FUOCO!  (1969)
di Gian Vittorio Baldi


Soggetto e sceneggiatura: G.V.Baldi; direttore fotografia: Ugo Piccone; musica:Franco Potenza; montaggio: Cleofe Conversi; scenografia naturale; arredatore: Francesco Antonacci; direttore produzione: Piero Bucci; aiuto regista: Giorgio Maulini; ispettore produzione: Enzo Jaccio; assistente operatore: Giorgio Aureli; fonico: Manlio Magara; microfonista: Giorgio Pallotta.
P
roduzione G.V. Baldi per Idi Cin.ca, (1968); distribuzione: I. n. d. i. e. f. Durata: 86’.
Interpreti: Mario Bagnato (Mario), Lydia Biondi (sua moglie), Giorgio Maulini (il carabiniere).
Presentato al XXIX Festival di Venezia (1968).



Un uomo spara sulla statua della Vergine durante la processione del 15 agosto. Asseragliato in casa, con la moglie e la figlia, continua a sparare sul vuoto. Rifiutandosi di aprire ai carabinieri e rifiutando ogni cosa, anche l’acqua, di cui ha necessità, fa passare la notte. Dopo aver brutalizzato e ucciso la moglie, consegna la figlia ai carabinieri e si costituisce.



Fuoco! racconta un episodio di follia irrazionale, parte da un fatto di cronaca veramente accaduto a Rocca di Papa: un uomo si chiuse in casa sequestrando la famiglia e minacciando la strage. Ma fatti del genere ne succedono a decine in tutto il mondo, ho raccolto su questi fatti una vasta documentazione. Mi sono ispirato (ma solamente ispirato) al fatto di Rocca di Papa, che però nella sua sostanza è diverso, anche se gli elementi sono gli stessi. Nel momento in cui ho concepito il film, ho capito che doveva essere un film muto, perché è un colloquio tra l’uomo e la sua società. E poiché quest’uomo non riesce a parlare con la società in cui vive c’è un’estrinsecazione anche estetica, se si vuole, nel film. Quindi, il film è tutto muto: parla solo, logicamente, il personaggio che rappresenta ufficialmente la società e cioè lo Stato e cioè il Potere: il custode dell’ordine. Il poliziotto è l’unica persona che parla; tutti gli altri suoni sono grida, rumori, clamori indistinti. Ho liberamente trasportato un fatto di cronaca; non ho voluto e non desidero che ci sia nessun riferimento a un’attualità di tipo giornalistico, ne sono ben lontano e la riprova è che il film è completamente rivissuto e trasfigurato voglio dire che io non ho mai sentito, come nel momento in cui ho girato il film, il fatto di aver partecipato all’interno di ogni personaggio momento per momento. Il film ha un ritmo di ispirazione continua direttamente legata all’autore; ecco perché non c’è il montaggio; perché non avrei voluto, né potuto modificare il ritmo delle riprese. Il film è diviso in tempi diciamo musicali, interiori, miei; per comodità di lavoro ho diviso il film idealmente in diversi momenti (quattro), ogni momento ha altri tre tempi, altri tre ritmi; sono cose che non debbono risultare vedendo il film, sono l’armatura interna del film, i tubi che sono serviti a preparare la facciata, la struttura dell’opera. Non ho scelto gli attori. Il giorno prima di girare ho detto al mio direttore produzione: «Portami una ragazza che più o meno sia così», e qualunque tipo di ragazza di una certa età e che avesse una certa apparenza mi sarebbe andata bene perché io come autore mi sarei adattato a lei, così come infatti mi sono adattato. Il personaggio della moglie era diverso, non profondamente, ma lievemente diverso da quello che io avevo «veduto» ma mi sono adattato a Lydia Biondi e credo che da questa collaborazione sia nato in fondo quello che desideravo. Mario Bagnato è il mio cameraman; non ho scelto un attore, ho scelto un volto giusto. Il carabiniere, che è il terzo personaggio del film, è il mio aiuto-regista. La scelta del luogo? Quando ho detto al mio direttore di produzione: «Ho bisogno di un certo ambiente», è come se gli avessi detto: «Ho bisogno di una certa platea, di un certo palcoscenico che deve misurare quindici metri per venticinque di profondità»; non sono nemmeno andato a vedere il paese che aveva scelto. Perché? Perché è una scelta di tipo teatrale, in fondo è un palcoscenico in cui c’erano entrate e uscite obbligate; se c’era questa piazza e se la scena era fatta in un certo modo, per me andava bene. Non ho montato il film. Ecco che si rompe un altro diaframma. Perché non ho montato il film? Perché non ho girato un’inquadratura di più di quelle che io avevo previsto, né l’ho girata in modo diverso, né il montatore aveva possibilità ampie di scelta, perché essendo il film in presa sonora diretta poteva tagliarlo alla fine o all’inizio, ma non in mezzo. Quindi tolto il ciak, tolta la coda, qual è la sua possibilità di scelta? Mettere in ordine il materiale in un certo modo. Non ho missato il film; altro diaframma. Perché non ho missato il film? Perché le colonne della presa diretta sono esattamente le colonne che voi avete sentito nel film. Al momento del missaggio io ero presente del tutto casualmente; potevo anche non esservi perché era una questione di livelli tecnici; non c’era nessun intervento, a quel momento lì, di tipo artistico. Voglio dire che quello che conta nel film sono altre cose, a mio parere, e cioè il fatto che sia un film di getto, una poesia a braccio, se vuoi, una commedia dell’arte su un canovaccio preciso, ma continuamente improvvisato. Credo, spero, che il film abbia questo senso di continuità dall’inizio alla fine; senso che è dato proprio da un’opera sentita profondamente. Il film è stato girato in quindici giorni proprio per questo, perché la continuità di un’ispirazione non può essere protratta; è uno sforzo fisico, una tensione allucinante come quella dovuta a certe droghe. Il momento dell’intuizione, il momento dell’ispirazione, il momento dello sforzo intellettuale e psichico a mio parere non può andare al di là dei quindici-venti giorni.
(Gian Vittorio Baldi)