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Dent D'Herens

Via normale, cresta ovest

30 giugno, 1 luglio 2001
Mirko, Andrea (Tiziana)

“Da Place Moulin seguendo il ghiacciaio Tsa de Tsan si raggiunge il Rifugio Aosta; dal rifugio, lungo il Glacier des Grandes Mourailles, si risale il versante sud-ovest e si giunge in vetta per la cresta ovest”.

Il lago prima del rifugio Prarayer; Dent d'Herens e Grandes Murailles sullo sfondo

Questo è quanto riportato nel programmino annuale del club stampato qualche mese fa, solo leggerissimamente semplificato rispetto alla realtà.
La cronaca ci vede invece in condizioni decisamente più complicate, dovute essenzialmente ad una sola piccola iniziale differenza rispetto alle intenzioni originali: al rifugio Aosta non accettano la nostra prenotazione perché è già al completo, quindi siamo costretti a modificare i piani e a rassegnarci a prenotare al Prarayer. Purtroppo ci troviamo a inizio stagione e non abbiamo il minimo acclimatamento alla quota; io poi in particolare non ho nessun allenamento, è parecchio che non frequento montagne, e se già il programma originale mi dava da pensare, ora che dobbiamo aggiungere alla camminata della domenica anche le tre ore e i 780 metri di dislivello supplementari per il tratto tra i due rifugi, sono definitivamente convinto dell’impossibilità di raggiungere la cima questo fine settimana.
Andiamo per ordine: il sabato camminiamo solo per un'oretta lungo la facile stradona, in pianura, lungo la riva del lago artificiale, fino al nostro rifugio (che più che rifugio pare un normale albergo ristorante). Le nostre intenzioni preoccupano i gestori del posto, ma non commentano.

Tiziana durante la camminata di avvicinamento al Prarayer; sullo sfondo la Dent d'Herens

Tra tutti gli avventori siamo - ovviamente - gli unici che hanno intenzione di partire verso la Dent D’Herens; sospettiamo di essere gli unici non soltanto tra quelli presenti in questa occasione, ma anche tra tutti quelli che hanno passato una notte qui in questi ultimi N anni (per N prossimo all’età del rifugio).
Ostinati come siamo (Galis soprattutto, ma anch'io fino a quando sono al caldo di un albergo mi permetto la mia dose di buoni propositi) ancora non siamo rassegnati a dedicare la domenica ad un fallimento, quindi la sera ci impegniamo nel tentativo di ridurre al minimo il peso degli zaini. Prendiamo le ultime sofferte decisioni: niente attrezzatura tecnica, niente rinvii né viti, niente guantoni pesanti, niente giacche a vento, sacrificate in favore di leggerissimi k-way. Gli zaini non sono vuoti solo per i ramponi, le borracce e per quel tozzo di pan... cioè, di cioccolato, che ci concediamo per non morire di fame durante la salita.
La domenica ci svegliamo presto solo io e Galis; l’orario è piuttosto singolare: sono le 23:30 (quindi tecnicamente sarebbe ancora sabato...). Facciamo colazione quando gli ultimi avventori ancora non sono andati a dormire, cosa che non mi era mai capitata in nessun’altro rifugio. Durante la colazione Galis mi convince a bermi del Magnosol, sali minerali contro i crampi; il cameriere del Prarayer ci guarda storto: probabilmente è convinto che ci stiamo drogando con qualcosa di pesante. Partiamo intorno a mezzanotte e mezza in direzione dell’Aosta.
Durante la salita facciamo senza problemi il vallone iniziale, ma quando si tratta di risalire l’erta fino al rifugio, sbagliamo strada, non troviamo i segnali sulle roccette di sinistra, non vediamo tracce, e finiamo a ravanare su un pendio sabbioso morenico franoso.

Le Grandes Murailles all'alba

Scendiamo prima che diventi troppo tardi, facciamo ancora un po’ di esplorazione, e finalmente troviamo le tracce giuste e risaliamo lungo le roccette che portano al Rifugio Aosta. Io sono molto sfiduciato: già sapevamo che la camminata che ci aspettava sarebbe stata molto lunga, ma ora, dopo questa ulteriore imprevista perdita di tempo e i parecchi metri di dislivello aggiuntivi, la mia convinzione dell’impossibilità della cima si fa incrollabile. Proseguiamo così, tanto per provare, convinti che saremmo andati avanti solo per un po’ e che saremmo tornati indietro quando la fatica fosse diventata troppo spessa. Raggiungiamo il Rifugio Aosta abbastanza stanchi, io in modo particolare, Galis decisamente meno. Qualche cordata è già partita, ma molti si stanno ancora preparando. Chi è ancora nei paraggi probabilmente ci ha anche sentiti arrivare: l'inclinazione canora di Galis oggi trova la sua ispirazione nella luna e nel bel cielo stellato e nell'ultimo tratto di morena friabile sotto al rifugio attacca con un quanto mai ovvio "Baila Morena, sotto questa luna piena...". Peccato che la luna piena non ci avesse impedito di perdere la strada all'inizio delle roccette. Arriviamo all'Aosta proprio mentre un numerosissimo gruppo di gente di un CAI si sta attrezzando con i ramponi prima di attaccare il ghiacciaio. Sfiliamo davanti al rifugio e ci troviamo invischiati in una processione di cordate che non ci piace molto. Ci adattiamo a starci insieme, perché con la stanchezza ci va bene che qualcuno ci faccia almeno un po’ di traccia. Arrivati sui falsipiani superiori, però, tutte le cordate sembrano rallentare, a una a una si fermano a riposare, man mano le superiamo tutte. Arriviamo in testa al gruppone, io non sono molto convinto della cosa, non sarei in grado di tracciare tutta la via, ma Galis si dice fiducioso, dice che è disposto a stare in testa lui tutto il tempo, quindi continuiamo solitari e distacchiamo tutti. Nella parte superiore troviamo molta neve, molta di più di quella che ci aspettavamo, e molta di più di quella normalmente dichiarata dalle guide; la cresta non è attaccabile, è necessario guadagnarla dai pendii di destra, ma sono molto carichi; tutte le guide sono concordi nel descrivere questi pendii come semplici rampe di sfasciumi, mentre noi troviamo ripidi scivoli di neve gelata instabile, molto crostosa. A me non piace molto, mi sento abbastanza insicuro, per via della stanchezza e in modo particolare perché il mio solito ginocchio sinistro ha ricominciato a farmi un gran male, non riesco a caricarlo per le fitte che mi lancia, e sono costretto a fare tutta la salita sul ripido con la gamba sinistra quasi bloccata, senza riuscire a piegarla. Il risultato è che non mi sento sicuro e che faccio una fatica enorme; per fortuna anche qui Galis rimane sempre davanti e mi aiuta tracciando delle perfette pedonate nella neve dura. In modo particolare in alto mi sono molto utili, dove il pendio si impenna nell’uscita in cresta: un bel muretto di qualche metro molto ripido, a occhio avrei detto una sessantina di gradi, ma potrebbe essere stata solo un’impressione. Raggiungiamo l’ampio crestone che io sono completamente stremato, mi voglio fermare, non ce la faccio più, ma Galis mi convince a proseguire ancora per un po’, piano piano. Continuiamo lungo l’ampia cresta e lungo gli ultimissimi pendii che ci portano fino alla sottile crestina sommitale.

Andrea sulla cresta sommitale della Dent D'Herens

La raggiungo al limite delle forze; qui vedo la cima a una cinquantina di metri, ma non ce la faccio proprio più, non riesco più a muovere un passo, sono sfinito. Cerco di convincere Galis a proseguire da solo, ma la crestina non è semplice, è piuttosto esposta, di roccette incrostate, e senza corda non deve essere simpatica; lui quindi cerca di convincere me a proseguire. Convinci me che ti convinco io... rimaniamo fermi a discutere per qualche minuto, quello che basta a farmi riprendere un minimo di fiato e fiducia; mi decido alla fine a proseguire e dopo pochissimi minuti di cammino arriviamo insieme in cima. Ci rimaniamo parecchio, una mezz’oretta, chi a fare foto, chi ad ansimare stremato: dopo tutto sono pur sempre al punto culmine di una salita di più o meno 2400 metri di dislivello (compresi gli errori del mattino) e di parecchi chilometri di sviluppo, in un periodo in cui non ho ancora il minimo allenamento, né atletico né alla quota. Sono da poco passate le nove, quindi abbiamo impiegato circa otto ore e mezza per la nostra camminata. E Galis si è battuto tutta la pista.
Quando è ora di scendere ci muoviamo alla svelta, ormai in discesa la fatica è ridotta; arriviamo al termine della crestina sommitale mentre i primi degli inseguitori arrivano dal basso: si fermano lì, attrezzano sicurezze, stanno salendo a tiri di corda (cosa strana perché le roccette sono molto facili), e dicono che hanno intenzione di rimanere lì, di non fare la crestina fino in cima. Procediamo con la discesa lungo le roccette e lungo il crestone continuando ad incrociare gente che sale. Arrivati al punto di uscita del ripido pendio sul crestone ci fermiamo ad aspettare l’uscita di un paio di cordate; Galis chiede scherzando se sono soddisfatti delle tracce che ha fatto, e il capocordata impegnato in quel momento nella salita dice che sarebbe stato meglio se fossero state un po’ più corte... vabbè. Proseguiamo con facilità lungo il pendio, poi lungo il ghiacciaio, fino all’Aosta, e poi, senza fermarci, fino in valle e al rifugio al lago. Nell'ultimo tratto di strada Galis mi distanzia: la mia velocità si è fatta prossima a quella di un corteo funebre e lui non vuole fare aspettare oltre Tiziana che ci sta venendo incontro dal Prarayer; ci ritroviamo insieme nel giro di una mezz'ora: mi stanno aspettando prendendo il sole sdraiati su un masso. Io sono stanchissimo, quanto non mi ricordo di essere mai stato... a parte quanto ero qualche ora fa a cinquanta metri di distanza dalla cima.
Al rifugio Prarayer facciamo solo una breve sosta per recuperare il materiale che abbiamo lasciato questa mattina. Emblematico il fatto che nel breve tratto di strada pianeggiante che ancora ci separa dalla macchina io e Tiziana ci scambiamo gli zaini!!
Alla fine delle nostre fatiche, raggiunta l'auto al termine della diga di Place Moulin, possiamo calcolare che tutto compreso siamo stati in ballo per 17 ore e mezza. Come fa notare Galis, a fare una 100 chilometri su strada non ha mai impiegato così tanto tempo.


Mirko Sala Tesciat
2001

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