scendiamo con facilità, torniamo fino alla base della placconata del rifugio, ci rifacciamo la ferrata in salita, e quindi ripartiamo alla volta di casa. Le fatiche non sono ancora concluse, perché abbiamo un orario da rispettare, ed è un orario molto stretto: abbiamo poco più di tre ore di tempo se vogliamo arrivare a prendere l’ultima funivia che scende dalla Belalp, quindi, tra gli improperi di Tiziana, ci avviamo con passo spedito verso la stazione. Scendiamo la ferrata, rifacciamo il ghiacciaio, scendiamo nella valle... storica è diventata la risalita dal fondo della valle fino alla chiesetta sulla costiera della funivia, lunga e faticosissima; faticosa soprattutto perché costretti a farla velocemente. Raggiungiamo la funivia appena in tempo.


Mirko Sala Tesciat
2004

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