NON SI SCRIVE SUI MURI A MILANO (1975)
di RAFFAELE MAIELLO


Soggetto: RAFFAELE MAIELLO
Sceneggiatura: SILVANO AMBROGI, SUSANNA HUNZKER, RAFFAELE MAIELLO, ROBERTO ROVERSI
Direttore della fotografia: MARIO MASINI
Scenografo: GIORGIO LUPPI
Organizzatore generale: GASPARE PALUMBO
Direttore di produzione: ALESSANDRO CALOSCI
Costumista: ADRIANA BERSELLI
Montaggio: GIUSEPPE GIACOBINO
Musiche: FIORENZO CARPI dirette da: BRUNO NICOLAI
La canzone Ho parlato stop alla morte è cantata da LUCIO DALLA
Produzione: SONAR FILM s.r.l.
Positivi: CINECITTA’
Distribuzione: ITALNOLEGGIO CINEMATOGRAFICO


PERSONAGGI E INTERPRETI:
STEFANIA CASINI (Anna)
LAURA DUKE CONDOMINAS (Luciana)
ALFREDO PEA (Alvaro)
STEFANO OPPEDISANO (Marco)
NINO BIGNAMINI (Mario)


Soggetto
Luciana, ventidue anni, è una contadina diventata operaia in una grande città. Timida, introversa, toccata però da una grazia sottile che la rende amabile in modo affettuoso, cercherà (trovandola) la morte perché non
può più vivere e non sa più vivere dentro alla violenza così scientificamente organizzata della nostra vita. Anna, ventitré anni, è una maestra; in crisi con le istituzioni scolastiche; dunque, in crisi aperta di rimozione del proprio lavoro. La famiglia piccolo-borghese non rappresenta più per lei un ancoraggio, ma piuttosto un luogo comune da fuggire. Alvaro dice di venire da lontano. Anche lui è molto giovane. Vive così, come capita, dormendo con altri amici negli anfratti della metropolitana. E’ un attore che promette, oppure è soltanto un’ombra giovane che va e viene e poi scompare; o può durare tutta una vita a recitare il commento ironico e aggressivo alla vita stessa. Anche Mario è un contadino diventato operaio, come Luciana. E mentre Luciana muore, in quel modo, lui, invece, resiste perché si è socializzato con rabbia, si è politicizzato. Ha trovato nell’impegno di lotta con gli altri compagni il solo modo di esistere. In questo senso è una testa ordinata, che non può essere coperta dall’angoscia totale proprio perché è preservata e stimolata dalla sua collocazione politica. In questa sicurezza, che in un certo modo è splendida e vitale, sta la sua forza di personaggio, di uomo positivo. Lui non rischia di morire (mai o per il momento), anche se rischia ad ogni passo di soffrire. Infine, Marco. E’ stato giornalista. Ora vive vicino ad una finestra, dentro al suo negozio-stanza, ingessato dal collo al bacino, per un incidente stradale, e sa bene che non potrà essere diverso da quello che la violenza del mondo ha voluto che sia. Un mare chiuso, un piccione schiacciato. Eppure non è un ragazzo che odia. Non smette di interrogarsi, di guardarsi in giro, di aspettare, di leggere... Circondato dall’affetto degli amici potrebbe vivere senza aspettare la morte; facendo finta di dimenticarla. Ha sposato Luciana giovanissimo, ma si sono presto separati, molto prima del terribile incidente. Luciana però continua a cercarlo per un consiglio, per una risposta alle continue domande turbate; o anche soltanto per ascoltarlo parlare. Il loro è un sentimento che non si è ancora calmato; in quel modo è certamente un amore che dura, anche se è un amore con disperazione. Anche Mario ama Luciana, con una violenza naturale e un naturale impaccio; ma senza molta speranza. Marco concluderà la storia affidando il suo addio ad un biglietto... Scomparirà rifiutando, con la fermezza di un ragionamento, l’emozione degli affetti e l’amore, la tenerezza, il tempo degli altri; l’insieme dei sentimenti bene educati che rischiano di soffocano togliendogli — questi sì — ogni speranza. Mentre i cinque ragazzi vivono le loro storie, sottoterra, in una stazione della metropolitana, si svolgono parallele una serie di azioni (spettacolari o teatrali) che alcuni giovani di volta in volta inventano. Queste azioni rimandano di continuo alle invenzioni delle idee, quelle che ciascuno di noi, come un grande teatro di fuoco, si porta addosso. La città del racconto non è Milano, anche se il film è stato girato interamente a Milano. I cinque giovani non sono i nostri figli o i nostri fratelli, questi giovani non siamo noi, anche se crediamo di esserlo. Ogni sentimento è mercificato e ha un prezzo, ormai, e una quotazione. E’ una moneta anche la morte: valutata, pesata, contrattata, sottoscritta. In questa società niente è lasciato al caso, tutto è parcellizzato; non ci sono più crepe. Non è più possibile, per quanto ci si illuda, inserirsi in qualcosa con una piccola astuzia.