HANNO CAMBIATO FACCIA (1971)
di Corrado Farina


Regia e soggetto: Corrado Farina; sceneggiatura: Giulio Berruti, Corrado Farina; fotografia: Aiace Parolin; musica: Amedeo Tommasi; montaggio: Giulio Berruti; produzione: Filmsettanta.
Durata: 97’.
Interpreti: Giuliano Disperati (Alberto Valle), Adolfo Celi (Giovanni Nosferatu), Geraldine Hooper (Corinna), Francesca Modigliani (Laura), Rosalba Bongiovanni, Pio Buscaglione, Salvatore Cantagalli


Soggetto:
Un giovane impiegato, Alberto Valle, viene invitato nella villa del ricco ingegner Nosferatu, che gli offre un importante ruolo dirigenziale alle sue dipendenze. Una ragazza hippy, Laura, cerca inutilmente di trattenere l’ambizioso yuppie, il quale scopre che il magnate, come un moderno vampiro, con le armi del capitalismo, del consumismo e della tecnologia, rende schiavi gli esseri umani.


Autore di numerosi film pubblicitari, documentari e programmi culturali televisivi, Corrado Farina nella sua opera d’esordio richiama esplicitamente un archetipo cinematografico, quello del vampiro, senza peraltro voler fare un film di genere. L’idea del regista è che i vampiri esistono ancora, nella società neocapitalistica, travestiti da ricchi uomini d’affari e potenti finanzieri, e che succhiano da chi cade in loro potere, anziché il sangue come in passato, gli impulsi vitali, la tensione all’autonomia e alla libertà, il piacere dell’immaginazione. Il film non si presenta dunque come la semplice ambientazione contemporanea di un vecchio mito letterario e cinematografico, bensì come la trasfigurazione fantastica di alcuni elementi avveniristici, negativi, disumanizzanti della nostra vita, del nostro lavoro, del nostro ruolo nella società. I luoghi comuni, le formule abituali dei film di genere ci sono tutti, e non mancano numerose citazioni dai “classici” di Murnau e di Dreyer, che vengono però utilizzate come chiavi di lettura di un discorso ideologicamente orientato, e non per provocare e coinvolgere emotivamente lo spettatore. Il protagonista, Alberto Valle, è un giovane ambizioso, desideroso di iniziare una carriera che gli può dare ricchezza e potere, perciò non ascolta le sollecitazioni di Laura, la ragazza hippy che cerca di strapparlo al conformismo esistenziale verso cui è avviato. Poco per volta, però, alcuni
aspetti inquietanti emergono dai comportamenti dell’altero e raffinato Nosferatu, che vive con una bellissima e misteriosa segretaria in una villa settecentesca dotata di tutte le più moderne risorse tecnologiche. Così l’ospite cerca di fuggire e di uccidere il padrone di casa, ma ogni tentativo di ribellione è inutile, perché viene assorbito dal “sistema”: Laura è ormai ridotta a un automa senz’anima e Alberto si rassegna a ridursi schiavo volontario del potere. Tutta la vicenda, insomma, è una metafora fin troppo chiara di alcuni aspetti allarmanti del mondo in cui viviamo, dove soffriamo dei profondi condizionamenti che la grande industria esercita sui suoi sudditi” riducendoli a complici. Il vampiro, oggi, è il padrone, l’uomo potente che controlla ogni cosa e sfrutta senza pietà tutte le persone di cui azzera i valori umani, le vittime dei “morsi si integrano” perfettamente nell’orrore quotidiano del capitalismo. Nel finale, il film reca il suggello di una frase presa da L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse: «il terrore di oggi si chiama tecnologia», così tutta la storia “vampiresca” pare essere, in qualche modo, una messa in scena fantastica che vuole dimostrare la correttezza di tale affermazione. In piena bufera sessantottina, l’impeto ideologico che spinge il regista a mettere in scena in modo fantastico le tesi del filosofo marxista non rende peraltro il film una fredda dimostrazione intellettualistica, soprattutto grazie a una sottile ironia che non lesina note piacevolmente grottesche (come le utilitarie Fiat che, come lupi, fanno la guardia all’esterno della villa di Nosferatu vagando incessantemente nel parco). Nuoce all’efficacia spettacolare del film, invece, la ristrettezza dei mezzi con cui esso è stato realizzato. Costituendo una cooperativa con alcuni amici e colleghi, Farina ha dovuto girare in tempi molto stretti e con grande economia tra Torino e la Valle di Susa.