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Aiguilles Rouge del Brouillard

Cresta del Brouillard

5 agosto 2003
Mirko, Andrea

E’ la seconda salita del GRAC Tour, e anche questa volta non portiamo a compimento il nostro primo obiettivo, che dovrebbe essere la cresta integrale del Brouillard, dalla Val Veny alla cima del Monte Bianco. Il programma dovrebbe comprendere: partenza dall’area pic-nic del Miage, salita al Lago delle Marmotte, attacco della cresta, salita dei pratoni delle Aiguilles, traversata delle Aiguilles Rouge del Brouillard, raggiungimento del colle sotto alla Baretti, bivacco, salita della Punta Baretti, del Mont Brouillard, del Picco Luigi Amedeo, del Bianco di Courmayeur, e infine del Monte Bianco, quindi discesa fino alla Vallot, notte nella capanna, discesa lungo le Bosses fino a Chamonix, e infine ritorno in autobus a Courmayeur. Un bel po’ impegnativo. Quello che ci riesce è solamente la primissima parte del tragitto, per condizioni indipendenti dalla nostra volontà.

Monte Bianco ripreso dalla Val Veny, la cresta del Brouillard scende sulla sinistra; quasi in primo piano è visibile il rifugio Monzino

Andiamo in autobus dal campeggio a Courmayeur, quindi in Val Veny; sbagliamo la fermata, e invece di scendere all’area pic-nic, arriviamo fino a quella successiva, in cima a quella lunga salita, fino al bar; valutiamo la situazione, entriamo nel bar, prendiamo un panino e una coca, mangiamo e beviamo, quindi iniziamo la camminata. Scendiamo lungo la strada asfaltata fino al posto giusto, quindi prendiamo il sentiero che sale verso il Lago delle Marmotte, all’inizio del Miage, ai piedi della Cresta del Brouillard. Da qui inizia la salita vera e propria: attacchiamo la cresta lungo i ripidissimi prati che salgono in direzione delle Aiguilles. C’è un caldo infernale e sudiamo tantissimo; per fortuna ci siamo appena comprati dei bei cappelli adatti alla situazione: Galis uno a tese molto larghe, io un sahariano molto efficace, anche se purtroppo molto costoso (quando mi avevano detto il prezzo quasi mi prendeva un colpo, ma ormai era troppo tardi...). Abbiamo zaini misuratissimi, con il minimo indispensabile; io addirittura sono riuscito a far stare tutto dentro al mio Dexter, il nuovissimo mini zaino; non ci riuscirò mai più, ne sono convinto. Saliamo costantemente al limite della disidratazione lungo i ripidi prati, dissetandoci ad ogni occasione nella parte bassa, quando ancora si incrocia qualche ruscelletto. La salita porta un po’ a zig zag verso delle rampe rocciose che vediamo sovrastarci; non sappiamo niente della direzione migliore, perciò andiamo un po’ a caso, cerchiamo di capire dove le cose potrebbero essere migliori, dove i prati potrebbero essere un po’ meno ripidi e meno scivolosi (perché su questa paglietta secca si scivola pure parecchio), e dove le rocce potrebbero essere più semplici. Sicuramente sbagliamo tutto, però su questo terreno fatto solo di improvvisazioni ci va bene così: troviamo il nostro passaggio attraverso tutti gli ostacoli che ci si presentano, compresi tutti i salti di rocce instabili sui quali siamo costretti a cimentarci. Una volta superati i pendii di prati e rocce sbuchiamo in un tratto dove il pendio è meno ripido e dove si trova un immensa distesa di rocce rotte appoggiate; da qui si vede la prima parte della cresta delle Aiguilles Rouge. Attraversiamo la pietraia verso le guglie che ci troviamo sopra, ma nemmeno qui abbiamo idea di quale possa essere il punto di attacco. Andiamo ad improvvisare: tagliamo un po’ verso destra, andiamo a prendere un canalino che porta verso una delle guglie, lo risaliamo e guadagnamo la cresta. Non abbiamo idea se quella su cui ci troviamo è davvero una delle Aiguille Rouge oppure solo una guglia secondaria. Da qui inizia un lunghissimo tratto di arrampicata, su e giù per queste torri che non finiscono mai, una dopo l’altra, a volte in cresta, a volta sul versante del Miage, più spaccato e meno ripido; a volte in arrampicata seria, a volte su cengette sabbiose; una vera e propria arrampicata in ambiente all’apparenza vergine, fatto di rocce ancora tutte da scoprire, improvvisazioni continue, ipotesi su ipotesi. Superiamo una lunga serie di torrioni, e non sappiamo mai in quale punto della cresta ci troviamo; anche su questo possiamo solo fare ipotesi.

I ripidi prati all'attacco, sopra al Lago delle Marmotte

Nel frattempo il cielo, che nel tratto ripido e faticoso dei prati era stato sfacciatamente troppo caldo, inizia ad oscurarsi, un grande cupissimo fronte nuvoloso si avvicina velocemente, e si iniziano a sentire tuoni in lontananza. Io sono molto preoccupato (e contrariato, perché le previsioni meteorologiche ci avevano prospettato tre giornate di tempo perfetto) ma Galis pare non voglia cedere. In cima all’ennesima guglia (ci renderemo conto poi, valutando da sotto, di avere arrampicato fino alla cima della terza Aiguille) ci fermiamo a valutare la situazione; Galis pensa che la mia titubanza sia solo frutto di scazzo, ma io sono preoccupato davvero: trovarmi su questa cresta in pieno temporale, tra lampi e fulmini, proprio non rientra tra le mie massime ambizioni; allo stesso modo non è tra i miei desideri il passare una notte fermo a 4000 metri all’aperto inzuppato fradicio. Galis non crede che il temporale ci possa raggiungere, ma a me non va di prendermi un rischio così. Alla fine - sono circa le 4 di pomeriggio - si convince e iniziamo la discesa.
Ormai conosciamo il posto, quindi riusciamo ad ottimizzare la strada; arrampichiamo lungo la cresta, ma non facciamo tutto il tratto che avevamo fatto in salita, perché ora troviamo un bel passaggio da un punto più alto dentro ad un canale, lungo il quale riusciamo a raggiungere velocemente la pietraia. Seguiamo la pietraia, e quindi entriamo nel ripido pendio che scende a picco verso il laghetto. La parte superiore è rocciosa; non facciamo la stessa

Aiguilles Rouge del Brouillard, dall'alta Val Veny

strada della salita nemmeno in questo tratto, entriamo nel pendio più a sinistra del punto da cui ne eravamo usciti, ma va bene lo stesso; anche la discesa qui è fatta di improvvisazione, ma in questo tratto le cose filano più lisce che non nella salita. Intanto il tempo si fa sempre più cupo e i tuoni sempre più vicini. Facciamo appena in tempo ad arrivare al termine del tratto roccioso che si scatena il finimondo: nel giro di pochi secondi si passa dal nulla, a qualche gocciolina, ad un acquazzone pazzesco; quindi iniziano a circondarci i fulmini. E’ stata una fortuna fare in tempo a scendere tutto il tratto roccioso prima dell’inizio della pioggia, perché abbiamo notato che con l’acqua queste rocce sono diventate scivolosissime, davvero molto pericolose. Ci rintaniamo alla base di un salto verticale coprendoci alla meno peggio con i sacchi da bivacco spiegati, ma la cosa non ci impedisce di inzupparci comunque dalla testa ai piedi. Di positivo c’è il fatto che possiamo approfittare delle copiose cascatelle d’acqua che in pochi minuti hanno iniziato a rovesciarcisi addosso: le sfruttiamo per riempire borracce e pentolini e beviamo in continuazione; Galis si beve un litro e mezzo di pioggia, misurata con la sua borraccia; io poco meno, sfruttando il pentolino da campeggio. Rimaniamo così bloccati per una mezz’oretta, poi, appena la pioggia accenna a diminuire e i fulmini a diradarsi, iniziamo a scendere, più velocemente che possiamo. La situazione non è delle più sicure, perché questi pendii erbosi sono molto scivolosi, e nella fretta abbiamo anche il compito di cercarci una giusta strada di passaggio tra uno strapiombo e l’altro; la pioggia e i fulmini residui sono sufficienti a farci muovere veloci. Abbiamo notevolmente meno problemi che in salita ad individuare la via - adesso siamo più vicini allo spigolo di destra (scendendo) del versante - e a non scivolare perché - stranamente - pare che l’acqua abbia aggiunto grip all’erba, invece che toglierne. Non facciamo in tempo a raggiungere la base dei prati che la pioggia smette definitivamente. Ormai il temporale è passato, ma siamo bagnati fradici e quella della discesa è stata sicuramente la decisione migliore. Proseguiamo a piedi fino al laghetto, poi fino all’area pic-nic, e quindi lungo la strada asfaltata della Val Veny. Valutiamo l’idea di prendere un autobus, ma alla fine conveniamo di farne a meno: abbiamo entrambi voglia di farci questa passeggiata. Ci fermiamo per un attimo al bar di un campeggio, dove ci prendiamo una coca cola, quindi proseguiamo, ormai al buio. Scendiamo fino alla strada della Val Ferret, e quindi risaliamo in direzione del nostro campeggio. Risalendo la strada nella notte notiamo delle luci sulla cima della Whymper: gente ferma a bivaccare in cima, forse appena sbucati dalla Nord, forse rallentati o bloccati dal maltempo; commento che quelli se la stanno passando peggio di noi.
Poco sotto La Palud, mentre camminiamo fradici e spediti con tutto il materiale alpinistico disordinatamente appeso fuori dagli zaini, senza bisogno di alzare un dito una ragazza in macchina si ferma per offrirci un passaggio. Si dimostra molto allegra e disponibile, ma la nostra prima reazione non è il massimo dell'opportunismo: io esito per la paura di bagnarle e sporcarle tutta la macchina, mentre Galis pensa ad altro: guardandola deciso le chiede "Ma ti fidi??". Il nostro aspetto trasandato in effetti non deve essere dei più rassicuranti. Fortunatamente la fiducia non le manca perchè risponde con altrettanta decisione: "Ma si! Due alpinisti!! Con i ramponi!!!". Quindi per una volta i miei ramponi ciondolanti e tintinnanti hanno fatto il loro giusto effetto. Ci accompagna fino al campeggio di Planpinceux, dove intorno alle 22 e 30 concludiamo la nostra umida avventura.


Mirko Sala Tesciat
2004

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