GIUSTO PIO È UN MARCHIO D.O.C.

 

Avrete sicuramente fatto caso a quel signore minuto, di mezz’età, gli occhialini da presbite perennemen­te sospesi sulla punta del naso, che magistralmente accompagna, al violino, le evoluzioni musicali di Franco Battiato. È Giusto Pio, una delle e­minenze grigie della nuova canzone italiana: un nome che suona come un marchio D.O.C., al di là delle facili ironie che può agevolmente sugge­rire. È lui, infatti, il coautore di hits come L’era del cinghiale bianco, come Patriots, come La voce del padrone. È lui, ancora, l’ispiratore profondo di Per Elisa, la canzone che un anno fa fece credere (agli ingenui) che il Festival di Sanremo si fosse finalmente ravveduto, e aves­se definitivamente buttato a mare albani e romine, e cionfoli e riccardi­fogli.

Ma non divaghiamo: dicevamo di Giusto Pio. Dev’essere davvero suc­cesso qualcosa, alla canzone italia­na — e se non a tutta, almeno ad alcuni dei suoi gangli vitali — se un personaggio della caratura di Pio è riuscito a trovarvi assiduo diritto di cittadinanza. Già, perché per questo veneto cinquantenne la canzone, almeno per ora, è soltanto un hobby, un gradevole passatempo con cui incrementare le (scarse) entrate del­la sua professione principale. Che è poi quella di violino di concertino nell’orchestra Rai di Milano diretta da Zoltan Pesko, sotto la guida arti­stica di Giorgio Vidusso. Appartiene dunque alla categoria bistrattata de­gli orchestrali, Giusto Pio: di quelli che — sono parole sue, anche se non lo riguardano per nulla — «su­biscono un condizionamento incre­dibile, come da schiavo a padrone, nei confronti del direttore d’orche­stra. Conosco molti miei colleghi», prosegue, «elementi d’oro, compe­tenti e bravi sul lavoro, che si com­portano come mugiki, non riescono a vedere il rapporto col direttore se non in maniera subordinata. È qual­cosa da cui mi sento totalmente li­bero, per fortuna».

Quello da cui non si sente per nulla libero, invece, è «il diaframma cor­poso, praticamente insuperabile, che si prova ogni volta che si suona in orchestra, davanti al pubblico del Conservatorio. La gente non ascolta veramente quel che stiamo suonando. Se per esempio suoniamo Verdi, ebbene Verdi esiste in egual modo in un’esecuzione mediocre, in una cattiva, in una buona. Ma la gente guarda soprattutto se tu suoni bene oppure no; come il loggionista si diverte se l’acuto è ben fatto. Al pubblico non importa quello che suoni: gli importa come lo suoni. Lo stesso dicasi per la schiavitù intrin­seca nel ruolo di esecutore. Sulla musica classica pesano ancora cer­te imposizioni secondo le quali Brahms va eseguito in quel solo modo, Mozart esige quel determina­to vibrato: pesa enormemente, in­somma, la rigidità degli schemi che si applicano all’interpretazione». Che la «fuga» di Giusto Pio verso il mon­do della musica «leggera» sia dun­que da imputare a un anelito di liber­tà? Può darsi. Anche se — occorre dirlo — in questa mutazione fisio­gnomica ha giocato un ruolo deter­minante il caso, sotto le mentite spoglie di Franco Battiato.

Davvero. Se Franco Battiato, un bel giorno di qualche anno fa, non a­vesse interpellato Giusto Pio per prendere qualche rapida lezione di violino, il Nostro, forse, sarebbe an­cora lì a maledire il suo dannato ruo­lo di esecutore, e a lanciare strali contro quel pubblico paludato, finto-competente, che gremisce le sale

da concerto di tutt’Italia. E invece eccolo qui, arzillo più che mai, che rivendica il sacrosanto diritto di suo­nare “quello che voglio io, quando voglio io, come voglio io: anche di steccare, magari, ma sapendo con precisione, che la gente ha voglia di ascoltare quel che ho da dire, e non mi considera un acrobata da circo che cammina sul filo di lana per soddisfare il piacere altrui, e ha, den­tro di sé, sempre, la maledetta paura di cadere a terra”. Eccolo qui, di nuovo, a occuparsi di “leggera”: di Alice, del quarto ellepì in compagnia di Franco Battiato, del suo nuovo al­bum solistico (il secondo, dopo il memorabile Motore immobile edito anni fa dalla Cramps).

Su quest’ultimo lavoro, tra l’altro, gi­rano indiscrezioni più che fondate. Franco Battiato — da quel grande ammiratore di Giusto Pio che è —sostiene che sarà uno dei massimi avvenimenti dell’estate musicale ita­liana: e Pio, aggiustandosi distrattamente gli occhiali sul naso, con l’a­ria di chi finge di non aver udito, la­scia dire. Sa che Franco difficilmen­te. sbaglia i pronostici che azzarda (li aveva già azzeccati su Alice, con Il vento caldo dell’estate e Per Elisa; e su se stesso, con La voce del pa­drone). Come se non bastasse, sa anche che il song più orecchiabile del disco, quello maggiormente in grado di «accalappiare» l’attenzione del pubblico, è già stato scelto come «sigla» di presentazione del Festi­valbar di Verona. Più garantito di co­sì...

 

Roberto Gatti