GIAN MARIA VOLONTÈ |
‘‘... Essere attori è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressiste di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario tra l’arte e la vita...”. Se la galleria dei film di Alberto Sordi forma la storia di un italiano, disegnando attraverso un infinità di personaggi un preciso prototipo nazionale, caratterizzato da cinismo, vigliaccheria, ipocrisia, la vicenda artistica di Gian Maria Volonté riassume la storia di un altro italiano. Infatti anche i personaggi interpretati da Volonté coprono un ampio arco storico, attraversando buona parte del Novecento: dal tenente Ottolenghi di
"Uomini contro", impegnato sul fronte della 1a guerra
mondiale, fino ad Aldo Moro. È una galleria di personaggi completamente diversi fra loro - intellettuali ed operai, imprenditori e banditi, ricchi e poveri, aristocratici e popolari, rivoluzionari e potenti, generosi ed egoisti - e tuttavia, all’esatto opposto dei personaggi di Sordi, tutti quelli interpretati da Volonté sono segnati dal desiderio di essere protagonisti del proprio destino. Se nel cinema di Sordi emerge il ritratto di un paese troppo spesso dimentico dei propri doveri, raccontato con un tono sostanzialmente assolutorio, anche quando si denunciano vizi e difetti endemici, nel cinema
di Volonté, nel bene e nel male, c’è un’Italia che lotta, che combatte, che non si arrende, che comunque cerca di raggiungere una consapevolezza di sé. Il tutto raccontato con uno sguardo problematico, con un tono indagatorio, che cerca di inchiodare i personaggi e il contesto alle proprie responsabilità. L’immagine complessiva proposta dalla galleria dei personaggi di Volonté è la più complessa, ricca e varia in assoluto; non ha paragoni con quelle di altri interpreti. In altre parole mentre i nostri attori più importanti, pur fornendo spesso prestazioni superlative, si sono identificati in una maschera, ripetendo, pur con apprezzabile variazione di toni, lo stesso personaggio - si pensi, oltre a che a Sordi, a Totò, Manfredi, Gassman, fino ai nomi più popolari del cinema di questi anni Benigni,
Troisi,Verdone - Volonté è sfuggito a classificazioni di questo tipo. Non si è mai identificato nè con una maschera, nè con un prototipo umano. Perfino recitando uno stesso personaggio Aldo
Moro, Volonté ha mostrato di poter offrire due caratterizzazioni agli antipodi: parodistico, evanescente, straniato, brechtiano in
"Todo modo", sofferente, pensoso, umanissimo ne "Il caso
Moro". Non c’erano limiti alle capacità mimetiche ed interpretative diVolonté: in questo senso non deve sorprendere che in un
"Sacco e Vanzetti" teatrale fosse stato scelto per il ruolo del timido calzolaio pugliese e nella successiva trasposizione cinematografica dello stesso soggetto si sia impossessato con identica autorevolezza dell’altro ruolo, interpretando il volitivo pescivendolo piemontese. A proposito di voce, di lingua, di dialetti, Volonté rappresenta un caso di insuperabile mimetismo: prima ancora del corpo, la voce è per il nostro il principale strumento di comunicazione artistica e interpretativa. Volonté è capace di impossessarsi di ogni inflessione, risultando credibile in ogni possibile connotazione regionale, ma soprattutto la voce diventa la cartina di tornasole per portare alla luce in maniera precisa e compiuta il carattere più autentico, anche se a volte segreto e nascosto, dei personaggi interpretati. La follia del commissario di
"Indagine" emerge prima ancora che dai suoi comportamenti, dal suo modo di parlare; così come accade con la protervia di
"Lucky Luciano"; le insicurezze di Emilio il comunista de
"Il sospetto"; l’involontaria comicità e l’inadeguatezza al ruolo di Stark, l’ex-carabiniere diventato casualmente attore di cinema, come raccontato in
"Stark system". Ma soprattutto in Volonté c'è una nuova ed
inedita consapevolezza di intendere il mestiere di attore. Nel suo caso la professionalità si identifica con l’etica: di conseguenza le scelte artistiche sono rigorose, l’atteggiamento nei confronti della macchina cinema, intesa come industria, è distaccato, il comportamento nei riguardi del pubblico è riservato, quasi scostante, ma diametralmente opposto ad una certa idea di divismo da rotocalco. In un paese come il nostro dove l’attenzione della critica è tradizionalmente concentrata esclusivamente sulla figura del
regista/autore, Volonté, pur consapevole dell’estrema importanza dell’anello rappresentato dall’attore, non assume posizioni direttamente polemiche, non rivendica pubblicamente spazio, limitandosi semplicemente a svolgere nel migliore nei modi possibili il proprio lavoro, mescolando appunto etica ed epica. Come la critica che si è occupata
di Volonté ha segnalato, Gian Maria è stato un attore/autore, ovvero un interprete che ha regolarmente offerto un contributo creativo ai film interpretati, non limitandosi a impersonare un ruolo. Nella tradizione italiana in assoluto non si tratta di un caso eccezionale; questa finzione l’hanno svolta anche altri attori, e più di ogni altro Totò,
ma Volonté è stato il primo e fino ad ora unico caso di attore/autore che abbia saputo esprimersi nel cinema drammatico. Diplomatosi all’Accademia d’arte drammatica, Volontè lavorò in palcoscenico portando il teatro in strada, fondò una compagnia assieme al fratello (Teatro Scelta) che ne curò l'organizzazione e diventò il più attento interprete delle contraddizioni politico-sociali. In teatro, fra l’altro, allestì Il vicario di Rolf Hochuth, censurato a Roma nel febbraio 1965. Prese parte alla realizzazione dei film militanti girati in 16 mm come La tenda in piazza — a piazza di Spagna a Roma in solidarietà agli operai - e assieme a Giancarlo Dettori e Renzo Montagnani alla ricostruzione della morte di Pinelli. Al cinema è stato il protagonista dei film più belli di Petri, ma ha lavorato anche con Sergio Leone, Francesco Rosi (che lo diresse ben 5 volte), Carlo Lizzani, Giuliano Montaldo, Damiano Damiani. All'estero ha lavorato spesso in Francia; con Jean-Luc Godard, nel western politico Vento dell’est, con Jean Pierre Melville, con Yves Boisset ne L’attentato ( gli fu affidato il ruolo di Ben Barka, il leader marocchino fatto scomparire dai servizi segreti franco-americani). Nel 1976, Miguel Littin, ricercato dalla polizia di Pinochet, lo fece recitare in Actas de Marusia, storia di un massacro di minatori. È morto in Grecia nel 1994 sul set di Lo sguardo di Ulisse di Theo Anghelopulos. FILMOGRAFIA1960 Sotto dieci bandiere di
Duilio Coletti |