Il coma
di Martinelli Alberto
2001

Io non ero mai stato tranquillo nel buio, tanto che sin da piccolo, quando mia madre mi dava il bacio della buona notte, io le chiedevo di lasciare una luce accesa finché non mi fossi addormentato.
Ma ora, rinchiuso in quella stretta stanza quadrata mi sentivo a mio agio (ma ero al sicuro ?). Lì sapevo che loro non mi avrebbero raggiunto e, inoltre, dato che nessuno voleva credermi, avevo tutto il tempo per ripensare a quello che mia era successo quella maledetta notte, più di cinque anni fa.  
La macchina correva veloce sulla strada, incurante della pioggia che fitta scendeva, impedendomi di vedere più di dieci metri: fortunatamente i numerosi fulmini illuminavano a giorno la carreggiata. La mia radio vomitava a tutto volume l’ultima canzone di successo ed io ero agitato per il ritardo accumulato in quella giornata schifosa.  
Ciò che ricordo o che i dottori mi hanno detto dopo l’incidente (questo non lo so) è che fui ritrovato alcune ore dopo, da un’automobilista, in fondo alla scarpata: miracolosamente ero vivo, illeso nelle lamiere della macchina. Fui portato immediatamente all’ospedale dove, dopo le prime cure, cadetti in un coma profondo di circa due giorni (è forse per questo che non ricordo nulla?).  
Ora inizia la parte più confusa della mia vita, di cui non ricordo assolutamente nulla. Secondo i miei genitori mi sarei svegliato di scatto e dopo essermi liberato dalla flebo, avrei chiesto la data di quel giorno (perché dovrei essere stato così interessato alla data ?); non avrei perso un attimo e dopo i necessari controlli, in cui, mi dicono, ero particolarmente agitato, me ne sarei andato a casa.  
Ora io non so dire se il sogno che feci durante il coma fosse vero, ma di certo era sorprendentemente realistico: ero sveglio, in un luogo che non conoscevo.  
Tutto mi sembrava insolitamente piccolo, intorno a me: vedevo un altare (ma come facevo a saperlo ?) e degli esseri mostruosi che mi guardavano. Cercai di emettere un urlo a tale blasfema creazione della natura, ma mi accorsi che non facevo altro che emettere dei fischi acutissimi e che avevo in risposta altri simili fischi. Mentre uno di loro (che razza di animali potevano essere ?) mi scrutava dalla sua testa con quattro occhi, un altro allungava uno dei suoi tentacoli (erano forse chele quelle alle estremità ?) come per svegliarmi da un brutto incubo.  
Poi solo il buio.  
Non so dire quanto durò quell’oscurità intorno a me, ma la attribuii a una brutta sbornia, che dovevo ancora smaltire: ma come un incubo, quelle strane creature comparvero di fronte ai miei occhi che, ora che osservavo con maggiore attenzione, offrivano una visione completa dello spazio attorno a me.  
Con riluttanza spostai la vista sul mio corpo e mi accorsi che era completamente uguale al loro.  
Poi solo il buio.  
Ora ero certo che quello non era solo un incubo, no, io non avevo una simile immaginazione, no, non poteva essere altro che l’effetto di qualche droga (ora che ci penso, che cosa avevo fatto quel giorno ?).  
Ora i miei occhi (lo erano veramente ?) venivano aperti con la forza da quelle creature. Mentre ascoltavo i loro sibili, potevo iniziare a comprendere alcune frasi che essi si dicevano. Parlavano della mia situazione e di come il trasferimento non fosse avvenuto nelle condizioni ottimali (si riferivano forse al mio trasporto in ospedale ?).  
Mentre loro si sforzavano di comunicare con me (perché non volevo ascoltarli ?) cercavo finalmente di fare chiarezza in quell’incubo.  
Alzandomi sulle parte inferiore del corpo, che assomigliava ad un cono, usai a mio vantaggio le lunghe chele: tagliai dei strani fili che correvano tra un macchinario e l’altro, con una forza che non ricordavo d’avere.  
Poi di nuovo il buio.  
I dottori dissero che questo mio incubo era un residuo dell’incidente avvenuto cinque anni prima, ma questi due comi nella mia vita non mi convincevano affatto. Allora chiesi loro che cosa avrei fatto dopo il primo coma, dato che non ricordavo nulla, tranne l’incubo (ero restato in coma di soli due giorni ? ).  
Loro mi dissero, alquanto sorpresi, che secondo le loro informazioni, avrei lasciato il lavoro, a cui tenevo tanto, e sarei sparito per cinque anni, fino a quando non mi ritrovarono in coma in un ospedale dall’altra parte dell’oceano.  
Io ricordavo il risveglio dopo il secondo coma, anche se in verità ne ricordo solo uno: al mio capezzale c’erano i miei genitori e molti altri parenti, che piangevano per il mio ritorno a casa. Dopo alcuni giorni, nei quali dovetti fare moltissimi esami sul mio stato mentale e fisico, il mio sguardo cadde sulla data del giornale del mattino: erano passati cinque anni da quando era successo l’incidente.  
Cinque anni persi.  
Svenni all’istante.  
Dell’incubo ricordo la lunga permanenza in una stanza circolare, piena di macchinari strani che io non avevo mai visto. Essi mi incutevano terrore perché erano, o meglio, non erano costruiti da mani umane. Avevo imparato a comunicare con loro, ma non riuscivo a capire il mio ruolo nel loro progetto scientifico: sapevo (come facevo a saperlo ?) che era molto importante quello che facevo (cosa facevo ?), importante per le conoscenze di quella razza (ma perché io ?).  
I dottori dissero che io non riuscivo a ricordare nulla del periodo tra i due comi perché il trauma degli incidenti aveva rimosso dal mio cervello la memoria di quei momenti (di cinque anni di vita ?).  
Ma perché ricordavo quell’incubo come parte integrante della mia vita ? Perché solo ora ricordo tutto quello che mi era successo ?
La luce che filtrava dalla minuscola finestrella della cella della casa di cura mi dava molto sollievo, lasciandomi fra le braccia del sonno.  
L’incubo, o meglio, il riassunto di cinque anni della mia vita mi perseguitava ogni notte: i dottori non volevano credere che l’incubo fosse realtà e che loro esistessero veramente. Non avrei mai creduto di finire in quella piccola cella, prima che raccontassi, man mano che riaffioravano dalla mia memoria, tutti i particolari della mia permanenza nel loro mondo (dove ero in quei cinque anni in realtà ?).  
Loro mi avevano trattato bene e mi avevano fatto conoscere la loro civiltà, basata sulla ricerca della conoscenza di tutta la storia della terra (ma se ero sulla terra, quando ero lì ?): immense biblioteche custodivano la storia di miliardi di esseri viventi del passato, del presente e del futuro. La loro civiltà non era però l’unica del periodo, difatti dei misteriosi esseri volanti, sconfitti già una volta in una grande battaglia, minacciavano di ritornare all’attacco.  
Ma loro erano pronti: la loro conoscenza li avrebbe salvati, ne erano certi.  
I dottori non sapevano interpretare questa esperienza, ma erano certi che le mie rotelle non erano tutte al posto giusto. Io non gli credevo e, forse per questo, ora sono qui.  
Loro potevano spostarsi, cioè migrare, in altri tempi semplicemente utilizzando la loro forza mentale: per questo io ero lì, ero stato scambiato con un grande scienziato della loro razza (ecco il perché di quei cinque anni lontano da casa, di cui non ricordo nulla). Loro, mi dissero, sarebbero scampati dallo sterminio scambiando le loro menti con quelle di una razza del futuro.  
No, certo loro non erano cattivi con me: avevano una grande curiosità per ogni mio comportamento, dicevano che era importante conoscere ogni razza (il perché non lo so, o forse si ?) per sapere quale sarebbe stata la migliore.  
Loro mi rispedirono indietro, giurandomi che al mio corpo non era stato fatto nulla e che di tutto quello che avevo visto e imparato in quei cinque anni non avrei ricordato più nulla, probabilmente.  
Così mi ritrovo, ora qui, in questa piccola stanza quadrata, gridando al mondo di stare in guardia, che loro sono tra di noi. Ma nessuno mi ascolta e io non faccio altro che peggiorare la mia situazione.  
Almeno so che, quando lo scambio sarà completato, tutti mi crederanno, prima dello sterminio.

 

Alberto Martinelli

"Grazie Howard, 
per tutto quello che sei riuscito ad immaginare.."
http://digilander.libero.it/gornova